Il treno per Helsinki
eBook - ePub

Il treno per Helsinki

  1. 272 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il treno per Helsinki

Informazioni su questo libro

Alla ricerca dei sogni perduti? Così potrebbe chiamarsi questo romanzo della Maraini, la cui protagonista cerca nostalgicamente di far rivivere gli entusiasmi e le aspirazioni del passato per spiccare finalmente il volo.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Il treno per Helsinki di Dacia Maraini in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817202732
eBook ISBN
9788858626290
Pelo una patata. Mi fermo col coltello gocciolante in una mano la patata mezza pelata nell’altra. Dalla piccola scatola nera di plastica esce la voce di Miele. Parla della pace. Una voce nervosa velata piena di impuntature e ragionevolezze.
Non riesco a seguire le parole. Il suono della voce mi entra nelle orecchie e scende direttamente in pancia percorrendo vie già percorse e dimenticate. Sono anni. Quasi quindici. Non ricordo bene. Il passato ha la consistenza di una minestra.
Anni che non percorrevo questa strada. Dalla gola alle viscere. Questo viottolo sdrucciolevole dove le sue esse scivolose mi fanno da cuscino e da ponte verso il marasma delle emozioni.
Sono lì come una balorda le mani paralizzate lo sguardo fisso sulla radio. Da quale fottuto angolo del mondo sale la voce fantasma? da quale buia caverna della memoria?
Mangio il fungo di Alice. Divento minuscola. Entro nello specchio e scivolo dentro un imbuto nero una galleria glutinata dalle pareti molli che mi cacciano in fondo in fondo verso le radici degli intestini verso le strettoie dell’ano che si torce e plof esco cacata da me stessa in un giardino profumato e mi guardo intorno stordita.
Miele è lì che mi aspetta un poco paterno un poco indeciso. Porta dei pantaloni bianchi di lino e una maglia di cotone a righe celesti. L’ha pescato Paolo non so dove. L’ha portato a casa. Mi dà un bacio sulla guancia. – Miele è un coglione pieno di genio – dice Paolo e ride. Si leva le scarpe le butta una di qua e una di là dà un’occhiata al suo ultimo quadro dai grandi tratti scuri si siede per terra e prende a battere le palme aperte sul tamburo.
Miele si siede un poco imbarazzato. Ha il collo robusto dello sportivo le spalle scese le caviglie grosse gli occhi scintillanti. Gli verso del vino rosso nel bicchiere e lui ringrazia con quella voce raccolta e tenera che mi incuriosisce.
Paolo batte sul tamburo incurante di noi la bella testa curva dentro le spalle. – Si crede un africano – dice Miele e beve tutto d’un fiato fissandomi con languore.
– Si crede dentro la pancia di sua madre – dico io che conosco la consistenza dei suoi battiti su quella pelle di foca. È un richiamo dalle nere buiezze della vita primaria. È il cuore del bambino che cerca di adeguarsi ai ritmi del sangue materno. È una agonia in cui si piange per la futura nascita. La futura vergogna di essere al mondo.
Miele ride senza capire. Lui conosce un Paolo diverso. Pittore malinconico. Compagno di università. Un ragazzo dalla faccia segnata i vestiti trasandati l’odio per una ricchezza di famiglia mai compresa né digerita. Uno che va all’università con una vecchia scassata giardinetta il cane bastardo nero che si affaccia dal vetro con aria severa. Uno silenzioso dalle spalle un poco curve il sorriso mite e gentile. Uno che è capace di restare ore e ore seduto sull’asfalto davanti ad una parata di poliziotti con mitra e scudo per protestare contro una guerra lontana e ingiusta. Uno che al momento opportuno si pianta sotto le zampe dei cavalli pronti alla carica per sfidare l’America. Uno che invita chiunque abbia fame o sonno a casa sua ma poi se ne infischia di fare conversazione. Uno che ha sposato una strana ragazza bionda e sghemba che scrive dei testi teatrali che nessuno vuole rappresentare.
Succede che due giorni dopo me lo trovo all’uscita di casa dentro la sua Volkswagen rossa ad aspettarmi. Miele dico e quel corpo che si porta appresso come un gatto svogliato e sensuale.
– Che fai?
– Vado a teatro.
– Ti accompagno.
Testone che fa sempre le feste a tutti con Miele è sostenuto. Lo annusa ma senza molto interesse sulle scarpe sul fondo dei pantaloni e poi con noncuranza si gira alza la zampa contro un palo e spruzza qualche goccia di orina.
– Paolo dov’è?
– Non lo so. È uscito stamattina alle sette. Non mi ha detto dove andava.
– Non è suo il cane?
Anche lui ha del disprezzo nella voce. Ricambia l’antipatia di Testone. Si guardano per lunghi attimi nemici. Poi ciascuno prende l’aria dignitosa e seccata di chi deve per ragioni di convenienza sopportare qualcuno che non stima.
Succede che andiamo al bar del tennis ai Fori imperiali. Testone si infila rapido fra i cipressi nani si siede ai piedi di un colossale gladiatore di marmo bianco e punta un piccione dorato che passeggia tranquillo sui riccioli scolpiti della statua. Tagliato contro il cielo giallino i muscoli contratti di un realismo enfatico pomposo il gladiatore apre gli occhi ciechi su un mondo terso e immobile.
Miele si lascia cadere su una sedia a sdraio a strisce rosa e blu. Porta di nuovo i pantaloni di lino bianco e una camicia rosso sangue. Sa di essere elegante ma all’interno di un disegno personale una visione del mondo privatissima. Detesta la moda tutto quello che è ovvio e prevedibile. Il suo corpo parla pacato: io sono qui bello giovane sincero forte e mi offro a chi mi vuole ma deve in qualche modo meritarmi. Non ho tempo da perdere con gli imbecilli e i frustrati.
Lui frustrato non è. Ha i pollici larghi pronti a stringere il mondo per le orecchie e a farlo suo. Ma io cerco di farlo sorridere perché quello che mi piace di più in lui è proprio il sorriso inaspettato arreso e quieto. Quando sorride gli occhi gli si fanno di un verde sfatto inquietante.
Penso che ho voglia di scoprire il nocciolo di quel sorriso. Voglio affondare in quegli occhi fangosi che hanno lampi di minaccia e di seduzione e un fondo di inerzia smeraldina.
Lui ordina un Daiquiri e c’è un tono fra smargiasso e timido nella voce quando lo dice al cameriere. Che cavolo è un Daiquiri? Lo saprò da lì a un momento quando vedrò tornare il cameriere con un vassoietto di metallo e sopra un calice trasparente dall’orlo intinto nello zucchero. Dentro un liquore biancastro opalescente.
– Mi fai assaggiare?
– Non l’hai mai provato?
– No.
– È troppo dolce. Fa schifo. Lo bevo perché mi ricorda una donna che ho amato.
Parla lasciando cadere le parole con noncuranza. Le butta via con un moto di stizzoso languore.
– L’hai amata molto?
– Moltissimo.
– Com’era?
– Bellissima.
– Bionda bruna alta bassa?
– Quarant’anni due occhi febbricitanti. Un marito industriale e due figli sedicenni. Una villa a Fregene due cameriere e due guardie del corpo con la giacca imbottita di pistole e munizioni.
– Come mai un tipo così lontano da te?
– Al marito piacciono le puttane e non sta mai a casa...
Ha preso gusto a raccontare. Dipana il filo della voce come un ragno goloso e se lo tira dalla bocca sapiente centimetro per centimetro mescolando verità e invenzione esibizione e paradosso.
– Lei è sempre sola – continua filando compiaciuto – i ragazzi studiano. Uno in Svizzera e l’altro in America. Ci andavo di notte quando accendeva una luce arancione nel bagno. Passavo dal cancello di servizio mi arrampicavo su per le scale antincendio. Facendola in barba a quei due coglioni armati.
– E poi? – Anch’io presa afferrata da quella voce filante che ha la consistenza di una fibra vegetale e la morbidezza di una nuvola.
– Una notte lui è tornato inaspettato. Non l’abbiamo sentito. Mi ha trovato nel suo letto al suo posto. Voleva darmi in pasto ai due killer. Ma la moglie l’ha minacciato di andarsene e lui ha ingollato il rospo. La vuole lì accanto a sé per quando sarà vecchio e dice che le vuole bene e crede alla famiglia. A modo suo forse è anche vero.
– E tu?
– Un industriale col pollice d’oro. E tanti operai da tenere a posto. Una moglie chiusa in casa come un maiale pregiato.
– È finita così?
– Mi ha messo alle costole i due killer. Non ho più potuto vederla. Mi aggiravo disperato come una scimmia saltando da un albero all’altro intorno alla villa. Ma lei non si faceva mai neanche vedere. Non riuscivo più a mangiare né a dormire. Stavo ore e ore a guardare una piccola fotografia che le avevo rubato e piangevo come un bambino... Poi una mattina l’ho vista solo per un momento. Si è affacciata alla finestra. Ma non l’ho riconosciuta. Le si erano fatti i capelli tutti bianchi. Una vestaglietta nera stretta in vita. Senza un filo di carne. La faccia devastata. Mi sono messo a urlare. Ho sentito qualcosa fischiare accanto alle orecchie. Stavo in cima ad un ramo che sporge dentro il suo giardino abbarbicato come una scimmia al tronco. Mi sono lasciato cascare... quattro mesi di ospedale con sei costole rotte e un braccio sfracellato.
– Un amore eroico –. Butto un po’ d’acqua fredda in quel fuoco di parole. Lui ride immergendo il naso nel Daiquiri.
– Ci ho messo quattro anni a guarire.
– Quanti anni avevi quando è successo?
– Diciannove.
– E ora?
– Ventisei.
Qualche momento di silenzio. Lo guardo titubare con la punta della lingua nel liquido lattiginoso. Chiude gli occhi allarga le narici. Beve a piccoli sorsi silenziosi.
– Non l’hai più vista?
– Parliamo di qualcosa di più allegro. Credi che mi innamorerò di te?
– E tu che dici?
– Mi sembra che lo sono già.
E così mi ha detto tutto. Lì abbandonato sulla sedia a sdraio le braccia abbronzate piegate dietro la testa gli occhi verdi ridenti e non ha paura di niente. Si butta nell’ avventura come uno che sa di sapersela cavare sempre. Fiutando il rischio come un vecchio pescatore di frodo.
Io invece che ho paura di tutto: della mia goffaggine delle ferite dell’amore del futuro che vedo avanzare a globi neri contro l’orizzonte incerto lo guardo fredda come a dire: non mi incanti ti vedo come sei affascinante sì ma tutto lì esposto spaparellato sicuro di te e senza mistero.
Miele invece non era tutto lì. Ma l’ho capito troppo tardi quando ormai ero dentro il suo mistero come una mosca nel latte.
Di amore non parliamo più. Sparisce per un mese intero. E non mi dispero. Ogni tanto penso a lui soprattutto a quel nome così inusuale impalpabile così ovviamente dolce. Quel nome scivolante filante liquido e profumato in maniera quasi stucchevole.
Mi lascio assorbire dalle abitudini di un matrimonio felice. Paolo che abbraccio ogni notte da quattro anni. Il suo alito sul collo. E ci addormentiamo come fratelli silenziosi e abbandonati sopra il grande materasso che sa di varechina.
Sogno di volare. Da mesi. Volo appena mi addormento. Mi tolgo le scarpe per non pesare. Mi sollevo sulla punta dei piedi. E spicco il volo. Spiccare è la parola giusta con quel senso di distacco deciso e delicato della polpa dal nocciolo. Mi distacco dalla forma raggomitolata di una donna abbracciata ad un eterno marito e mi levo verso l’universo dei tetti cittadini. Mi affaccio in piedi sul cornicione della finestra e guardo in basso. Otto piani di liscio buio. Se sbaglio morirò schiacciata contro un pavimento di sampietrini.
Con la paura che mi esplode in gola mi butto e nello stesso momento apro le braccia come fossero ali e le muovo lentamente. Agito anche le gambe con un moto simile al nuoto. L’aria mi sostiene.
Quando sono stanca mi aggrappo ad un cornicione. Mi seggo con le gambe ciondolanti nel vuoto. Poi ricomincio. Prendo di mira un altro cornicione quello circolare bianchissimo della Banca Nazionale o quello rosso della scuola dei preti. Mi fermo sull’ala dell’aquila che sta in cima al portale di Villa Borghese. Respiro a fondo mi sento bene ho voglia ancora di volare.
Misuro con gli occhi la distanza fino al prossimo cornicione. Ecco andrò fino alle sfere papali che stanno in bilico sulla porta di Piazzale Flaminio. Gigli colossali di pietra grigia fatti di due rigide foglie e una palla di granito rosato.
Mi seggo su una di quelle sfere e osservo il traffico notturno che scivola via rapido: guizzi di occhi rossi e verdi lucidi dorsi di balenotti che si immergono e tornano in superficie galoppando una cascatella di azzurri liquidi che imbrattano le pareti delle case addormentate. La prossima stazione sarà la cima di una quercia gigantesca la cui massa scura mi attira al di là del Muro Torto.
Mi sveglio con un senso di peso sul ventre. Paolo sta cercando di spingersi dentro di me. Con quella cocciutaggine cieca che gli conosco troppo bene. Lo abbraccio fiacca. E lui pigia al ritmo del tamburo: vuole entrare in me anche con il bacino anche col sedere anche con le gambe e perché no rinculando e pestando anche con la testa.
Non una parola un bacio. Solo questo ottuso inabissarsi nelle acque nere del ventre materno. Dal sonno tiro fuori un orgasmo stracciato a singhiozzo. Preferirei continuare a volare da tetto a tetto. O fare un giro disperato e leggero attorno ad una antenna della televisione come una bandierina spinta dal vento una sensazione di libertà addosso una euforia insopprimibile che mi perde.
Entro in cucina per prendere un bicchiere d’acqua. Lamberto è lì seduto al tavolo e pesca furtivamente dentro una ciotola piena di crema.
– Quella crema è per la torta di domani.
Sussulta. Alza la testa miope con una smorfia di disappunto. Mi segue con gli occhi allargati mentre mi avvio al frigorifero e lo apro. Mi chino a prendere una bottiglia di acqua minerale la verso in un bicchiere e bevo.
Lui non sa se riprendere a mangiare oppure no. Allunga una mano verso gli occhiali. Se li calza sul naso. Acquista subito un’aria più sicura.
– Vedo vedo – dice paterno.
– Quando prendi quel tono Lamberto non mi piaci sembri mio nonno.
Ha venticinque anni. Una malattia che lo tiene bambino. Spastico col corpo di un undicenne invecchiato precocemente ha momenti di grande intelligenza e tenerezza altri di vuoto e di inerzia.
– Prendi i libri che facciamo un po’ di geografia.
– Oggi tocca matematica.
– Facciamo l’una e l’altra.
Ubbidiente prende i libri. Ma diffida. Ha paura che lo rimproveri per la crema. China la grossa testa sui quaderni. Tira su col naso. Digrigna i denti. A volte lo sento crescere come per un moto incontrollato della natura. Ma poi torna ad afflos...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Testo