I racconti della beccaccia
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I racconti della beccaccia

  1. 176 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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I racconti della beccaccia

Informazioni su questo libro

"Ciò che distingue particolarmente quest'opera è l'allegria, l'ironia divertente. Le novelle offrono tutte dei campioni assai diversi del buon umore beffardo dello scrittore. Solo due o tre danno all'insieme una nota drammatica" scrisse Maupassant stesso per la pubblicazione dei Racconti della Beccaccia, che proprio per questo saranno considerati a lungo solo un insieme di novelle un po' salaci, un po' spinte, dalle avventure licenziose e popolaresche. Ma non è sempre così, molti racconti sono pervasi da un sottile filo di angoscia, ci sono in alcune novelle immagini di una crudeltà e di una violenza che non si riesce a dimenticare, scene che nascono nella testa di un Maupassant già roso dal tarlo della malattia, fantasmi pronti a prendere consistenza, a vivere di vita propria.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817171588
eBook ISBN
9788858626764

INTRODUZIONE

Nel 1883, Guy de Maupassant firma con Edouard Rouveyre e G. Blond un contratto editoriale per una raccolta di racconti dal titolo Racconti della Beccaccia, in cui viene precisato che dovrà trattarsi di un volume delle stesse dimensioni di La Signorina Fifi, pubblicato da Victor Havard, ossia un’opera di circa trecento pagine. Inizialmente i Racconti della Beccaccia costituivano un manoscritto troppo succinto, motivo per cui l’autore aggiungerà ai racconti previsti in un primo tempo altre due novelle: Saint-Antoine e L’Avventura di Walter Schnaffs. Una costrizione felice, questa, grazie alla quale la guerra del 1870, nei confronti della quale Maupassant è decisamente inguaribile, troverà un posto nell’opera, completando così l’arsenale delle ossessioni proprie del «Mal passante». Il sesso, la morte, la guerra, la debolezza umana, e alcune immagini inquietanti venute dal più profondo che, agli occhi di chi sa leggere, iniziano a confessare l’inconfessabile: è questo il materiale che emerge su uno sfondo di pessimismo. I Racconti della Beccac-cia purtroppo non convinsero i critici, e la raccolta avrà bisogno di parecchio tempo per occupare il posto che le spetta nelle Opere complete dell’autore di Bel-Ami. Sembrano avere un tono troppo salace e non abbastanza patetico: un giudizio, se non falso, quanto meno limitato.
1883. Mentre i Racconti della Beccaccia escono presso Rouveyre, Una vita viene pubblicata da Havard: un anno fertile, apparentemente. Ma anche un anno carico di inquietudini. Maupassant è al pieno della sua gloria. È amatissimo dalla società parigina che annuncia già il suo ingresso nella scena della Belle Époque. Questo é quello che appare all’esterno. Nel suo intimo, lo scrittore è roso dal tarlo della malattia che lo porterà alla morte. Soffre. Gli occhi lo consumano. La dea nera della droga lo calma solo al prezzo delle prime allucinazioni. Nel 1877 si reca alle terme di Loèche. È un primo avvertimento. In questo 1883, a neanche trentatré anni, Maupassant fugge da Parigi quanto più gli è possibile. D’inverno è a Nizza dalla madre. Passa l’estate alla Guillette, una villa che si è fatto costruire nei pressi di Etretat, su un terreno che gli ha lasciato sua madre. Sta lì, in compagnia del suo fidato maggiordomo, François Tassart. Scrive. Non sa, non crede di essere così gravemente malato com’è in realtà. Nel 1889 suo fratello Hervé morirà nell’ospedale psichiatrico di Bron. Il primo gennaio 1892 lui stesso, Guy de Maupassant, tenterà di suicidarsi. Muore nella clinica del dottor Blanche il 6 luglio 1893.
All’epoca dei Racconti della Beccaccia, qualche cosa di simile alla felicità sembra ancora possibile. A Étretat, Maupassant ritrova un legame con la Normandia. Si inebria di aria pura. È sedotto dalla facilità di una vita semplice e gioiosa, in cui non mancano le battute un po’ grasse, le avventure un po’ spinte, una licenziosità di buona lega. Maupassant non è un intellettuale, e questo si percepisce anche dal suo stesso stile: carnoso, diretto, preciso senza durezza, si direbbe quasi fruttato. Il sapore delle cose gli importa più del dibattito delle idee. Non c’è nulla che lo spieghi meglio della recensione scritta dallo stesso Maupassant per l’uscita dei Racconti della Beccaccia. Ecco quanto si legge: «Ciò che distingue particolarmente quest’ultima opera dell’autore della Casa Tellier e di Una vita, è l’allegria, l’ironia divertente. Il primo racconto del libro, Quel porco di Morin, non può non prender posto accanto a Palla di sego. E le novelle che seguono offrono tutte dei campioni assai diversi del buon umore beffardo dello scrittore. Solo due o tre danno all’insieme una nota drammatica». Maupassant si sbaglia e, cosa più grave, spinge la stampa del tempo a sbagliarsi con lui: i Racconti della Beccaccia saranno considerati a lungo come un insieme spinto, capace al massimo di illustrare la vena rabelesiana e salace dell’autore. Quella vena esiste, nessuno può metterlo in dubbio: è stata definita «volgarità», una parola il cui senso, ahimè! è andato perduto. Ma per tornare all’etimologia, ciò che è vero è che i Racconti della Beccaccia appartengono al lato «popolare», continuamente al lavoro nel lavoro di Maupassant: qui le parole giocano a rincorrersi, certo, ma cosa c’è dentro? Una sorta di apertura in cui risiedono le ombre malvagie, i fantasmi futuri e, già, nel gorgoglio nervoso della scrittura, l’avvento del temibile «Doppio» che L’Horla smaschererà nel 1887. Il fantastico di Guy de Maupassant non è un fantastico categorico, ma un fantastico tremulo. Assomiglia alle nebbie che invadono la Normandia e i suoi paesaggi, al mattino presto. È insidioso, soffocato, e lo è tanto più in quanto fortemente vissuto. Leggendo i Racconti della Beccaccia ognuno lo vedrà all’opera, corrodere i margini, invadere il retro testo, far apparire in ciò che viene detto tutto quello che deriva dal non-detto, dall’ossessione, dal malessere. Non si è sottolineato abbastanza, in Maupassant, il posto di rilievo che occupano gli emarginati, quei passanti incerti che navigano fra le classi pericolose e le classi lavoratrici. Vedere in Maupassant il notaio esatto di una società, lo scrivano attento ai dati sociali, è giusto. Ma non bisognerebbe comunque ignorare, in Maupassant, il creatore di una «società» immaginaria, straziata da fantasmi, dilaniata. A partire da quel momento, il riso di Maupassant contiene, indirettamente, e a bassa voce, un ghigno che contamina ogni cosa. È questa la stagione di Étretat!
Nei Racconti della Beccaccia si afferma la separazione di Guy de Maupassant da se stesso. Alla Guillette, egli trova evidentemente un porto sicuro. Tutto quello che lo assilla, la droga, la sifilide, l’ereditarietà..., tutto questo finge di sparire nei bei giorni delle locande di paese. Ma è solo una finzione: la malattia corrode e lacera. I fantasmi diventano spettri, pronti a prender consistenza. Di fronte al Maupassant pieno di buona salute emerge lo spettro dell’altro Maupassant, l’escluso e in declino. Ride Ji quelle battute contadine, ma esse stesse si rivoltano contro di lui: allora, soffre. Si accanisce verso quel qualcosa che gli sfugge e che gli rivelano gli specchi: l’altro Maupassant, il pazzo. Pazzo? È stato pazzo del mondo, della bellezza delle donne, della divinità del mare e dei fiumi. È stato pazzo degli odori terrestri e della gustosa consistenza del quotidiano. Ma un’altra cosa emerge, brandendo una falce, ed è la morte. Le notti son percorse da incubi. I lupi urlano, ma sono i lupi del proprio intimo. Ecco perché i Racconti della Beccaccia hanno una tale importanza: essi segnano la separazione fra l’immaginario e il vissuto, fra la vita e la vita vera, fra il male (essere) e il bene (essere). Maupassant, qui, si riconosce, e si riconosce doppio. Questo esprime il suo testo, «letteralmente e in tutti i sensi». La paternità, ad esempio – e per prendere solo un esempio – eccola attraversare con tutta la sua inquietudine e la sua angoscia, i fogli dello scrittore Maupassant: bisogna farci attenzione. E la morte dei cani? Chi riesce a riderci? In effetti, ognuno dei racconti di questa raccolta dice due cose: un aneddoto e un’angoscia. Questo scrittore, idolatrato da tutta la Parigi bene, si colloca fra i «poeti maledetti»...
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Tutti i racconti ripresi nei Racconti della Beccaccia sono apparsi sostanzialmente in due giornali: il Gil Blas e Le Gaulois, dal 19 aprile 1882 all’11 aprile 1883. Al giorno d’oggi, in cui la stampa ha mutato così tanto il proprio volto, non si ha più la misura di ciò che essa era nel XIX secolo e fra un secolo e l’altro. Ma i romanzi di Anatole France, quelli di Emile Zola, quelli di Jules Vallès, sono apparsi inizialmente a puntate, in appendice. Nasceva così un tipo di scrittura che noi non conosciamo più. Un giornale pubblicava un romanzo spezzettato in parti regolari, certo! ma offriva ai suoi lettori uno o due racconti firmati da personaggi di rilievo: erano cinque o sei fogli, talvolta di più, che riempivano da una a tre colonne del giornale. Bisognava piegarsi a questa legge, obbedire a questa brevità, riconoscere quello spazio determinato. Maupassant, che era stato alla scuola di Gustave Flaubert, maestro esigente, scoprì nel giornale una formula ideale. Vi scoprì insomma un tono a sua misura. Altri hanno dovuto soccombere e non riuscirono a mantenere il ritmo di quelle cinque, fino a quindici cartelle settimanali. Maupassant sì. Era la corsa che più gli si addiceva; l’obbligo al quale doveva obbedire gli diede quella spigliatezza e quella libertà che fanno di lui uno dei più grandi «novellisti» del mondo. Il percorso di un romanzo, lo vediamo, è troppo vasto per lui. Egli non ama il dialogo, né la descrizione. Scrive in modo incisivo, graffiante. Due parole gli bastano a delineare un personaggio; tre per allestire una scena. Motivo per cui Maupassant fa «ri-apparire» alcuni racconti: se nel 1875 egli pubblica la Mano scorticata che è un’imitazione di Hoffmann, egli ritorna sul suo intento e dà alla stampa nel 1883 (l’anno dei Racconti della Beccaccia), La Mano, che è di ben altra risonanza. Ci sono venti o trenta esempi di questo tipo, ai quali bisogna aggiungere i temi ricorrenti: il cane, ad esempio. Nel 1881, Storia di un cane. Nel 1883, Mademoiselle Cocotte, o la cagna-vampiro. Lo stesso anno, nei Racconti della Beccaccia, la morte di un cane in una cava di marna: Pierrot. E, dovunque nei paraggi, una muta, un abbaiare disperato, come se si trattasse dei cani della follia!
La collaborazione ai giornali dell’epoca implica il rispetto di alcune convenzioni. Vale a dire: non si può dare affatto al Figaro un racconto che potrebbe pubblicare il Gil Blas, né a questi due un racconto che potrebbe accettare Le Gaulois. Il pubblico è diverso – ma soprattutto il colore politico di quelle riviste diverge: esse impongono, le une e le altre, uno stile. Maupassant, in questo caso, sarà un maestro del genere: nessuno più di lui è adatto a variare i colori del proprio inchiostro in funzione del Figaro o del Gil Blas, del Gaulois o del Journal. Un giorno si dovranno studiare da vicino i rapporti che si sono instaurati allora fra la stampa e l’arte della scrittura: si potrebbero avere delle belle sorprese!
Insomma, e limitandoci solo ai Racconti della Beccaccia, dobbiamo osservare che Le Gaulois è un giornale mondano con tendenze monarchiche, di vedute comunque abbastanza larghe per accettare Séverine, ma fermo sui principi dell’Ordine morale. Il Gil Blas invece si apre all’audacia: oggi si potrebbe parlare nei suoi riguardi di pornografia. È anche vero che Maupassant si sente più a suo agio nelle pagine del Gil Blas, per affinità naturale. Ma importa poco: egli dà dei testi a entrambi, poi li riunisce, li mette insieme, ne fa un libro. Bisognerebbe anche osservare che Maupassant, giornalista, presta un’attenzione piuttosto sdegnosa al «libro-oggetto». Il primo getto è quello buono: si lascia andare – e si trattiene. Quando il blocco di carta è sufficientemente pieno di inchiostro, egli pubblica una raccolta, dandogli un’unità fittizia, che è solo un pretesto. Come qui, nei Racconti della Beccaccia, in cui il fatto di riunire vari racconti è giustificato solo da un preambolo privo di convinzione!
È chiaro che la collaborazione ai giornali, attraverso i romanzi d’appendice, i racconti, le cronache, avvicina lo scrittore ai popolo dei lettori, lo isola meno di quanto non faccia il commercio della libreria. Questo è l’elemento privilegiato di Guy de Maupassant. Indubbiamente bisogna vedere qui una conseguenza indiretta degli insegnamenti di Gustave Flaubert, il padre ideale, che fu un censore terribile. Maupassant è entrato in letteratura tramite i veti di Flaubert. Ed è forse per questo che egli poté riuscire là dove altri fallirono e, letteralmente, si dispersero nelle esigenze della stampa! Maupassant è l’uomo della scrittura immeta: la durata non fa per lui. È l’uomo dello scatto, del balzo, delle brusche apparizioni. Questa fretta è sospetta: odora di morte. Viene in mente un film di Bunuel, Los Olvidados, in cui la morte aveva l’aspetto di un cane rognoso! Come fare a non pensarci, qui? La campagna della Normandia è fatta di una felicità divorata fino all’osso...
Per Maupassant, il momento della scrittura è anche il momento dei fantasmi. I suoi occhi, nel suo rifugio della Guillette, si riempiono già di sabbia o di sale. Egli copre già gli specchi, si immagina già. Ciò che a m...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Racconti della Beccaccia