Célestine se ne sta seduta su una sedia nella sala di íngresso di casa Lanlaire. Ha il cappello in testa e i guanti in mano. La valigia sta posata ai suoi piedi
CÉLESTINE: Grigio e piove. Piove ed è grigio.
Che giorno per prendere servizio! e qui, nessuno che mi dica dove andare, cosa fare. Madame Lanlaire non si è vista. Be’, almeno me ne sto seduta.
Dopo un viaggio di tre ore in piedi in quel vagone strapieno. Che idea di viaggiare la domenica!
Correre, sempre correre. Dall’ufficio di collocamento al posto di lavoro, dal posto di lavoro all’ufficio di collocamento. Bois de Boulogne, Bastiglia, Osservatorio, Montmartre, Ternes, Gobelins, sempre di corsa, senza mai potermi accasare da qualche parte. Sarà che i padroni sono diventati difficili da servire... è tutta una buffonata...
Da una porta entra Joseph ma finge di non vederla. Entra da una parte e sparisce dall’altra
Senta!... mi scusi... ho un appuntamento con Madame Lanlaire... sparito! ah, eccolo di nuovo... senta.... sparito un’altra volta... Io non la conosco madame Lanlaire... neanche so che età abbia... però scrive bene (alzando la voce). Ha una bella calligrafia: le o tutte rotonde, le elle che si alzano, si alzano come tante colombe, le i tutte dritte come soldatini pronti alla guerra, le esse così serpentine... scusi, ma almeno un bicchiere d’acqua... è già mezz’ora che aspetto!
Il cameriere è riuscito. Di nuovo sola
Le lettere le ho con me nella borsa. Sono lettere che fanno pensare ad un carattere meticoloso, questo sì... vogliono risposte precise, spiegazioni dettagliate.
Una donna fiera, orgogliosa, che conosce i suoi talenti e li coltiva, eccome se li coltiva, come un giardiniere coltiva il suo giardino... forse un poco... un poco sparagnina, forse madame Lanlaire. Certo non si spreca per la sua carta da lettere. Comprata al Louvre! capirai!
Io che non ho neanche l’unghia di quello che ha lei, sono un poco più difficile nelle mie scelte sulla carta da lettere. Scrivo solo su carta profumata al cuoio di Spagna, della buona carta, a volte rosa, a volte azzurro pallido che ho raccolto qua e là presso le case in cui ho servito. Su alcune c’è pure incisa la corona di contessa... roba che deve essere costata un patrimonio.
Ripassa Joseph
Senta!... ma che fretta! una volta servivano il caffè alle cameriere di fino. Adesso: chi se ne infischia! non ti dicono nemmeno buongiorno.
(Guardando dalla finestra) Ah, le vacche! sembrano uscite dalla Bibbia tanto sono magre e coperte di mosche... i prati!... quanti prati! siamo proprio in campagna, Célestine, non più strade di asfalto, non più grondaie che ti gocciolano sulla testa, non più carrozze che schizzano fanghiglia... E la campagna, dopo tanti anni di città, fa proprio bene al cervello.
Mi fa venire in mente un’altra campagna, saranno quattro anni, sì, proprio quattro. Era rigogliosa la campagna di monsieur Rabour. È proprio destino che vada a cacciarmi in situazioni senza uscita. L’ufficio di collocamento in Rue Des Républicaines, ricordo ancora l’odore: di scarpe che hanno molto camminato e di sapone alla violetta.
Viene una tizia grossa, con un petto così gigantesco che uno si chiedeva: ma come fa a tenerlo su?
Dice: è libera? dico: sì, se sono qui vuol dire che sono libera, altrimenti che ci farei in questo buco sordido? Be’, dice, c’è un certo monsieur Rabour che cerca una cameriera giovane e carina. E dove sta? Nel Maine-Loire. Così lontano? Prendere o lasciare. Offriva un buono stipendio. E io: va bene, accetto.
Il giorno dopo prendo il treno, scendo alla stazione di Cholet e trovo un tizio tutto vestito di scuro che mi dice: dov’è il baule?. Laggiù, dico. E lui, con due braccia da lottatore issa il mio baule su una carrozza aperta, all’inglese.
Be’, che aspettate a montare?, mi fa. Vedo che tutti lo salutano con rispetto. Sì, dico, andiamo!
Monto e l’uomo dalla faccia tracagnotta e sarcastica sprona il cavallo. Era una bella giornata. C’era sole. Io mi tenevo il cappello con le mani perché non volasse via. Quanta aria ho divorato! L’uomo mi guardava con l’angolo dell’occhio. Mi esaminava. Ho subito capito che avevo a che fare con un paesano mal ripulito, con un domestico senza stile che non ha mai servito nelle case eleganti. Peccato! A me piacciono le belle livree e le buone maniere. Niente mi indispone come un paio di pantaloni di cuoio chiaro col calco di due cosce nervose.
E che mancanza di stile! guidare senza guanti, con un completo di lanetta scura che gli fa le pieghe da tutte le parti. E che dire di quel ridicolo cappelletto di pelle verniciata, tutto circondato da un gallone d’oro. Roba da circo equestre!
Anch’io me lo guardavo, però, perché sapevo che poi me lo sarei trovato in cucina, gomito a gomito, mattina e sera.
Ci guardavamo tutti e due facendo finta di niente. Finché lui mi fa: avete portato una bella collezione di stivaletti per lo meno!
Certo, ne ho diversi. Ma perché cavolo me lo chiedete?
E lui, dandomi di gomito, mi lancia un’occhiata strana, fra l’ironico e l’osceno e mi dice ridendo: facciamo finta di niente, mascherina? ah, che spudorata mascherina!
Poi si è messo a frustare il cavallo. E via che sembrava dovessimo prendere il volo su quella strada tutta buche e io non solo mi tenevo il cappello, ma anche la testa con le due mani altrimenti chissà dove sarebbe andata a finire!
Entra una sguattera, Nadine, prende a scopare per terra anche fra i piedi di Célestine spostando la valigia
E tu, come ti chiami?
L’altra continua a scopare senza darle retta
Sei sorda?
L’altra non risponde. Continua a pulire
Mi stavo raccontando, per tenermi un poco di compagnia, la storia del mio servizio presso monsieur Rabour, in campagna, quattro anni fa... A me la campagna piace, anche se mi annoia. Ovvero mi annoia perché mi piace, o forse no, mi piace perché mi annoia, non so, ci può essere una qualche familiarità, come fra marito e moglie, fra la noia e il piacere, voi che dite, signorina scopatrice?
L’altra non risponde. Se ne va
Ma dove andate? Perché non mi dite com’è madame Lanlaira? le piacciono i merletti? e i bon-bon al profumo di rose? A me piacciono i merletti e anche i bon bon al profumo di rosa...
Fra un po’ farà buio e non ho ancora visto la padrona di casa. E ho le scarpe che mi fanno male... quasi quasi me le tolgo... Ma non sta bene, Célestine, resisti!
Vuol dire che ricomincerò a raccontarmi la storia di monsieur Rabour. La conosco già. Ma ogni volta che esce dalla mia bocca si porta dietro qualcosa di nuovo e ogni volta che rientra nel mio orecchio ritrova dei particolari che avevo scordato... stando sole si impara a tenersi compagnia.
Come le portate le sottovesti? lunghe o corte? bianche o colorate? e il busto? è di quelli con le stringhe o con i bottoni? Ma a voi che ve ne importa?
Era lì davanti a me, la matrona, la governante di casa, a farmi domande sceme e un poco rivoltanti.
Aveva le mani molli, umidicce, trasparenti come la gelatina. Gli occhi grigi freddi e viziosi. Ti guardavano, ti cercavano, ti frugavano nell’anima e nella carne. C’era da arrossire solo a sentirsi addosso quello sguardo avido e brutale.
Ora vi lascio sola con monsieur Rabour mi fa, Monsieur non vi ha ancora vista. Io credo di avere scelto bene, ma deve essere lui a dare l’ultimo giudizio.
E che sarà, Paride con la mela d’oro! dico io ma lei non mi sta neanche a sentire. Se ne va facendo ciondolare il petto come una grossa cernia incinta.
Ed ecco Monsieur: si apre la porta e lui è lì, rasato di fresco, e tutto rosa come una bambola. Piccino, vivace, appetitoso. Accidenti! Saltellava, camminava saltellando come una cavalletta nel suo prato.
Mi saluta con infinita cortesia e mi fa: come vi chiamate, bambina mia?
Célestine, Monsieur, rispondo facendo un inchino.
Célestine? diavolo, un nome davvero grazioso... ma un poco troppo lungo, non convenite anche voi? vi chiamerò Marie, se siete d’accordo. È un bel nome, è breve e suona asciutto e classico. E poi francamente io tutte le mie cameriere le ho chiamate Marie. È una abitudine a cui mi dispiacerebbe di rinunciare...
Tutti con questa mania di cambiarti nome. Ma non ero certo io a stupirmi dopo che mi avevano battezzato con tutti i nomi dei santi del calendario. Ogni casa un nome nuovo, voilà. Allora, non vi dispiace se vi chiamo Marie?
Ma no, Monsieur.
Ragazza carina, buon carattere, bene, bene.
Era rispettoso monsieur Rabour. Teneva lo sguardo ostinatamente fisso sui miei piedi.
Ne avete altri? mi fa dopo un breve silenzio durante il quale mi è sembrato che il suo sguardo si fosse fatto stranamente brillante e festoso.
Altri nomi, Monsieur?
No, bambina mia, altri stivaletti?
E passò sulle labbra, a piccoli colpi, una lingua affilata come quella di una lucertola.
Sì, Monsieur, ne ho altri.
Verniciati?
Sì, Monsieur.
Anche di cuoio giallo?
No, di cuoio giallo no.
Bisognerà procurarseli. Ve li regalerò io.
Bene, bene, ora tacete per favore.
L’ho guardato e ho visto passare delle luci torbide, dei nembi rosso cupo nei suoi occhi rotondi. Goccioloni di sudore rotolavano sulla sua fronte rosea. Ora sviene, mi sono detta. E invece, si è calmato e in capo a qualche minuto ha ripreso a parlare con voce pacificata, per quanto un poco di saliva gli schiumasse agli angoli delle labbra.
Sono un poco ossessivo con il mio gusto per le scarpe mi fa, alla mia età, qualche stranezza mi sarà permessa, no? E poi: non trovo conveniente che una donna metta la cera sui miei stivali. Stimo troppo le donne perché lasci che si abbassino a una tale funzione. Sarò io a mettere la cera sui vostri stivali, Marie, i vostri piccoli stivali, i vostri cari piccoli stivali. Me ne occuperò io. Ogni sera, prima di coricarvi, li porrete nella mia stanza, li appoggerete vicino al letto, sopra un tavolino e tutte le mattine, venendo ad aprire le finestre, li riprenderete.
Ma, monsieur Rabour dico io sbalordita e lui mi guarda, bello, rotondo, roseo e sorride scusandosi: non è mica una cosa terribile quella che vi chiedo... è del tutto naturale, si può dire... se sarete gentile e, mentre lo dice, caccia una mano in tasca e ne tira fuori due luigi se sarete gentile con me, ubbidiente come una brava bambina, vi farò spesso dei bei regali...
Più parlava e più le sue palpebre battevano, battevano e tremavano come delle foglie in una tempesta.
Perché non dite niente, Marie? ditemi qualcosa... anzi, no, camminate, voglio vedervi muovere quegli stivaletti, voglio vederli prendere vita.
Io cammino un poco su e giù. In fondo, voleva così poco... E lui, tondo e gentile, di colpo si inginocchia ai miei piedi e prende a carezzarmi la punta degli stivaletti con mani febbrili.
La voce gli si era fatta supplicante, infantile: oh Marie, Marie, i tuoi piccoli stivaletti, dammeli subito, ti prego, dammeli ora, immediatamente.
Non sapevo proprio che fare. Una cosa così non mi era mai successa. Gli occhi di Monsieur si facevano ogni momento più piccoli e striati di rosso: dalla sua bocca scivolava una bava saponosa. Gli consegnai uno stivaletto e lui si chiuse nella stanza in fretta, non so che ci facesse ma ci rimase chiuso per ore.
Perché scandalizzarsi? ognuno ha le sue manie. Il posto era buono, la paga abbondante, non mi lesinavano neanche sul cibo o sul vino come fanno altrove. Ho detto: va be’, che mi importa, rimango!
Invece, qualche giorno dopo, entro nella sua camera da letto per prendere come a...