
- 256 pagine
- Italian
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- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
A.s.s.a.s.s.i.n.a.t.i.o.n.
Informazioni su questo libro
"Mio padre è scomparso e io devo ritrovarlo!" "E chi sarebbe, di grazia, tuo padre?" "Sherlock Holmes." "Tuo padre è Sherlock Holmes? Il grande investigatore?" "Il più grande. Il migliore e il più retto degli uomini".
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Informazioni
Print ISBN
9788817056403eBook ISBN
9788858625224La grande cittÃ
(D’accordo, a tutti dispiace che Heathcliff si sia buscato l’ennesima dose di nerbate sulla schiena, ma in fondo l’ha voluto lui, non è così? E chi siamo noi, o David o Calum, per criticare il suo nobile intento?)
Il cavallo, un ronzinaccio male in arnese che zoppicava a causa di un ferro parzialmente schiodato, sbuffava, nitriva e arrancava sul terreno insidioso della palude come un vecchio mulo a fine carriera.
(Volete alleggerirvi la coscienza per la questione delle nerbate? Anch’io. Quindi state a sentire. Forse Heathcliff fece un favore a Hindley togliendogli di torno quel cavallo macilento, e fu dispensato dalle nerbate. Contenti?)
David e Calum, montati in groppa, presero a chiacchierare con aria spensierata, sentendosi come due cowboy. Di tanto in tanto lanciavano qualche assurdo richiamo al cavallo, tipo yahuuu o gid-app o hy-haa, nella convinzione che servisse a qualcosa. In realtà il ronzino, oltre
che vecchio, mal ferrato e infastidito dal suo carico umano, era anche sordo. A tal punto che, giunto a pochi passi dalla città , poco mancò che finisse sotto una locomotiva che sferragliava come una dannata lungo i binari, e il cui sopraggiungere, proprio a causa di quel difetto d’udito, il cavallo non aveva nemmeno sospettato.
che vecchio, mal ferrato e infastidito dal suo carico umano, era anche sordo. A tal punto che, giunto a pochi passi dalla città , poco mancò che finisse sotto una locomotiva che sferragliava come una dannata lungo i binari, e il cui sopraggiungere, proprio a causa di quel difetto d’udito, il cavallo non aveva nemmeno sospettato.
«Ehi, ronzino!» lo apostrofò Calum, una volta scampato il pericolo. «Vuoi farci fare una brutta fine, forse?»
«Ecco Londra!» esclamò David osservando le luci lontane della città con espressione rapita.
Ad est albeggiava, e di lì a poco i lampioni a gas nelle strade si sarebbero spenti.
«Sembra piuttosto grande» osservò Calum.
«Certo che lo è! È una grande città . La più grande città del mondo!»
Entrarono a Londra passando per Battersea, pericoloso quartiere di taverne e vicoli bui, dove convivevano scommesse e duelli, gare di asini e congiure, feste danzanti e omicidi. Alla vista di tutte quelle oscure e sudice straducole, che malgrado l’ora erano piene zeppe di individui poco raccomandabili, di ubriachi e donnacce, David e Calum tentarono di affrettare il passo dando di tacchi e di calcagni sui fianchi del povero ronzino, che tuttavia non si fece intimorire e seguitò a trascinare le stanche membra secondo la consueta, molle cadenza.
Mentre la luce di un sole sbiadito confondeva le fiamme dei lampioni, rendendole vane, i due fuggiaschi scavalcarono il Tamigi passando come per incanto dall’inferno di Battersea al paradiso di Chelsea, con le sue casette di mattoni rossi e le ringhiere di ferro battuto. Via via che procedevano verso il cuore della città , il traffico e la folla aumentavano sempre più.
Le carrozze sollevavano spruzzi d’acqua fangosa passando con le ruote sulle pozzanghere formatesi nottetempo, incuranti degli operai che andavano al lavoro, delle lattaie con i loro paioli, dei fruttivendoli coi loro carretti, delle donne con le ceste sulla testa, dei negozianti che aprivano le botteghe.
David e Calum si sentivano girare la testa, tante e tali cose i loro sguardi accoglievano in una sola volta: sembrava impossibile che una simile moltitudine di persone potesse vivere, lavorare e prosperare nello stesso luogo.
Attraversarono il grande mercato dei fiori di Pimlico e gli edifici decorati a stucco della raffinata Ecclestone Square, su fino a Belgravia, residenza degli aristocratici londinesi il cui fasto maestoso li lasciò a bocca spalancata.
«Dove stiamo andando, David?» chiese ad un certo punto Calum, non riuscendo a distogliere gli occhi da tanta magnificenza.
«Non ne ho la più pallida idea, amico, ma questa città è semplicemente sublime!»
«Toglietevi dalla strada, straccioni!» gridò il conducente di una carrozza sfrecciando loro accanto.
«Fateci il brodo, con quel ronzino!» disse qualcun altro.
I due amici procedettero ancora fino a che non sbucarono di fronte a Buckingham Palace.
«Guarda!» esclamò Calum. «Chissà chi ci abita, là dentro…»
«Ma da dove venite, voi due?» berciò una vecchia che spingeva un carretto di stracci. «Quello è il Palazzo Reale!»
«Volete dire che lì dentro vive la regina Vittoria?»
«Ehi, dico! Vi prendete gioco di me, forse? Volete burlarvi di una povera vecchia? Perché se è così ve ne faccio passare la voglia, brutti zoticoni insolenti e perdigiorno!» E senza che David o Calum avessero il tempo di replicare, prese a percuoterli con una bacchetta di canna.
«Ferma, Annie! Ferma!» intervenne una voce ancora piuttosto acerba. «Ti sembra il modo di accogliere dei forestieri?» Accanto alla vecchia era apparso un ragazzino, alto non più di quattro piedi, col naso a patata, infagottato in un cappotto che gli arrivava alle calcagna, con le maniche rimboccate fino a metà braccio. «Di’ un po’, è questo il caloroso benvenuto che Londra riserva ai suoi visitatori?»
La donna con il carretto borbottò qualcosa d’incomprensibile e infine si allontanò.
«Dovete perdonare la vecchia Annie» disse il ragazzino. «È solo un po’…» E fece roteare l’indice della mano destra all’altezza della tempia, in un gesto eloquente.
«Come sai che siamo forestieri?» gli chiese Calum.
Il ragazzino rise, battendosi una mano su una coscia. «Dovreste vedervi… Due pesci sulla cima dello Scafell Pike non sarebbero meno a disagio di voi! È la prima volta che venite a Londra?»
Calum annuì.
«Avete soldi?»
Calum scrollò il capo.
«Un posto dove stare?»
«Dobbiamo raggiungere Baker Street» disse David.
«Ah, davvero? E cosa c’è in Baker Street?»
«Non sono affari che ti riguardino. Potresti indicarci la strada?»
«È vostro questo asino?»
«È un cavallo» precisò Calum. «E sì, è nostro.»
Il ragazzino si accarezzò il mento, pensieroso.
«Dunque, per Baker Street?» domandò per la seconda volta David.
«Oh, c’è tempo! Io sono Jack. Jack Dawkins, ma tutti mi chiamano Mastro Dawkins!»
«Tutti chi?»
«Tutti!»
«Avete bisogno di mangiare!» decretò Mastro Dawkins.
In effetti erano ormai parecchie ore che i due fuggiaschi di Montague Hall non mettevano nulla di commestibile nelle loro pance. Lo stomaco di Calum rispose con un brontolio degno del temporale appena passato.
«Ho ragione o no?» chiese Mastro Dawkins.
«Non abbiamo denaro» spiegò David.
«Questo non è un problema. Conosco io il posto che fa per voi. Seguitemi!»
Si tuffarono in un labirinto di vicoli, trascinandosi dietro il recalcitrante ronzino. In men che non si dica lo splendore e l’eleganza delle case e delle vie del centro lasciarono il posto alla miseria di catapecchie nere e fumose, e alla sporcizia di strade ricoperte in uguale misura da fango ed escrementi, con la gente appoggiata agli angoli delle vie o ai muri delle case, a fumare, a ciarlare, a ridere sguaiatamente, a scrutare con occhi torvi, ad azzuffarsi per futili motivi.
«Benvenuti a Clerkenwell, il vero cuore di Londra!» disse loro una donna grassa e sdentata. «Qui c’è la vita, pollastrelli! Ci troverete genii e assassini, bari e cartomanti, furfanti e traditori!»
«Ma anche un piatto caldo e un tetto asciutto sulla testa» aggiunse Mastro Dawkins, congedandosi da lei con un cenno della mano. «Mary Belsorriso ha ragione, qui s’impara a vivere! Ve lo dice uno che lo ha sperimentato sulla propria pelle!»
David e Calum si guardarono perplessi e la mente di entrambi fu attraversata dallo stesso pensiero: darsela a gambe il più in fretta possibile. Ma poi pensarono al ronzino, che non se la sarebbe cavata altrettanto facilmente, e così rinunciarono all’idea di fuggire.
«È lontana da qui, Baker Street?» volle sapere David.
«No… è proprio qui vicino, dietro l’angolo… Forza, saliamo le scale! L’asino potete legarlo dentro quell’androne.»
«È un cavallo» protestò Calum. E nel dirlo si accorse d’essersi inspiegabilmente affezionato alla povera bestia.
«Come vuoi. Più tardi gli porteremo della paglia.»
Seguirono Mastro Dawkins in cima ad una scala pericolante e da lì, attraverso un passaggio ad arco, giunsero di fronte ad una porta.
Mastro Dawkins bussò in un modo strano, ritmico: senza dubbio un codice. Infatti, poco dopo, si aprì uno spioncino.
«Chi hai lì con te, Mastro Dawkins?» chiese una voce maschile.
«Nuovi ospiti! Apri!»
Ci furono scatti di serrature e cigolii e alla fine la porta si schiuse giusto quel tanto da lasciar passare di sbieco i tre ragazzi.
«Il pranzo è quasi pronto» disse l’uomo che aveva aperto la porta, indicando un antro oscuro con un cenno del capo. «Il vecchio Fagin ti aspetta.»
«Eccomi, mastro Fagin!» esclamò Jack Dawkins entrando nella stanza.
«Bentornato, Mastro Dawkins» rispose colui che il ragazzo aveva chiamato Fagin.
Si trattava di un uomo piuttosto avanti con gli anni, dal viso spigoloso e dai capelli rossi e scarmigliati. Indossava una vestaglia sporca e logora e si muoveva nella stanza con insospettabile agilità , impugnando un mestolo da minestra come se fosse un randello, cosa che, unitamente al suo aspetto, lo faceva sembrare un folle intento ad affrontare presenze immaginarie.
«Che succede?» chiese Jack, divertito.
«Punisco gli approfittatori…» rispose quello, e nel mentre sferrò un colpo tremendo con il mestolo contro la parete. Da una fessura uscì un topino grigio, il pelo irto per la paura, che prese a correre lungo il perimetro della stanza. «… gli usurpatori di spazio» continuò Fagin correndo appresso al topo, «… e di cibo altrui!»
E calò il mestolo con tale violenza che il topolino cadde morto sul colpo, con la testa fracassata.
«Bravo, maestro!» si congratulò Dawkins.
Fagin mimò un inchino, poi prese il topo e ghignando lo gettò dalla finestra, giù in strada.
David pensò che mai e poi mai avrebbe voluto avere quel Fagin come nemico. L’osservazione attenta del suo comportamento indicava che egli doveva essere senza dubbio un uomo crudele e vendicativo.
Fagin studiò con occhi maligni i due nuovi arrivati. Quindi, come se niente fosse accaduto, si avvicinò al camino e mescolò la zuppa ch’era sul fuoco con lo stesso mestolo utilizzato per eliminare il topo.
«Chi hai portato, ragazzo?» chiese a Jack, senza guardarlo.
«Due pecorelle smarrite, bisognose d’aiuto» rise il ragazzo.
«Non siamo pecorelle smarrite» replicò Calum.
«Io sono David Pip, signore» si presentò David. «E questi è il mio caro amico Watson Calum Traddles. Siamo a Londra per affari.»
Per quanto l’odore della zuppa di Fagin ricordasse il puzzo della verdura marcia, la fame, si sa, è una brutta bestia, capace di far dimenticare ogni schifiltosità . Cosicché, per quanto David e Calum desiderassero andarsene da quella casa, i loro stomaci affamati li indussero, al contrario, a ...
Indice dei contenuti
- Cover
- BUR Ragazzi Rizzoli
- Frontespizio
- Dedica
- Un umido inizio
- La grande cittÃ
- Elementare, Watson!
- Cinque in barca (per non parlar del cane e del cavallo)
- Insidie per mare e per cielo
- Menti deduttive
- Sulla strada per Reichenbach
- L’Englisher Hof
- Rivelazioni
- Un coup-de-maître
- Epilogo
- Nota dell’autore
- Indice