Il cardinale
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Il cardinale

  1. 224 pagine
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Il cardinale

Informazioni su questo libro

"L'uomo non dovrebbe mai, in nessuna situazione, potersi pensare Dio, potente come il Signore dei Signori." Vittorino Andreoli Un uomo che, fin da bambino, vive nella paura. E che per difendersi cerca rifugio nella religione. Entra in seminario, si appassiona all'immagine di Dio. L'incontro con la teologia, un'inaspettata ascesa nella carriera ecclesiastica, arciprete, vescovo, fino alla nomina a cardinale, poi il precipizio; una malinconia strisciante, insistente, che si trasforma in crisi, in conflitto aperto, quando il protagonista non è più in grado di negare a se stesso ciò che deve continuare a nascondere agli altri: Dio non esiste. Senza più fede, ma incapace di rinunciare alla porpora della sua toga, il cardinale viene indicato come probabile papa. Ed è proprio nel conclave per l'elezione del nuovo pontefice che sarà costretto ad affrontare la contraddizione che lo consuma. In un romanzo ricco di colpi di scena, Vittorino Andreoli, con la maestria che lo contraddistingue, ci porta dentro all'eterno conflitto tra la maschera e il volto, tra l'immagine che diamo di noi e le più intime lacerazioni del nostro animo.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817032551
eBook ISBN
9788858628218

IL CARDINALE

Si accorgeva di appartenere alla Chiesa al mattino, quando doveva vestirsi e indossare l’abito da cardinale.
In quei primi giorni della investitura, la fatica nel coprirsi da eminenza era al contempo l’occasione per ripassare tutta la sua storia; e certo non lo faceva con spirito di rassegnazione dato che era arrivato a quella carica dopo averla desiderata con tutto se stesso e sopportando tanti sacrifici.
Non se la sentiva di dire che si era trattato di un dono, almeno nel senso di ricevere con un po’ di sorpresa quella nomina, quanto piuttosto il risultato di una salita al calvario; ma adesso sperava proprio di godersela. Del resto i suoi sessantacinque anni non indicavano una vicinanza stretta con la morte. Stava bene fisicamente, era lucidissimo nella mente e poteva persino dire che il demonio, che lo metteva alla prova, poteva attestare che anche sessualmente era un uomo attivo e anzi mostrava di avere una particolare dote che, certo, andava indirizzata ad majorem Dei gloriam.
Raggiunta una tappa nella elevazione a Dio, subito gli sorgeva il desiderio della successiva, e quindi non aveva mai propriamente vissuto serenamente: sempre di corsa, per un altro tratto di strada da percorrere.
Questa volta però non aveva altri desideri, si proponeva di godere finalmente quanto aveva raggiunto.
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Anche nella vita ecclesiastica si sperimenta come la gioia si leghi al superamento del desiderio. Se il desiderio rincorre qualcosa che ancora non si possiede o non si è, allora si viene presi dall’inquietudine e dalla smania di accorciare quell’attesa, e quindi ci si impegna in tutte le lotte necessarie a fare il salto.
Lui sapeva che l’umiltà si pone esattamente al massimo livello della carriera raggiunto e raggiungibile. L’umile è colui che accetta di stare dove si trova con la convinzione di essere arrivato al massimo o di avere ricevuto tutta la misericordia del Signore.
Solo ora, da cardinale, sentiva infatti questo flusso di umiltà e, pensando all’unica altra tappa a cui poteva guardare, avvertiva di non esserne affatto interessato.
Non aspirava al papato, e potrebbe sembrare strano per chi aveva percorso le vie del potere con una notevole accelerazione. Il solo immaginarlo lo riempiva di umorismo, quasi si trovasse davanti a un paradosso, a una ipotesi irreale del tipo «se domani il sole non sorgesse», pensabile certo, ma senza alcuna probabilità di accadere.
Indossare l’abito bianco da sommo pontefice, proprio non avrebbe potuto farlo. «Piuttosto mi ammazzo», sentì dire dentro la sua testa.
Un’espressione non in sintonia con la figura di un eminentissimo cardinale.
Stava scoprendo che già indossare l’abito cardinalizio era altra cosa rispetto a quello da arcivescovo, figuriamoci nascondersi dentro il bianco di Sua santità.
Si era spostato dai palazzi vescovili della città di san Zeno, a Roma. Alloggiava ora presso il monastero della Misericordia che si trova dentro la Città del Vaticano nei pressi del Sacro Collegio per la fede.
L’appartamento era vicino a quello dei suoi due segretari, entrambi monsignori, che si era portato da Verona.
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Le monache avevano deciso di conservare gli abiti che adesso non metteva più, quelli vescovili, perché pensavano che se fosse stato eletto papa avrebbero acquistato un valore enorme, non solo in nomine Dei ma anche al mercato delle reliquie, che è di questo mondo.
Ogni «Sua santità» alla morte viene accolto in cielo e dunque può fare miracoli. E se si è a contatto con qualcosa che gli è appartenuto, ottenere una grazia è certamente più facile.
Indumenti che potevano valere una fortuna, certo non come una costola o una mandibola o un dente... nel suo caso, poi, ci sarebbero stati tutti poiché sua eminenza, consapevole che l’uomo è tabernacolo del Signore, aveva dato la propria bocca in mano ai migliori odontoiatri.
Insomma anche gli abiti avrebbero fatto battere al Sotheby’s dello Spirito cifre dell’altro mondo.
Il cardinale non poteva dire alle suore che non sarebbe mai arrivato papa e che il solo pensiero gli incuteva paura e ilarità. Una simile affermazione sarebbe stata l’indice di una modestia che già odorava di santità.
Erano veramente straordinarie quelle suorine, come le chiamava con affetto. Minute, silenziose, si muovevano attorno a lui con una leggerezza e una riservatezza angeliche.
Non alzavano mai lo sguardo fino a guardarlo in viso, come se non ne fossero degne.
Non appena avevano le mani libere, le tenevano giunte in segno di devozione. C’erano anche due novizie: un segno speciale se si pensa che in quei tempi, mala tempora, le vocazioni erano rarissime. Erano doni del Signore per il cardinale. Tutte dedicavano la loro vita al servizio dei principi della Chiesa ed era come se anticipassero il loro compito eterno, quello di servire Dio, fino a confondersi con lui, parte della stessa luce meravigliosa.
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Nel cardinale vedevano già Dio, una icona del Signore, una sua immagine.
Il papa in alcuni momenti era addirittura il Signore, svolgeva le stesse funzioni di verità, di decisione.
Ma un cardinale in pectore Dei è anche papa.
Non nutrivano alcuna invidia per le monache che si dedicavano al Cristo in terra, perché non esiste invidia tra i figli di Dio, tra quanti sono a conoscenza che tutto deriva da Lui, e che Lui è giustizia e bontà infinita, e quindi non si può che essere felici dello stato in cui ci si trova.
Si occupavano di preparare la cappella cardinalizia privata dove sua eminenza celebrava l’Eucarestia, ma si prendevano cura anche del suo corpo, e la vestizione era una maniera per decorarlo con i simboli propri dello spirito.
Il corpo è essenziale allo spirito: senza l’uno sulla terra non si esprime l’altro e dunque dedicandosi al corpo si opera per lo spirito e lo spirito, nella sua funzione umana, rende prezioso il corpo che le monache tenevano in non poca considerazione.
Nel guardaroba c’era tutto quanto serviva. A partire dalla santa mutanda. E non c’è affatto da provare pudore inverecondo di fronte a questo indumento, perché tutto ciò che Dio ha fatto è degno di ammirazione e di preghiera, compreso il santissimo deretano o il pube che, sia pure senza la funzione del generandi, manteneva la elevatio, segno di perfetta sintonia con la natura e con il principio del totus tuus.
Come sarebbe stato possibile un tale stato di grazia se solo una parte del corpo fosse stata svilita e non attiva?
E certo la mutanda andava confezionata tenendo conto di una elevatio secundum scripturas, e Salomone era a questo proposito un esempio, anche se irraggiungibile.
Era rossa, di un rosso cardinalizio, luminoso ma discreto; veniva confezionata dalla sartoria del Vaticano, in una delle sue sezioni specializzate.
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Le misure per realizzarla erano prese dalle monache, di pertinenza della superiora, coadiuvata dalle consorelle che così facevano esperienza e salivano in grazia.
Insieme dividevano l’emozione, come quando ci si trova di fronte a un’apparizione del Signore che può sopraffare i sensi e portare all’estasi.
La superiora aveva suggerito alle sorelle di non tenere gli occhi chiusi dal momento che tutto in un prelato di quella levatura è opera dello Spirito, e ciò che Dio compie è bene anche se l’uomo e una monaca, aggiunse, dovessero pensare al male.
Ora però ogni indumento era già confezionato, e tutti nell’insieme riempivano trentatré comparti del guardaroba, quanti erano gli anni di Cristo.
La vestizione era una cerimonia sacra, come se lo spirito venisse preparato a mostrarsi al mondo nel grande progetto della universalità della Chiesa, dell’unum sint.
Non c’era nulla che non rientrasse in questa missione e quindi ogni più piccola opera pro sanctissima ecclesia, assumeva un significato sacro.
Il cardinale aveva sofferto in passato di doloretti allo stomaco e, prima il padre spirituale poi il medico, gli avevano diagnosticato una iniziale forma di ulcera duodenale che avrebbe beneficiato di una panciera in cotone elasticizzato. E da allora l’eminenza non l’aveva più tolta perché gli era parso che desse un vero lenimento, anche se certo non attribuiva l’effetto a un pezzo di stoffa per quanto perfettamente confezionato dalle monache, ma all’intervento diretto della Madonna.
Indossava una maglia di cotone di Scozia leggero che gli aveva tolto una sensazione di fastidioso prurito, che certo non si coniugava al suo corpo che, da cardinale, era ancora più vicino allo spirito e quindi più lontano dai sensi.
Per la tonaca le monache erano molto esigenti perché volevano che il loro cardinale fosse bello, perfetto; e guardavano che le pieghe fossero collocate al posto giusto come se si dovesse inserire la sua immagine in una tela d’altare di Giovanni Bellini.
Era puro spirito anche nel corpo, e proprio per questa equazione di verità, tenevano gli occhi aperti anche sulla nudità di sua eminenza. Una visione dello Spirito che assume corpo per rendersi riconoscibile nel mondo, per la infelice condizione dell’uomo che non è ancora pura essenza, come quando raggiungerà la casa del Padre.
Il cardinale era molto delicato di piedi e le consorelle davano a quella parte un significato particolare perché sapevano che proprio dai piedi era partito il passaggio dalla bestia, quadrupede, alla ominazione, bipide, e sui piedi erano poste le basi alla divinizzazione della specie umana che sola guarda al cielo.
E facevano riferimento alla famosa enciclica di papa Callisto V: De pedibus cardinalibus seu de digitatione animae.
Secondo dottrina, i santi piedi andavano lavati con aromi di giglio, poi asciugati con i capelli delle novizie che ancora non avevano sacrificato la chioma alla nudità del capo; quindi accolte le dita, uno a uno, in bocca, venivano ciucciate come aveva fatto la Maddalena per il Cristo e che, proprio per questo, è stata innalzata dal Signore tra le sanctae sanctorum.
Le calze venivano confezionate con seta pura di Canton, prodotta da bachi benedetti nella sede apostolica. Erano rosse in perfetta sintonia con il colore della tonaca.
Grazie alla sacra mutanda, alla maglia, alla panciera e alle calze, il cardinale passava dalla bianca nudità a questo primo incartamento che sembrava fatto per un Natale del tutto speciale.
Era magro e alto e anche attraverso questo dono, mostrava tutta la dignità e il carisma della fede.
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Le monache lo guardavano provando una grande gioia, gli giravano attorno attente a che tutti gli indumenti si adeguassero a quel corpo perfetto. La superiora poi si preoccupava che la mutanda non entrasse intra glutea, perché sapeva che dava un fastidio notevole e imponeva movimenti che non avevano nulla della santità: anzi erano da attribuire sempre al demonio.
Le monache amavano molto la vestizione del mattino e anche la spoliazione della sera.
Provavano la strana sensazione all’inizio di vestire un uomo – e il cardinale era totus homo – che progressivamente diventava donna, e questo, come stava scritto nella enciclica di Callisto, era il segno che un uomo di Dio è tutto: homo et foemina. Uomo e donna, come se si combinassero i due princìpi che nella creazione si erano separati, in attesa che tutte le creature attraverso la Chiesa si unissero, indistinguibili al Padre: non più l’analisi ma la sintesi, e tutto si farà Dio. Da Dio all’uomo e dall’uomo a Dio, nella chiusura del cerchio che è l’espressione simbolica del Dio-tutto. La storia del creato, la dispiegazione di Dio, che si riassume ancora nell’unità.
La superiora quando ammirava la tonaca cardinalizia pensava alla propria ma ne percepiva la differenza, come tra il nulla e l’essere, tra il peccato e la virtù.
A sua eminenza piaceva nascondere sotto un’ampia veste tutto il corpo, era come renderlo segreto nel mistero.
Simile in questo a una monaca che poi lo chiude dentro la cella, espressione materiale del proprio mondo. Una cella dentro il monastero, all’interno della Città del Vaticano, attorniata di mura altissime: il muro torto che nessuno può varcare, perché nessun uomo che abbia senno può pensare di profanare il Signore Iddio, il creatore di ogni cosa e persino di chi ora si dimostra suo nemico.
La monaca ama nascondere e nascondersi, celare il corpo con tutta la sua vitalità, pieno di passione per il Signore. Tutto in una monaca è secretum, anche il nome. Una regola antica che fa del monachesimo qualcosa che non si vede, che non c’è per il mondo: tutto è per Dio e in nome di Dio.
Il cardinale era chiamato a mostrarsi e allora quella veste doveva essere ancora più bella, e il rosso cardinalizio era un portento, e la mantellina, che il cardinale amava molto, era un tocco di grande moda: la bellezza del sacro.
Non si potevano dimenticare le scarpe.
Un termine che suonava stonato per un capolavoro che si diceva avessero ispirato gli arcangeli.
Rosse, di pelle di agnello – agnus dèi – sacrificato a soli sette giorni di vita, prima ancora di aver defecato.
Una pelle lavorata da vergini, che la leccavano benevolmente come fa una mamma col figlio appena nato, come segno d’amore.
Portavano sopra un pompon rosso, lavorato dalle mani delle suore di santa Chiara, che lo creavano recitando il Cantico delle creature di Francesco, ispirate alla natura.
Quando il cardinale indossava le sacre babbucce, le monache sentivano una stretta al cuore perché sapevano che stava per uscire, che il loro compito era terminato e che il prelato si sarebbe dedicato alle cose della Chiesa, e dunque a compiti di altissimo prestigio.
Alla Chiesa, alla sanctissima ecclesia, il Signore aveva dato il proprio potere sulla terra. La volontà di Dio affidata a santi uomini, al papa in primis ma poi alla schiera dei suoi cardinali.
Quando lasciavano sua eminenza, sentivano forte la tristezza e si ritiravano a pregare nella cappella in cui il prelato celebrava la Santa messa.
Non era facile concentrarsi sulla vita di Cristo, il modello della loro vita terrena, perché pensavano al cardinale, alla eventualità che si potesse scombinare quell’insieme perfetto. Immaginavano il momento in cui avrebbe dovuto liberare le scorie umane, sia pure sotto forma di sante feci, e sapevano che l’ordine che loro indegnamente avevano contribuito a disegnare, si sarebbe alterato. Soffrivano nel pensarlo mentre avrebbe dovuto alzare quella gonna che lambiva perfettamente il pompon, pur senza celarlo, per raccogliersi in preghiera. In ginocchio mostrava ai fedeli le suole di quelle scarpette che esse lustravano, con una lena che sembrava quella di un falegname che rifinisce con amore un inginocchiatoio pontificio, alitandovi sopra e poi di tanto in tanto palpandolo per essere certo della levigatezza.
Il loro desiderio sarebbe stato di seguire sempre sua eminenza e di intervenire e dunque assisterlo nella sacra minzione e nella subtilis defecatio, definita da papa Callisto minus quam merdam hominis.
Speravano e pregavano affinché il cardinale potesse resistere fino al momento del ritorno nel monastero, dove si sarebbero prese cura direttamente di ogni evento.
Una monaca da un lato e una dall’altro, alzavano la tonaca; la superiora piegava un poco la panciera e poi calava la mutanda mentre il prelato si sedeva sul water, fatto su disegno di un domenicano ispirato dal Signore, e mentre defecava le suore in ginocchio e con gli occhi chiusi intonavano un santo rosario. In rapporto alle necessità del corpo, poteva bastare un mistero gaudioso o doloroso a seconda del sorriso o della smorfia del prelato.
Talvolta cantavano il Veni creator Spiritus che aveva una funzione miracolosa.
E con una sincronia che sapeva di balletto angelico, mentre il cardinale si alzava, le sorelle che tenevano alta la tonaca, si giravano di mezzo arco di cielo e terminato il movimento, egli si curvava e una suora gentile passava un panno caldo sul sacro anulus, più volte.
Quando il profumo della santità emanava nella sua purezza, la superiora rimetteva a posto la mutanda e sua eminenza si poneva dritto, mentre veniva intonato il Laudamus Te.
«Dio del cielo fa che il corpo del nostro cardinale rimanga per sempre nelle nostre mani e concedici la grazia di servirlo avendo in m...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il cardinale