
- 208 pagine
- Italian
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eBook - ePub
La donna per legare il sole
Informazioni su questo libro
Dopo un matrimonio giovanile terminato tragicamente, Michele incontra Viola e riscopre la gioia di vivere. Lei, una creatura solare, lo sposa, si innamora dei suoi figli e li aiuta a costruire un vero rapporto con il padre, portando la felicità nella loro famiglia. Ma quando annuncia a Michele di aspettare un bambino, lui non ne è contento: sente l'inattesa responsabilità come una minaccia. Di fronte all'immaturità del suo compagno Viola non ha scelta: deve andarsene. Di nuovo solo, Michele inizierà una dolorosa "rieducazione sentimentale" per riscoprire il vero significato dell'amore e della famiglia.
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Informazioni
Print ISBN
9788817048767eBook ISBN
9788858627228Dedica
A Andrea, con trent’anni di grazie
per la nostra vita insieme.
Senza di lui non avrei mai conosciuto
un grande amore e oggi
non potrei più raccontarlo
perché ne avrei perduto la memoria
per la nostra vita insieme.
Senza di lui non avrei mai conosciuto
un grande amore e oggi
non potrei più raccontarlo
perché ne avrei perduto la memoria
PARTE PRIMA
Michele
dp n="8" folio="" ? dp n="9" folio="11" ?I
Il telefono squillò mentre Giovanna, le braccia sollevate con leggiadra malizia, stava sfilando la camicia da notte dal corpo nudo per entrare nel letto. Michele spostò istantaneamente lo sguardo dal seno di lei alla sveglia sul comodino: le due.
Sollevò in fretta il ricevitore: chi diavolo poteva chiamare in piena notte?
«Devi tornare a casa, subito.» Sua madre, senza preamboli.
La familiare perentorietà della richiesta gli causò una irritazione che subito sopraffece il guizzo d’ansia. «Lo sai che ore sono, mamma?»
«Tua moglie ha avuto un incidente. È morta.»
Michele scattò sul cuscino come una molla. «Morta?» Vide Giovanna irrigidirsi e fissarlo con espressione spaventata.
«Morta?» ripeté più a se stesso che a sua madre. Sbalordito per l’assenza di ogni emozione, si infuriò con lei. «E me lo dici in questo modo?»
La donna non raccolse. «I carabinieri ci hanno appena avvertiti. Anna stava tornando a casa, e poco dopo Pavia la sua auto è sbandata saltando sull’altra corsia. Ma non è tutto. La cosa più...»
«Che diavolo ci faceva in autostrada a quest’ora?» Michele la interruppe.
«Non chiederlo a me. Tua moglie non mi onorava certo delle sue confidenze, né mi chiedeva il permesso per uscire.»
«La tua astiosità mi sembra inopportuna e...»
dp n="10" folio="12" ? «Era in macchina con un uomo. Morto sul colpo anche lui» sua madre lo zittì con voce risentita. Michele vi avvertì una vibrazione di crudele trionfalismo. Il messaggio era sottinteso: io non sbaglio mai.
Quasi a volerlo punire per l’ingiusta accusa, rincarò subito: «Sarà molto imbarazzante spiegare alla gente e ai vostri figli questo particolare».
«Dove sono i bambini?» Michele sobbalzò.
«A letto, naturalmente. Non mi è sembrato proprio il caso di svegliarli per dargli la notizia. Ci penserai tu.»
«Parto subito» tagliò corto. Riattaccò e scese dal letto:
«Ho sentito tutto... Mi dispiace» Giovanna disse terrea.
Michele annuì senza rispondere. Si diresse velocemente verso l’armadio, aprì l’anta e tolse dalla gruccia il primo abito che gli capitò sottomano.
Giovanna si schiarì la voce. «Forse non è il più adatto.»
«Che cosa?»
Gli indicò l’abito. «È un completo sportivo, a scacchi...»
«Dovrei travestirmi da vedovo sconsolato?» Michele ribatté infilandosi i pantaloni.
«Perché questo sarcasmo? Amavi tua moglie.»
La fissò irosamente. «Lo pensi davvero?»
«Sì.»
«Gesù...»
«Non ti sei mai separato da lei. Non ti ho mai sentito incolparla di qualcosa o esprimere un giudizio negativo, anche se presumo che non fosse perfetta.»
«Giusto. Anna era aggressiva, lagnosa, frustrante. Ma perché avrei dovuto lamentarmi? Ai primi segnali di crisi ho preso le distanze affittando un appartamentino a Milano e facendomi l’amante!» Allacciò nervosamente la cintura dei pantaloni.
Giovanna scosse la testa: «La tua vera casa però è rimasta quella della tua famiglia».
«Parli della casa dove negli ultimi due anni ho trascorso i fine settimana e le feste comandate, fremendo per l’impazienza di ripartire? Lasciamo perdere, per piacere.» Si diresse verso il bagno.
Giovanna lo seguì. «Forse anche tua moglie era impaziente di vederti ripartire.»
«Di che cazzo stai parlando?» ringhiò, voltandosi a guardarla con occhi fiammeggianti.
Giovanna esitò qualche istante. «Stanotte tu eri con me e lei in giro con un uomo. Probabilmente si era creata, come te, delle amicizie e degli interessi al di fuori del vostro matrimonio. Insomma, non è giusto che ti senta in colpa.»
«Mi rifiuto di...» Il tono di Michele si smorzò di colpo. «Scusa, devo prepararmi.» Era disonesto scaricare su Giovanna l’ira che in realtà provava verso se stesso. Sua moglie era appena morta e lui se ne stava lì a interrogare, accusare, discutere.
La verità è, si disse poco dopo salendo in macchina, che non sopporto di essere consolato per un dolore che non sento. Mise in moto e istintivamente gli venne da pensare ad Anna che qualche ora prima era salita su un’altra macchina ignara della tragedia che incombeva su di lei. Dove era andata? Dove l’aspettava l’uomo morto al suo fianco? E chi era quell’uomo? Dal tono con cui sua madre ne aveva accennato, non si trattava certamente di un amico di famiglia o di un parente. Si accorse di non provare alcuna gelosia. D’un tratto era sparito anche il risentimento verso se stesso.
Non posso sentirmi in colpa se non l’amavo più e se adesso non riesco a disperarmi per la sua perdita, si disse. Un altro marito, al posto mio, si sentirebbe addirittura liberato da un peso. Io invece sono rattristato, colpito, preoccupato per le reazioni dei bambini. Mai avrei voluto che mia moglie se ne andasse in questo modo improvviso e tragico. In nessun modo, si corresse. Era la madre dei miei figli, e a differenza di tanti altri uomini non l’avrei mai lasciata sottraendomi all’impegno di restare con lei nella buona e nella cattiva sorte.
Ma c’erano mai stati, nel loro matrimonio, i giorni della buona sorte? Dissipati i sensi di colpa e preso atto della propria superiorità morale, Michele si concesse di riandare impunemente al passato. Aveva conosciuto Anna nel settembre di quattordici anni prima, durante una festa dell’uva. Lei era arrivata da Milano con un gruppo di amici ed era stata eletta Miss Vendemmia.
Dopo l’incoronazione l’aveva raggiunta facendosi largo verso l’improvvisato palco. “Sono Michele Barni...” La reazione di gentile indifferenza della ragazza lo aveva spinto a precisare orgogliosamente: “Mio padre è Luigi Barni”.
“Ah...”
“Produce i famosi vini Barni dell’Oltrepò pavese.”
“Ah...” ripeté.
Era chiaro che il cognome non le diceva nulla.
“I vigneti che vedi qui intorno sono nostri... È stato mio padre ad organizzare la festa dell’uva e l’elezione di Miss Vendemmia.”
Non era vero. Ma avevo solo ventidue anni, Michele si giustificò ricordando quell’approccio pateticamente sfrontato, ed ero smanioso di far colpo su quella brunetta dagli occhi di velluto e il distacco di una principessa...
Con il passare dei mesi, all’euforia della conquista e ai brividi dei primi rapporti fisici erano lentamente subentrati assuefazione e rigetto. Era stanco dei continui viaggi in macchina da Broni a Milano, infastidito dalle continue telefonate di lei, allarmato per un legame che si era fatto assai più impegnativo di quanto avesse voluto. Michele stava cercando il modo più diplomatico e indolore per tagliare la corda quando Anna gli aveva annunciato di essere incinta.
A differenza di ciò che moltissimi uomini avrebbero fatto al suo posto, non l’aveva pregata di abortire né si era sottratto ai propri doveri.
dp n="13" folio="15" ? Semplicemente, si disse amaro, a ventitré anni mi sono tagliato i coglioni con un matrimonio riparatore dicendo addio all’università e a tutti i sogni.
Dopo la frettolosa cerimonia e un breve viaggio di nozze funestato dalle nausee di Anna, erano andati ad abitare dalla madre di lei. Benché l’appartamento fosse molto grande, a Michele era subito parso una sorta di gabbia priva di intimità. Anna era stata male fino al quinto mese, e questo l’aveva resa totalmente dipendente dalla madre facendolo sentire una specie di intruso.
La nascita di Marta aveva reso ancor più stretta quella dipendenza acuendo la sua sensazione di estraneità. La neonata era praticamente ostaggio delle due donne: gli era vietato interferire, tenerla in braccio, cullarla. Aveva finito col buttarsi nel lavoro: quella che aveva sempre vissuto come una condanna a cui sfuggire, e cioè occuparsi dell’azienda di famiglia, d’un tratto era diventata la sua sola via di scampo.
Partiva da casa di primo mattino, quando sua moglie era ancora addormentata, e rientrava da Broni a tarda sera. Consumava la solitaria cena in cucina, in un angolo del tavolo che sua suocera apparecchiava prima di andarsi a sedere con la figlia davanti al televisore, e dopo un breve saluto si ritirava nella stanza da letto.
Era stata la stanza dei genitori di Anna, e prima ancora dei suoi nonni. Michele detestava i lugubri mobili di noce, la monumentale testiera intagliata, gli sbiaditi scendiletto, le vecchie fotografie allineate sopra il comò tra ninnoli, centrini e una polverosa campana di vetro con racchiusa la statua di sant’Antonio. Ma quella stanza era il solo posto della casa in cui poteva isolarsi, sfuggendo al cicaleccio di Anna e di sua madre e alla insopportabile visione di film strappalacrime.
Dopo quattro anni si era reso conto che quella coabitazione aveva trasformato il suo matrimonio con Anna in una specie di calamità naturale e inevitabile. Si era adattato a convivervi come un paraplegico col suo handicap o un contadino con le grandinate. A quel punto avrebbe potuto lasciare le cose come stavano. E invece reagì con forza all’abbrutimento e al degrado.
Lo squillo del telefonino lo distolse dai ricordi.
«Dove sei?» Di nuovo sua madre, imperiosa ed essenziale.
Il verde tabellone autostradale gli consentì la risposta esatta. «A venti chilometri da Pavia nord.»
«Esci lì. Il maresciallo Fargione ti aspetta a quel casello con tuo padre. È venuto poco fa ad avvisarci che il corpo di Anna è stato trasportato a Pavia, in non so quale obitorio. Ti ci accompagnerà lui. Non dimenticare di ringraziarlo, perché si è comportato da vero amico.»
«Qualcuno ha avvertito mia suocera?» Michele chiese ricordandosi all’improvviso di lei.
«No. Era inutile darle un colpo simile nel cuore della notte. Ormai non c’è più niente da fare, e tanto vale che quella poverina si faccia l’ultimo sonno tranquillo. Ora ti lascio, se hai dei problemi, chiamami.»
Nessun problema, fu lì per risponderle, a parte una moglie appena morta, due orfani ignari a cui dare la notizia e una suocera a rischio di colpo apoplettico. Ma era troppo stanco per replicare o fare del sarcasmo. Affrontare le reazioni della madre di Anna gli sembrava l’aspetto più spiacevole della tragedia, e il solo pensare a lei gli causava una grande ansietà.
Dopo tanti anni, Carla non gli aveva ancora perdonato di averle strappato la figlia e la nipotina per portarle a vivere in un “miserabile buco” al lato opposto della città. La sua decisione, ritenuta un crudele atto di forza, era stata causa di discussioni, accuse, lacrime. Ma non se ne era mai pentito. E persino Anna, dopo qualche settimana di ostile silenzio, sembrava aver compreso che quello era un estremo tentativo per salvare il loro rapporto.
Se mai avevano avuto i giorni della buona sorte, erano stati quelli vissuti nell’appartamento di via Lorenteggio: piccolo, periferico, poco luminoso, ma non certo “miserabile”. Quando suo padre si era deciso ad aumentargli lo stipendio, Michele aveva fatto allargare le finestre del soggiorno e consentito a sua moglie di migliorare l’arredamento. Anna aveva comperato un salotto nuovo, una vecchia credenza, due tappeti antichi... D’un tratto sembrava amare quella casa. Puliva, cucinava, accudiva alla bambina con uno slancio sconosciuto, sentendosi probabilmente per la prima volta padrona della propria casa e della propria vita.
Di certo, questo era l’effetto che a lui aveva fatto la lontananza dalla suocera. Poteva girare per le stanze in pigiama, trascorrere la domenica a letto, guardare i programmi che preferiva, parlare liberamente con sua moglie, fare l’amore con lei senza il timore di sentire bussare alla porta...
Tre anni dopo, dalla piccola casa di via Lorenteggio si erano trasferiti in un appartamento più grande e più centrale. Lì era stato concepito Domenico, il loro secondogenito. Anna aveva avuto un’altra gravidanza difficile, e la madre ne aveva approfittato per piombare nuovamente nella loro vita. Riandare a quei mesi gli era insopportabile: le nausee di Anna, i capricci lamentosi di Marta, la suocera che lo accusava di essere crudele perché rifiutava di riportare la figlia nella casa in cui era nata e dove avrebbe potuto avere tutto l’aiuto necessario...
Dopo la nascita di Domenico la situazione era, se possibile, peggiorata. Il piccolo non faceva che piangere e Anna, estenuata da insonnia, stanchezza e tensioni, si aggirava come un fantasma per la casa.
Ero stremato anch’io, Michele si disse in un soprassalto dell’antica rabbia. Sette anni d’autostrada per andare e tornare da Broni, diviso tra i problemi dell’azienda e quelli della famiglia. Quante migliaia di chilometri ho percorso? Quanta nebbia ho ingoiato?
Un giorno, finalmente, aveva preso l’unica decisione possibile, quella che da tempo suo padre e sua madre gli proponevano: trasferirsi a Broni con Anna e i bambini.
Sordo a ogni protesta, aveva incaricato un’impresa di ristrutturare l’ormai inutilizzato deposito del legname situato accanto al casale dei suoi genitori e a un tiro di schioppo dall’azienda vinicola.
“Lì lavoro e lì dobbiamo abitare”, aveva detto alla moglie in tono che non ammetteva repliche. “Hai bisogno di aiuto? Ci sono mia madre, due zie nubili e la moglie del fattore.”
Tre mesi dopo, a ristrutturazione finita, avevano lasciato Milano. Ma la speranza che si ripetesse il miracolo di via Lorenteggio si era rivelata vana. A differenza di quanto avvenuto allora, non soltanto sua moglie non si era mai adattata al trasferimento, ma la sua avversione per il cambiamento non aveva fatto che crescere. Detestava la campagna, la nuova casa, la suocera, i parenti, i vicini. In primavera si lamentava per il polline, in estate per l’afa e le zanzare, in autunno per l’odore del mosto, in inverno per la nebbia e il gelo.
Alle sue lamentele facevano riscontro quelle di mia madre, Michele ricordò con un brivido di fastidio: tua moglie è insopportabile, tua moglie non fa niente tutto il giorno, tua moglie è un’ingrata, tua moglie sta montando i bambini contro di me...
Perdio, si disse con forza, non posso sentirmi in colpa se due anni fa ho convinto mio padre ad aprire un ufficio a Milano e ho tagliato la corda.
“Perché non vuoi che veniamo a Milano con te?” Sua moglie, con voce di pianto.
Non era stato facile accampare pretesti per prendere tempo e per motivare l’illogico rifiuto. Non aveva ancora conosciuto Giovanna, l’idea di farsi un’amante nemmeno lo sfiorava. L’inconfessabile verità era che voleva solamente allontanarsi da Anna perché non sopportava più di vivere con lei.
Ma Giovanna ha ragione, si disse. A dispetto di tutto non ho mai chiesto la separazione, non ho mai trascorso un giorno di festa lontano da mia moglie e dai miei figli, non...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- La donna per legare il sole