Sporco baratto
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Sporco baratto

  1. 480 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Sporco baratto

Informazioni su questo libro

Peenemünde, settembre 1943. La scorta dei diamanti industriali del Terzo Reich sta per terminare e, con essi, la produzione dei razzi. Washington, settembre 1943. L'aeronautica americana non riesce a mettere a punto un sistema di guida per i bombardieri ad alta quota. Ma gli scienziati tedeschi ci sono riusciti. Nella massima segretezza, i vertici decidono uno scambio: la formula per i diamanti. Ma qualcuno sa, qualcuno che vuole impedire l'operazione, con qualunque mezzo.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817114387
eBook ISBN
9788858626467

Dedica

A Norma e a Ed Marcum,
per tante cose,
la mia gratitudine

PREMESSA

20 MARZO 1944, WASHINGTON, DC

«DAVID?»
La ragazza entrò nella stanza e rimase in piedi, silenziosa, per un momento, contemplando l’ufficiale alto di statura intento a guardar fuori della finestra dell’albergo. La pioggia scendeva attraverso l’aria fredda di marzo, creando sacche di vento e di nebbia sull’orizzonte di Washington.
Spaulding si voltò, conscio della presenza, ma non della voce di lei. «Scusami. Hai detto qualcosa?» Vide che reggeva il suo impermeabile. Notò, inoltre, la preoccupazione nello sguardo... e la paura che lei tentava di nascondere.
«È tutto finito», disse la ragazza, sommessamente.
«Sì, è finito», rispose lui. «O lo sarà tra un’ora.»
«Verranno tutti?»» domandò la ragazza, avvicinandoglisi, tenendo l’impermeabile dinanzi a sé, come uno scudo.
«Sì. Non hanno altra scelta... non ho altra scelta.» La spalla sinistra di Spaulding era avvolta da bende sotto la giubba, e una larga fascia nera sosteneva il braccio. «Aiutami a infilarlo, ti spiace? La pioggia non vuole saperne di cessare.»
Jean Cameron spiegò l’impermeabile con riluttanza e lo allargò.
Poi si fermò, gli occhi fissi sul colletto della camicia militare di lui, quindi sui risvolti della giubba.
Tutti i distintivi del grado erano stati tolti.
Al loro posto rimaneva soltanto una lieve scoloritura.
Nessun grado, nessun distintivo d’ottone o d’argento. Nemmeno le iniziali d’oro del paese per il quale militava.
Per il quale aveva militato.
Cameron si rese conto che Jean aveva veduto.
«È come ho cominciato», disse a voce bassa. «Senza nome, senza grado, senza precedenti. Soltanto un numero. Seguito da una lettera. Voglio che se ne ricordino.»
La ragazza rimaneva immobile, stringendo l’impermeabile. Ti uccideranno, David.» Le parole furono appena percettibili.
«Questa è la sola cosa che non faranno», disse lui, calmo. «Non ci saranno assassini, incidenti, né ordini improvvisi per farmi partire in aereo diretto in Birmania o a Dar es Salaam. Tutto questo è finito... Non possono sapere che cosa ho fatto.»
Le sorrise con dolcezza e le toccò il viso. Quel bel viso. Jean Cameron trasse un respiro profondo e si impose un dominio di se stessa che sapeva di non sentire. Gli mise con cautela l’impermeabile sulla spalla sinistra, mentre lui portava indietro il braccio per infilare la manica destra. Jean gli premette la faccia, fuggevolmente, sulla schiena; Spaulding avvertì il lieve tremito mentre lui parlava.
«Non avrò paura. Te l’ho promesso.»
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Uscì passando per la porta di cristallo dell’Hotel Shoreham e scosse la testa guardando il portiere sotto la tenda. Non voleva un tassì; preferiva andare a piedi. Lasciare che le fiamme languenti dell’ira si spegnessero finalmente, consumandosi. Una lunga passeggiata.
Sarebbe stata l’ultima ora della sua vita in cui avrebbe indossato l’uniforme.
L’uniforme ora senza gradi, senza alcun distintivo che consentisse di identificarlo.
Sarebbe passato per la seconda serie di porte al Dipartimento della Guerra e avrebbe dato il proprio nome alla polizia militare.
David Spaulding.
Non avrebbe detto di più. Sarebbe stato sufficiente; nessuno lo avrebbe fermato, nessuno si sarebbe intromesso.
Certo erano stati lasciati ordini da comandanti senza nome, identificazione al solo livello divisionale, che gli avrebbero consentito di percorrere i grigi corridoi fino a una stanza senza targa.
Quelle disposizioni si sarebbero trovate sulla scrivania dell’ufficiale addetto alla sicurezza perché un altro ordine era stato impartito. Un ordine alla cui fonte nessuno avrebbe potuto risalire. Nessuno capiva...
Protestavano. Risentiti.
Ma nessuno con un risentimento pari al suo.
Sapevano anche questo, i comandanti ignoti.
Nella stanza senza targa si sarebbero trovati nomi che, appena pochi mesi prima, non avevano significato niente per lui. Nomi che erano adesso i simboli di un abisso d’inganno che lo rivoltava a tal punto da fargli credere seriamente di essere impazzito.
Howard Oliver.
Jonathan Craft.
Walter Kendall.
I nomi avevano, di per sé, un suono innocuo. Potevano appartenere a chissà quante centinaia di migliaia di individui. C’era in essi qualcosa di così... americano.
Eppure quei nomi, quegli uomini, lo avevano portato sull’orlo della follia.
Si sarebbero trovati là, nella stanza senza targa, e lui avrebbe ricordato loro quelli che erano assenti.
Erich Rhinemann. Buenos Aires.
Alan Swanson. Washington.
Franz Altmüller. Berlino.
Altri simboli. Altre trame...
L’abisso di inganno nel quale era stato gettato da... nemici.
Come era potuto accadere, in nome di Dio?
Come era possibile che fosse accaduto?
Ma era accaduto. E lui aveva scritto i fatti come li conosceva.
Aveva scritto ogni cosa e posto... il documento in una custodia d’archivio, entro una cassetta di sicurezza nel locale corazzato di una banca del Colorado.
Non rintracciabile. Chiuso a chiave sottoterra per un millennio... poiché era meglio così.
A meno che gli uomini nella stanza senza targa non lo avessero costretto a fare altrimenti.
In tal caso... se lo avessero costretto.,. l’equilibrio mentale di milioni di uomini sarebbe stato posto a dura prova. La ripugnanza non avrebbe riconosciuto i confini della nazione, né la causa d’una qualsiasi tribù del globo.
I capi sarebbero divenuti paria.
Come era un paria lui, adesso.
Un numero seguito da una lettera.
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Giunse sui gradini del Dipartimento della Guerra; la pietra rossiccia dei pilastri non significava forza ’per lui, in quel momento. Aveva soltanto l’aspetto di un impasto color bruno chiaro.
Non era più concreta.
Passò attraverso la serie di doppie porte fino alla scrivania dell’addetto alla sicurezza; vi sedeva un tenente colonnello di mezza età fiancheggiato da due sergenti.
«Spaulding, David», disse sottovoce.
«Il suo documento d’identità...» Il tenente colonnello guardò le spalline dell’impermeabile, poi il colletto. «Spaulding...»
«Mi chiamo David Spaulding. Vengo dal Fairfax», ripeté David, sommessamente. «Controlli le sue scartoffie, soldato.»
Il tenente. colonnello alzò la. testa di scatto, in preda a un’ira sostituita a poco a poco dallo stupore mentre osservava Spaulding. David, infatti, non si era espresso in tono aspro, e nemmeno scortese. Ma semplicemente obiettivo.
Il sergente alla sinistra del tenente colonnello spinse un foglio di carta davanti all’ufficiale, senza parlare. Il tenente colonnello lo guardò.
Tornò ad alzare gli occhi su David, fuggevolmente, e gli fece cenno di passare.
Mentre percorreva il grigio corridoio, l’impermeabiłe sul braccio, Spaulding sentì gli sguardi su di sé, intenti a scrutare l’uniforme priva di gradi e distintivi. Gli furono fatti parecchi saluti, con qualche esitazione.
Non rispose a nessuno.
Alcuni uomini si voltavano; altri lo fissavano dalla soglia delle porte.
Costui è... l’ufficiale, gli stavano dicendo i loro sguardi. Avevano udito le voci, riferite a bisbigli, in tono sommesso, in angoli fuori mano. Costui è l’uomo.
Un ordine era stato impartito...
L’uomo.

PROLOGO

UNO

8 SETTEMBRE 1939, NEW YORK


SENZA il berretto, i due ufficiali, con le pieghe delle uniformi che sembravano d’acciaio, osservarono, attraverso la parete divisoria di vetro, il gruppo di uomini e donne vestiti alla buona. La stanza in cui gli ufficiali sedevano era immersa nell’oscurità.
Una luce rossa lampeggiò; le note di un organo scaturirono violente dai due altoparlanti situati a ciascun angolo del cubicolo buio con la parete di vetro. Seguì un lontano ululare di cani, grossi cani feroci, e poi una voce... profonda, limpida, severa... parlò al di sopra dei suoni commisti dell’organo e degli animali.
Ovunque esista la pazzia, ovunque possano essere udite le grida degli indifesi, là troverete l’alta figura di Jonathan Tyne... in attesa, intento a osservare nell’ombra, pronto a battersi contro le forze dell’inferno. Il visibile e l’invisibile...
A un tratto si udì un urlo penetrante, da spaccare il cervello. «Aaaaaah!» Nella stanza interna illuminata, una donna obesa strizzò l’occhio all’uomo basso di statura, dagli occhiali spessi, che aveva letto il dattiloscritto, e si allontanò dal microfono masticando rapidamente la gomma americana.
La voce profonda continuò. Questa notte troviamo Jonathan Tyne accorso in aiuto della terrorizzata Lady Ashcroft, il cui marito è scomparso nelle nebbiose brughiere scozzesi, a mezzanotte in punto, tre settimane or sono. E ogni notte, a mezzanotte precisa, gli ululati di cani ignoti echeggiano sui campi bui. Sembrano sfidare proprio quell’uomo che ora avanza furtivo nella nebbia dalla quale è avvolto. Jonathan Tyne. Colui che cerca il male; la nemesi di Lucifero. Il campione delle vittime indifese delle tenebre...
La musica d’organo si dilatò, una volta di più, in un crescendo; i latrati dei cani divennero più minacciosi.
L’ufficiale più anziano, un colonnello, sbirciò il suo compagno, un tenente. L’uomo più giovane, i cui occhi tradivano preoccupazione, stava fissando il gruppo degli attori noncuranti, nello studio illuminato.
Il colonnello trasalì.
«Interessante, non è vero?» disse.
«Come?... Oh, sì, signore. Sissignore, molto interessante. Qual è?»
«L’uomo alto, là nell’angolo. Quello che sta leggendo il giornale.»
«Recita la parte di Tyne?»
«Chi? Oh, no, tenente. Ha una particina, credo, in un dialetto spagnolo.»
«Una particina... in un dialetto spagnolo.» Il tenente ripeté le parole del colonnello, in tono esitante, con un’espressione smarrita. «Mi scusi, signore, sono confuso. Non capisco bene che cosa stiamo facendo qui; e che cosa ci faccia lui. Credevo che fosse un ingegnere edile.»
«Lo è.»
La musica d’organo diminuì fino a un pianissimo; gli ululati dei cani si dileguarono. A questo punto un’altra voce, più piacevole, questa, più amichevole, senza alcuna inflessione che facesse pensare a un dramma imminente, uscì dalle casse dei due altoparlanti.
Il Pellegrino. Il sapone che ha il profumo dei hori di maggio; il sapone profumato al biancospino. Il Pellegrino vi riporta... Le avventure di Jonathan Tyne.
La spessa porta del cubicolo buio, rivestita di sughero, si aprì, è un uomo dalla calvizie incipiente, e impettito, con un vestito serio da uomo d’affari, entrò. Aveva nella mano sinistra una busta uso ufficio; si protese in avanti e porse la mano destra al colonnello. Parlò sommessamente, ma non proprio in un bisbiglio. «Salve, Ed. È un piacere rivederti. Non ho bisogno di dirti che la tua telefonata è stata una sorpresa.»
«Lo credo. Come stai, Jack?... Tenente, le presento il signor John Ryan; l’ex maggiore John N.M.I. Ryan, del Sesto Corpo.»
L’ufficiale si alzò in piedi.
«Stia comodo, tenente», disse Ryan, stringendo la mano del giovane.
«Lieto di conoscerla, signore. Grazie, signore.»
Ryan si insinuò tra le file di poltroncine rivestite di cuoio nero e sedette accanto al colonnello, di fronte alla parete divisoria di vetro. La musica d’organo aumentò di nuovo, uguagliando il rinnovato suono dei cani che ululavano. Numerosi attori e attrici si avvicinarono ai due microfoni, guardando tutti un tale dietro un quadro di comando in un altro cubicolo, quest’ultimo illuminato, dalla parete a vetri, al lato opposto dello studio.
«Jane come sta?» domandò Ryan. «E i ragazzi?»
«Odia Washington; e così il ragazzo. Preferirebbero tornare a Oahu. A Cynthia la città piace, invece. Ha diciotto anni, adesso; e ci sono tutti i locali da ballo.»
L’uomo nel cubicolo illuminato di fronte a loro fece un cenno con la mano. Gli attori iniziarono il dialogo.
Ryan continuò. «E tu? Washington è promettente per le promozioni.»
«Presumo di sì. Ma nessuno sa che mi trovo qui. Non mi sarà utile in questo senso.»
«Oh?»
«G2.»
«Sì, lo avevo arguito.»
«Sembra che tu te la stia cavando bene, Jack.»
Ryan sorrise, un po’ imbarazzato. «Niente di trascendentale. Dieci altri uomini dell’agenzia potrebbero fare quello che sto facendo io... e meglio. Ma sui loro rapporti non c’è la sanzione di West Point. Io sono un simbolo dell’agenzia, la versione onestà a tutta prova. I clienti sembrano accorrere come per l’adunata.»
Il colonnello rise. «Balle. Sei sempre stato abile con i politicanti. Persino gli alti papaveri passavano a te i membri del Congresso.»
«Mi stai lusingando. O almeno, credo che tu mi stia lusingando.»
«Aaaaaaah!» L’attrice obesa, sempre biascicando la gomma da masticare, aveva urlato nel secondo microfono. Indietreggiò, pizzicando sul sedere un attore magro, effeminato, che stava per parlare.
«Gli urli si sprecano, eh?» Il colonnello non aveva posto una domanda, in realtà.
«E ci sono cani che latrano e musica d’organo stonata, e gemiti e ansiti a non finire. Quello di Tyne è il nostro programma più ascoltato.»
«Ammetto di averlo ascoltato anch’io. Lo sta seguendo tutta la famiglia, da quando siamo tornati.»
«Non mi crederesti se ti dicessi chi scrive quasi tutte le sceneggiature.»
«Che cosa vuoi dire?»
«Un p...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Sporco baratto