Storie di gatti
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Storie di gatti

  1. 144 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Storie di gatti

Informazioni su questo libro

Una bella raccolta di vita felina che si intreccia randagia e casalinga sulle colline del Nord Yorkshire. Il Sole-24 Ore 'I gatti hanno sempre avuto una parte di primo piano nella mia vita, quand'ero ragazzo a Glasgow, poi nell'esercizio della professione di veterinario, e ora che sono in pensione, eccoli lì a illuminare i miei giorni. Sono stati una delle ragioni per cui ho scelto la mia carriera: la loro grazia ed eleganza innate me li rendevano cari.' James Herriot Una lettura piacevolissima alla scoperta del mondo di questi felini sornioni e imprevedibili tanto amati dall'autore.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817202480
eBook ISBN
9788858627563

INTRODUZIONE

I gatti hanno sempre avuto una parte di primo piano nella mia vita, prima quand’ero ragazzo a Glasgow, poi nell’esercizio della professione di veterinario, e ora che sono in pensione, eccoli ancora lì a illuminare i miei giorni. Sono stati una delle ragioni principali per cui ho scelto la mia carriera. Da ragazzino, ai tempi della scuola, il mio mondo animale era dominato da uno splendido setter irlandese, Don, col quale me ne andai a zonzo sulle alture scozzesi per quasi quattordici anni, ma quando tornavo da quei vagabondaggi c’erano sempre i miei gatti ad accogliermi, inarcando il dorso attorno alle gambe, facendo le fusa e sfregando il muso sulle mie mani.
Non c’è mai stato un periodo in cui in casa nostra non ci fossero parecchi gatti, e tutti quanti avevano un fascino particolare. La loro grazia ed eleganza innate e il loro affetto profondamente sensibile me li rendevano cari, e non vedevo l’ora di imparare tutto su di loro alla facoltà di veterinaria. La loro giocosa allegria, inoltre, era per me fonte di costante divertimento. Ricordo una gatta, in particolare, si chiamava Topsy, che era l’istigatrice di molti giochi, passando e ripassando di sbieco a passo di danza davanti a Don con gli orecchi ritti, finché il setter non ce la faceva più e le si avventava contro, dando inevitabilmente inizio a un prolungato incontro di lotta libera.
Di tanto in tanto, quando i gatti non stavano bene, facevamo venire il veterinario locale, e io ero solito osservarlo con stupore reverenziale come uno che aveva studiato le specie animali intimamente e conosceva ogni osso, nervo e tendine dei loro corpi.
Rimasi di stucco quando mi iscrissi all’università e constatai che non v’era traccia d’interesse per i miei diletti felini. Tra i miei libri di testo v’era un enorme tomo intitolato Sisson’s Anatomy of Domeslic Animals. Ci voleva un uomo robusto per toglierlo dallo scaffale, e portarselo attorno era già una fatica improba. Lo sfogliai avidamente. Le pagine erano illustrate con gli organi interni del cavallo, del bue, della pecora, del maiale e del cane, in quest’ ordine preciso. Il cane vi figurava a stento, ma non riuscii a trovare un solo gatto. Infine consultai l’indice. Non c’era nulla alla lettera "g", gatto, e pensai: "Ah, ma certo, sarà sotto la ‘f’, felino, ma ancora una volta la mia ricerca risultò vana, e fui costretto a concludere, con tristezza, che i miei poveri amici dalla soffice pelliccia non erano neppure citati.
Non riuscivo a crederci. Pensai alle migliaia di vecchi e di invalidi costretti in casa, che traevano gioia, consolazione e amicizia dai loro gatti. Erano gli unici animali domestici che potevano tenere. Che ne pensavano i miei colleghi? Il fatto puro e semplice era che non si erano aggiornati. La Sisson’s Anatomy era stata pubblicata nel 1910 e aveva avuto varie ristampe fino al 1930, e fu su quell’edizione, l’ultima, che mi applicai da studente. Ho spesso avuto modo di dichiarare che, sebbene abbia consacrato la mia vita professionale alla cura di animali di grossa taglia, in origine la mia ambizione era quella di occuparmi di cani e gatti. Ma mi laureai nel periodo della Grande Depressione degli anni Trenta, quando era difficile trovare lavoro, e finii a trascinarmi in stivaloni per le Dales dello Yorkshire settentrionale. Lo feci per oltre cinquant’anni e ne amai ogni attimo, ma all’inizio pensai che i miei gatti mi sarebbero mancati.
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Mi sbagliavo. C’erano gatti ovunque. Ogni fattoria aveva i suoi mici. Tenevano lontani i topi e vivevano liberi e indipendenti in quei luoghi rurali. I gatti sono veri intenditori in fatto di comodità, e quando esaminavo una vacca mi capitava spesso di trovare una bella nidiata di micini assieme alla madre nella rastrelliera del foraggio. Si vedevano gatti raggomitolati tra le balle di paglia o stesi beatamente al sole in un angolino, perché amano il calore, e nei giorni più rigidi dell’inverno il cofano tiepido della mia macchina esercitava su di loro un’irresistibile attrazione. Non appena mi fermavo su un’aia, un paio di gatti si acciambellava sull’auto. Vi sono contadini realmente amanti dei gatti, al di fuori dell’utilità della loro presenza; e in quelle fattorie mi capitava di incontrare decine delle piccole creature che si godevano quell’inaspettata gratificazione, e quando me ne andavo ogni centimetro del metallo surriscaldato era coperto da un arabesco di impronte lasciate dalle zampine inzaccherate. L’arabesco si asciugava subito, e siccome non avevo né il tempo né la voglia di lavare la macchina, vi rimaneva a mo’ di decorazione semipermanente.
In occasione del mio giro quotidiano di visite nella nostra cittadina di provincia, m’imbattevo in molti esempi di vecchi rintanati nelle loro casupole con un gatto accanto al focolare o raggomitolato in grembo. Era una compagnia che faceva un’enorme differenza nelle loro vite.
Eppure il nostro sistema scolastico li ignorava. Ciò accadeva più di cinquant’anni fa, e già allora le cose cominciavano a cambiare. Si iniziava a includere i gatti nelle lezioni alle facoltà di veterinaria, e io mettevo alla prova il cervello degli studenti che venivano a vedere come svolgevamo il nostro lavoro, e in seguito, via via che la clientela aumentava, feci la stessa cosa con i giovani assistenti che arrivavano traboccanti di nuove nozioni. Inoltre, articoli sui gatti cominciarono ad apparire nei periodici specializzati, e io li leggevo avidamente.
La cosa proseguì per i cinquant’anni e passa della mia carriera di veterinario, e ora che sono in pensione ed è tutto finito, ripenso spesso al passato e ai cambiamenti che si sono verificati da allora. Il riconoscimento dei gatti è stato, naturalmente, solo una piccola parte della grande rivoluzione che ha trasformato la mia professione; la virtuale scomparsa del cavallo da lavoro nelle campagne, l’avvento degli antibiotici che hanno spazzato via i farmaci quasi medievali che dovevo prescrivere, i nuovi metodi chirurgici, i meravigliosi vaccini preventivi che via via hanno fatto la loro apparizione: tutte queste cose sono come un sogno che si è avverato.
V’è chi sostiene che attualmente i gatti siano i più diffusi tra tutti gli animali domestici. Su di loro, grossi, prestigiosi libri vengono scritti da illustri veterinari e, in effetti, ve ne sono alcuni che si specializzano nella specie felina, con l’esclusione di tutte le altre.
Di fronte alla scrivania alla quale siedo, c’è una lunga fila di vecchi libri di testo sui quali ho studiato in quei lontani giorni. C’è la Sisson’s Anatomy, più voluminosa che mai, e ci sono tutti gli altri libri nei quali non mi stanco di immergermi quando tento di ricordare qualcosa del passato o quando ho giusto voglia di farmi una bella risata; ma accanto a quelli, ci sono i bei volumi nuovi dedicati a un unico argomento: i gatti.
Ripenso, anche, alle strane opinioni che molta gente aveva su questi animali: erano creature egoiste incapaci di offrire l’amore disinteressato di un cane. Erano creature indipendenti e circospette che badavano solo al proprio interesse. Che sciocchezza! Mi sono sentito sfregare la faccia da musi di gatto e sfiorare la guancia da zampine con le unghie accuratamente ritratte. Queste, a parer mio, sono espressioni d’amore.
Nel momento in cui scrivo, non ho gatti, perché il nostro border terrier non ne approva la presenza e ama dar loro la caccia. Il cane, tuttavia, non spicca la corsa prima che lo facciano i gatti, perché sebbene sia disposto a battersi con i suoi simili, grossi o piccoli, sotto sotto con i mici ci va cauto. Se un gatto non si sposta, Bodie compie un’ampia deviazione per scansarlo. Ma quando Bodie dorme — la sua occupazione preferita, ora che ha tredici anni — ci sono i gatti dei vicini che vengono a trovarci. C’è un muretto che arriva all’altezza del petto davanti alla finestra della nostra cucina, e lì si riuniscono i vari felini per vedere che cos’abbiamo da offrire.
Teniamo svariate leccornie per loro e le mettiamo sul muretto, ma c’è uno splendido micione tigrato che ci è così affezionato da preferire le coccole al cibo. Ingaggio una vera battaglia con lui mentre rischia di farmi cadere di mano la scatola di biscottini nel tentativo di infilarmi il muso nel palmo, ronfando a più non posso. Spesso devo rinunciare a dargli da mangiare e concentrarmi sulle carezze, le grattatine e il solletico sotto il mento, che sono poi le cose che realmente vuole.
Giudico ragionevole l’opinione secondo cui, una volta in pensione, non si dovrebbe continuare a frequentare il proprio luogo di lavoro. Naturalmente, Skeldale House è ben più di questo per me; è un luogo che custodisce mille ricordi, dove ho condiviso i miei giorni da scapolo con Siegfried e Tristan, dove ho iniziato la mia vita coniugale, ho visto crescere i miei figli dalla prima infanzia in poi, e ho trascorso mezzo secolo di trionfi e disastri della carriera di veterinario. Ma ci vado solo per ritirare la posta e, nel contempo, a dare una sbirciatina per vedere come vanno le cose.
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Della clientela si occupano mio figlio Jimmy e i suoi splendidi, giovani colleghi. La settimana scorsa me ne stavo nell’ambulatorio a osservare il via vai di piccoli animali portati lì per essere visitati, sottoposti a intervento chirurgico, vaccinati, un via vai così diverso dai miei esordi, quando il nostro lavoro si svolgeva per il novanta per cento nelle campagne.
Distolsi l’attenzione da tutti quei pazienti pelosi per rivolgere la parola a Jimmy. «Qual è l’animale che vi capita più spesso di curare?» domandai.
Ci pensò un istante, prima di rispondere. «Probabilmente cani e gatti, alla pari, ma secondo me i gatti stanno prendendo il sopravvento.»
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1 . ALFRED

Il gatto del negozio di dolciumi

LA gola mi faceva un male da morire. Tre notti di fila in maniche di camicia a far nascere agnelli sulle alture spazzate dal vento mi avevano procurato un principio di raffreddore, e sentivo il bisogno urgente di un pacchetto di pasticche per la tosse di Geoff Hatfield. Una cura assai poco scientifica, forse, ma nutrivo una fiducia puerile in quelle potenti caramelline bianche che ti esplodevano in bocca, sprigionando un soffio di benefici vapori che si diffondevano nei canali bronchiali.
La bottega si trovava in fondo a un vicolo, quasi nascosta alla vista, ed era così piccina, poco più di un bugigattolo, che non c’era quasi posto per l’insegna, GEOFFREY HATFIELD, CONFETTIERE, sopra la vetrina. Però era piena di gente. Era sempre piena di gente, ed essendo quello giorno di mercato, era addirittura gremita.
La campanella tintinnò quando aprii la porta e m’intrufolai nella calca di signore locali e di mogli di contadini. Avrei dovuto attendere un po’, ma non mi dispiacque, perché la possibilità di osservare il signor Hatfield all’opera era uno dei piaceri della mia vita.
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Ero capitato lì al momento giusto, perché il proprietario era nel bel mezzo di uno dei suoi conflitti in merito alla scelta del prodotto. Mi dava le spalle e muoveva appena appena, su e giù, la testa leonina dai capelli d’argento sopra le spalle massicce, passando in rassegna gli alti vasi di vetro contenenti i suoi dolciumi, schierati contro la parete. Le mani, che teneva allacciate dietro la schiena, si contraevano e allentavano ripetutamente mentre combatteva la sua battaglia interiore, poi Geoff mosse alcuni passi decisi lungo la fila, scrutando intento i vasi, l’uno dopo l’altro. Mi colpì l’idea che Lord Nelson nell’atto di misurare a lunghi passi il cassero della Victory, domandandosi quale fosse la tattica migliore per affrontare il nemico, non avrebbe potuto manifestare una più prodigiosa concentrazione.
La tensione nel negozietto crebbe sensibilmente quando sollevò una mano, poi la ritrasse scuotendo la testa, ma un sospiro si alzò dalla piccola folla di signore allorché, con un solenne, definitivo cenno del capo e raddrizzando le spalle, l’uomo tese le braccia, afferrò un vaso e si girò di scatto verso la clientela. Il faccione da senatore romano era increspato da un benevolo sorriso.
«Allora, signora Moffat,» tuonò all’indirizzo di una corpulenta matrona, reggendo il contenitore di vetro con le mani, inclinandolo delicatamente con tutta la grazia e la deferenza di un commesso di Cartier che esibisca una collana di diamanti «mi domando se riuscirò a suscitare il suo interesse...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Storie di gatti