Mio marito
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Mio marito

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Mio marito

Informazioni su questo libro

"Mio marito è biondo, ha la fronte stempiata, i denti freschi, la pelle chiara macchiata di lentiggini? Mio marito è un uomo elegante, veste con cura? Quando mio marito parla, io lo ascolto attentamente? Mio marito è amata dagli amici, stimato dai superiori?" Mio marito? mio marito? mio marito? In queste due parole si racchiude la vita di una donna stretta nell'abbraccio matrimoniale, erano queste le due parole che le davano la consapevolezza di esistere e di contare. Questi racconti, pubblicati per la prima volta nel 1968, sono una testimonianza storica e letteraria sulla condizione femminile.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817106313

MIO MARITO

Mio marito è biondo, ha la fronte stempiata, i denti freschi, la pelle chiara macchiata di lentiggini grosse e brune. Mio marito è un uomo elegante, veste con cura, e ha la testa sempre profumata di sapone alla colonia. Mio marito lavora in una banca, fa il cassiere e guadagna centoventimila lire al mese.
Quando mio marito parla, io lo ascolto attentamente. La sua voce è velata, opaca, leggermente di testa. Le cose che dice sono sempre molto precise e giuste. Non gli ho mai sentito dire niente di anormale e di sbagliato.
Mio marito è amato dagli amici, stimato dai superiori. Quando vuole sa anche essere un uomo di mondo. Si siede in mezzo a un circolo di gente e chiacchera, discute. Difende la verità, modera la foga degli amici, sempre ispirandosi a un perfetto buon senso.
Mio marito è un uomo di spirito, ama fare gli scherzi. Qualche volta mi fa trovare un rospo dentro il letto o mi mette la marmellata nelle pantofole. Una volta mi ha perfino servito a tavola un dolce fatto da lui con dentro un topo morto.
Mio marito fa collezione di francobolli. Qualche volta ruba la posta dei vicini per ritagliavi i francobolli per la sua collezione. Possiede due album grossi come elenchi del telefono, pieni zeppi di francobolli preziosi. Dice che un giorno venderà i suoi francobolli e coi soldi ci faremo una casa in campagna.
, Oltre ai francobolli, mio marito tiene in quei suoi album dei biglietti nuovi, appena stampati dalla zecca. Dice che il primo biglietto di una nuova serie porta fortuna. Perciò li sottrae di nascosto dalla cassa, li infila dentro delle bustine di carta trasparente azzurrina e quindi li incolla con una linguetta di gomma alle pagine dell’album.
I suoi colleghi lo considerano un uomo molto saggio e intelligente; vengono da lui a chiedere consiglio, a confidarsi. Vengono soprattutto la domenica. Sono io che vado ad aprire. Quando mi trovo davanti una faccia sprezzante e ottusa che gira gli occhi nervosamente, so che si tratta di un collega di Mario e lo faccio subito passare in salotto.
L’uomo mi segue, si ferma sulla porta, guardandosi intorno incerto. Se è già venuto altre volte, si dirige con sicurezza verso la poltrona di fondo, lontano dalla finestra; se è la prima volta, aspetta in piedi con le mani in tasca che io gli dica dove sedersi.
Il nostro salotto è molto buio, le persiane sono sempre accostate perché Mario dice che la luce schiarisce i mobili. Cosí gli ospiti appaiono un po’ intimiditi e impauriti quando io apro la porta che divide il salotto dal corridoio.
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Ce n’era uno che veniva tutte le domeniche fino a poco tempo fa. Era piccolo e rosso, con dei ricci scarlatti che gli scappavano fuori dai polsini della camicia. Veniva a parlare della moglie, la quale andava a letto col direttore della banca. Nei primi tempi, quando il ragazzo rosso cominciava a parlare della moglie, si scalmanava, dava dei pugni sui mobili, gridava. Il suo problema era grave: se voleva conservare il posto in banca, doveva fingere di non sapere quello che succedeva fra sua moglie e il direttore. La cosa lo turbava molto e gli impediva di dormire e qualche volta anche di mangiare.
Ma Mario ha trovato la maniera di consolarlo. Gli ha parlato a lungo, con la voce morbida e persuasiva, rinunciando a uscire per restare a chiaccherare con lui e trattenendolo perfino a cena per tre volte di seguito. Questo amico, da pallido e rabbioso che era, è diventato roseo e sereno.
"Ha ancora degli angoli di tristezza negli occhi. Ma glieli sgombrerò. Tu preparaci un buon caffè, Marcella. Voglio che quando uscirà di qui si senta veramente un altro. "
Mario l’ha convinto (i suoi ragionamenti erano cosí belli che io stessa ne ero incantata) che il direttore è un uomo superiore, un angelo.
"Può un angelo essere accusato di immischiarsi nelle cose umane?"
"No. Ma se non fosse veramente un angelo?"
"Come, dopo tanti giorni di cura, e dopo avere tanto parlato di lui e delle sue qualità che sono tutt’altro che umane... Credevo che tu ne fossi convinto."
"Io sí. Ma qualche volta mi viene il dubbio..."
"I dubbi appartengono ai deboli. L’uomo forte non ha dubbi. L’uomo forte agisce in armonia con se stesso; il suo cuore, la sua testa, il suo fegato, persino gli intestini devono essere in armonia col suo agire. Sei convinto di questo?"
"Credo di sí."
"Bene. Io ti chiedo ancora, può un angelo essere considerato un perturbatore delle cose umane? "
"No, certo."
"Infatti un angelo è un angelo. Non può che fare del bene. Dovunque si posino le sue ali, ne deve nascere felicità e candore."
"Lui forse è un angelo. Ma mia moglie non lo è affatto."
"Tua moglie non è un angelo. Ma la sua frequentazione con un angelo non può che renderla migliore, piú pura e armoniosa."
"Mia moglie non è armoniosa."
"Tua moglie non è armoniosa, ma potrebbe diventarlo. Vicino ad un uomo armonioso, la sua natura perderà quei caratteri di goffezza morale e intellettuale che le sono propri. Piano piano si libererà delle sue debolezze e tu stesso poi stenterai a riconoscerla. Sarà un’altra."
"Ma io ho sposato lei. In fondo mi basta che sia lei, cosí com’è."
"Tu mi scoraggi Carlo. Tu non ami abbastanza il bene, come io credevo e sei attratto dal male, dal disordine e dall’oscurità."
"Ti giuro di no."
"Allora ascoltami. Da domani tu osserverai il direttore. Cerca di stargli il piú vicino possibile, cerca di raccogliere il suono della sua voce, cerca di guardare come cammina, come si muove, come si china sui tavoli coperti di carte. Se tu saprai strappare dai tuoi occhi quel velo di indifferenza e di passività, se tu saprai vedere col cuore, scoprirai la sua natura di angelo."
"Io l’ho guardato tante volte, ma non ho mai scoperto niente di speciale in lui."
"Perché tu sei intossicato dalla malvagità come gli altri colleghi. Tu li conosci, sai come sono volgari e stupidi. Per loro un direttore è un direttore, un cassiere un cassiere e un postino un postino. Per loro l’apparenza è l’unica cosa che conta. Non c’è altro al di là dell’apparenza. "
"È vero che sono stupidi. Passano il tempo a raccontarsi barzellette sporche e a fare commenti sulle clienti che entrano."
"Lo vedi, lo riconosci anche tu. Vuol dire che sei diverso da loro, superiore. Ti stai già disfacendo della normalità. E presto ti sarà del tutto chiaro come i nostri colleghi sono delle bestie e lui, il direttore, uno spirito nobile e puro. Allora ti sembrerà perfettamente giusto che tua moglie e lui si cerchino e si amino, come si cercano e si amano le cose belle e giuste."
"Tutto questo va bene. L’unica cosa che non va è che se io protesto lui mi manda via."
"Questo è un tuo pensiero malvagio. Il direttore non manda via nessuno per delle ragioni cosí basse. E poi perché dovresti protestare, se sei convinto che questa unione non è che per il bene? Può un angelo fare del male? No. Quindi acconsenti, sii superiore, sii diverso da quelle bestie dei tuoi colleghi che non vedono a un centimetro dal loro naso. Tu stesso dovresti condurre tua moglie da lui, perché ne ritorni piú pura e armoniosa. "
Mio marito parla con facilità e tutti lo ascoltano affascinati. Non solo è riuscito a convincere quel collega a cedere volontariamente la moglie al direttore, ma ne ha convinti molti altri a fare delle cose ancora piú incredibili. Un amico che aveva un figlio scapestrato e veniva a piangere nel nostro salotto, ha finito per convincersi che il figlio non era suo e quindi non si è piú disperato, ma l’ha cacciato di casa. Due giorni dopo quel ragazzo si è ucciso. Il padre è venuto qui torcendosi le mani. Mario l’ha convinto che quello che era successo provava che il figlio era veramente di un altro e che il male non può portare che al male: la morte.
Un altro veniva la mattina presto, si sedeva in salotto e rimaneva lí fino a sera, fumando una sigaretta dopo l’altra. Mario qualche volta si dimenticava di lui, usciva, rientrava. Nel salotto buio soffocante di fumo, l’uomo aspettava in silenzio, accendendo una sigaretta dopo l’altra. Non aveva niente. Non era malato, né povero, né angustiato dalla famiglia come gli altri. Era soltanto stanco di vivere. E voleva morire. Ma non sapeva come. Ogni tanto scopriva un nuovo veleno e si appassionava alla preparazione di questo veleno; consultava libri, faceva prove su topi e altre cavie, ne parlava a lungo a Mario tracciando disegni su un pezzo di carta. Illustrava con dei pupazzi l’azione del veleno sul corpo, in tutte le fasi, dall’intossicazione alla morte. Sotto, con piccole cifre, indicava i minuti che occorrevano perché il veleno facesse effetto. Ma quando sembrava che tutto fosse chiaro e pronto, smetteva di occuparsene e non ne parlava piú fino alla scoperta di un altro piú potente veleno.
Mario diceva che era un caso difficile. Le parole non avevano presa su di lui. Non sapeva ascoltare. Era sempre inerte e passivo. Si accendeva solo quando si parlava di veleni.
Cosí Mario lo lasciava fumare, affondato nella poltrona del nostro salotto e si fermava raramente a parlare con lui.
"Preparagli un buon caffè, Marcella, ne ha bisogno."
Io gli preparavo il caffè, glielo portavo. L’uomo ringraziava. Ma quando tornavo a prendere la tazzina, mi accorgevo che era ancora piena e l’uomo si era mosso solo per accendersi un’altra sigaretta.
"Credi che rimarrà sempre da noi?"
Quello che mi dava fastidio era soprattutto quel puzzo di fumo che invadeva la casa e impregnava i mobili, le tende. Per il resto, era come se non ci fosse.
"È un uomo strano. Assomiglia piú a un morto che a un vivo. Capisco che si voglia ammazzare. La morte sarebbe la sua condizione naturale. Bisogna aiutarlo. Ma come?"
"Oggi mi ha parlato di un veleno che si ricava dal sangue di un parassita."
"C’è qualcosa di storto in lui; qualcosa che lo trattiene in vita, ostinatamente, nonostante la sua volontà di morire. Vorrei capire cos’è."
"Forse vuole solo parlarne, ma non veramente morire."
"È un uomo che è già morto, te l’ho detto. Quello che continua a vivere in lui è un’escrescenza, un’anomalia, qualcosa di torbido ed inutile che va distrutto."
"Perché non lo convinci con le tue belle parole?"
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"Perché non sente. Le sue orecchie sono morte."
Mio marito cominciava a soffrire per il caso del suo amico che non riusciva ad uccidersi. Era diventato nervoso. Forse perché dubitava del suo potere. La notte si girava nel letto senza riuscire ad addormentarsi.
Un giorno sono usciti insieme lui e il suo amico. Li aspettavo a cena tutti e due. Ma alle dieci non erano ancora tornati. La cena si raffreddava. Ho cominciato a mangiare del pane, per calmare la fame. Ho anche bevuto un bicchiere di vino. E poi credo di essermi addormentata. Verso mezzanotte il rumore della chiave nella toppa mi ha fatto sussultare.
"Sei tu Mario?"
Non mi ha risposto. Un momento dopo l’ho visto entrare, spettinato e arrossato dal freddo, gli occhi luccicanti di contentezza.
"E il tuo amico?"
"È morto."
"Si è suicidato?"
"Sí. Adesso è veramente quello che è. Non finge piú."
"Come è successo?"
"Abbiamo passeggiato per la città. Mi parlava sempre dei suoi veleni. Poi siamo saliti in cima a una casa in costruzione. All’ultimo piano. La casa era su una collinetta, dritta in piedi su una scarpata che finisce nel fiume. Ci siamo seduti su un muretto fresco di cemento e ci siamo messi a fumare. Abbiamo fumato per due, tre ore. Io avevo le dita intorpidite e un freddo alla schiena che mi sentivo svenire. Lui non sentiva né il freddo né lo scomodo. Guardava affascinato la scarpata sotto di noi. Non vorresti buttarti giú? gli ho chiesto. Vorrei ma non posso. Perché? gli dico. Perché io stesso non posso fare del male a me stesso. È innaturale. E allora cosa vorresti? Mi dai una spinta? dice."
"Ha detto cosí?"
"Sí, cosí. Se sei un vero amico, dammi una spinta e io finalmente sarò contento. Non c’è bisogno che mi preghi, gli ho risposto. Io sono venuto qui apposta per questo, per portarti sul cornicione e per darti una spinta. Tu veramente mi vuoi bene, ha detto, perché tu capisci me stesso meglio di me. Il mio compito è di capire gli altri e di assecondarli ad essere coerenti con se stessi, senza mai tradirsi. Grazie, mi ha detto. Fammi accendere un’ultima sigaretta. Fai con comodo. Abbiamo tanto tempo. Ha acceso la sigaretta, ha tirato qualche boccata, poi, sempre con la sigaretta fra le labbra, è salito in piedi sul muretto. L’ho spinto con due dita. È bastata una spinta leggerissima. È andato giú da solo. Ha fatto un volo molto bello e molto elegante. È rotolato leggermente sulla scarpata e poi è finito nel fiume. Non poteva morire meglio."
Mio marito è talmente preso della sua missione che qualche volta dimentica persino di prendersi le vacanze. Quest’anno per esempio non ci siamo mossi da Roma. Io avrei voluto lasciare questa casa buia e silenziosa, come facciamo ogni anno, per trascorrere una ventina di giorni a Riccione, in casa dei suoceri; ma non ho voluto disturbarlo. So che ha dei casi difficili che non può lasciare.
In questi giorni per esempio c’è un ragazzo che frequenta il nostro salotto, un tipo asciutto e nero, con la faccia rattrappita e due rughe profonde attorno alla bocca. Dice che ha l’istinto di rubare. Per questo ha la faccia cosí contratta; per lo sforzo di dominare questa passione. Il ragazzo dice che il suo desiderio di rubare è piú forte di tutto e che quando è preso dalla tentazione, sarebbe disposto a morire, pur di non rinunciare a soddisfarlo.
Mario è un uomo che ama l’ordine, le regole, le cose ben fatte. Ha un’idea molto severa e molto precisa dei doveri di un cittadino. Perciò si è dedicato con una cura particolare a guarire il ragazzo. Ma finora non ci è riuscito. Dopo tanti giorni di cura, il ragazzo è tornato a rubare.
"Stanotte mi è venuta un’idea geniale."
"Cosa?"
"Sai cosa facevano gli antichi quando un uomo rubava?"
"No."
"Gli tagliavano una mano."
"Perché?"
"Per punirlo. Se la tua mano non s...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Mio marito
  4. Dacia Maraini in ebook per BUR