
- 500 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Nel fuoco
Informazioni su questo libro
Ed Tully e Connor Ford non potrebbero essere pi. diversi: Ed un musicista esuberante ed estroverso; Connor. Un cowboy taciturno con l'hobby della fotografia. Sono amici per la pelle, e hanno in comune due passioni: la prima. passare le vacanze a paracadutarsi in zone impervie per spegnere gli incendi che divampano nelle foreste; la seconda. Julia Bishop, la ragazza di Ed, di cui si innamora anche Connor. Quando un fulmine scatena un inferno di fuoco nella foresta in cui i tre giovani stanno trascorrendo l'estate, la loro vita cambia. La sorte mette a dura prova le esistenze di tutti, ma alla fine, l'amore briller. Su ogni cosa, come una fiamma purificatrice.
Domande frequenti
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Informazioni
Print ISBN
9788817117548eBook ISBN
9788858626115Dedica
A Harry, Max e Lauren
Ringraziamenti
Molte grazie a coloro che mi hanno aiutato nelle ricerche: Priscilla Robinson, Rob Whitty, Huw Alban Davies, Suzanne Laverty, Dave Mills, Bruce Weide, Pat Tucker, Jeanette Ingold, Jim Marks, Bob Maffit, Dan Pletscher, Dave Friend, Chris Thomas, Jeremy Mossop, Janey King, Sam Davis, Geoffrey Kalebbo, Philip Jones Griffiths, Charles Glass, Gavin Smith, Larry Stednitz e Garrett Munson di Alternative Youth Adventures. Per il loro sostegno e incoraggiamento, e per tante altre cose, un grazie a Linda Shaughnessy, Larry Finlay, Sally Gaminara, Irwyn Applebaum, Nita Taublib, Tracy Devine, Caradoc King e Charlotte Gordon Cumming.
Infine, per la pazienza con cui mi hanno aiutato ben oltre l’esercizio del dovere, un particolare ringraziamento a due valenti smoke jumpers di Missoula, Wayne Williams e Tim Eldridge.
Nessuno può ottenere ciò che brama il suo cuore
Se prima non sfida l’ardore del fuoco
Se prima non sfida l’ardore del fuoco
Prima parte
dp n="14" folio="14" ? dp n="15" folio="15" ?Capitolo 1
Le cose importanti della vita succedono sempre per caso. A quindici anni non è che ne sapesse molto: in realtà , ogni anno che passava aveva le idee sempre meno chiare su un mucchio di cose. Ma fin qui ci arrivava. Puoi preoccuparti fino a star male per migliorarti, puoi passare migliaia di notti sveglia a lambiccarti il cervello su come vivere in modo pulito, onesto e per bene, puoi fare un piano e stampartelo in testa, inginocchiarti accanto al letto ogni sera e giurare a Dio che lo manterrai, cavoli, puoi andare in chiesa e fare tutte le promesse che vuoi. Puoi farti il segno della croce sette volte con gli occhi chiusi, farti un taglietto sul pollice e scrivere col sangue i tuoi voti su una pietra e poi buttarla nel fiume allo scoccare della mezzanotte. E poi, dal buio, come un falco su un topo, qualche catastrofe innominabile piomba nella tua vita mandando tutto a gambe all’aria per sempre.
In seguito Skye pensò che la sera in questione quel maledetto falco doveva starsene lì sul tetto a guardare il topo che se la spassava, perché tutto cominciò in modo tranquillo, quando quelle due entrarono sculettando nel bar.
Non sapeva chi fossero, ma cosa fossero era chiaro anche ai sassi. Avevano addosso più trucco che vestiti ed era facile capire da come ondeggiavano sui tacchi che erano già annebbiate dall’alcol. Portavano tutte e due dei minuscoli top attillati, una rosso, l’altra argento con le frange, e la donna che camminava davanti, con i capelli neri e le tette messe in mostra come meloni su uno scaffale del fruttivendolo, aveva una gonna così corta che avrebbe potuto fame a meno. La musica nel bar tuonava e la donna dai capelli neri azzardò un passo di danza e per poco non cadde.
Due uomini dietro di loro le pilotavano fra la folla. Portavano cappelli da cowboy e, dal tavolo d’angolo dall’ altra parte della sala dove sedevano Skye e i suoi amici, le facce non si vedevano. Non che lei fosse minimamente interessata. Era più che annebbiata dall’alcol lei stessa. Le luci erano smorzate fino a un fioco bagliore rosso, e attraverso le volute del fumo tutto quel che vide furono due tristi quarantenni a caccia della loro giovinezza, di sicuro all’insaputa delle mogli. Skye distolse lo sguardo. Alzò il suo boccale di birra e bevve, poi accese un’altra sigaretta.
Li guardava più che altro perché era annoiata, cosa piuttosto triste considerando che era il suo compleanno. Jed e Calvin erano crollati dopo tutte quelle canne e non parlavano, Roxy stava ancora piangendo per qualcosa che Craig le aveva detto e Craig non la piantava di imprecare per quel suo rottame di macchina. Un’altra favolosa serata nella città del divertimento, si disse Skye, e bevve un sorso. Buon compleanno a me.
Il bar era un postaccio dimenticato da Dio così vicino alla ferrovia che le bottiglie vibravano e tintinnavano tutte le volte che passava un treno. Per ragioni che non era difficile immaginare, la polizia non ci passava mai e, se proprio non avevi ancora il succhiotto in bocca, i camerieri se ne fregavano del divieto di servire alcolici ai minorenni. Di conseguenza, gran parte della clientela era più o meno dell’età di Skye. Di certo tutti molto più giovani dei quattro appena entrati. Ora erano al banco e aspettavano di essere serviti. Stavano di spalle, e Skye si trovò nuovamente a osservarli.
Le mani del tipo più alto si muovevano sulle anche e sul culo della donna dai capelli neri e su per la schiena fino alle spalle nude. Poi vide che lui si chinava come per strofinarle il naso sul collo. Dio, la stava leccando. Che porci erano certi uomini. E le donne? Come facevano a farsi sbavare addosso a quel modo? Sulla questione del sesso Skye non era ancora andata fino in fondo, e dubitava che ci sarebbe mai arrivata. Oh certo, lo faceva. Tutti lo facevano. Ma non riusciva ancora a capire perché se ne parlava come di una cosa così importante.
Quel tipo doveva aver bisbigliato qualche porcheria all’ orecchio della donna, perché lei all’improvviso buttò indietro la testa, rise con voce rauca e fece finta di dargli uno schiaffo. Allora anche l’uomo rise e si tirò indietro per evitarlo; nel farlo gli cadde il cappello e per la prima volta Skye lo vide in faccia.
Era il marito di sua madre.
In quei pochi attimi prima che gli occhi di lui incontrassero i suoi, scorse sul suo volto uno sguardo che non gli aveva mai visto, tranquillo e allegro e stranamente fragile, una sorta di faccia nascosta che era ancora quella di un ragazzino. Poi si accorse che lui l’aveva riconosciuta e vide svanire quel ragazzino altrettanto rapidamente di come era apparso. Il suo viso si rannuvolò e si indurì e divenne di nuovo quello che lei conosceva, temeva e detestava, quello che aveva quando tornava alla roulotte alle ore piccole, pieno di alcol e di furia, e chiamava sua madre troia squaw e la picchiava finché lei non gridava pietà e poi rivolgeva le sue schifose attenzioni su Skye.
Si raddrizzò, posò il cappello sul banco e disse qualcosa alla donna, che si girò a considerare Skye con uno sguardo a metà fra il disprezzo e il disinteresse. Ora stava venendo verso il loro tavolo. Skye spense la sigaretta, sperando che lui non l’avesse vista. Si alzò. «Andiamo» disse a bassa voce.
Ma era intrappolata al suo posto. Da una parte Roxy singhiozzava sulla spalla di Craig e non l’aveva nemmeno sentita, dall’altra Calvin e Jed erano troppo fuori di testa per capire.
Il suo patrigno raggiunse il tavolo. Le prove erano lì: bottiglie di birra, portacenere pieni, lo stato comatoso dei disgraziati con cui andava in giro.
«Cosa cazzo ci fai qui?»
«Dà i, è il mio compleanno.» Patetico, ma valeva la pena di provarci. Pensò perfino di chiamarlo «papà », come aveva fatto per un breve periodo quando sua madre l’aveva sposato, prima che si rivelasse per quello schifoso figlio di puttana che era. Ma non riuscì a pronunciarla, quella parola.
«Non pigliarmi per il culo. Hai solo quindici anni! Cosa cazzo credi di fare?»
«Senti, dacci un taglio. Ci stiamo solo divertendo un po’.» Era jed, riemerso dal coma. Il patrigno di Skye si sporse e lo prese per il collo, tirandolo sul tavolo.
«Non azzardarti a parlarmi così, pezzo di merda.»
Il peso di Jed fece ribaltare il tavolo, e tutto quel che c’era sopra finì sul pavimento in una valanga di vetri rotti. Craig si era alzato in piedi e cercò di prendere per un braccio il patrigno di Skye, ma lui si girò, e con la mano che non stava strangolando Jed gli mollò un cazzotto in piena faccia. Roxy strillò.
«Per l’amor di Dio» gridò Skye. «Basta! Basta!»
Si rese conto che tutti nel bar li stavano guardando. Uno dei camerieri si stava avvicinando con il tipo che era arrivato insieme al suo patrigno.
«Ehi, ragazzi, perché non ci diamo una calmata?» disse il cameriere.
Il patrigno di Skye spinse Jed sulla sedia, con tanta forza che la sua testa sbatté contro il muro. Craig era in ginocchio e sanguinava dalla bocca, mentre Roxy singhiozzava china su di lui, cercando di aiutarlo. Il patrigno di Skye ansimava e aveva gli occhi ridotti a due fessure scure. Si rivolse al cameriere.
«Hai servito alcolici a questi ragazzi?»
Il cameriere alzò le mani. «Signore, la prego, si calmi adesso.»
dp n="19" folio="19" ? Era magrolino e più basso di una testa rispetto al patrigno di Skye. Aveva i capelli lunghi legati in una coda.
«E allora? Glieli hai serviti sì o no?»
«Hanno detto di avere ventun anni.»
«E tu gli hai creduto? Non gli hai chiesto la carta d’identità ?»
«Signore, potremmo parlarne...»
«Gliel’hai chiesta?»
Skye si alzò e fece per uscire.
«Senti, ce ne andiamo, va bene? Ce ne andiamo!»
Il patrigno si voltò per darle un ceffone e, benché l’istinto le dicesse di abbassarsi, lei rimase ferma a guardarlo con occhi pieni d’odio. Sentiva l’odore della sua acqua di colonia, ed era così penetrante e così sozzi i ricordi che le risvegliava che fu sul punto di vomitare.
«Non azzardarti ad alzare un dito su di me.»
Fu poco più di un bisbiglio. Ma bastò a fermarlo, o forse furono tutti quegli occhi puntati su di lui a farlo. Comunque fosse, abbassò la mano.
«Muovi le chiappe e vattene a casa, piccola troia di un’indiana. Di te mi occupo dopo.»
«Le uniche troie, qui dentro, sono quelle con cui sei venuto.»
Fece un affondo per colpirla, ma lei schizzò via, verso la porta. Da sopra la spalla, vide che il suo amico e il cameriere l’avevano preso per le braccia impedendogli di andarle dietro. Si gettò nella notte e corse all’impazzata.
L’aria stagnava calda e umida e le lacrime le scorrevano giù per le guance. Quasi soffocava dalla rabbia al pensiero di essere così debole, di aver permesso a quel bastardo di farla piangere. Stava passando un treno merci e lei corse lungo i binari guardando le luci dei lampioni apparire e scomparire velocissime fra i vagoni. C’erano dei lampioni anche da questa parte della ferrovia, appesi a un cavo sopra la testa di Skye, ciascuno con la sua aureola frenetica di insetti. Il treno sembrava lungo chilometri e chilometri e, da lontano, ormai oltre la città , udì il barrito lamentoso della locomotiva: sembrava un verdetto sul mondo di sofferenze che aveva appena attraversato. Se fosse andato più piano ci sarebbe saltata su e si sarebbe lasciata portare ovunque fosse diretto.
Corse e corse come correva sempre. E non importava dove, perché nessun posto poteva essere peggio di dov’era e di dove era stata. Era scappata la prima volta quando aveva cinque anni, e da allora l’aveva fatto un sacco di volte. E finiva sempre per mettersi nei guai, ma lei se ne fregava; in quali guai poteva cacciarsi che non avesse ancora visto?
Corse finché i polmoni provati dal fumo non ce la fecero più, e si fermò proprio mentre passava l’ultimo vagone. Rimase lì piegata, con le mani sulle ginocchia, ansante, a guardare i fanalini di coda che rimpicciolivano finché la notte non li inghiottì come se non ci fossero mai stati. Da qualche parte, nel buio, un cane latrava e un uomo gli urlava di smetterla, inutilmente.
«Non preoccuparti. Puoi prendere il prossimo.»
La voce la fece trasalire. Era una voce maschile molto vicina. Skye perlustrò l’oscurità intorno a lei. Si trovava in quello che sembrava lo spiazzo di una segheria abbandonata. Non riusciva a vederlo.
«Sono qui.»
Era seduto per terra, appoggiato a una catasta di pali mezzi marci e coperti di erbacce con cui sembrava confondersi, tanto aveva i capelli lunghi e arruffati. Era un ragazzo bianco, più vecchio di Skye. Diciotto o diciannove anni, magrissimo. Aveva addosso dei jeans stracciati e una maglietta su cui campeggiava un drago a fauci spalancate. Una sacca impolverata giaceva accanto a lui. Stava rollando una canna.
«Perché piangi?»
«Non sto piangendo. Ma a te che cazzo te ne frega?»
Lui alzò le spalle. Per un po’ nessuno dei due parlò. Skye gli girò la schiena come se avesse altre cose da fare o da pensare. Si asciugò le guance, cercando di non farsi vedere. Pensò che fosse meglio andarsene. Girano ogni sorta di tipi strani e psicopatici lungo la ferrovia. Ma qualcosa dentro di lei, un enorme bisogno di conforto o di compagnia, la trattenne. Lo guardò di nuovo. Lui leccò la cartina e sigillò la canna, poi la accese e tirò una lunga boccata. Gliela porse.
«Tieni.»
«Io non mi drogo.»
«Sì, certo.»
La macchina che rubarono apparteneva a qualche padre di famiglia. C’erano due seggiolini per bambini piccoli fissati dietro e il pianale era coperto di giocattoli, libretti con le figure e carte di caramella. Il ragazzo ci sapeva fare, perché ci mise un paio di minuti a far saltare la serratura e a mettere in moto. Si fermarono dopo qualche chilometro per sostituire le targhe con quelle di un’altra auto.
Le disse che il suo nome era Sean e lei gli comunicò il suo, e questo fu tutto quel che seppero l’uno dell’altra, oltre al fatto di avere in comune qualche ferita nascosta di cui non c’era bisogno di parlare. Nient’altro importava, né dove stessero andando né perché.
Si diressero verso nord fino a incontrare l’interstatale, poi presero a ovest. Da una parte scorreva un fiume e l’alba emergeva come una spaccatura rossa sulla pianura infinita dietro di loro. Nessuno dei due parlò per un bel pezzo e Skye sedeva voltata all’indietro aspettando che il sole si facesse vedere. Quando finalmente comparve, tutta la terra s’incendiò di rosso, di viola e d’oro, e ogni cosa gettò un’ombra lunghissima: i pioppi, le rocce e le mucche che pascolavano vicino al fiume, e Skye pensò che quella fosse la cosa più bella che avesse mai visto in vita sua.
dp n="22" folio="22" ? Sotto il sedile, trovò un libretto che ricordava dai tempi delle elementari. Parlava di un bambino di nome Bernard. I suoi genitori non facevano che ignorarlo. Un giorno un mostro compare nel giardino di casa e Bernard corre a dirlo ai suoi ma loro, come sempre, lo ignorano. Il mostro lo mangia e poi entra in casa ruggendo, ma i genitori di Bernard pensano che sia uno dei suoi soliti scherzi, e fanno finta di niente. Allora il mostro, vedendo che loro non sono per niente spaventati, perde tutta la fiducia in se stesso. Skye girò l’ultima pagina, che le era sempre sembrata la più triste. Il povero mostro era stato mandato a letto senza cena, e se ne stava tutto solo nel buio, sentendosi un completo fallimento.
Si fermarono per fare benzina. C’era anche il ristorante, che aveva appena aperto, e i ragazzi entrarono per prendere un caffè e dei muffins e si sedettero a un tavolo vicino alla finestra, mentre una donna anziana lavava il pavimento intorno a loro. Durante la colazione, Sean le chiese quanti anni avesse, lei mentì e rispose diciassette. Disse che era nata nel South Dakota e che era mezza indiana, oglala sioux, da parte di madre. A lui questo sembrò una figata, ma lei gli disse che non lo era poi tanto e che comunque non ne sapeva niente della sua gente e della sua storia, tranne il fatto che era una storia di dolore e di miseria, e lei ne aveva già avuto abbastanza di tutti e due.
Lui le raccontò che veniva da Detroit e che i suoi genitori e suo fratello maggiore erano in galera, ma non disse per quale motivo, e Skye non glielo chiese. Da quando aveva quattordici anni era fuori casa e da tre anni girava il mondo. Era stato fino in Messico, in Nicaragua e nel Salvador, e raccontò che aveva visto cose che non aveva mai immaginato e che non avrebbe mai creduto esistessero.
«Che genere di cose?»
«Magia. Sciamani. Gente che cammina sul fuoco e non sente niente. Gente che muore per una maledizione. Ho visto una donna morta che è stata riportata in vita.»
Skye gli chiese come, ma lui non glielo volle dire. Gli domandò pe...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Nel fuoco