Il lato luminoso
eBook - ePub

Il lato luminoso

  1. 245 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il lato luminoso

Informazioni su questo libro

Manhattan, tre vite si incrociano nel mondo dorato della upper class, scintillante e immobile come le opulente vetrine di Madison Avenue, dove ognuno affonda nelle sabbie mobili dell'apparenza. Maria è una giornalista del "New York Times", cresciuta in una famiglia importante ma gelida, con il cuore corroso da un dolore che non sa nominare. Mark, potentissimo e adulato direttore di un celebre museo, in gioventù ha infranto ogni regola e ha celebrato col sesso l'arroganza della sua bellezza, ma ora, solo e malato, deve fronteggiare la sua nuda essenza. Binky è l'anziana paziente di una clinica di lusso che si è lasciata distruggere dalla propria bellezza, dai demoni neri che abitano certe famiglie impeccabili. Tre vite che si sfiorano nella città seguendo misteriosi rimandi. Finché, un giorno, con una sola, semplice mossa, il destino le salda, cambiandole per sempre.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817027410
eBook ISBN
9788858626641

Maria

Prenderà un taxi. Non è stanca, ma lo prenderà. Conta mentalmente i blocchi che la separano da casa: quindici, sono solo quindici. Se andasse a piedi, potrebbe imboccare la Amsterdam con tutti suoi odori, con le facce indiane filippine arabe rasta immobili sui marciapiedi vicino ai ristoranti alla moda che espongono accanto al menù il ritaglio della Guida Zagat che li riguarda, con le coppiette che si baciano attraverso i piccoli tavoli ancora sistemati all’aperto, nel mite tepore della più dolce delle stagioni, la più corta (e se fosse questo? se la felicità fosse uno struggimento intenerito, l’incantevole baluginio di un sole tiepido e breve?) oppure scendere per la Broadway, perforare con la sua traiettoria di freccia la carne viva di New York e magari fare un salto da Fairway’s a comprare un sacchetto di piccole mele verdi, acidule e dure, le mele che preferisce.
No: non è possibile.
Prenderà un taxi.
Deve solo decidere dove intende gettare la sua esca: sulla Columbus? Su Central Park West? Sono quasi le cinque e le probabilità che le riesca conquistare un taxi sono quasi zero. Non è una brava cacciatrice, neanche di taxi. Tende a restare ferma dove si trova nel momento in cui prende la decisione, si sposta solo sul bordo del marciapiede e alza timidamente il braccio. Nulla, a confronto delle astuzie dei suoi competitori: gente sveglia e all’erta, che si butta nel traffico, agita le braccia come mulinelli, si apposta agli angoli, balza all’improvviso dagli spartitraffico, per salire sul taxi che lei credeva fosse suo. E di nuovo le si accende nel petto quel dolore che sempre l’accompagna, il dolore grigio e suadente a cui non sa dare nome e che tuttavia la impregna tutta: la sensazione di non avere un posto, nessun posto, dove riposare senza combattere.
E ora eccola immobile e rassegnata sull’angolo tra la 70esima e Central Park West, all’ombra di una impalcatura velata di plastica bianca che batte come un cuore nell’alito del traffico, incerta se attraversare oppure no, se alzare il braccio oppure no, disperatamente speranzosa che arrivi qualcuno a prendersi cura di lei, a sollevare il suo peso leggero e a metterselo sulle spalle. Come quella storia che lesse bambina sul sussidiario di scuola, un bel libro largo e pesante che prometteva tutte le rivelazioni, e su ogni pagina c’era una storia e un disegno. Il disegno non lo ricorda bene, benché ci pensi spesso. Forse era una bambina con le trecce, una bambina come Dorothy nella sua casetta dell’Arkansas un minuto prima che il Vento dell’Est la sollevi in aria verso il regno di Oz. Una bambina, sì. Era lei che parlava. Qualcuno la fermava mentre camminava per strada, con un bambino più piccolo sulle spalle. “Oh, povera bambina. Ma come fai? Non è troppo pesante per te?” E lei sollevava la faccina verso l’alto, sì, poteva vederla, la faccina, il sorriso, quel modo naturale e franco di rispondere, senza difese, senza artifici: “No, signora, non è per nulla pesante: è il mio fratellino”.
E proprio in questo momento, proprio in questo momento, squilla il telefonino.
Lo cerca affannata dentro la borsa grande e lui squilla come se annegasse e lei non riesce a trovarlo e ora smetterà di suonare e sarà accaduto tutto, irreparabilmente, lei avrà di nuovo perso l’occasione che le è stata offerta senza alcun merito, di nuovo non sarà stata all’altezza, di nuovo…
– Maria.
È la sua voce.
– Maria.
– Non posso, in questo momento non posso. Scusami, non…
– Maria.
– No.
Riesce ad articolare questa parola: “no” e ne è stupita lei stessa. Non sa bene a cosa sta dicendo di no, ma già si sente un po’ meglio: leggermente meglio. Potrebbe riattaccare e sarebbe finito tutto.
– Maria.
Perfino lei, lei che non vuole sentire, è in grado di percepire l’inerme dolcezza con cui viene pronunciato il suo nome: M a r i a. Ogni lettera suona come una benedizione, come una epifania. Il suo nome contiene un’aria di miracolo, è incorporeo eppure di carne, è l’angelo che appare alla Madonna dentro un giardino di bossi rinascimentale, è luce, e struggimento.
Non le riesce rispondere ancora no.
– Vorrei che ci vedessimo.
Oh, no. Questa volta bisogna recuperare il no dal tavolo dove era stato appoggiato e mostrarlo con decisione all’invasore. Mentre lo cerca, con affanno, tra i mobili enormi che le ingombrano la mente, cassettoni pieni di fogli, intere librerie di romanzi conosciuti a memoria, scaffali e scaffali di dvd sistemati in ordine alfabetico, da A beautiful mind a When the leaves broke, quaderni rilegati in carta veneziana dove scrive i suoi sogni…
– All’Algonquin.
– ……
– Alle sette.
Ha già riattaccato. La conosce, sa che averle impedito di rispondere equivale ad aver ottenuto un sì. Perché lei non mancherebbe mai a un impegno preso.
E dunque andrà.
Ma per ora, adesso, alle cinque e mezzo di un pomeriggio di Estate Indiana a Manhattan, Maria è ancora ferma accanto al palpitare confortante della cerata che protegge il restauro della facciata di uno degli infiniti condomini di lusso di Central Park West (e se anche lei potesse essere restaurata, se si potesse avvolgerla nella plastica e riparare le sue crepe, i punti dove l’intonaco si è sbriciolato, ripassare il colore dove è sbiadito, e mettere, dopo, sui balconi con le balaustre perfettamente riverniciate, verdi piante di edera e il rosa dischiuso di un fiore). Maria è ancora ferma e il traffico elegante della via le sfila davanti in parata e per fortuna, per fortuna accade che qualcuno decida di scendere proprio davanti all’ingresso del condominio dove lei si trova e dunque il taxi le viene servito come un vassoio o come la bocca di un forno, dove lei si infila e dice: – La Prima, tra la 62esima e la 61esima.
Lei sa dove deve andare.
Mentre il taxi attraversa il parco dal varco della 79esima, Maria si appoggia allo schienale e guarda il film proiettato sul finestrino destro: un muro di mattoni grigi piuttosto sporco, l’ingresso della sede dislocata di polizia del parco, pochi pedoni sul marciapiede stretto, i taxi su e giù per i dossi con occhi da animaletti in fuga, la volta dei ponti e, d’un tratto, lo scorcio già oscuro del parco, le sagome dei platani, dei faggi. Ci sarà già qualche barbone che si prepara a dormire, rintanato dentro la sua coperta, nell’odore insopportabile di piscio, ci sarà qualche venditore di hot dogs che spinge con determinazione il suo carretto su per la salita del Conservatory Water. Nel Ramble gli uccelli migratori troveranno riposo su un ramo. Il taxi è uguale a ogni taxi di New York, è sporco, maleodorante, intriso della polvere secca di tutte le vite che ha trasportato. Dal sedile squarciato, in larghe chiazze giallastre, sbuca la gommapiuma e Maria prova l’impulso di porre riparo a quello sfacelo, di ricacciare con l’indice l’imbottitura al suo posto. Non lo fa, naturalmente.
Anche perché sono arrivati.
E qui accade la seconda cosa strana di questa corsa in taxi: che, proprio nel momento in cui Maria scende e si avvia a piedi nel luogo dove ha deciso di andare, qualcuno le blocca la strada: bruscamente.
Deve conoscerla, questa donna, sì, di certo: la conosce. Ma chi è? L’altra la avvolge in un fiotto di parole, di esclamazioni, di concitazione: Maria pare il miracolo del pomeriggio.
– Valerie?
Sì, è Valerie. Per fortuna il nome le è salito alle labbra da sé, dal liceo, da quei banchi di formica dove sembrava di essere in salvo per sempre.
– Maria sei rimasta uguale.
Dio mio.
– Che ci fai qui?
La domanda è biunivoca, pensa Maria, ma sorride, vaga e cerca di stabilire con esattezza il limite di avvicinamento fisico possibile. Ma Valerie non ha nessuna intenzione di baciarla, le stringe solo la mano e in un modo banale, del tutto privo di significato e di intenzione.
– Guarda che non sei un tipo da Prima Avenue – ride Valerie compiacendosi della sua arguzia.
Valerie. Valerie con il seno grosso e le caviglie grosse e le minigonne di pelle nera, i ciondoli ballonzolanti dentro lo scollo e la fila dei ragazzi sbavanti al suo passaggio. Valerie che teneva banco ogni mattina raccontando le prodezze sessuali della sera prima. Valerie che al ballo di fine anno aveva una lista di pretendenti e distribuiva principescamente gli scarti tra le sue devote. Valerie la reginetta della scuola, Valerie dello smalto fucsia, dei preservativi alla fragola, di sua madre in minigonna di pelle nera – una Valerie ritornata al futuro – Valerie che a un certo punto, questo Maria deve confessarlo, le era sembrata la sua inarrivabile eroina.
– Che hai fatto?
– Scrivo.
– Ah, be’. Eri brava, questo è vero, brava a scrivere. Io facevo meglio altre cose…
Valerie è soddisfatta della battuta, ne è quasi stupita, non è proprio proprio il suo genere, quella conversazione con la più secchiona della scuola, e non si sarebbe aspettata di riuscire a reggerla, né tantomeno a uscirsene con una dimostrazione di brillantezza mentale quale ha appena messo in pratica.
– A te i libri e a me i ragazzi, era così, no?
Ecco: è fatta. La battuta è completata. Brava Valerie! e intanto ride a bocca piena, di soddisfazione, tutto il petto ballonzola insieme alle larghe tette che scivolano verso il basso nonostante il ferretto cattivo del reggiseno.
– Non indovineresti mai quello che faccio – dice, godendosi la sospensione e l’attesa che dovrebbe seguirne. Ci ha preso gusto, alla conversazione e non importa che si stia svolgendo sul bordo di un marciapiede sporco, nella calca di gente che risale Manhattan come una corrente contraria.
Maria sta zitta. Anzi, sposta il peso da un piede all’altro, nel tentativo maldestro di frenare il tremito che le sta salendo su per le gambe.
– Vabbe’, dài: indovina.
– ……
– Sono infermiera. Oh lalà, sì: infermiera. Professionale. Ho la divisa e la cuffia e tutto. Infermiera a geriatria al New York Central Hospital. Assunta. Ferie e assicurazione e tutto. Mi dovresti vedere con i miei vecchietti, li… – e qui Valerie cerca di dare il meglio di sé, insegue la conversazione e la considerazione di Maria allo stesso modo… – trastullo!
Eccola qua, la battuta. Perfetta battuta e parola adeguata riemersa come spuma di birra dall’aula di inglese del college, dalla triste rassegnazione con cui la signorina Paul scriveva alla lavagna le voci del Collins cercando senza convinzione di interessare la massa mobile di ormoni in fermento che la fronteggiava.
– Bene.
– Tutto qui? Non sei entusiasta? Per me, dico, non per te: entusiasta, contenta, insomma, io ce l’ho fatta, no? Voglio dire: di solito le ragazze pompon si sposano e diventano grasse e vivono nelle casette a schiera, insomma, non sono come me, no? Io sono infermiera – conclude con un sospiro che le solleva di autostima le spalle.
– Sì, bene…
Quanto durerà ancora?
– Senti – dice con decisione Valerie prendendola sottobraccio, e Maria deve sopportarlo – ti porto con me.
– Dài Valerie, ho qualcosa da fare, qui.
– Ah, no, proprio no. Nulla succede per caso, sai. Se tu sei scesa da quel taxi proprio nel momento in cui passavo io e dopo quattordici anni ci siamo riviste, vuol dire proprio che devi venire con me: è una questione di Karma, sono stata a sentire il Dalai Lama al Madison Square Garden, due anni fa e mi ha cambiato la vita, proprio cambiato, sai, siamo tutti in cammino e il cammino è lo stesso e forse siamo farfalle che sognano di essere persone o persone che sognano di essere farfalle, sembra una cosa complicata da capire, ma poi vai lì, stai seduto sulle gradinate con le tue chips e vedi questo omino vestito di bianco, laggiù, lontanissimo, minuscolo, seduto sul palco in una specie di trono, una cosa indiana, dorata, e parla e parla, in un modo che ti si aprono tutti i pori della pelle, ti si calma l’aria intorno, senti proprio che la pace è una cosa, che te la sta mettendo dentro, e per questo io ci credo, al Karma, io e te eravamo sposate, magari, in un’altra vita – dice Valerie.
Tira un respiro definitivo: è completamente soddisfatta della situazione e del modo in cui la sta gestendo.
– Ora tu vieni con me.
E eccole camminare lungo la Prima Avenue, Maria inerte e Valerie decisa, un incrociatore e un barchino a rimorchio, fino a una minuscola porta di ferro, schiacciata tra un Duane & Reade con le vetrine nude e un budello dove si vendono giornali porno e carte prepagate per telefonate overseas. La porta è aperta e Maria segue Valerie senza dire nulla, assunta nel suo cielo dove tutto è semplice e diretto. Salgono parecchie rampe di scale, strette scale che avrebbero bisogno di una imbiancatura che nessuno darà, e sbucano su un pianerottolo con un sorprendente pavimento a piastrelle intarsiate nere e bianche, qualcosa di italiano, di elegante, qualcosa che sa di palazzi vecchi di secoli dove da secoli le famiglie si riuniscono per ammazzarsi.
– Valerie!
Subito sulla porta dell’appartamento a sinistra si affaccia un uomo abbastanza corpulento ma imprevedibilmente agile, un folletto del Kalevala imprigionato nel corpo di un gigante Thor che si butta, letteralmente si butta su Valerie e la incorpora in un abbraccio spaventoso. Il corpo di Valerie, che non è minuscolo, si rintana dentro l’abbraccio, ci si accoccola dentro: è qualcosa che Maria non ha mai visto fare, neanche un abbraccio simile ha mai visto, Maria, a essere onesti. Un abbraccio da esplosione nucleare, una specie d...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. BUR
  3. Frontespizio
  4. Maria
  5. Mark
  6. Binky
  7. Maria
  8. Mark
  9. Binky
  10. Maria
  11. Binky
  12. Maria
  13. Binky
  14. Mark
  15. Mark e Maria
  16. Il lato luminoso
  17. Nota
  18. Ringraziamenti