Sirene d'Inverno (Life)
eBook - ePub

Sirene d'Inverno (Life)

  1. 304 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Sirene d'Inverno (Life)

Informazioni su questo libro

Se dopo una giornata di superlavoro a casa ad aspettarti c'è solo il cane, ti viene da chiederti: dove ho sbagliato? Forse l'errore è stato andare a letto con il capo, che poi ti ha scaricata per non rovinarsi la carriera. Oppure rinunciare al matrimonio della tua migliore amica per un importantissimo meeting che non ricordi nemmeno più… Ma ora Joey ha di fronte una grande opportunità: il suo studio di architettura ha deciso di mandarla in Inghilterra a supervisionare la ristrutturazione di una antica villa. Sembrerebbe un incarico da sogno: Stanway House è il luogo in cui J.M. Barrie scrisse Peter Pan, il libro preferito di Joey. Il compito però si rivela più arduo del previsto. Il guardiano della villa, Ian McCormack, non è proprio un tipo accogliente e con lui niente sembra andare per il verso giusto… Finché, un giorno, mentre corre nel parco, Joey si imbatte in un allegro gruppo di arzille ottuagenarie. Le improbabili signore - membri della Società di nuoto femminile J.M. Barrie - la sfidano a una nuotata nelle acque gelide del lago. Quel che serve è solo un po' di coraggio e un briciolo di incoscienza: al primo impatto, i l freddo sembra insopportabile, ma quando il corpo supera lo choc, la sensazione è di pura estasi. L'incontro con le tenere, adorabili, esilaranti vecchiette rivoluziona la vita di Joey, e segna l'inizio di un'amicizia che la cambierà nei modi più inaspettati, fino a mostrarle che l'amore, spesso, è solo a un tuffo da noi.

Domande frequenti

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Informazioni

1

Joey Rubin si fermò e staccò gli occhi dal tavolo da disegno. Andò alla finestra sul retro dell’appartamento e al suo passaggio Tink sollevò il capo dalla cesta, poi tornò ad accucciarsi richiudendo le palpebre. Oltre i vetri la luna restava invisibile, ma la sua luce argentoblu illuminava i palazzi circostanti gettando ombre lunghe e nitide.
Erano le tre del mattino, e di colpo Joey si sentì stanca morta. Si rese conto che insistere a rielaborare la presentazione rischiava di rivelarsi controproducente. Il suo relatore alla facoltà di architettura ribadiva sempre l’importanza di riconoscere il momento giusto in cui aggiungere modifiche, ipotesi e idee a un progetto perché si poteva danneggiare quanto già elaborato. Tornò al tavolo e contemplò il disegno – un grande acquarello della Stanway House, lo storico edificio inglese affidato al suo studio per la ristrutturazione –, infine, a malincuore, spense la luce.
L’avevano svegliata i rumori della strada, chiaro indizio di un sonno leggero. Dopo un’occhiata alla sveglia sul comodino – nemmeno le sei – girò il cuscino e si rannicchiò sotto le lenzuola.
Salvo per le sirene, era raro che l’eco del traffico arrivasse fino all’appartamento dove abitava da trentatré dei suoi trentasette anni, all’ultimo piano di una palazzina in Lexington Avenue, nell’Upper East Side di Manhattan. Da luglio ad agosto, quando la casa si tramutava in un forno, le finestre restavano sigillate, con il condizionatore a pieno regime. Ma nelle tiepide serate primaverili, o quando i freschi venti autunnali rianimavano l’aria stantia e asfissiante della città, le piaceva spalancarle e uscire sulla scala antincendio che zigzagava sulla facciata.
Era il suo sogno fin da bambina, quando viveva con i genitori. Aveva implorato il permesso di passarci la notte con Sarah, la sua migliore amica, che abitava al terzo piano. Immaginava di portare fuori cuscini e coperte e di sdraiarsi sotto stelle invisibili. Cadere era impossibile! Avrebbero chiuso il passaggio con una sedia, così da non rotolare dai gradini nel sonno. Ma né le sue insistenze né quelle di Sarah erano bastate a convincere i suoi. Quindici anni prima, quando suo padre era partito per la Florida con la nuova moglie, Joey era sgattaiolata sulla scala antincendio con una bottiglia di champagne avanzata dal ricevimento di nozze. Non sapeva esattamente cosa stesse festeggiando. Suo padre le aveva consegnato l’atto di proprietà e il proprio mazzo di chiavi senza particolari cerimonie. Solo allora lei aveva capito che la partenza era definitiva, e che in ogni caso lui e Amy non sarebbero mai tornati a vivere lì. Nei primi giorni si era sentita persa. Quasi tutti i mobili erano già stati spediti a Myrtle Beach, e lei stessa non vedeva l’ora di sbarazzarsi dei pochi rimasti. Ma almeno la casa era ufficialmente sua.
Di solito era brava a tenere a bada il nervosismo da preriunione, soprattutto quando la responsabilità del successo o del fiasco sarebbe ricaduta su qualcun altro, come quel giorno. Tuttavia, mentre preparava il caffè e la colazione, l’ansia non faceva che aumentare.
Ansia mista a qualcos’altro… La verità era che Joey invidiava Dave Wilson, il suo capo, perché sarebbe toccato a lui, e non a lei, andare in Inghilterra a vivere nella villa per sovrintendere alla ristrutturazione. La Stanway House le era particolarmente cara; J.M. Barrie ci andava in villeggiatura, e a quanto si diceva lì aveva scritto Peter Pan. Adorava J.M. Barrie. Si era dedicata anima e corpo al progetto, mesi di disegni e tavole, e adesso il merito sarebbe andato a Dave.
Lavorava da sette anni per l’Apex Group, e la sua massima in ambito professionale – Sii la migliore, e prima o poi finiranno per notarti – cominciava a rivelarsi inefficace. Chi conosceva il suo lavoro sapeva che lei non aveva rivali nella conoscenza dei materiali, nel calcolo dei dettagli tecnici e nella realizzazione di progetti impeccabili. I colleghi facevano a gara per averla in squadra, perché era un fatto noto – se non esplicitamente riconosciuto – che Joey si impegnava più a fondo e più a lungo di chiunque altro, senza risparmiarsi gli straordinari. Ciononostante, invece di venire premiata con promozioni e aumenti, il suo ruolo restava quello di damigella perpetua, immancabilmente richiesta per mettere in luce la sposa radiosa al centro della scena. O, nel caso del suo studio, lo sposo tronfio.
Come se non bastasse, quel giorno alla riunione avrebbe presenziato Alex Wilder. Lo aveva incrociato venerdì sera, uscendo dall’ufficio, e nel fine settimana si era tormentata ben più del dovuto sul tasto dolente di quella novità. Perché aveva deciso di partecipare? Non era coinvolto nella ristrutturazione Stanway. Non aveva abbastanza da fare con le proteste dell’associazione residenti contro la riqualifica prevista per il quartiere di Canal Street? A che scopo impicciarsi del reparto internazionale, quando solo a New York avevano già per le mani sedici progetti in varie fasi di sviluppo, sette dei quali sotto la sua direzione?
Sei mesi prima, se fosse stata Joey l’incaricata di una presentazione, Alex non si sarebbe nemmeno avvicinato alla sala riunioni, per timore di alimentare le voci che avevano cominciato a circolare su loro due. Erano riusciti a tenere segreta la relazione per un anno, ma poi erano stati visti da una segretaria a cena insieme in un ristorante del Meatpacking District. Poi lui l’aveva scaricata, di punto in bianco e con la più patetica delle scuse, Joey aveva letto la curiosità e il sospetto negli occhi dei colleghi. Almeno adesso non doveva più preoccuparsene.
Guardò Tink, che stava finendo la colazione, e si domandò per la centesima volta quale incrocio di razze fosse la sua adorata cagnolina: la sua indole affettuosa e vivace, la sua passione per scavare buche, le orecchie afflosciate a metà, le zampe troppo corte per il busto e la coda maestosamente arricciata come una foglia di acanto.
Tink alzò la testa, emettendo un breve guaito.
«Tra un minuto.»
Versò il caffè in un bicchierone da asporto e tornò in camera a infilarsi i pantaloni da yoga e una felpa. In anticamera prese il guinzaglio dal gancio accanto alla porta.
Fuori la temperatura era gelida, molto più fredda degli ultimi giorni. Tink faceva strada con aria fiera, tirando verso l’angolo della Fifth Avenue dove i furgoni sostavano con il motore acceso vicino all’ingresso della Neue Galerie. Joey aveva visitato tre volte la mostra di arte e design viennese d’inizio Novecento, contemplando le opere di Klimt e Kokoschka per poi finire regolarmente al terzo piano a rendere omaggio a un altro dei suoi idoli, ovvero ad ammirare le foto dei palazzi dell’architetto austriaco Otto Wagner augurandosi di riuscire, almeno una volta nella vita, a progettare una struttura altrettanto rigorosa e al tempo stesso originale quanto la Majolika Haus.
Svoltò sull’84a Est, ma Tink si impuntò. Voleva andare a Central Park, e mise ogni grammo dei suoi nove chili nello sforzo di costringerla in quella direzione. Ma quella mattina Joey non poteva perdersi in vagabondaggi.
Mentre superava le eleganti facciate di arenaria che fiancheggiavano l’isolato su entrambi i lati, pensò alle persone che abitavano o avevano abitato dietro quei muri. Come la signora Phelps, l’amica di sua madre, che odorava di sigarette e di essenze costose, e non aveva mai saltato la visita settimanale durante la malattia dell’amica. Portava sempre pasticcini oppure fiori e prima di andarsene stritolava Joey in un abbraccio.
Poco oltre c’era l’appartamento dove per tre lunghi anni Joey aveva subìto le lezioni di pianoforte di un’immigrata ungherese di nome Frída Szabó – Madame Szabó, come esigeva di essere chiamata –, che ogni santa volta si vantava di avere eseguito un concerto di Mozart sotto la direzione del celeberrimo János Sándor. Almeno metà dell’ora trascorreva in rimproveri perché Joey non si era esercitata a dovere, finché, cadute nel vuoto le ramanzine, Madame si era rassegnata a informare i signori Rubin che stavano sprecando il loro denaro. Lei aveva esultato.
A casa, un’ora dopo, si esaminò per l’ultima volta nello specchio intero. Stava… bene. Benissimo, anzi! Il viso un po’ stanco, magari, un po’ pallido. Però il completo le calzava a pennello e gli stivali di Fendi le donavano come al solito un tocco di spavalderia.
Tink le lanciò un’occhiata languida, come faceva d’abitudine quando lei stava per lasciarla sola, ma Joey non aveva tempo di darle retta. Entro un’ora esatta si sarebbe ritrovata nella sala riunioni, faccia a faccia con Dave.

2

Il taxi impiegò molto più del dovuto a percorrere il tragitto fino al grattacielo della Apex, ottanta piani di acciaio e vetro con la sommità nascosta da uno strato di nubi. Appena il tassista ebbe finito di contare – lentissimamente – il resto, Joey si precipitò verso le porte girevoli, ma solo per ritrovarsi incastrata in coda dietro una dozzina di persone. Per l’ennesima volta maledì in cuor suo l’incompetenza dell’architetto che aveva progettato l’ingresso, un incapace pari al geniale collega convinto che quattro ascensori fossero sufficienti per ottanta piani di impiegati.
Pazientò per quattro turni prima di trovare posto in una cabina stipata. Buonumore e compostezza erano evaporati. Quando sbucò nel corridoio al cinquantaquattresimo piano aveva i nervi a fior di pelle, l’abito gualcito, la sicurezza sotto le scarpe. Ed era in ritardo.
Nell’atrio, passò di corsa davanti ad Alex Wilder.
«Buongiorno, Joey.»
«’Giorno.»
«Non vorrei essere nei tuoi panni.»
Lei si arrestò di botto, si voltò. «Cioè?»
Alex le rivolse un sorrisetto. Joey si sforzò di non notare le piccole rughe irresistibili agli angoli degli occhi, né l’abbronzatura, evidente segno di un probabile weekend sulle piste di Cannon Mountain.
«Antoine non ti ha detto niente?» proseguì lui.
«No. Perché?» Tanto mistero non prometteva niente di buono.
«Farai meglio a parlargli. Subito.»
«Che succede?»
«Preferisco sia lui ad aggiornarti.»
Joey sospirò e gli lanciò un’occhiataccia. Tipico di Alex, lasciare intendere chissà cosa e rifiutarsi di chiarire. Cosa accidenti ci aveva trovato in quell’uomo? Era sempre stato così o era diventato evasivo e manipolatore solo negli ultimi tempi?
«Grazie» replicò, secca, poi si voltò e percorse a passo spedito il corridoio fino all’ufficio di Antoine Weeks, l’addetto amministrativo assegnato al progetto Stanway Hotel. Lo trovò in piedi dietro la scrivania, che radunava i fascicoli destinati ai partecipanti alla riunione.
«Che succede?» domandò.
Antoine alzò gli occhi e scrollò la testa.
«Dave ha avuto un incidente nel New Hampshire. È in ospedale.»
«Cosa?»
Joey raggiunse lentamente la poltroncina di fronte alla scrivania e ci si lasciò cadere.
«Stava facendo alpinismo sulle White Mountains, alla Huntington Ravine. L’imbragatura ha ceduto, e lui è precipitato in un crepaccio. Un volo di quaranta metri o giù di lì. Una rotula fracassata, l’altra gamba fratturata e una spalla lussata. I soccorsi hanno impiegato otto ore a tirarlo fuori.»
«Oh, mio Dio! Se la caverà?»
«È sotto i ferri in questo momento. Però sì, dovrebbe ristabilirsi. Con il tempo.»
Joey lanciò un’occhiata all’orologio: quasi le dieci. «Quindi chi sovrintende la riunione?»
Antoine strinse le labbra e arcuò le sopracciglia, sbattendo le palpebre un paio di volte.
«Scordatelo.»
«Devi, nessun altro conosce l’argomento quanto te.»
«Non ce la faccio» sussurrò lei. «Davvero. Non potrei. Posso fare la mia parte, ma non tutta la presentazione.»
«Certo che ce la fai» sbuffò Antoine. «Il novanta per cento del lavoro è opera tua, e lo sappiamo benissimo entrambi.»
«Ma non ho la documentazione!» protestò Joey.
«Ho tutto pronto, proprio qui. Ho scaricato le proiezioni e i file di immagini, e collegato un Mac al proiettore.»
«Antoine, non sono preparata! Ci sarà anche Richardson, il rappresentante dall’Inghilterra? Non posso fare la presentazione davanti a lui! Perché non mi hai avvertita?»
«L’ho saputo un’ora fa» si giustificò lui, risentito. «Ho immaginato che fossi già per strada. Mi sono dannato per organizzare tutto.»
«Lo so, scusami. Grazie.»
Il cuore le batteva all’impazzata. Si concentrò, sforzandosi di rallentare il respiro, poi si alzò, si schiarì la voce e uscì in corridoio. Antoine aveva ragione: nessun altro conosceva l’argomento quanto lei. E poi qualche imprecisione sarebbe stata tollerata: data la situazione, non potevano pretendere una presentazione impeccabile.
Sbirciò nella sala riunioni dalla parete di vetro. Seduto al posto d’onore all’altro capo del gigantesco tavolo ovale, Alex scelse quell’istante per dare uno sguardo in corridoio, rivolgendole un sorriso a trentadue denti.
«Verme» sibilò lei tra i denti, sfoderando un sorriso di rappresentanza. Girò sui tacchi e tornò nell’ufficio di Antoine.
Lui chiuse la porta, la accompagnò alla poltroncina e le sedette di fronte.
«È la tua grande occasione, Joey.»
«Ma non sono pronta.»
«Eri pronta secoli fa. Lo so io, lo sai tu e lo sa metà delle persone in quella sala.»
«Ti sbagli.»
«Senti, a volte il giorno del debutto arriva quando la prima donna si becca un mal di gola, e tocca alla sostituta andare in scena.»
«Non succede mai.»
«Be’, dovrebbe.»
«Grazie della fiducia.»
«Ora fila là dentro, e metticela tutta.»
«Farò del mio meglio» si rassegnò lei.
«Non ho dubbi.»
Joey annuì. Poco dopo, nella sua stanza, si levò il cappotto, infilò gli stivali e si ritoccò il rossetto. Non era pronta. Tirò un lungo respiro, raggiunse la sala riunioni e richiuse la porta alle proprie spalle.
Quarantacinque minuti dopo lasciò spazio alle domande e riprese a respirare. Non aveva la più pallida idea di come fosse riuscita a presentare tutto il materiale, ma comunque era arrivata in fondo. Se poi fosse bastato a convincere il finanziatore inglese, quello era un altro paio di maniche. L’espressione di Michael Richardson, seduto di fronte a lei, non lasciava trapelare niente.
«Vorrei qualche dettaglio sulla Torre Est» intervenne Preston Kay, uno dei soci fondatori della Apex. «La ristrutturazione deve fruttare un ritorno economico, e questo significa usufruire di tutti gli spazi disponibili.»
«Intendi il dormitorio dei monaci?» domandò Joey, trovando l’immagine corrispondente e proiettandola sullo schermo.
Kay annuì. «Che programmi avete per quell’ala?»
Lei inspirò a fondo. «Le mura non sono sostenute dalle fondamenta originali, quindi esiste un rischio concreto di crolli.»
«Avete messo in conto un tentativo di ricostruzione?»
«Sì, e sottolineo tentativo. Forse saremo costretti a rinunciare, ma ci proveremo. Nel corso dei secoli la struttura è stata privata di molte delle pietre originali, usate come materiale di recupero nelle costruzioni circostanti e per i muri di cinta dei giardini.» Indicò le aree ingrandite sullo schermo. «L’edera ha sfondato intere sezioni del muro, aprendo la strada ad altra vegetaz...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. Manifesto della Società di nuoto femminile J.M. Barrie
  6. 1
  7. 2
  8. 3
  9. 4
  10. 5
  11. 6
  12. 7
  13. 8
  14. 9
  15. 10
  16. 11
  17. 12
  18. 13
  19. 14
  20. 15
  21. 16
  22. 17
  23. 18
  24. 19
  25. 20
  26. 21
  27. 22
  28. 23
  29. 24
  30. 25
  31. 26
  32. Ringraziamenti