
- 256 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Ci sono momenti nei quali uno sguardo – in questo caso un ascolto – intercetta un destino. È quello che è successo quando Walter Veltroni ha ascoltato, del tutto casualmente, How far can you fl y, l'ultima struggente incisione di Luca Flores, jazzista dalla vita travagliata e dal talento incontenibile morto suicida nel 1995, pochi giorni dopo avere inciso il brano.Questo libro appassionato e commosso, sul fi lo dei ricordi di coloro che lo hanno conosciuto e amato, è la storia di un'amicizia perduta, un viaggio nel dolore e nelle emozioni che nutrono la musica, quella grande, quella di cui non possiamo fare a meno.
Domande frequenti
Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
- Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
- Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Il disco del mondo di Walter Veltroni in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Mezzi di comunicazione e arti performative e Biografie in ambito musicale. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.
Informazioni
eBook ISBN
9788858626542Categoria
Biografie in ambito musicaleUno
«Il linguaggio della musica è uno, ed è quello dell’anima, là dove le parole ci ingannano con i loro mille significati. È libera di volare in paradiso, di scendere nelle viscere dell’inferno o di starsene a galleggiare nel limbo. Io amo quei musicisti che cantano, scrivono e suonano ogni nota come se fosse l’ultima.»
Le ho davanti, queste parole. Sono scritte a mano, in una lettera inviata il 16 ottobre del 1990 da Staten Island, New York. La calligrafia, tonda e chiara, è quella di Luca Flores. Io non sapevo chi fosse, Luca Flores. Non lo sapevo fino a diciotto mesi fa. Un giorno un’architetta che lavora al Comune di Roma, compagna di un ottimo jazzista come Nicola Stilo, mi regalò un cd. Conosceva il mio amore per il jazz, per la musica, per la grandezza e la sofferenza della creazione artistica.
dp n="8" folio="8" ? «All’inizio era il nulla» e poi fu un quadro astratto, un film neorealista, una sinfonia. Di quelle creazioni noi siamo i figli. Non saremmo ciò che siamo senza Caravaggio o Stravinskij, senza Proust o Fellini, senza Gershwin o Brunelleschi. Senza di loro il paesaggio del mondo, la grammatica delle nostre emozioni, i percorsi della nostra fantasia sarebbero diversi. La consapevolezza di noi stessi sarebbe diversa. Un quadro, persino una luce sullo sfondo di un paesaggio; una musica, persino un’accennata melodia; un film, persino una semplice inquadratura possono entrare dentro di te, scoprirti, cambiarti. La ricchezza e la velocità della vita quotidiana, il repentino sorgere e sparire delle cose concrete, il consumarsi degli odori, dei sapori, delle luci che il nostro tempo frenetico e bulimico ha provocato finiscono, in fondo, col restituire ai linguaggi della cultura il valore delle madeleines della Ricerca del tempo perduto di Proust.
È bello lo stupore delle emozioni che vive Marcel quando, assaggiando una petite madeleine a casa della madre, viene assalito da una misteriosa sensazione di gioia e di benessere. Poi Marcel comprende che il segreto di quella gioia è dentro di lui, nella sua memoria. «Ma quando di un lontano passato non rimane più nulla, dopo la morte delle creature, dopo la distruzione delle cose, soli e più fragili ma più vivaci, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore permangono a lungo, come anime, a riconoscere, ad attendere, a sperare, sulla rovina di tutto, a sorreggere senza tremare – loro, goccioline quasi impalpabili – l’immenso edificio del ricordo.»
Oggi sono proprio i suoni, le luci, le immagini le nostre madeleines. La nostra vita è immersa in un oceano di segni e alcuni di loro arrivano, come conoscendo la via di casa, alla nostra memoria, alle nostre emozioni, al nostro cuore.
Forse la musica di Luca Flores è la mia madeleine personale. Quando cominciai ad ascoltare il cd che mi era stato regalato capii che qualcosa, dentro di me, stava succedendo. Non sapevo, non so cosa. Mi assalì una strana malinconia, un improvviso, spropositato dolore. Mi sembrò che quella musica mi facesse volare in una notte metropolitana piovosa. Che potessi volando sfiorare luci accese nelle stanze di famiglia, che potessi guardare le solitudini della città, che sentissi, da fuori, le voci di un litigio ingiusto. Ma quel paesaggio, quella città notturna e piovosa era dentro di me. E lì, proprio lì, si stava svolgendo il mio volo silenzioso.
Non sapevo chi fosse, il pilota misterioso di quella notte inventata. Non lo avevo mai sentito nominare. Eppure la sua musica, quel pianoforte solo, raccontavano qualcosa di grande, qualcosa che aveva a che fare con la vita.
Lessi poi il commento che accompagnava i titoli dei brani. Lo aveva scritto una persona che stimo, uno dei più esperti e competenti critici di jazz italiani, Franco Fayenz. Da lì capii la grandezza di quella creazione. Era un’ultima creazione. Il brano che mi aveva scosso era stato inciso il 19 marzo 1995, esattamente dieci giorni prima che Luca Flores si togliesse la vita.
Ora capivo. Capivo lo strazio di quella musica, la malinconia di quella melodia, la dilatazione dei suoi tempi. Una foto, sul retro del disco, mostrava il volto di Luca Flores. Provai a immaginarlo, curvo sui tasti, mentre raccontava a se stesso il suo dolore, mentre lo descriveva, senza liberarsene. Quel brano aveva un titolo che forse spiegava, almeno al mio inconscio, il senso di quel volo notturno. How far can you fly? Quanto lontano puoi volare?
Da quella sera ho cercato di sapere e di conoscere il maggior numero di cose possibili su Luca Flores, sulla sua vita, sulla sua musica.
Ho raccolto carte, testimonianze, ricordi. Ho ascoltato decine di volte la sua musica. Ho una vita piena alla quale, per una sorta di ipertrofia del senso di responsabilità, non potrei mai sottrarre tempo che non fosse solo mio: le notti, qualche domenica pomeriggio, i viaggi. Così Luca, senza saperlo, è diventato un compagno della mia vita. Succede così. Non uno sguardo, non un sorriso, non una parola, non un bacio. Una musica, un dolore, una malinconia, mi avevano fatto amico di un ragazzo che non ho mai conosciuto e che ora non c’è più.
Cercare di capirlo mi sembrò un dovere. Quel dolore chiedeva aiuto, anche postumo. E oggi mi sembra che parlare di lui sia restituirgli un po’ di serenità, fargli sapere quanta gente gli volesse bene, quanto importante fosse per i suoi amici, per suo padre e i suoi fratelli. E quanto la sua musica, tanta parte della sua vita, fosse amata e apprezzata. Anche da chi, sei anni dopo il suo suicidio, lo scopriva nella cuffia di un lettore di cd, davanti alla finestra aperta di una notte d’estate romana.
In questi mesi l’ho cercato, Luca. L’ho cercato su internet, nelle parole di chi lo ha conosciuto, nei ritagli di giornale, dentro le mille musiche che ha suonato. Ora penso di conoscerlo meglio e di volere più bene alla sua musica, al suo dolore, a lui.
Due
Luca nasce a Palermo, il 20 ottobre del 1956. Suo padre Giovanni, uno stimato geologo e un intellettuale raffinato, era stato, negli anni precedenti, impegnato nelle ricerche petrolifere a Cuba e in Belize. A Cuba erano nati Heidi e Paolo, i suoi fratelli maggiori. Poi, nel 1952 il padre fu richiamato in Sicilia per svolgere le stesse mansioni. Heidi e Paolo avevano vissuto i primi anni della loro vita dove la guerra non c’era stata.
All’Avana c’era la spiaggia, la casa unifamiliare immersa nel verde. La vita doveva scorrere lenta e serena, come è giusto che sia quando la vita comincia. Poi la famiglia fece i bagagli e cominciò un lungo viaggio. Attraversò il mare, dal Belize a Londra e da Londra, passando per Forte dei Marmi e Firenze, fino alla Sicilia. Le foto sulla nave ritraggono la famiglia allegra e anche prudentemente infagottata in giubbini di salvataggio, non si sa mai. Il viaggio si concluse ad Agrigento, in una bella casa sul mare nel villaggio di San Leone. Dopo circa un anno andarono a vivere a Palermo. La Palermo del ’53, con i segni e le ferite della guerra. Quella Palermo un po’ siciliana e un po’ americana accoglie la famiglia Flores.
Durante lo scalo a Londra Heidi e Paolo trovano il modo, bambini biondi, di farsi fotografare davanti a un lampione di Buckingham Palace e poi davanti ai laghetti e sui prati verdi di Hyde Park. Non lo sanno, ma quando saranno arrivati in Sicilia, avranno fatto lo stesso viaggio di due loro antenate che ai primi dell’Ottocento vennero nell’isola dalla lontana Inghilterra. Erano le figlie di John Oates, un mercante inglese che giunse in Sicilia dallo Yorkshire per produrre marsala da esportare, in barba al blocco napoleonico che impediva agli inglesi di bere porto. È una bella storia, questa. L’ha raccontata il papà di Luca, Giovanni Flores, in un romanzo «di famiglia» intitolato Il re non risponde.
I Flores vengono da lontano. Il colonnello Francesco discendeva da una famiglia di militari arrivati dalla Catalogna in Sicilia con Carlo III. Partecipò alla campagna sanfedista del 1799 e poi a quella di Calabria del 1806. Francesco I, a Napoli, lo nominò custode, a corte, della sua cassa privata. Fu il re in persona a tenere a battesimo i cinque figli del colonnello, ai quali regalò un «rescritto», il diritto di accesso al Collegio militare della Nunziatella o alla Scuola Navale. Solo l’ultimo non seguì questa strada. Quando nacque, la moglie del colonnello – Donna Vita – disse al re: «Maestà, quest’ultimo me lo lascerete, a me?».
Donna Vita era anche lei siciliana, nata in una famiglia di piccoli possidenti con un cognome che oggi ci suona familiare, Montalbano. È strana e affascinante la storia dei fratelli Flores che, mentre le sorelle sceglievano la via della clausura, si immergevano in quel tempo aspro di cambiamenti e di trasformazione che fu la metà dell’Ottocento nel Sud d’Italia. Il più grande, Filippo, fu, nel 1844, il presidente del Consiglio di guerra che giudicò i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera responsabili di cospirazione per gli scontri armati di San Giovanni in Fiore. Filippo era uno strano ufficiale. Leale fino all’estremo alla Corona, osservava il decomporsi del suo mondo, lo sfaldarsi del suo esercito come il tramonto, forse inevitabile, di un sistema di certezze e di regole alle quali aveva ispirato la vita. Suo fratello Francesco combatté la battaglia del Volturno e lì fu ferito. Il più piccolo, Ferdinando, quello lasciato alla casa, coltivò lo studio e con lo studio le passioni intellettuali e le ragioni dei Liberali. Fu allievo di Francesco De Sanctis e partecipò, assai brevemente, all’esperienza del primo ministero nazionale della Pubblica istruzione. Assai brevemente, perché Ferdinando avvertì con dolore, in un itinerario diverso e opposto a quello vissuto da suo fratello Filippo, come la nascente rivoluzione, alla quale aveva dedicato la passione delle sue idee, una volta «fattasi stato» mostrasse un volto assai lontano dalle ragioni ideali che lo avevano spinto a sostenerla.
Le due ragazze inglesi, le due giovani Oates, divennero le mogli di Filippo e Ferdinando. Così, per uno scherzo della Storia, il viaggio di Heidi e Paolo con i genitori Giovanni e Iolanda, da Londra ad Agrigento, avviene esattamente cento anni dopo il matrimonio siciliano di Filippo e Isabella. Così come, invece, Ferdinando e Luisa si sposarono a Girgenti esattamente cento anni prima che, a Palermo, nascesse Luca. Erano Ferdinando e Luisa i bisnonni di Luca.
Ferdinando era un uomo schivo, solitario, un intellettuale che Giovanni Flores nel suo libro descrive così: «Il suo temperamento profondamente malinconico lo portò a considerare che nessuna filosofia, nessuna religione poteva dare una risposta all’eterno interrogativo che portava con sé la morte, il fatto irresistibile del non esistere più».
dp n="17" folio="17" ? La Sicilia, il viaggio, la passione intellettuale, il rigore morale. Tutti segni che attraversano un secolo e che costituiscono, per quello che ho potuto capire, la storia e l’identità di una famiglia.
Le prime fotografie di Luca che ho potuto vedere mostrano un bambino paffutello e biondo che corre lungo una strada di Forte dei Marmi. In una di esse è seduto sulla gamba sinistra di sua madre. A fianco c’è Barbara, sua sorella, di poco più grande di lui. Portano la stessa salopette, come due gemelli di età diversa. Dietro, il mare. Una foto da famiglia unita e serena. Gli stessi Flores, parlando di quel tempo, lo definiscono «un periodo felice» che si protrasse fino all’estate del 1959, quando la famiglia dovette trasferirsi in Mozambico, nuova destinazione di lavoro del padre. Chissà come fu quel viaggio, come i fratelli più grandi vissero l’allontanamento dai luoghi della loro infanzia e l’impatto con una terra così lontana, così diversa. Il Mozambico è bellissimo e la capitale Lourenço Marques, oggi Maputo, doveva essere, allora, strana e affascinante.
Lì Luca cominciò a mostrare una passione per la musica. La sorella Barbara lo descrive così: «I primi ricordi che ho di Luca sono quelli in Mozambico, con lui seduto sullo sgabello del pianoforte, i piedi che non toccavano terra, concentrato a fare “le scale”. Con infinita pazienza e determinazione. Avrà avuto forse cinque o sei anni, vestito in camiciola...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Il disco del mondo