Prova con una storia
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Prova con una storia

Il racconto giusto per ogni piccolo, grande problema

  1. 112 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Prova con una storia

Il racconto giusto per ogni piccolo, grande problema

Informazioni su questo libro

Che favola raccontare a vostro figlio? Che messaggio deve avere? Come accendere la sua fantasia? Da sempre il linguaggio metaforico e magico della favola viene utilizzato da genitori e educatori per raggiungere il cuore e la mente dei bambini e rispondere ai loro quesiti sui temi fondamentali della vita. Anna Oliviero Ferraris fornisce esempi di storie che gli adulti possono adattare alle esigenze dei loro figli o servirsene come canovacci per crearne di nuove. Quindici storie per altrettante situazioni diverse: una guida all'uso della favola, oltre ai numerosi consigli pratici sulle tecniche di narrazione e le letture consigliate.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2012
Print ISBN
9788817034180
eBook ISBN
9788858625590

Parte prima

I genitori e i nonni che raccontano

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Il potere del racconto

Per secoli, anzi millenni, gli adulti hanno raccontato ai bambini delle storie per intrattenerli, divertirli ma anche per trasmettere loro dei messaggi che potessero aiutarli a crescere e a capire il mondo. E i bambini hanno sempre accolto queste storie con interesse, specialmente quando rispondevano alle loro curiosità, al bisogno di trovare dei modelli da imitare, all’esigenza di vivere delle avventure attraverso il gioco dell’immaginazione e delle parole. Le storie che da tempi immemorabili si raccontano ai bambini, li accostano agli aspetti piacevoli della vita ma anche a quelli duri e lo fanno in modo da non traumatizzarli. I bambini hanno bisogno che qualcuno dica loro come affrontare i pericoli, come reagire alle minacce, come ritrovare l’ordine quando c’è il caos. Hanno anche bisogno di sapere come ci si comporta di fronte ai torti e alle ingiustizie.
Come nella vita anche nelle storie c’è un principio attivo. Il loro pregio consiste nell’inviare dei messaggi espliciti e dei messaggi impliciti e raggiungere così sia l’intelligenza sia il cuore. Alcuni messaggi parlano alla ragione, altri ai sentimenti. Alcuni fanno appello alla consapevolezza, altri all’inconscio.
Per questa doppia struttura, una superficiale e una profonda, una visibile e l’altra invisibile, una reale e l’altra metaforica, le storie che si raccontano ai bambini possono essere “lette“ in maniera diversa da ascoltatori di età diverse. Oppure della stessa età ma con esperienze differenti. L’ascoltatore assorbe ciò che gli serve in un determinato momento e lascia cadere ciò di cui non ha bisogno o per cui non è ancora pronto.
L’elemento forte delle storie è la metafora, ossia quella forma figurata d’espressione che esprime una realtà sotto l’apparenza immaginata di un’altra. La metafora cattura l’attenzione e stimola l’immaginazione. Prendiamo Cappuccetto Rosso. A un primo livello racconta che c’è un lupo cattivo che fa del male ai bambini incauti. A un livello “nascosto“ allude a una violenza sessuale (il letto della nonna-lupo). Parlare di violenza sessuale a bambini di quattro, cinque o sei anni non è facile, si rischia di renderli diffidenti nei confronti di tutti gli adulti. È importante però metterli in guardia dagli uomini-lupo.
La maggior parte dei bambini di età prescolare comprendono, quando si racconta la storia di Cappuccetto Rosso, che dietro alla maschera del lupo può nascondersi un essere umano e che è bene evitare di dare confidenza agli sconosciuti. Comprendono anche che bisogna prestare attenzione a ciò che di insolito possiamo notare nelle persone, familiari e non, come, in questo caso, il tono di voce della nonna, le orecchie pelose, la bocca dai denti aguzzi e così via. Ascoltando e riascoltando Cappuccetto Rosso, i piccoli ascoltatori assimilano il messaggio che non ci si può fidare di tutti gli adulti indiscriminatamente. Chi invia questo messaggio è proprio un adulto, che però, ricorrendo alla metafora, cerca di salvare l’immagine dell’adulto protettore e benevolo e di non creare una diffidenza eccessiva nei confronti di qualsiasi adulto. Insomma, la favola di Cappuccetto traghetta il bambino dalla convinzione ingenua “mi fido di tutti“ alla visione più matura “non tutti gli adulti sono affidabili".
Matrigne e streghe sono altre creature delle favole che consentono di esplorare la complessità dei rapporti affettivi. Dietro a questi personaggi può nascondersi la mamma (così come dietro all’orco può nascondersi il papà, oppure il patrigno o il nonno); quella figura protettrice che in alcuni momenti è buona, amorevole, attenta e in altri è invece imprevedibile, nervosa, “cattiva". Tutti i bambini provano prima o poi dei sentimenti ambivalenti nei confronti della mamma, il loro primo “oggetto di attaccamento": le vogliono un gran bene ma la temono (la strega di Biancaneve) e qualche volta la “odiano". Ci sono mamme che puniscono, che si arrabbiano, che lasciano i figli soli in casa. E ci sono anche mamme che sembrano prediligere un fratello o una sorella (la matrigna di Cenerentola). I bambini non amano però che si dica chiaro e tondo che la loro mamma può sbagliare, essere ingiusta o cattiva. La mamma è buona per definizione. Al tempo stesso però sono molto interessati alle storie delle matrigne e delle streghe, che mostrano i lati oscuri della figura materna. Attraverso la metafora possono esplorare i propri sentimenti nei confronti della figura materna, senza esserne consapevoli e senza dover sentirsi in colpa per i “cattivi pensieri".

Immaginare per crescere

Nel secondo anno di vita i bambini incominciano a rappresentarsi mentalmente delle sequenze di azioni: scene e comportamenti che hanno vissuto e sperimentato durante il primo anno di vita come, ad esempio, svestirsi e andare a letto, fare il bagno, mangiare con il piatto e il cucchiaio, fare una passeggiata con il nonno. Possono “riciclare“ questi episodi quotidiani al di fuori del contesto reale, riproducendoli per esempio sull’orsacchiotto di peluche. È da questa capacità emergente, dal “far finta", che si sviluppa l’immaginazione: i bambini mettono insieme “pezzi“ di esperienze vissute in precedenza.
È grazie all’immaginazione che un bambino di tre anni può giocare con un cane immaginario. Ed è sempre grazie all’immaginazione che questo cane può, all’improvviso, secondo i desideri del bambino, trasformarsi in un lupo o in un dinosauro. Se però lo interroghiamo mentre sta giocando, scopriamo che riesce a differenziare molto bene la realtà dalle sue invenzioni.
Ma quali caratteristiche e funzioni ha l’immaginazione infantile? Studiosi importanti come lo psicoanalista Sigmund Freud e lo psicologo Jean Piaget hanno spiegato come l’immaginazione abbia nell’infanzia (ma non solo) una funzione compensatoria ai desideri frustrati; ad esempio, il bambino vorrebbe guidare l’automobile, non può ancora farlo: immagina di essere alla guida di un’automobile. Un’altra importante funzione è quella di favorire un ampliamento degli orizzonti. L’ambito di esperienza di un bambino è limitato. L’immaginazione gli consente di rappresentarsi le cose non solo come sono ma anche come potrebbero essere. Se grazie all’immaginazione può esaminare virtualmente un avvenimento e verificare quali reazioni esso potrebbe provocare, potrà più facilmente prendere delle decisioni qualora quell’evento dovesse verificarsi. Certo la realtà è diversa dalla finzione, ma immaginandosela il bambino si prepara ad affrontarla.
L’immaginazione può essere attivata dai giochi che i bambini inventano, ma anche dal racconto di un’altra persona. Il linguaggio umano è molto ricco di segni, simboli, metafore modalità espressive; ma soprattutto consente di parlare di eventi passati o futuri di cui non si è stati testimoni e di trasmettere informazioni, conoscenze ed emozioni. Chi ascolta si rappresenta la situazione che è descritta con tutte le implicazioni emozionali del caso e quindi capisce che cosa può accadere, sul piano non solo dei fatti ma anche delle emozioni, in contesti di cui non ha un’esperienza diretta.
Il racconto ha anche questa funzione: parlare delle emozioni, dare loro un nome, mostrare il ruolo che esse hanno nella quotidianità, nelle situazioni eccezionali e nella vita di relazione.
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Vedere o raccontare?

Ma perché “perdere tempo“ a raccontare delle storie quando i bambini possono vederne di bellissime in cassetta o accendendo la tv? Non sono forse belle le favole di Disney? Non sono superiori, quelle favole colorate e in movimento, ai nostri racconti? Si e no. Le storie sugli schermi sono suggestive, le musiche trascinanti, e sebbene non tutti i cartoni animati siano di buon livello alcuni sono di buona qualità. Il racconto dalla viva voce, però, è un’altra cosa. Non è né superiore, né inferiore ai film, ma differente nella sostanza, nelle finalità e negli obiettivi. Chi guarda un film segue una narrazione messa in scena da qualcun altro. Le scelte sono state fatte, nel dettaglio, dal regista, dallo sceneggiatore e dall’operatore. Inquadrature, colori, dimensioni, suoni, movimenti, voci... tutto è definitivamente sulla pellicola. Chi ascolta dalla viva voce o legge da un libro, ha invece l’opportunità di costruirsi il proprio film interiore, di lasciar fluire immagini prodotte dalla propria mente in sintonia con la propria sensibilità.
Un buon film può imprimersi nella memoria, fornire degli stimoli e degli spunti. Ciò accade soprattutto quando il regista è un artista. Nella lettura e nell’ascolto la mente deve, in più, costruirsi delle immagini mentali dei personaggi, dei paesaggi, delle situazioni: c’è un “lavoro“ ulteriore, nell’ascolto, che stimola l’immaginazione e favorisce la costruzione di uno scenario interiore. Prendiamo la frase “Il cavaliere stava procedendo nella notte su un viottolo sassoso che si inerpicava verso il castello... “, ogni bambino avrà una sua personale esperienza di questa frase e si raffigurerà il cavaliere, la notte, il viottolo e il castello in base alla propria interiorità.
Ciò che sembra un limite a volte si rivela un pregio. Le parole a differenza delle immagini hanno questa caratteristica, di non aderire mai completamente ai personaggi, ai paesaggi e ai sentimenti che descrivono: esse lasciano all’ascoltatore uno spazio da riempire. Ma è proprio grazie a questa imperfezione del linguaggio (che a differenza dell’immagine non descrive tutto), che l’ascoltatore può colmare gli spazi vuoti con la propria immaginazione e sensibilità. Un esempio. Mi capitò di domandare a una bambina se gli era piaciuto Pinocchio della Disney. La sua risposta fu un “Siiii...“ poco convinto seguito da “La voce del grillo parlante però nel libro era diversa"... e lei la pref...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prova con una storia