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L’amore negato
Era il 21 settembre 2001 e il mondo dell’informazione era concentrato sul crollo delle torri gemelle, l’apocalisse del nostro secolo. Davanti a ogni schermo televisivo si levavano le urla silenziose di chi, attonito, continuava a guardare centinaia di uomini gettarsi nel vuoto per non morire bruciati. Una caduta libera, lentissima, surreale verso il baratro del nulla.
Forse anche Chiara, poco prima che la sua vita finisse in brandelli, se ne stava da sola a fissare quelle immagini. Ma la sua morte, che sarebbe arrivata di lì a poco, non fu certo opera dell’integralismo islamico.
L’articolo di cronaca locale che avevo strappato dal giornale parlava di una tragedia privata riassunta in un trafiletto di qualche riga: Chiara Mantovani, quattordicenne figlia di un noto cardiochirurgo veronese, si era tolta la vita impiccandosi.
La ragazza se n’era andata in punta di piedi, senza dire nulla a nessuno. Aveva lasciato solo poche parole scritte a matita su un fogliettino: «Ora, mamma, lasciami in pace. Chiudo con questa menzogna con cui mi hai cresciuta».
Il nome Mantovani mi ricordava qualcosa. Rilessi il breve articolo e lentamente cominciai a collegare. Chiara era la figlia del medico che avevo assistito alcuni anni prima in una causa di separazione assai complicata. Il mio cliente era stato accusato dalla moglie di aver abusato sessualmente della figlia e anche se le accuse, frutto di una fantasia squilibrata della donna, si erano rivelate subito infondate, avevano segnato in modo indelebile la vita di Chiara.
Mi ero occupata di quel caso almeno otto anni prima e Chiara nel frattempo doveva essere diventata una ragazza intenta a rincorrere i suoi sogni di adolescente. Invece le bugie del passato erano crollate sulla sua giovane vita ancora impreparata a reggerne il peso.
Eppure la tragedia era nell’aria da tempo… anzi annunciata, se solo si fossero percepiti i segnali del disagio che stava crescendo nella sua testa, ormai imprigionata dall’amore di quella madre che non voleva condividerla con nessuno. Tanto meno con il marito da cui aveva divorziato e che si era ricostruito una nuova vita con una donna giovane da cui aveva avuto due bambine.
Chiara non aveva conosciuto le sue sorelline, non le aveva mai incontrate, addirittura le aveva odiate. Non era forse per colpa loro che il suo papà non aveva avuto più tempo per lei? Non era per quella nuova famiglia che lei e la sua mamma erano state umiliate? Non era stato per quella ventenne che suo padre se n’era andato via, abbandonandola?
Forse Chiara aveva sognato molte volte un papà tutto per sé. Un papà dolce e affettuoso, innamorato di sua figlia. Aveva magari immaginato di passare una vacanza con lui e rimanergli abbracciata per ore.
Tutte fantasie… i fatti l’avevano invece convinta di non essere desiderata e di non esserlo mai stata. Come se non bastasse c’era stata anche sua madre a ricordarglielo, giorno dopo giorno, come un rosario.
Arrivai in studio in ritardo e bagnata fradicia.
L’umore era pessimo per via dell’udienza a cui ero stata in una piccola cittadina alle porte di Milano. Doveva trattarsi di un semplice giuramento per rinnovare una consulenza psicologica in una delicata causa di separazione dove si discuteva l’affidamento dei figli, ma come al solito era andata per le lunghe.
Il giudice della causa era anche il presidente di quel tribunale. Lui si sentiva un talentuoso «uomo di giustizia», ma io non lo consideravo affatto un genio. Supponente quanto basta per essere sordo a ogni richiamo alla ragionevolezza emotiva prima ancora di quella giuridica.
Era stato trasferito lì dopo avere trascorso la sua brillante carriera a Milano, occupandosi delle più importanti vicende giudiziarie degli anni precedenti. Di separazioni e divorzi, però, non capiva nulla, così come non capiva nulla di diritto processuale civile. Ma, soprattutto, reputava questo genere di cause poco più che bagatelle di quart’ordine che non meritavano il suo impegno e la sua attenzione.
La sua mentalità di ultra settantenne per di più non contemplava il concetto di allontanare una madre dai figli, anche se questa era affetta da una grave patologia.
Proprio come nel caso che stavamo trattando.
Il vestito blu, datato e impolverato, gli dava un’aria ancora più trasandata di quella che rimandava la faccia rotonda, solcata da rughe interrotte dai postumi dell’acne giovanile. L’espressione del volto era pressoché assente e la testa attirava l’attenzione perché pelata in alcuni punti, là dove non aveva attecchito il trapianto di capelli. Nemmeno gli occhiali, piccoli e appoggiati sulla punta del naso, riuscivano a dargli un’aria intelligente.
I rapporti con lui erano sempre sul filo del rasoio anche perché nutriva una palpabile antipatia nei confronti degli avvocati donna che si prendevano la libertà di contraddirlo.
Ed era esattamente il mio caso.
D’altronde non poteva certo essere l’ottusità di un giudice a impedirmi di portare avanti le istanze del mio cliente, il quale denunciava, forte e chiaro, la pericolosità di una madre che aveva già tentato di compiere atti molto gravi a causa di una malattia nervosa che l’aveva colpita dopo la nascita del secondo figlio.
Alle otto e trenta precise di quella mattina si era scatenata un’accesa discussione tra me e il presidente perché lui si rifiutava di far effettuare al consulente una valutazione delle figure genitoriali prima di dare il via libera alle visite della madre che in precedenza era stata dichiarata molto pericolosa.
Dopo oltre un’ora di dibattito ero riuscita ad averla vinta e a tornare in studio affrontando una tangenziale intasata dal traffico e dalla pioggia battente.
Planai nella mia stanza e salutai il nuovo cliente mentre mi accomodavo alla scrivania. Mi scusai per il ritardo e cominciai a fare le domande di rito per capire di cosa dovevo occuparmi.
Il signor Mantovani era un medico e lavorava come cardiochirurgo in un centro ospedaliero d’eccellenza di Milano. Era sposato con una neuropsichiatra infantile da cui si stava separando, non a causa della sua relazione extraconiugale, ma per l’incompatibilità caratteriale di cui la coppia soffriva da tempo. Aveva una figlia di sei anni, Chiara, che non riusciva più a vedere liberamente da quando se n’era andato di casa.
«Non sono uno che corre dietro a ogni gonna che gli passa davanti, ci tenevo alla mia famiglia e quando mi sono sposato non avrei mai immaginato di dover affrontare una separazione… soprattutto con una figlia così piccola che adoro» disse fra le prime cose.
Mentre parlava lo osservavo attentamente. Era un bell’uomo sulla quarantina che aveva appena cominciato ad assaporare il piacere di una buona posizione professionale. La sua storia mi sembrava uguale a tante altre che avevo già sentito.
“Il solito cliché, bello… di successo… e ora si sente legittimato a buttare tutto all’aria per la giovane segretaria… e dice pure di voler bene alla figlia” pensai.
«Allora, invece di rivolgersi a un avvocato, avrebbe fatto meglio a riflettere sulle conseguenze della sua scelta» esordii, provocandolo.
«Avvocato, la prego, non mi fraintenda! È vero che mi sono innamorato di una ragazza giovane, ma la mia relazione non c’entra con la separazione, che è l’epilogo di anni e anni d’inferno» rispose.
«E in cosa sarebbe consistito il suo inferno coniugale?» domandai banalmente, gesticolando con la matita in mano.
A quella domanda il dottor Mantovani rispose con un racconto dettagliato. Lui e la moglie si erano conosciuti all’università, dove frequentavano lo stesso corso di neurologia. Avevano cominciato a uscire insieme, si erano fidanzati e dopo poco erano andati a vivere in una casa della famiglia di lei. I primi due anni erano stati molto appassionati e ricchi di traguardi. Si erano sposati ed entrambi si erano laureati scegliendo ognuno la propria specializzazione.
Quando tutto sembrava andare per il meglio, qualcosa era cambiato. Lei voleva avere dei figli ma non riusciva a rimanere incinta. Dagli esami era risultato che aveva una grave forma di endometriosi. Avevano fatto seguito cure ormonali pesanti e interventi che avevano minato il loro rapporto. Lei era diventata sempre più cattiva ed egoista ed era pignola su qualsiasi cosa, interferiva su ogni questione e lo trattava come un cretino. Era arrivata a imporgli di non vedere più gli amici che avevano avuto dei figli. Voleva sempre avere ragione su tutto.
Nello stesso periodo aveva cominciato a uscire da sola con le sue amiche, o almeno era quanto gli faceva credere, finché un giorno aveva confessato di essersi innamorata del suo istruttore di tennis. La sua cattiveria aveva superato ogni limite quando era arrivata a telefonargli mentre faceva sesso con il suo amante di turno. Era per fargli capire come farla eccitare a letto, gli aveva spiegato una volta rientrata a casa. Era stata quella la goccia che aveva fatto traboccare il vaso e che lo aveva spinto a fare le valigie e ad andarsene.
«Andai a vivere a casa di un amico e fu allora che conobbi la mia attuale compagna, aveva vent’anni e lavorava come segretaria nello studio medico dove facevo visite private, con lei cominciai ad avere nuovamente una vita normale e a sentirmi amato» spiegò Mantovani.
«E com’è nata Chiara?» chiesi sempre più curiosa.
Il racconto si fece concitato.
Non appena la moglie era venuta a sapere della nuova fidanzata era impazzita di gelosia. Un giorno si era presentata nello studio medico e, dopo aver insultato la giovane segretaria, gli aveva fatto una scenata, gli si era gettata ai piedi scongiurandolo di tornare con lei. Lo aveva implorato di darle un’altra occasione e gli aveva sventolato sotto il naso due biglietti aerei per un weekend a Istanbul. E lui aveva ceduto. Del resto quella donna era ancora sua moglie e forse ne era ancora innamorato.
Il viaggio era stato un disastro e l’ennesima prova che quella donna aveva seri problemi psichici. Dopo una notte di sesso, la mattina aveva ricominciato ad aggredirlo e insultarlo.
«Per caso era anche violenta?» azzardai, come se volessi piccarmi di avere qualche competenza psicologica.
«Sì, quando le dissi che al rientro non mi avrebbe mai più rivisto mi sputò addosso e mi graffiò in faccia minacciandomi in tutti i modi. Giurò a se stessa che mi avrebbe rovinato la vita» rispose.
Smise di parlare, ma dalla sua espressione si capiva che con la mente continuava a ripercorrere gli eventi. Ah, se solo si fosse potuto tornare indietro nel tempo e fermare gli attimi che avrebbero deciso la sua vita e quella di Chiara!
Era passato un mese e sua moglie aveva cominciato a tempestarlo di telefonate. Voleva assolutamente incontrarlo. Un giorno se l’era ritrovata fuori dallo studio medico. Era molto elegante e aveva uno strano sorriso. Gli si era avvicinata e gli aveva porto una busta con un biglietto. Quando si era allontanata, lui l’aveva aperta e aveva letto il contenuto: «Avremo un figlio».
Così era nata Chiara.
Tre mesi prima del parto, lui era tornato a casa e vi era rimasto per quattro anni. Poi se ne era andato definitivamente perché non poteva più stare con quella donna. In tutti quegli anni aveva continuato a frequentare la sua giovane amante e, poco a poco, si era innamorato della sua semplicità e della sua pazienza. Era un amore sano, e aveva deciso che poteva essere la donna della sua vita.
«Sono quindi due anni che ha lasciato sua moglie… Ma lei la vede sua figlia?» chiesi osservando un crescente nervosismo.
«No, la posso vedere solo se accompagnata da persone di fiducia di mia moglie» rispose.
Si strinse nelle spalle e abbassò gli occhi.
«Forza, mi dica quello che è successo con Chiara» lo spronai.
Trascorsero interminabili minuti pieni d’imbarazzo e poi ricominciò.
Mi spiegò che, per non turbare la bambina, quando se n’era andato di casa aveva deciso di attenersi alle decisioni arbitrarie della moglie. Ma se all’inizio poteva stare con la piccola a weekend alternati e in brevissimi momenti della settimana, con il trascorrere del tempo succedeva sempre qualcosa – un malanno, un contrattempo, un litigio – che impediva i loro incontri.
Riusciva a incontrare sua figlia solo dalla nonna materna che gliela faceva vedere di nascosto.
«Scusi sa, ma proprio non capisco come lei abbia potuto aspettare così tanto senza reagire» gli dissi.
«Sarei venuto anche prima, ma mia moglie ne ha combinata un’altra delle sue.»
Mi raccontò che sei mesi prima si era deciso a chiedere ...