Il destino è un tassista abusivo
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Il destino è un tassista abusivo

  1. 360 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il destino è un tassista abusivo

Informazioni su questo libro

Giorgio Correnti vive in una periferia romana di acquedotti e binari, dividendosi tra lo studio dell'arte medievale, le supplenze in una scuola superiore, i cornetti del bar del Zozzo e illuminanti viaggi in treno verso Milano per collaborazioni inconsistenti quanto prestigiose. Nella sua precarietà esistenziale non mancano poche ma granitiche certezze: i passaggi in macchina del fratello Mario, un ventitreenne grunge posthippy che ha redatto sul suo taccuino le tavole della legge uomo-donna; il salotto contaminato di Davide, il vicino che calcola algoritmi per una società di telefonia e che, tra un'ottomana bellissima e un bidet scollegato dai tubi, gli racconta di una donna che a rigor di logica matematica potrebbe anche non esistere; le occasioni del giovialissimo professor Abernati, che lo coinvolge in eventi accademici del calibro di Pitcha te stesso; le udienze con Zanbesi, il luminare che dischiude a Giorgio le porte di una vacanza in barca che gli cambierà la vita… Ma come sempre, mentre tu aspetti che il destino bussi delicatamente da una parte, lui arriva dall'altra e ti stana coi lacrimogeni. La casa di Giorgio viene travolta dall'arrivo di un nuovo amico che lo inizia all'arte della decorazione dei videopoker, al furto delle fave sulla Sacrofanese e alla degustazione comparata dei biscotti nel latte. E, proprio negli stessi giorni, alla sua porta bussa anche la persona che più gli occupava i pensieri ma da cui meno se lo sarebbe aspettato: Agnese, una Madonna del Botticelli vestita da Barbie estetista, di fronte a cui non puoi che sentirti inattrezzato perché tutto in lei è così lieve e necessario da risultare per paradosso impenetrabile. Perché spesso, quando credi di aver trovato ciò che tanto stavi cercando, ti devi arrendere al fatto che sia completamente diverso da quello che sognavi… come aver fatto una fila di sei ore per entrare al derby e, una volta seduti, scoprire che per incanto c'è il campionato interregionale di tresette col morto. Da uno dei più brillanti sceneggiatori italiani, un romanzo divertente, sorprendente e delicato sul mistero dell'amore e i miracoli dell'amicizia, sulle incognite del lavoro e i paradossi della vita, con un protagonista che richiama le storie di Nick Hornby e David Nicholls ma vive nella più nobile tradizione della commedia all'italiana.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2012
Print ISBN
9788817047005
eBook ISBN
9788858625347

1.
Le radici culturali dei cornetti loffi

Quel fatidico giorno, il giorno in cui tutto ebbe inizio, cominciò con lo squillo del telefono a un’ora indecente. La luce incerta dell’alba entrava sgomitando tra la tenda e l’infisso del lucernario. Guardai la sveglia intontito: le sette? Chi mi chiama alle sette? Oddio, qualcuno si è fatto male, pensai mentre scendevo le scale. Presi il ricevitore.
«Parla il signor Correnti?»
«Eh… sì, sono io. Ma chi…»
«Salve, sono Francesca, di Teletua.»
«Eh?… Teleche?»
«Teletua! Il nuovo gestore telefonico, signor Correnti. La chiamo per la nostra nuova offerta: adsl, telefonia fissa, telefonia mobile e internet sul telefonino. Un unico, praticissimo abbonamento! Perché ricevere tante bollette diverse, signor Correnti?»
«Perché, certo… ma sono le sette…» cercai di opinare biascicando. Ma era inutile, naturalmente. I venditori di pacchetti telefonici sono inarrestabili.
«E in regalo c’è la pratica pennetta usb di Cavalli!»
«Maddai… la pennetta di Cavalli… però sono le sett…»
«Non per lei, eh? È per sua moglie, la signora Tinapica! Mi ha detto lei di chiamare a quest’ora, che l’avrei trovata in casa. Abbiamo preso l’appuntamento telefonico l’altro ieri.»
«Mia moglie… Tina Pica… Ma… Tinapica tutto attaccato?» mormorai rapito. La situazione aveva preso una piega surreale di indubbio valore.
«Eh, guardi,» la voce al telefono si fece appena imbarazzata, ma sempre intollerabilmente squillante «un nome carino… ma strano, eh? Sua moglie mi ha detto che è per via di un parente sardo.»
«Un parente sardo. Ma dai…»
«Eh, se non lo sa lei! Che sagoma che è, signor Correnti!»
«Ah ah ah, è vero, che sagoma che sono…»
«Possiamo darci del tu?»
Ci misi un po’ a convincere la signorina che non ero interessato all’offerta; a convincerla che non ero sposato con Tina Pica non ci provai nemmeno. A un certo punto mi aveva chiesto di poter parlare con la signora. Me l’ero cavata rispondendo che nostro figlio l’aveva fatta stare in piedi tutta la notte, e mi sembrava un delitto svegliarla.
Del resto dare ragione a chi non ce l’ha denota magnanimità, oltre che mettere al riparo da discussioni sfibranti.
Presi la bicicletta e uscii con i sensi ancora impantanati nell’ultimo sonno; il freddo pungente di gennaio lo scartavetrò via. È stato sicuramente quell’idiota di Mario, pensai cominciando a pedalare. Ogni tanto gli presto casa, ché vive ancora con mamma e papà e ha bisogno dei suoi spazi, dice. Quello ha ricevuto la telefonata e ha pensato bene di far richiamare stamattina. Alle sette. Del resto non è nuovo a prodezze del genere, una volta mi ha suonato alla porta un signore calvo che voleva consegnare una cassa di vino ad Anna Magnani. Ma il mio iniziale moto di astio si stemperò presto. Per un attimo ero stato sposato con Tina Pica; buttalo via.
Mi diressi verso il sottopassaggio. Il mio quartiere dormiva ancora, una foschia leggera saliva dai lacerti di campagna che circondano le poche case basse e sparse stese tra l’acquedotto e la ferrovia. Rumeni e albanesi attraversavano le rotaie diretti verso qualche piazzola sul bordo di una consolare, dove tra una battuta e una sigaretta da tre euro al pacchetto avrebbero aspettato qualche pulmino bianco che li avrebbe portati in un cantiere per trenta euro al giorno. I rumeni con il pranzo in una busta di plastica piccola e chiusa col doppio nodo, lisa, perché quando sei molto povero le buste di plastica le riusi; gli albanesi con zainetti dai colori improponibili.
Passando notai la luce accesa in casa di Davide, il mio vicino. Probabilmente non era neanche andato a letto. Pedalavo piano con una marcia dura, cercavo come sempre di perdermi nei movimenti delle gambe mentre la bicicletta scivolava silenziosa tra negozi di frutta e verdura che scaricavano merci, mariti rassegnati che osservavano pisciare cani voluti delle mogli, bambini che sciamavano fuori da monovolume con cartelle enormi, spesso più brutte di quelle degli albanesi. Il quartiere Tuscolano ricominciava a mettersi in moto con la lentezza spolmonata di un vecchio motore diesel.
Dopo una breve pedalata giunsi al bar del zozzo. Sarebbe corretto lo zozzo, lo so, però il zozzo in persona mi ha spiegato che da sempre lo chiamano così in opposizione al lindissimo bar di fronte, il cui proprietario è un maniaco dell’ordine, chiamato il pulito. Quindi: il pulito, il zozzo.
L’arredamento del bar del zozzo è essenziale e sciatto: illuminazione a chiazze, sgabelli sbrecciati, giornali vecchi che agonizzano sul frigorifero dei gelati, le pagine sfinite da innumerevoli girate. Di mattina è popolato da un’umanità malcerta, molteplice e sgangherata: metronotte e spazzini, pensionati che alle sette già ci danno di caffè corretto, domestiche con borsoni capienti e mani segnate. Tutto comunica una provvisorietà in ultima analisi rassicurante per un supplente di storia dell’arte senza alcuna prospettiva nella vita, come me; crea una situazione omeopatica di caducità che mi fa sentire meno fuori posto.
Il disagio inaccogliente del zozzo raggiunge l’apice con i suoi cornetti, loffi al punto da indurre il sospetto che siano nati morti, cotti in un forno miracoloso che ha la capacità di farli uscire già vecchi, immangiabili già alle sette di mattina. Sempre con lo stesso sapore di cartone misto a brecciolino. Mio fratello Mario ha teorizzato che il zozzo li importi, tipo dalla Bulgaria, e che quindi arrivino vecchi di un giorno. Gli ho fatto notare che non capisco come possa essere conveniente importare dei cornetti dall’Est europeo. Mi ha guardato con sufficienza, affermando che sono vecchio e tagliato fuori dalla globalizzazione.
Affrontai il cornetto con una certa preoccupazione. La sensazione di cartone tipica dei manufatti del zozzo mi si allargava in bocca, e io pensavo che mi aspettava una giornata difficile: a breve sarebbe arrivato Franco, dovevamo discutere del Progetto Mummia.
Allora… sto aiutando un amico, Franco, che commercia in video poker. Probabilmente truccati. Mi ha chiesto di pensare a qualche decorazione a tema. Per i video poker.
Ecco, tutte le volte che lo dico sento una coltre bitumosa di indegnità morale che cola dalle mie parole e mi ricopre: insomma, ho studiato, ho anche un dottorato, perché ridurmi a decorare video poker… che poi i poveracci si rovinano giocandoci? E l’amore per l’arte? E la mia missione di apostolo della bellezza? E manco mi pagava Franco, ero in prova. Se poi andavo bene, se spiccavo nel difficile ma prestigioso campo della decorazione di video poker, forse avrei visto qualche soldo. Insomma la certezza di essermi venduto l’anima in cambio della possibilità, un giorno, di qualche euro; del resto io ho un indubbio talento nel fare pessimi affari, tipo che ho acceso il mutuo per la casa con un tasso da bot nigeriano e adesso sono strozzato dalle rate e accetto lavori infami. Un circolo ermeneutico di imbecillità, che tende a ripetersi nella mia vita con la stessa frequenza dello sciacquone del water.
Mi diressi verso casa con due bottiglie di latte, e suonai alla porta accanto alla mia. Il mio appartamento e quello di Davide sono stati ricavati da una vecchia stalla, che da queste parti una volta era tutta campagna per davvero. Sembra una casetta del Monopoli: due porte che danno sulla strada, due piani, tetto spiovente, umidità a banchi.
Davide mi aprì assonnato con indosso un pigiama abbondante e la sua solita espressione di perplessità intrinseca. È piuttosto basso ed esile, di quella magrezza incerta, dinoccolata e instabile da canna al vento o da scapigliato viennese dedito all’assenzio. La sua carnagione pallida e quasi trasparente scolora naturalmente in capelli lunghi, lisci e sottili, biondo cenere; dà sempre l’impressione di essere stato vestito da un funzionario della Caritas che andava molto di fretta e ha pescato a caso dal saccone, e il tutto compone un quadro di tale reticenza nei confronti del reale che Davide ti dà l’impressione di essere lui, per primo, costantemente sorpreso di esistere.
Ad acuire la sensazione che si fosse appena svegliato c’era il suo aspetto spettinato. Ma io, che ormai lo conosco da un po’, so che la spettinatura di Davide è intrinseca, come la sua perplessità.
Mio fratello Mario, dopo averlo visto, aveva immediatamente elaborato una teoria in proposito.
«Vedi, Davide è realmente spettinato; molto raro, al giorno d’oggi. Al giorno d’oggi il mondo pullula di finto-spettinati.» Mi espose la sua complessa fenomenologia della finto-spettinatura, che ad agio dei lettori semplifico e riassumo.
Il finto-spettinato è una sottocategoria del finto-alternativo, un tipo umano estremamente diffuso in ambienti metropolitani medio e altoborghesi. Dominante nel mondo dello spettacolo, il finto-alternativo si riconosce da una serie di caratteristiche codificate. Magliette finto-stinte, jeans finto-sdruciti, presenza di collanine o braccialetti vissuti. Non quelli metallici degli anni Ottanta, roba etno.
Etno: parola chiave del finto-alternativo.
La sua espressione è sorridente-pacifica posthippy, ma intravedi la noia disincantata di chi ne ha viste troppe per potersi interessare veramente a quello che stai dicendo. Di solito bivacca in feste, vernissage, eventi culturali; se il contesto è elegante indossa pantaloni di panno, scarpe sportive, girocolli slargati.
Girocollo slargato: indumento chiave del finto-alternativo.
Fissando con fare apparentemente disattento scollature, egli parla con studiata malavoglia delle sue ultime vacanze, tipo che si è rotto l’autobus mentre era nella giungla ma è passato un vecchio col carretto e ha dormito a casa sua, che ha vissuto una settimana sulla spiaggia a Trinidad e Tobago dove si lavava in mare con la cenere, di quella volta che la piena del fiume li ha tenuti bloccati per tre giorni e sono rimasti dall’altra parte della sponda ma hanno cantato nenie ancestrali con una specie di sciamana.
Il finto-alternativo ha quasi sempre la capigliatura che sembra spettinata ma in realtà è artefatta, e la prova incontrovertibile di ciò, secondo Mario, è che a un’attenta osservazione si rivela spettinata unidirezionalmente: cioè, o è finto-spettinato da un lato, o è finto-spettinato in avanti. Come se uno schiaffo violentissimo gli avesse orientato i capelli tutti da un lato per spostamento d’aria.
La pettinatura di Davide è invece talmente priva di qualunque senso compiuto che non può essere stata ricreata artificialmente; è il frutto di decenni di salsedine al mare e cuscini e carezze e tormentarsi i capelli mentre pensi ai numeri. Davide di mestiere elabora algoritmi per una società di telefonini. Gli ho chiesto una volta cosa ci fanno le società di telefonini con gli algoritmi: «Non lo so» mi ha risposto. «Qualcosa sicuramente.»
Mi aprì la porta con il suo sorriso disarmato, mi fece entrare, mi ringraziò del latte. Posò la bottiglia sul tavolo, quindi prese a camminare per il soggiorno, come se stesse pensando a qualcosa; mi sedetti. Il soggiorno di Davide non è un soggiorno secondo l’accezione classica del termine. Si potrebbe definire un salotto contaminato: c’è parte della cucina, un’ottomana bellissima che non si ricorda dove l’ha presa, un televisore rotto, molti tappeti, mezzo tavolo da ping pong dove lavora e un bidet, scollegato dai tubi. Un volta gliel’ho chiesto, ma che ci fa il bidet qui? L’ha osservato per qualche secondo, infastidito, come a dire bidet, è vero, ma che ci fai qui, ma chi ti ha autorizzato? Poi ha ricominciato a parlare d’altro, probabilmente scoraggiato dal silenzio del bidet.
«Vuoi un caffè?»
«Grazie.»
Cominciò a smanettare nella semicucina, ogni tanto si fermava per un attimo come assorto, a cercare le parole. Alzava la testa e ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Dedica
  4. 1 - Le radici culturali dei cornetti loffi
  5. 2 - L’insostenibile leggerezza dei Rigoli
  6. 3 - L’insostenibile pesantezza del wok
  7. 4 - Tette
  8. 5 - Più schiaffi che tette – il prequel
  9. 6 - Clausewitz, Gianni Letta, Falcao
  10. 7 - Ouverture con lacerazione estetica
  11. 8 - Giotto mena, Leonardo colpisce a vuoto, il Frappa comunque ha la peggio
  12. 9 - La quiete e la tempesta, odo Husserl far festa
  13. 10 - Tetta rifatta, e fenomenologia della disfatta
  14. 11 - E finalmente un po’ di culo
  15. 12 - Il fascino discreto della gelosia
  16. 13 - Bianca
  17. 14 - Tragica presa di coscienza dell’insufficienza delle mie categorie estetiche di fronte ad Agnese
  18. 15 - Quindi Agnese non se ne va; del resto neanche la sabbia dal costume
  19. 16 - Toast titanium
  20. 17 - Pergole di rientro e quarantenni di ritorno
  21. 18 - Capelli troppo lunghi, magliette troppo corte
  22. 19 - Siccome sa di sale lo pane altrui
  23. 20 - Pasticcio alla frociarola
  24. 21 - Fave x vendetta = ventuno
  25. 22 - Uno sì, due è troppo
  26. 23 - Finto-alternativo a chi?
  27. 24 - Tra le terme striscia ominoso il fantasma dell’acquisto
  28. 25 - Coraggio e panna cotta, inavvertitamente
  29. 26 - Un approccio tennistico all’acquisto di beni di consumo
  30. 27 - E quindi mi rese uomo
  31. 28 - Verità omosessuali, menzogne eterosessuali
  32. 29 - La donna perfetta
  33. 30 - Squadre antifroci e squadrismo barocco
  34. 31 - E allora improvvisiamo – aka a cazzo di cane
  35. 32 - Piccolo mondo antico. Trappole moderne
  36. 33 - Mi scopro a favore dell’estinzione dei dinosauri
  37. 34 - Omini
  38. 35 - Scene di riappacificazione e voyeurismo in zona Eur
  39. 36 - Carotella
  40. 37 - Il Frappa la fa franca anche questa volta
  41. 38 - Graffi di sguardi di gatti, di foto, di scatti
  42. 39 - Io non ero pronto
  43. 40 - Ed è subito serra
  44. 41 - Approcci estetici al dolore
  45. 42 - La scostumata asimmetria di un fariseo mannaro
  46. 43 - Le zeppole come fattore scatenante di pulsioni emotive
  47. 44 - Lacrime
  48. 45 - Cuccette alla marinara
  49. 46 - Il nome
  50. 47 - Virginia
  51. 48 - The smart choice
  52. Ringraziamenti
  53. Indice