Una piccola storia ignobile
eBook - ePub

Una piccola storia ignobile

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Una piccola storia ignobile

Informazioni su questo libro

I resti dell'avvelenata campagna intorno a Milano sono avvolti dal buio mentre Anna Pavesi, una psicologa trentottenne che tira avanti con qualche consulenza per una cooperativa, scava nella terra gelata. Cerca di venire a capo di un'indagine insolita che Benedetta Vitali, nome noto della Milano bene, le ha affidato qualche giorno prima per ricostruire gli ultimi mesi di vita di una sorellastra dimenticata per anni e poi ricomparsa tragicamente, uccisa da un'auto pirata su una strada di campagna. Anna non è una detective, ma è a corto di soldi e accetta l'incarico che la porterà in un labirinto di equivoci, emarginazione e ripensamenti, nella brutale normalità di una piccola storia ignobile.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Una piccola storia ignobile di Alessandro Perissinotto in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817016292
eBook ISBN
9788858626528
Da dove nasce la mia paura? Dal buio che mi circonda? Ma il buio è anche protezione, tranquillità. lo ho sempre amato il buio, l’ho sempre considerato come una situazione di pace. Da bambina passavo ore al buio, nella mia stanza, prima di addormentarmi, guardando il nero e raccontandomi storie in cui io ero la principessa, la sirenetta, la ragazza che salvava il principe dal drago in fondo alla grotta. Poi più avanti, da ragazzina, ho continuato con i sogni a occhi aperti, ma sogni più romantici, adattamenti personali di quello che, prima di spegnere la luce, avevo letto su qualche libro o su qualche giornale. Il buio no, il buio in sé non mi fa paura. Ripenso al mio desiderio di oscurità, al sollievo che mi dava il gesto di mia madre che, uscendo dalla mia camera dopo un frettoloso "Buonanotte", faceva scattare l’interruttore e chiudeva la porta.
E se non è il buio che cos’è che mi sta torcendo lo stomaco dal terrore? L’idea di un cadavere? Eppure di cadaveri ne ho visti tanti. Certe volte, quando lavoravo con i tossici, ne arrivavano certi che erano più morti dei morti. Gialli, gli occhi e le guance infossate, scheletriti tanto da potergli chiudere il braccio dentro la presa di una mano sola. Alcuni li tiravi fuori, altri, dopo qualche tempo, li vedevi all’obitorio, morti davvero, ma senza grandi differenze, se non per l’aria più serena che avevano in volto; la stessa aria serena che talvolta i genitori cercavano di nascondere venendo a riconoscerli alla fine dell’incubo.
Ma se non è una paura irrazionale quella che mi paralizza, allora cos’è? È timore giustificato, è ansia per il pericolo incombente. Perché dentro di me so che il pericolo è vicino, so che qualcuno minaccia la mia vita. Il rischio sono le prostitute; non loro, certo, ma l’uomo che le frequenta così assiduamente.
dp n="67" folio="67" ?

Giovedì 17 febbraio.

La voce un po’ metallica dell’ascensore annunciò: «Quinto piano, traumatologia». Le porte si aprirono e, non so se per fortuna o per sventura, la prima persona che mi trovai davanti fu il dottor Callegari, l’abbronzato. Era con un collega e chiacchierava, con aria molto professionale, di fronte al distributore del caffè. Camice bianco aperto, bicchiere di plastica in mano, i due sembravano ristorarsi dopo una lunga sequenza di interventi d’urgenza e formavano un quadretto che avrebbe potuto intitolarsi "Il riposo del guerriero".
Appena mi vide, Callegari si congedò dal collega e mi venne incontro. Mi tese la mano:
«Buongiorno signora Pavesi, posso esserle utile?».
«Veramente cercavo il dottor Maestri, il suo collega che aveva in carico Patrizia.»
«Era qui un minuto fa, ma credo che sia andato al settimo, in medicina generale, per un consulto.»
«Nel frattempo potrei chiedere informazioni sul funerale: mia cugina vorrebbe ovviamente farsi carico delle spese sostenute.»
«Allora le conviene parlare con la caposala. Venga, la accompagno.»
dp n="68" folio="68" ?
Mi condusse attraverso il corridoio. Dalle finestre entrava una luce lattiginosa che attribuii allo schermo delle impalcature che fasciavano dall’esterno l’edificio. Guardando meglio però mi accorsi che in quel punto le impalcature non c’erano: a filtrare i raggi del sole fino a sbiancarli era ancora una volta la nebbia, salita improvvisamente da chissà dove.
Arrivati al fondo aprì una porta a vetri e mi invitò a entrare in una sala piastrellata di bianco.
«Margherita» disse rivolgendosi a un donnone sui cinquant’anni, «la signora Pavesi è una parente di quella nostra paziente che è mancata in dicembre: Patrizia Vitali. Vorrebbe avere qualche chiarimento sul funerale perché la famiglia vorrebbe farsi carico delle spese, dico bene?»
«Certo» gli risposi, anche se le spese erano solo una scusa per parlare delle modalità con cui il tutto era avvenuto.
«Allora la lascio. Il dottor Maestri dovrebbe arrivare tra qualche minuto, se lo faccia indicare da Margherita, tanto credo che debba passare da qui.»
«Mille grazie e arrivederci.»
«A presto.»

Uscì e la caposala si affrettò a ragguagliarmi su quanto già sapevo:
«Il funerale è stato pagato dal signor Imperiale, il datore di lavoro della ragazza. Per quanto riguarda l’organizzazione è stato il dottor Maestri a occuparsene. È lui che aveva preso in carico la paziente e che l’aveva curata con un’attenzione...».
Si era fermata, come se si fosse lasciata sfuggire un’impressione personale che non meritava di essere resa pubblica. Ne approfittai per incalzarla con discrezione.
«Per il dottor Maestri era una paziente speciale?»
«È il dottore che è speciale per come tratta i pazienti. Sempre attento, sempre delicato. Per lui non sono malati, sono persone. Credo che vedendo la ragazza così, sola, senza nessuno che venisse a trovarla, be’, credo che l’abbia presa particolarmente a cuore. Questo non significa che facesse delle preferenze, intendiamoci.»
E in che modo avrebbe potuto fare preferenze verso una malata in stato vegetativo? Non poteva far altro che somministrarle farmaci e tenerla sotto controllo coi macchinari. A meno che il trattamento speciale non consistesse nella constatazione di decesso, nel qual caso io rinuncerei volentieri al privilegio. In ogni caso, il modo in cui l’infermiera aveva parlato di lui me lo dipingeva come il classico idolo del reparto. Per l’esperienza che avevo io degli ospedali, ogni reparto aveva il suo dottore adorato; di solito un giovane, di quelli di cui si dice che non faranno mai carriera perché sono troppo onesti, di quelli che fanno innamorare le infermiere con spiccato senso materno, anche se poi a portarsele a letto sono gli altri, quelli che sono tutto tranne che onesti.
«Purtroppo» riprese Margherita, «con la povera Patrizia non c’è stato niente da fare. Aveva una grave lesione alla colonna e un trauma cranico molto serio ed è quello che secondo il dottore le ha impedito di riprendersi.»
«Solo secondo il dottor Maestri?»
«Be’, il dottor Falco che le ha fatto la Tac, dice che l’ematoma non era così esteso da causare danni cerebrali, ma Maestri non è della stessa idea e credo che abbia ragione lui.»
Guai a toccare gli idoli, pensai.
E in quel momento l’idolo si materializzò in sala infermieri.
«Buongiorno dottore, questa signora è una parente di quella nostra paziente, Vitali, Vitali Patrizia...»
Il medico mi squadrò, con uno sguardo molto sospettoso:
«Credevo che non avesse alcun familiare».
«Sono una cugina di Benedetta Vitali, la sorellastra di Patrizia.»
dp n="70" folio="70" ?
Lui rimase in silenzio, perplesso.
Era giovane, tra i trenta e i trentacinque anni, ma notai che il suo sguardo, proprio come quello di Patrizia, lo faceva sembrare più vecchio, molto più vecchio. O forse erano gli occhiali con la montatura dorata, o la calvizie, quasi totale, o ancora il portamento curvo, con le spalle cadenti che gli si chiudevano sul petto esile. Solo la voce, per quanto non particolarmente gradevole, era in accordo con l’età.
«Ecco dottore, volevo sapere qualcosa di più circa il periodo che Patrizia ha trascorso qui in ospedale.»
«E cosa vuole sapere? Immagino che lei e sua cugina siate al corrente della dinamica dell’incidente e quanto al resto posso solo dirle che è rimasta in coma quasi una settimana, poi è morta a causa di un trauma cranico sul quale non è stato possibile intervenire. A meno che non voglia sapere i dettagli della diagnosi, della terapia e delle analisi. È medico lei?»
«No, sono psicologa.»
«Allora credo che la lettura della cartella clinica le risulterebbe un po’ ostica.»
Facevo fatica a credere che quell’uomo sgarbato fosse lo stesso che la caposala mi aveva descritto come un campione di delicatezza.
Malgrado il suo atteggiamento chiaramente ostile ripresi:
«Il dottor Callegari mi ha detto che il giorno stesso in cui è stata ricoverata, Patrizia ha ripreso conoscenza ed è stata cosciente fin verso le cinque del pomeriggio».
«È esatto. Io ero arrivato da circa un’ora quando si è svegliata. Le abbiamo chiesto se ricordasse qualcosa, ma non è riuscita a dire niente. Poi si è addormentata ed è tornata nel coma dal quale non si è più ripresa. Ho firmato io stesso il certificato di morte.»
Sembrava ci tenesse a quel particolare.
«La caposala mi stava dicendo che si è occupato lei del funerale e per questo volevo ringraziarla a nome di Benedetta.»
«Si figuri. Forse Margherita le ha anche detto che il funerale è stato pagato da...»
«Sì, mi ha detto tutto, ma ci tenevo a esprimerle il nostro ringraziamento per quello che ha fatto.»
«Ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque nella mia situazione. Non parliamone più.»
E invece io dovevo proprio parlarne. Giocai un’altra carta:
«Adesso che Benedetta è venuta a conoscenza della tragica fine di sua sorella, vorrebbe far traslare il corpo nella tomba di famiglia».
Maestri ebbe uno scatto, un moto di stizza che interpretai come un gesto di disappunto per quell’attenzione tardiva nei confronti di una persona che meritava di più prima: difficilmente gli idoli sanno essere comprensivi.
«Non vedo in che modo la cosa mi riguardi. Io mi occupo dei vivi.»
"Anch’io" avrei voluto rispondergli, di solito anch’io mi occupo dei vivi. Ancora una volta però tenni a bada la voglia di mandarlo a quel paese:
«Gliene parlo perché non conosco nessuna impresa di onoranze funebri in questa zona e allora pensavo che potremmo servirci della stessa che lei ha contattato per il funerale. Se lei fosse così gentile da fornirmi il recapito...».
Si voltò verso l’infermiera che, pur fingendosi occupata a sistemare alcuni medicinali in un armadietto, doveva aver ascoltato attentamente la nostra conversazione.
«Margherita, lei ricorda chi abbiamo chiamato per il funerale?»
«Non so dottore, aveva fatto tutto lei.»
«Sì, ma le fatture e i documenti vari dovrebbero essere qui. Cerchi un po’, per cortesia, così possiamo dare alla signora... »
«Pavesi.»
dp n="72" folio="72" ?
«Così possiamo dare alla signora Pavesi quello che le serve.»
«Va bene dottore» replicò la donna sempre adorante.
«Ora devo proprio andare, come le ho detto, io dedico il mio tempo ai vivi, e di tempo non ce n’è mai abbastanza.»
Mi strinse la mano come se afferrasse un pezzo di legno, o una scopa; poi uscì richiudendosi la porta alle spalle.
L’infermiera prese a frugare nei cassetti e nei classificatori, buttando su una scrivania fascicoli, moduli e cartelle cliniche. Di tanto in tanto si fermava su un foglio, borbottava qualcosa e poi lo gettava tra gli altri.
Dopo una decina di minuti in cui non aveva pronunciato parole al di fuori dei suoi borbottii confusi, la caposala si diede per vinta.
«Ecco» mi disse porgendomi un foglietto giallo scritto a penna, «questo promemoria è tutto quello che mi rimane dell’intera faccenda. Sopra c’è il nome e il numero di telefono di quelli delle pompe funebri. Fatture e altri documenti io non ne ho, se le servono...»
«Non si preoccupi, questo mi basta e avanza.»
«Meno male.»
«Grazie mille. Arrivederci.»
«Buona giornata» mi disse lei scomparendo di nuovo tra i fogli e le cartelle da rimettere a posto.
Nel corridoio incontrai nuovamente il dottor Callegari e mi chiesi se trascorresse più tempo lì che con i malati.
«Allora?» mi chiese l’abbronzato. «Ha trovato quello che cercava?»
«Direi di sì.» Poi mi avvicinai di più e abbassai la voce: «Anche se il suo collega Maestri non è proprio un simpaticone».
«Devo ammettere che la simpatia non è il suo forte. Però ha tante virtù. Se crede, posso tentare di rivalutare l’immagine del personale ospedaliero invitandola a pranzo.»
dp n="73" folio="73" ?
Non so perché accettai, di solito le persone così mi indisponevano. Mi irritava la loro sicurezza, la loro battuta pronta, la loro rapidità nel trasformare qualsiasi situazione in un’occasione propizia. Non so perché accettai; forse perché ne avevo bisogno.
Mi portò in una trattoria, un po’ fuori Magenta. Ci andammo col suo fuoristrada, grigio metallizzato, e appena fui a bordo non potei impedirmi di chiedergli:
«È un Porsche Cayenne?».
Sorrise divertito; forse la ascoltava anche lui quella trasmissione dove deridevano i proprietari del Cayenne:
«No, è un Bmw X5 e io non sono di Cantù, sto in centro, a Milano».
La ascoltava anche lui.

Il ristorante era davvero carino. Niente arredi pacchiani in stile finto rustico, niente ruote di carro appese a mo’ di lampadario, niente mezze botti piene di bottiglie dozzinali; solo tavoli di legno con sopra tovaglie di carta grezza, come quella nella quale un tempo avvolgevano i grissini, e, su tre delle quattro pareti della sala, altrettante credenze che assomigliavano a quella che io avevo in cucina, quella della mia bisnonna.
«Junghiana o freudiana?»
Almeno il suo modo di rompere il ghiaccio non era banale.
«Freudiana di formazione, ma di psicoterapia ne faccio poca, quasi niente. Lavoro soprattutto con le cooperative di educazione territoriale. Adesso mi occupo in prevalenza di minori, quindi dimenticati il lettino, i pazienti che raccontano i loro sogni e tutto il gergo psicanalitico.»
«Lavori a Milano?»
«A Bergamo. Abito lì. Ma non ho ancora un contratto stabile, mi sono trasferita solo da qualche mese.»
Erano dieci i mesi, quasi un anno, ma mi sembrava ancora un breve periodo, una situazione provvisoria. Dentro di me era come se mi rifiutassi di accettare quella come la mia nuova città e non perché Bergamo non mi piacesse, anzi. È che...
«Prima dove abitavi?»
«A Torino.»
«Ah, bella città. Interessante, viva. Come mai hai cambiato?»
Quanti secondi ci erano voluti per arrivare alla domanda cruciale? Quaranta, cinquanta al massimo. Dire la verità o trovare la scusa della mamma anziana da seguire? Ma perché nel ventunesimo secolo una donna doveva sentirsi ancora così in difficoltà nel pronunciare quella parola?
«Separazione. Mi sono separata da mio marito e siccome si era liberato l’appartamento che era stato di mia nonna ci sono venuta ad abitare. Sai, con quello che costano oggi gli affitti...»
«Berghem de ura o berghem de ota?» mi chiese imitando malamente l’accento bergamasco.
«De ura. Bergamo Alta» risposi con un certo orgoglio.
«Hai fatto bene.»
«A trasferirmi o a separarmi?» replicai credendo che fosse il mio turno di metter...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Dedica
  4. Epigrafe
  5. Lunedì 14 febbraio, San Valentino, festa degli innamorati.
  6. Martedì 15 febbraio.
  7. Mercoledì 16 febbraio.
  8. Giovedì 17 febbraio.
  9. Sabato 19 febbraio.
  10. Domenica 20 febbraio.
  11. Martedì 22 febbraio.
  12. Mercoledì 23 febbraio.
  13. Giovedì 24 febbraio.
  14. Venerdì 25 febbraio.
  15. Ringraziamenti