Racconti
eBook - ePub

Racconti

  1. 1,180 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Francia, fine Ottocento. Parigi e la provincia, la nobiltà in declino e la gretta, avida borghesia, la bohème degli artisti e l'umile esistenza popolare descritta fin nei più sordidi dettagli. Piccole prostitute capaci di inattesi eroismi, amori infelici e legami spezzati, la guerra, l'inettitudine della classe media: temi, personaggi e ambienti, ritratti a volte con ironia, altre con leggerezza, altre ancora invece con grande drammaticità da Guy de Maupassant per comporre l'immagine di un Paese decadente, immobile, di una borghesia piatta e mediocre, condannata a sopportare la realtà senza viverla. "La casa Tellier", "I racconti della beccaccia", "La signorina Fifì", "Le sorelle Rondoli", "Yvette", "Miss Harriet", "Chiar di luna", "Toine", "Racconti del giorno e della notte", "Il signor Parent", ovvero le principali raccolte di racconti, sono qui proposte nella elegante traduzione di Oreste del Buono.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817023375
eBook ISBN
9788858626771

IL SIGNOR PARENT

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IL SIGNOR PARENT

I

Il piccolo Georges, a quattro gambe in mezzo al viale, stava facendo montagne di sabbia. La raccoglieva con le due mani, l’alzava a piramide, poi vi piantava in cima una foglia di ippocastano.
Il padre, su una panchina di ferro, lo contemplava con un’attenzione concentrata e amorevole; nel piccolo giardino pubblico pieno di gente vedeva solo lui.
Lungo tutto il viale curvo che passa davanti alla fontana e alla chiesa della Trinità per ritornare indietro, dopo aver circondato l’aiuola, altri bambini erano ugualmente intenti ai loro giochi da giovani bestiole, mentre le bambinaie indifferenti guardavano in aria coi loro occhi ebeti, o le madri conversavano fitto non smettendo di sorvegliare con gli occhi la marmaglia.
Alcune balie passeggiavano a due a due, assorte, trascinandosi dietro i nastri sgargianti delle cuffie, e portando in braccio bianchi fagotti avvolti in merletti; le bambine, in vestine corte e a gambe nude, tenevano seriosi colloqui tra due corse con il cerchio, e il guardiano del giardino, in divisa verde, si aggirava tra quella popolazione di mocciosi, facendo continue deviazioni per non demolire costruzioni di sabbia, per non calpestare piccole mani, per non disturbare il lavoro da formiche di quelle graziose larve umane.
Il sole stava per scomparire dietro ai tetti della rue Saint-Lazare e lanciava i suoi lunghi raggi obliqui su quella folla di monelli agghindati. Gli ippocastani s’illuminavano di riflessi gialli, e le tre cascate, davanti all’alto portale della chiesa, parevano di liquido argento.
Il signor Parent guardava il figlio carponi tra la polvere: ne seguiva i minimi gesti con amore, pareva mandare baci con un’increspatura delle labbra a ogni mossa di Georges.
Ma, alzando gli occhi sull’orologio del campanile, constatò di essere in ritardo di cinque minuti. Allora si alzò, prese il piccolo per un braccio, gli scosse la polvere dall’abitino, gli asciugò le mani e lo trascinò verso la rue Blanche. Affrettava il passo per non rincasare dopo la moglie; e il monello trotterellava per mantenersi al suo fianco, ma non riusciva neppure a stargli dietro. Il padre allora lo prese in braccio, accelerò ancora il passo; ormai ansimava per la fatica risalendo il marciapiedi inclinato. Era un uomo di quarant’anni, già grigio di capelli, lievemente pingue, che portava con aria inquieta un bel ventre da uomo gioviale che gli avvenimenti hanno reso timido.
Aveva sposato alcuni anni prima una giovane donna teneramente amata che lo trattava adesso con una durezza e un’autorità da despota onnipotente. Lo rimproverava continuamente per tutto quel che faceva e per quel che non faceva, gli rinfacciava con acredine i minimi gesti, le sue abitudini, i suoi piaceri semplici, i suoi gusti, i suoi atteggiamenti, le sue mosse, la misura dei suoi fianchi e il suono placido della sua voce.
Lui tuttavia l’amava ancora, ma amava soprattutto il bambino avuto da lei, Georges, che aveva ora tre anni, ed era diventato la più grande gioia e la più grande preoccupazione del suo cuore. Aveva una modesta rendita che gli permetteva di vivere senza lavorare con i suoi ventimila franchi; la moglie, sposata senza dote, era incessantemente indignata dall’inattività del marito.
Raggiunse finalmente la sua casa, depose il bimbo sul primo gradino delle scale, si asciugò la fronte e cominciò a salire.
Al secondo piano, suonò.
Una vecchia domestica che lo aveva allevato, una di quelle serve padrone che sono i tiranni delle famiglie, venne ad aprire; e lui chiese ansioso:
«La signora è rientrata?».
La domestica alzò le spalle:
«Da quando il signore ha mai visto la signora rientrare alle sei e mezza?».
Lui rispose con tono imbarazzato:
«Va bene, meglio così, avrò il tempo di cambiarmi, perché sono tutto sudato».
La serva lo guardava con una pietà irritata e sprezzante. Brontolò:
«Oh, lo vedo, il signore è proprio fradicio; il signore ha corso; forse ha anche portato in braccio il piccolo; e tutto questo per aspettare la signora sino alle sette e mezza. A me invece non mi pigliano, adesso, a essere pronta all’ora esatta. Preparo la cena per le otto, io, e se si deve aspettare, pazienza, un arrosto non deve finir bruciato!».
Il signor Parent fingeva di non sentire. Mormorò:
«Va bene, va bene. Bisogna lavare le mani a Georges, che ha fatto le forme di sabbia. Io vado a cambiarmi. Raccomanda alla cameriera di pulire bene il bambino».
E si diresse verso la sua camera. Appena entrato, chiuse il catenaccio per stare solo, proprio solo, assolutamente solo. Si era talmente abituato, ormai, a venir malmenato e maltrattato che si riteneva al sicuro solo con la protezione di una serratura. Non osava neppure più pensare, riflettere, ragionare con se stesso, se non si sentiva garantito da un giro di chiave contro sguardi e supposizioni. Si lasciò cadere su una sedia per riposare un poco prima di indossare la biancheria pulita, e pensò che Julie cominciava a diventare un pericolo nuovo in casa. Julie odiava sua moglie, era chiaro, e odiava soprattutto il suo compagno Paul Limousin, restato, cosa rara, amico intimo e familiare, dopo essere stato inseparabile compagno d’infanzia. Era Limousin che serviva da olio e da tampone tra Henriette e lui, era lui che lo difendeva persino animosamente, persino severamente contro i rimproveri immeritati, contro le scene moleste, contro tutte le miserie quotidiane dell’esistenza.
Ma ecco che, da quasi sei mesi, Julie si permetteva continuamente osservazioni e apprezzamenti malevoli sulla padrona. La giudicava ogni momento, e dichiarava venti volte al giorno: «Se io fossi il signore, non mi lascerei certo menare così per il naso. Insomma, insomma... Ecco... Ognuno secondo la sua natura».
Un giorno anzi era stata persino insolente con Henriette, che si era limitata a dire, la sera, al marito: «Sai, alla prima levata di testa di quella donna io la sbatto fuori». Tuttavia, lei che non temeva nulla, pareva nutrire una certa apprensione nei riguardi della vecchia serva; e Parent attribuiva tale mansuetudine a una certa considerazione per la donna che lo aveva allevato e che aveva chiuso gli occhi a sua madre.
Ma era finita, le cose non si potevano trascinare più a lungo; e lui aveva paura di quello che poteva accadere. Cosa doveva fare? Licenziare Julie gli appariva una decisione tanto pericolosa che non osava neppure pensarci. Darle ragione contro la moglie era ugualmente impossibile; più passava il tempo, più la situazione sarebbe diventata insostenibile tra le due donne.
Se ne stava seduto, le braccia penzoloni, cercando vagamente il modo di conciliare ogni cosa, ma non trovava nulla. Allora mormorò: «Per fortuna c’è Georges... Senza di lui sarei proprio infelice».
Poi gli venne l’idea di consultare Limousin, e si decise, ma subito il ricordo dell’inimicizia nata tra la donna e il suo amico gli fece temere che costui gli consigliasse di cacciarla; si trovò di nuovo perduto nelle sue angosce e nelle sue incertezze.
L’orologio a pendolo suonò le sette. Sussultò. Le sette, e non si era ancora cambiato! Allora, sgomento, ansante, si spogliò, si lavò, indossò una camicia bianca e si rivestì precipitosamente, come se qualcuno l’aspettasse nella stanza accanto per un avvenimento d’estrema importanza.
Poi entrò nella sala, felice di non avere più nulla da temere.
Dette un’occhiata al giornale, andò a guardare la strada, tornò a sedersi sul divano; ma si aprì una porta ed entrò il figlio, pulito, pettinato, sorridente. Parent lo prese tra le braccia e lo baciò con passione. Prima sui capelli, poi sugli occhi, sulle gote, sulla bocca, sulle mani. Poi lo fece saltare in aria, alzandolo verso il soffitto con tutte e due le mani. Infine sedette, stanco per lo sforzo compiuto, e mettendo Georges a calvalcioni sul ginocchio lo fece rimbalzare giocando a cavalluccio.
Il bimbo rideva di gioia, agitava le braccia, gettava grida felici, e anche il padre rideva e gridava di contentezza, scuotendo il suo pancione, si divertiva più del bambino. Lo amava con tutto il suo buon cuore di uomo debole, rassegnato, avvilito. Lo amava con folli slanci, appassionate carezze, con tutta la timida tenerezza nascosta in lui, la tenerezza che non aveva mai potuto esprimersi, espandersi, neppure nelle prime ore dopo il matrimonio, poiché la moglie si era sempre mostrata fredda e riservata.
Julie comparve sulla porta, con la faccia pallida, l’occhio lucido, e annunciò con voce tremante d’esasperazione:
«Sono le sette e mezza, signore».
Parent dette un’occhiata preoccupata e rassegnata alla pendola, e mormorò:
«Infatti, sono le sette e mezza».
«Ecco, la cena è pronta, adesso.»
Intuendo la tempesta, lui cercò di allontanarla:
«Ma non mi avevi detto, quando sono rientrato, che l’avresti preparata solo per le otto?»
«Per le otto!... Non lo pensate, certo! Non vorrete mica far mangiare il piccolo alle otto, adesso. Si dice così, perdio, è un modo di parlare, ma sarebbe rovinare lo stomaco del piccolo, farlo mangiare alle otto! Oh! se fosse qui la madre! Se ne preoccupa molto, del figlio! Ah, sì! Diciamolo pure: che madre! Fa pena vedere madri simili.»
Parent, tutto fremente d’angoscia, sentì che bisognava fermare di colpo la scena incombente.
«Julie» disse «non ti permetto di parlare così della tua padrona! Hai capito, vero? e non dimenticarlo più per l’avvenire.»
La vecchia domestica, senza fiato dallo stupore, girò i tacchi e uscì tirandosi dietro la porta con tanta violenza che tutti i cristalli del lampadario tintinnarono. Per alcuni attimi fu come un leggero e vago suono di campanelline invisibili che volteggiò nell’aria silenziosa del salotto.
Georges, dapprima stupito, si mise a battere le mani di gioia, e gonfiando le gote, fece un grosso “bum!” con tutta la forza dei suoi polmoni per imitare la porta che sbatteva. Allora il padre prese a raccontargli delle favole; ma la sua mente preoccupata gli faceva continuamente perdere il filo del racconto, e il piccolo, che non capiva più nulla, spalancava gli occhi stupiti.
Parent non riusciva a staccare gli occhi dall’orologio. Gli pareva di vedere il moto della lancetta. Avrebbe voluto fermare l’ora, immobilizzare il tempo sino al ritorno della moglie. Non che rimproverasse Henriette del ritardo, ma aveva paura, paura di lei e di Julie, paura di tutto quanto poteva accadere. Dieci minuti di più sarebbero bastati per provocare un’irreparabile catastrofe, spiegazioni, violenze che lui non osava neppure immaginare. Il solo pensiero della lite, dello scoppio di voci, delle ingiurie lanciate nell’aria come proiettili da due donne che si fronteggiano, che si fissano negli occhi, che si coprono d’insulti, gli faceva battere il cuore, gli inaridiva la gola come una marcia in pieno sole, lo rendeva molle e floscio come un cencio, tanto molle che non aveva neppure più la forza di sollevare il bambino e di farlo saltellare sul ginocchio.
Suonarono le otto; la porta si aprì di nuovo e ricomparve Julie. Non aveva più l’aria esasperata, ma era tutta decisione, cattiva e fredda, ancor più temibile.
«Signore» disse «ho servito vostra madre sino al suo ultimo giorno, ho allevato voi dalla nascita sino a oggi! Credo si possa dire che sono devota alla famiglia...»
Aspettava una risposta.
Parent balbettò:
«Ma sì, ma sì, cara Julie».
Lei riprese:
«Sapete bene che non ho mai fatto nulla per denaro, per interesse mio, ma sempre per interesse vostro; che non vi ho mai ingannato né mentito, che non avete mai avuto rimproveri da rivolgermi...».
«Ma sì, ma sì, cara Julie...»
«Ebbene, signore, non può andare avanti così. È per amicizia verso di voi che non dicevo nulla, che vi lasciavo nell’ignoranza; ma adesso si esagera, e la gente ride troppo di voi nel quartiere. Voi farete quel che volete, ma tutti lo sanno, bisogna che ve lo dica infine, anche se non mi piace proprio fare la spia. Se la signora rincasa a ore impossibili, è perché fa cose abominevoli.»
Lui era restato sbalordito, sgomento: non capiva, e riuscì solo a balbettare:
«Taci... sai che ti ho proibito...».
Ma lei gli tolse la parola con una risoluzione irresistibile.
«No, signore, bisogna che vi dica tutto, adesso. Da molto tempo la signora v’inganna con il signor Limousin. Io li ho visti più di venti volte baciarsi dietro le porte. Oh, via, se il signor Limousin fosse stato ricco, la signora non avrebbe certo sposato il signor...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. MAUPASSANT O IL GIOCO DELLE MASCHERE
  4. CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE
  5. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
  6. LA CASA TELLIER
  7. LA SIGNORINA FIFÌ
  8. RACCONTI DELLA BECCACCIA
  9. CHIAR DI LUNA
  10. LE SORELLE RONDOLI
  11. YVETTE
  12. MISS HARRIET
  13. TOINE
  14. RACCONTI DEL GIORNO E DELLA NOTTE
  15. IL SIGNOR PARENT