
- 400 pagine
- Italian
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L'agenda Icaro
Informazioni su questo libro
Masqat, sultanato dell'Oman. Un gruppo di terroristi palestinesi occupa l'ambasciata degli Stati Uniti. Se le loro richieste non verranno accolte tutti gli ostaggi saranno massacrati. Washington, Dipartimento di Stato. Evan Kendrick, oscuro uomo politico del Colorado, che conosce perfettamente il mondo arabo, si offre di collaborare come privato cittadino. La scadenza dell'ultimatum è imminente. I servizi segreti appaiono del tutto impotenti e Kendrick viene catapultato nel cupo microcosmo della follia terrorista. Ci si può veramente fidare di quest'uomo?
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Informazioni
Print ISBN
9788817113908eBook ISBN
9788858625897Dedica
A James Robert Ludlum
Benvenuto, amico
Con l’augurio di una vita meravigliosa
Benvenuto, amico
Con l’augurio di una vita meravigliosa
Prefazione
La figura si stagliò per un istante sulla soglia, poi si precipitò nella stanza priva di finestre. Chiuse subito la porta dietro di sé e, a tentoni, raggiunse un tavolo sulla sua sinistra. Accese la lampada d’ottone che c’era sopra e una luce fioca si diffuse, creando ombre mostruose sulle pareti a pannelli di quel piccolo locale arredato a studio, soffocante ma non privo di ornamenti. Gli oggetti d’arte non provenivano però né dall’antichità né dalle varie epoche della storia dell’arte. Rappresentavano invece la fase più avanzata dell’alta tecnologia contemporanea.
La parete sulla destra riluceva dei riflessi dell’acciaio inossidabile e il tranquillo ronzìo di un condizionatore d’aria aspirapolvere assicurava, oltreché la giusta temperatura, anche assoluta pulizia. L’uomo che era appena entrato si diresse davanti a un elaboratore di parole computerizzato. Non c’era nessun altro, in quella stanza. Girò una chiavetta. Lo schermo si accese. L’uomo batté i tasti di un codice. All’istante, comparve a lettere verdi la scritta:
Ultra Maximum Secure
Nessuna intercettazione
Procedete
Nessuna intercettazione
Procedete
L’uomo si chinò sulla tastiera e, con ansia febbrile, procedette a inserire nel computer i suoi dati.
Qui comincia il mio memorandum. Gli eventi che seguono muteranno, ne sono convinto, il destino di una Nazione. Un uomo è venuto apparentemente dal nulla, simile a un ignaro e ingenuo messia. Non ha idea della sua vocazione né del suo genio, né della sua sorte. Egli è destinato a cose che trascendono il suo intelletto. E, se le mie previsioni sono esatte, questo sarà il resoconto del suo viaggio. Come sia cominciato, posso solo immaginarlo. So per certo che all’inizio era il caos.
Libro Primo
dp n="10" folio="10" ? dp n="11" folio="11" ?Capitolo primo
Masqat, Oman, Asia di sud-ouest
Martedì 10 agosto, ore 18,30
Martedì 10 agosto, ore 18,30
Le acque agitate del Golfo di Oman erano solo un preludio della tempesta che, attraverso lo Stretto di Hormuz, si dirigeva verso il Mare Arabico. Era il tramonto e nell’aria stridevano le preghiere intonate, con accenti nasali, da barbuti muezzin dall’alto dei minareti che dominano la città e il porto di Masqat. Il cielo andava oscurandosi, invaso da nuvole temporalesche che vorticavano, sinistramente nere, contro il rossastro grigiore del vespro, come inquieti leviatani. I lampi squarciavano, sporadicamente, l’orizzonte orientale, sopra i Monti Makran e la città di Turbat, nel Pakistan distante 300 chilometri, oltre il mare. Verso nord, oltre il confine con l’Afghanistan, una guerra insensata e brutale proseguiva. Verso ovest infuriava un’altra guerra, ancor più folle, combattuta da ragazzini che venivano mandati al macello da un pazzo malato, deciso a diffondere la sua cancrena maligna dall’Iran al resto del mondo arabo. E infine c’era il Libano, dove si uccideva senza alcuna remora né contrizione, dove ogni fazione, invasata da furore religioso, considerava terroristi gli avversari quando tutti – senza eccezione – praticavano un barbaro terrorismo.
Il Medio Oriente era in fiamme. Le fiamme ruggivano più che mai in tutta l’Asia di sud-ovest. Laddove gli incendi venivano domati, non tardavano poi a divampare di nuovo. Mentre le acque del Golfo di Oman ribollivano furiose, sul far della sera, mentre il cielo si offuscava minacciando diluvio e rovina, le strade di Masqat, la capitale del piccolo Sultanato di Oman, non erano meno turbolente. Terminate le preghiere vespertine, ecco cortei di scalmanati, agitando torce fumose, urlando istericamente la loro protesta, convergere di nuovo verso i cancelli di ferro dell’Ambasciata americana. Oltre la cancellata, la facciata dell’edificio era illuminata a giorno da riflettori. Di guardia stavano pattuglie di ragazzini dai lunghi capelli scarmigliati che maldestramente impugnavano armi automatiche. Erano armi dispensatrici di morte ma essi, nel loro stralunato fanatismo, neppure erano capaci di stabilire un nesso fra questa e quelle – sebbene bastasse una lieve pressione sul grilletto – perché era loro stato detto che la morte non esiste, a dispetto di ciò che i loro occhi erano in grado di vedere. Era stata loro promessa una ricompensa per il martirio. Quanto è più doloroso il sacrificio, tanto è più fulgida la gloria del martire. E il dolore dei nemici non contava nulla. Cecità ! Pazzia!
Questa pazzia durava ormai da ventun giorni. Tanti infatti ne erano trascorsi da quando il mondo civile era stato costretto ad accettare la triste e assurda realtà della furia incoerente. La fanatica rivolta era scoppiata improvvisamente, a Masqat, da qualche focolaio imprecisato, e la ferocia si era in breve diffusa dappertutto. E nessuno sapeva perché. Nessuno, tranne alcuni osservatori, esperti nell’arte oscura dell’insurrezione pilotata: uomini e donne che incessantemente, giorno e notte, avevano analizzato gli eventi e studiato la situazione per individuare infine le radici di quella rivolta orchestrata. Difatti era questa la parola chiave. Rivolta orchestrata. Ma da chi? E perché? Che cosa vogliono realmente, costoro, e che cosa si può fare per fermarli?
Dati di fatto. Duecentoquarantasette americani erano stati prelevati, a mano armata, e presi in ostaggio. Di essi, undici erano stati già uccisi. I loro corpi erano stati gettati dalle finestre dell’Ambasciata. Ciascuno da una diversa finestra, con accompagnamento di vetri in frantumi. Qualcuno aveva consigliato a quei ragazzini di dare maggior risalto a ogni esecuzione, utilizzando il fattore sorpresa. Si facevano eccitate scommesse, fuori della cancellata. Gli scommettitori erano maniacalmente ipnotizzati dal sangue. Da quale finestra cadrà il prossimo? Sarà il cadavere di un uomo o di una donna? Quanto ci vuoi giocare? Scommettiamo!
Lassù in cima all’edificio, sul terrazzo, c’era una lussuosa piscina, schermata da un traliccio arabescato. Era intorno a quella piscina che gli ostaggi stavano in ginocchio, su diverse file, mentre gruppi di facinorosi, vagolando qua e là , li tenevano costantemente sotto tiro. Duecentotrentasei americani terrorizzati ed esausti, in attesa di venire barbaramente uccisi.
Pazzia pura!
Decisioni. Gli israeliani avevano offerto il loro aiuto, ma si era deciso di lasciarli fuori. Non era un’altra Entebbe, quella. Agli occhi degli arabi un intervento di Israele, dopo il sangue sparso in Libano, sarebbe equivalso a un abominio: ecco – avrebbero detto – gli americani assoldano terroristi per combattere il terrorismo. Era un’offerta inaccettabile. Inviare allora un drappello celere d’assalto? No: non sarebbe stato in grado di impedire il massacro – né dando la scalata all’edificio né scendendo con elicotteri sul terrazzo - dal momento che quei carnefici erano pronti a morire, a loro volta, da martiri. Oppure, il blocco navale? Con un battaglione di marines pronti a invadere l’Oman? A parte lo sfoggio di potenza, non avrebbe avuto alcun esito. Il Sultano e i suoi ministri erano gli ultimi, su questa terra, a volere quella violenza contro l’Ambasciata americana. La Polizia omanita, per natura paciosa, cercava di arginare l’isteria, ma non poteva tener testa alle selvagge, scorrazzanti bande di agitatori. Dopo anni di acquiescenza e quietismo non erano preparati a un simile caos. E richiamare il Regio Esercito dalle frontiere con lo Yemen avrebbe creato problemi insolubili. I soldati che pattugliavano il confine e davano la caccia ai guerriglieri erano tanto feroci quanto i loro avversari. Senza contare che, inevitabilmente, se fossero stati richiamati in città , ne sarebbero conseguite carneficine nelle zone di frontiera; quindi sarebbe scorso sangue a fiumi per le strade di Masqat, dove innocenti e colpevoli avrebbero seguito la stessa sorte.
Scacco matto.
Soluzioni. Cedere alle richieste dei rivoltosi? Impossibile. Se ne rendevano ben conto tutte le persone responsabili. Non così i loro fantocci, quei ragazzi che credevano negli slogan che intonavano a gran voce. Impossibile, cioè, che i vari governi d’Europa e del Medio Oriente scarcerassero oltre ottomila terroristi appartenenti a molteplici organizzazioni, dalle Brigate Rosse all’OLP, dalla Baader-Meinhof tedesca all’IRA, senza contare decine e decine di loro farneticanti, sordidi rampolli. Continuare a tollerare che giornalisti e telecamere tenessero inchiodata l’attenzione del mondo su quei fanatici assetati di pubblicità ? Perché no? La costante messa in mostra, se non altro, poteva evitare che altri ostaggi venissero uccisi. Difatti, le esecuzioni erano state "temporaneamente sospese" affinché i "Paesi oppressori" potessero ponderare le loro scelte. Il silenzio-stampa non avrebbe fatto che infiammare maggiormente i rivoltosi, avidi di martirio. Avrebbe creato il bisogno di scalpore. Ciò che fa scalpore fa notizia. E la morte violenta fa più sensazione di tutto.
Chi?
Che cosa?
In che modo?
Chi...? Era questa la domanda essenziale. E solo rispondendo a essa si sarebbe potuto arrivare a una soluzione. Soluzione che bisognava assolutamente trovare entro cinque giorni. Le esecuzioni erano state sospese per una settimana. E già due giorni erano trascorsi, durante i quali i più qualificati dirigenti dei Servizi Segreti di sei Paesi si erano, in tutta fretta, dati convegno a Londra. Una volta deciso il consulto, nel giro di poche ore, tutti erano giunti nella capitale inglese a bordo di aviogetti supersonici. Tutti erano disposti a collaborare, ben sapendo che la prossima volta poteva toccare a una loro ambasciata. Da qualche parte. Avevano quindi lavorato senza sosta per 48 ore filate. Risultato: i fatti dell’Oman restavano un enigma. Questo Sultanato era considerato, fino all’altro ieri, una roccaforte di stabilità , retto da governanti illuminati, simile a un regime democratico quanto la divina famiglia dell’Islam poteva permettere. I sovrani provenivano da una casata privilegiata la quale era evidentemente soddisfatta di quello che Allah le aveva elargito accettando, per diritto di nascita, non soltanto i privilegi ma anche le responsabilità a essi inerenti, nella seconda metà del XX secolo.
Conclusioni. L’insurrezione era stata programmata dall’esterno. Dei duecento e passa giovani esaltati, urlanti, scarmigliati, che avevano eseguito il colpo di mano, una ventina appena erano nativi dell’Oman. Quindi, i Servizi Segreti di tutto lo scacchiere mediorientale si erano messi, anch’essi, subito all’opera: avevano interpellato i loro informatori in seno a ogni fazione estremista, usando alternativamente lusinghe e minacce.
«Chi sono questi, Aziz? Che gente è? Ben pochi, fra loro, sono omaniti. E quei pochi, perlopiù deficienti. Allora, Aziz? Se parli, farai vita da nababbo, d’ora in poi. Prova a chiedere, su: quanto vuoi per cantare?»
«Ti do sei secondi di tempo, Mahmet! Poi la tua mano destra si stacca dal polso e cade in terra. Altri sei secondi, e, zac, tocca alla sinistra. Intesi? Ecco, incomincia il conto alla rovescia, se non parli. Sputa l’osso!» Sei, cinque, quattro... Sangue.
Niente. Zero. Pazzia pura.
Poi si aprì uno spiraglio. Grazie a un vecchio muezzin: un sant’ uomo le cui parole e la cui memoria erano malferme come malferma appariva la sua gracile carcassa sotto la sferza del vento che adesso infuriava da Hormuz.
«Non cercate dove sarebbe logico cercare. Guardate altrove.»
«Dove?»
«Là dove gli affanni non nascono dalla povertà e dalle privazioni. Cercate persone alle quali Allah ha profuso i suoi doni e il suo favore, in questo mondo; ma alle quali forse non darà nulla nel mondo di là .»
«Sii più chiaro, per favore, reverendo muezzin.»
«Allah non vuole una maggior chiarezza. Sia fatta la sua volontà . Forse Lui non parteggia per nessuno. Così sia.»
«Ma avrai certo un motivo, per dire ciò che dici.»
«Allah infatti me n’ha dato motivo. Sia fatta la Sua volontà .»
«Insomma, che cosa hai sentito?»
«Voci sommesse, negli angoli della moschea. Bisbigli che queste vecchie orecchie dovevano udire. Sono un po’ sordo e non li avrei sentiti se Allah non avesse voluto che li sentissi.»
«E cos’è che hai sentito?»
«Quei bisbigli parlano di coloro che trarranno beneficio da tanto spargimento di sangue.»
«Chi?»
«Non si fanno nomi, non vien menzionato nessun personaggio importante.»
«Alludono a un gruppo? A un’organizzazione? A una setta? A un Paese? A un popolo? Agli sciiti? Ai sauditi?... Agli iracheni? Agli iraniani?... Ai sovietici? Per favore!»
«No. Non si parla né di credenti né di infedeli. Soltanto di "loro".»
«Loro?»
«Questo è quanto io sento mormorare negli angoli bui della moschea, quello che Allah vuole che io senta... Sia fatta la Sua volontà . Si allude a "loro" e basta.»
«Sapresti identificare qualcuno di quelli che hai sentito?»
«Sono quasi cieco, e c’è sempre pochissima luce nella moschea. Fra tanti fedeli, sono pochi coloro che parlano. Non saprei identificarne nessuno. So soltanto che dovevo riferire ciò che ho sentito, poiché questo è il volere di Allah.»
«Perché mai, muezzin murderris? Perché è questo, il volere di Allah?»
«Lo spargimento di sangue deve cessare. Dice il Corano che quando viene versato sangue e, per giustificarlo, si adducono motivi passionali, tali passioni vanno esaminate, poiché la gioventù...»
«Lascia perdere. Manderemo un paio di uomini, con te, nella moschea. Fa’ un cenno, quando senti qualcosa!»
«Fra un mese, ya Shaikh. Sono infatti in procinto di intraprendere il mio ultimo pellegrinaggio alla Mecca. Tu fai, semplicemente, parte del mio viaggio. È il volere di...»
«Dannazione di Dio!»
«Il tuo Dio, ya Shaikh. Non il mio. Non il nostro.»
Capitolo secondo
Washington, D.C.
Mercoledì 11 agosto, ore 11,50
Mercoledì 11 agosto, ore 11,50
Il sole di mezzogiorno picchiava sulla capitale degli Stati Uniti. L’aria di mezz’agosto era afosa, oppressiva. I pedoni camminava...
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