Ritratto dell'artista da giovane
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Ritratto dell'artista da giovane

  1. 293 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Ritratto dell'artista da giovane

Informazioni su questo libro

Nel Ritratto Joyce ci fa capire che l'artista, o almeno questo artista, sviluppa i suoi poteri evocativi come una strategia di autodifesa contro la retorica aggressiva che lo circonda. Da ultimo, sarà la padronanza delle parole a fornire a Stephen Dedalus le ali per consentirgli di fuggire dalla prigione in cui l'Irlanda vuole rinchiuderlo." - Tim Parks

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2012
Print ISBN
9788817054843
eBook ISBN
9788858625569

RITRATTO DELL’ARTISTA DA GIOVANE

Et ignotas animum dimittit in artes.
Ovidio, Metamorfosi, VII, 188

CAPITOLO I

C’era una volta, ed erano bei tempi davvero, una muuucca che veniva giù lungo la strada e questa muuucca che veniva giù lungo la strada incontrò un bambino bellino di nome cioccolatino…
Il babbo gli raccontava questa storia; il babbo lo guardava attraverso un monocolo; aveva una faccia pelosa.
Il bambino di nome cioccolatino era lui. La muuucca veniva giù lungo la strada dove abitava Betty Byrne, che vendeva duri di menta.
Oh, le roselline selvatiche
sul praticello verde.
Lui cantava questa canzone. Era la sua canzone.
Oh, le loselline veldi.
Quando si fa pipì a letto, prima è caldo, poi diventa freddo. La mamma gli metteva l’incerata. Che aveva quell’odore strano.
La mamma aveva un odore più buono di quello del babbo. Gli suonava al pianoforte la canzone del marinaio per farlo ballare. Lui ballava:
Tralalà lalà,
tralalà trallallero,
tralalà lalà,
tralalà lalà.
Zio Charles e Dante1 battevano le mani. Erano più vecchi del babbo e della mamma ma zio Charles era più vecchio di Dante.
Dante aveva due spazzole nell’armadio. La spazzola con il dorso di velluto marrone era per Michael Davitt2 e la spazzola con il dorso di velluto verde era per Parnell.3 Dante gli dava un confetto ogni volta che lui le portava un foglio di carta velina.
I Vance abitavano al numero sette. Avevano un altro babbo e un’altra mamma. Erano il babbo e la mamma di Eileen. Da grande avrebbe sposato Eileen. Si nascondeva sotto il tavolo. La mamma diceva:
«Ora Stephen chiede scusa».
Dante diceva:
«Altrimenti, viene l’aquila e gli strappa gli occhi».
Gli occhi gli strapperà
se scusa non chiederà
se scusa non chiederà
gli occhi gli strapperà.
Se scusa non chiederà
gli occhi gli strapperà
gli occhi gli strapperà
se scusa non chiederà.
I vasti campi da gioco pullulavano di ragazzi. Tutti gridavano e i prefetti li incitavano a gran voce. L’aria della sera era pallida e fredda e a ogni attacco e ogni tonfo dei giocatori il pallone di cuoio bisunto volava nella luce grigia come un uccello pesante. Lui si teneva ai margini del suo gruppo,4 fuori dalla vista del prefetto e fuori dalla portata di piedi rudi, facendo finta di correre ogni tanto. Sentiva il proprio corpo piccolo e fragile nella ressa dei giocatori e gli occhi deboli e acquosi. Rody Kickham non era così: tutti dicevano che sarebbe diventato capitano del terzo gruppo.
Rody Kickham era un tipo a posto ma Peste Roche era un fetente. Rody Kickham aveva i parastinchi nello stipetto e un cestino nel refettorio. Peste Roche aveva le mani grandi. Il budino del venerdì lo chiamava “il-cane-nella-coperta”. E un giorno gli aveva chiesto:
«Come ti chiami?».
Stephen aveva risposto: «Stephen Dedalus».
Allora Peste Roche aveva detto:
«Che razza di nome è?».
E visto che Stephen non era stato capace di rispondere, Peste Roche gli aveva chiesto:
«Che cosa fa tuo padre?».
Stephen aveva risposto:
«Il signore».
Allora Peste Roche gli aveva chiesto:
«È un magistrato?».
Si spostava furtivo da un punto all’altro ai margini del suo gruppo, facendo una corsetta di tanto in tanto. Ma aveva le mani bluastre per il freddo. Teneva le mani nelle tasche del vestito grigio, quello con la cinghia. La cinghia che passava intorno alle tasche. E “cinghiare” voleva dire picchiare qualcuno con una cinghia. Un giorno un compagno disse a Cantwell:
«Ci metto poco, io, a cinghiarti».
Cantwell aveva risposto:
«Coraggio, provaci. Dai una cinghiata a Cecil Thunder. Voglio proprio vederti. Ti darà un calcio nel sedere».
Quella non era una bella espressione. Sua madre gli aveva detto di non parlare con i ragazzi maleducati del collegio. Cara mamma! Il primo giorno, quando lo aveva salutato nel salone del castello, si era ripiegata la veletta sopra il naso per dargli un bacio; e aveva il naso e gli occhi rossi. Ma lui aveva fatto finta di non vedere che stava per piangere. Era una mamma carina, ma quando piangeva non era poi tanto carina. E suo padre gli aveva dato due monete da cinque scellini per le piccole spese. E suo padre gli aveva detto di scrivergli a casa se gli serviva qualcosa e in ogni caso di non fare mai la spia a un compagno. Poi, sulla porta del castello, il rettore aveva dato la mano a suo padre e sua madre, con la tonaca che svolazzava al vento e la carrozza era ripartita con suo padre e sua madre. Salutando con la mano, gli avevano gridato dalla carrozza:
«Arrivederci, Stephen, arrivederci!».
«Arrivederci, Stephen, arrivederci!»
Fu preso nel vortice di una mischia e, timoroso di quegli occhi accalorati e delle scarpe infangate, si abbassò per guardare tra le gambe. I compagni lottavano e grugnivano, e le gambe si urtavano, scalciavano e pestavano. Poi le scarpe gialle di Jack Lawton tirarono fuori il pallone e tutte le altre scarpe e tutte le altre gambe gli corsero dietro. Lui corse dietro agli altri per un breve tratto e poi si fermò. Era inutile correre ancora. Presto sarebbero tornati a casa per le vacanze. Dopo cena, nell’aula di studio, avrebbe cambiato il numero incollato dentro al suo banco da settantasette a settantasei.
Meglio stare nell’aula di studio che fuori al freddo. Il cielo era cereo e freddo ma al castello c’erano le luci. Si chiese da quale finestra Hamilton Rowan5 avesse gettato il cappello nel fosso e se a quel tempo sotto le finestre c’erano le aiuole. Un giorno in cui Stephen era stato convocato al castello, il cameriere gli aveva fatto vedere i segni delle pallottole dei soldati nel legno della porta e gli aveva dato un pezzetto di dolce che mangiavano i confratelli. Era bello e caldo vedere le luci nel castello. Era come qualcosa in un libro. Forse anche l’abbazia di Leicester era così. E c’erano belle frasi nel Libro di Ortografia del dottor Cornwell. Sembravano poesie, ma in realtà erano soltanto frasi per imparare l’ortografia.
Wolsey morì nell’abbazia di Leicester
dove gli abati lo seppellirono.
Il canker6 è una malattia delle piante
il canceruna degli animali.
Sarebbe stato bello sdraiarsi sul tappeto davanti al fuoco, appoggiare la testa sulle mani e pensare a quelle frasi. Rabbrividì come se sentisse acqua fredda e melmosa sulla pelle. Era stata una vigliaccata da parte di Wells spingerlo e farlo cadere nel fosso perché non voleva scambiare la piccola tabacchiera con la gloriosa castagna secca di Wells, trionfatrice di quaranta partite. Come era fredda e melmosa l’acqua! Una volta un suo compagno aveva visto un grosso topo saltare dentro la schiuma. Mamma era seduta davanti al fuoco con Dante, e aspettavano che Brigid portasse il tè. Aveva appoggiato i piedi sul parafuoco e le pantofole con le perline erano così calde e mandavano un odore così buono e caldo! Dante sapeva un sacco di cose. Gli aveva insegnato dove si trovava il Canale di Mozambico e qual era il fiume più lungo d’America e come si chiamava la montagna più alta della luna. Padre Arnall sapeva più cose di Dante perché lui era un prete, ma tanto il babbo quanto zio Charles dicevano che Dante era una donna in gamba, e una donna colta. E quando dopo cena Dante faceva quel rumore e si portava la mano alla bocca, quella era acidità di stomaco.
Dal fondo del campo una voce gridò:
«Tutti dentro!».
Subito altre voci gridarono dal terzo e dall’ultimo gruppo:
«Tutti dentro! Tutti dentro!».
I giocatori gli si strinsero intorno, accaldati e infangati, e Stephen camminò in mezzo a loro, felice di rientrare. Rody Kickham portava la palla, tenendola per il laccio sporco. Un compagno gli chiese di fare un ultimo tiro, ma lui continuò senza nemmeno rispondergli. Simon Moonan gli disse di non farlo perché il prefetto guardava. Il tizio si voltò verso Simon Moonan e gli disse:
«Lo sappiamo tutti perché dici così. Sei il cocco di McGlide».
Cocco era una parola strana. Quel tizio lo aveva chiamato così perché Simon Moonan spesso legava le finte maniche del prefetto dietro la schiena e il prefetto fingeva di andare su tutte le furie. Ma il suono della parola era brutto. Una volta si era lavato le mani nel gabinetto dell’Albergo Wicklow: suo padre aveva tolto il tappo tirando la catenella e l’acqua sporca era andata giù nel buco del lavandino. E quando lentamente era scomparsa tutta giù nel buco del lavandino aveva fatto un rumore simile: cocco. Solo più forte.
Quel ricordo e il bianco del gabinetto gli fecero sentire freddo e poi caldo. C’erano due rubinetti che si giravano per far venire l’acqua: fredda e calda. Sentì freddo e poi un po’ caldo: vide le parole scritte sui rubinetti. Era una cosa molto strana.
Anche l’aria nel corridoio lo gelò. Era strana e umidiccia. Ma presto avrebbero acceso il gas, che bruciava facendo un sibilo leggero simile a una canzoncina. Sempre la stessa: e quando i ragazzi smettevano di parlare nell’aula di ricreazione la si sentiva bene.
Era l’ora di aritmetica. Padre Arnall scrisse una somma complicata alla lavagna e poi disse:
«Coraggio, chi vincerà? Forza, York! Forza, Lancaster!».7
Stephen fece del suo meglio, ma l’operazione era troppo difficile e si confuse. Il piccolo distintivo di seta con la rosa bianca che era appuntato sul risvolto della giacca cominciò a tremolare. Non era bravo in aritmetica, ma cercava di fare del suo meglio perché gli York non perdessero. Padre Arnall era tutto scuro in volto, ma non era in collera: rideva. Poi Jack Lawton fece schioccare le dita e Padre Arnall guardò il quaderno e disse:
«Giusto. Bravi Lancaster! Vince la rosa rossa. Coraggio, York! Prendetevi la rivincita!».
Jack Lawton guardò dalla sua parte. Il piccolo distintivo di seta con la rosa rossa risaltava sulla camicia blu alla marinara. Stephen sentì che anche il suo volto era diventato rosso a pensare alle scommesse su chi sarebbe stato il primo della classe, se lui o Jack Lawton. Certe settimane era Jack Lawton a prendere il cartoncino, certe altre lo vinceva lui. Il distintivo di seta bianca tremolava sempre di più mentre Stephen lavorava alla somma successiva e sentiva la voce di Padre Arnall. Poi tutta l’ansia svanì e si sentì il volto gelido. Pensò di essere bianco in faccia perché sentiva tanto gelo. Non riusciva a risolvere quell’operazione, ma non importava. Rose bianche e rose rosse: erano bellissimi colori cui pensare. E anche i cartoncini del primo della classe, e del secondo e del terzo erano colori bellissimi: rosa, panna e lavanda. Era bello pensare a rose rosa, color panna e color lavanda. Forse una rosa selvatica poteva essere come quei colori, e si ricordò la canzone delle roselline selvatiche sul praticello verde. Ma non era possibile avere una rosa verde. Forse in qualche parte del mondo era possibile.
Suonò la campanella e le classi cominciarono a sfilare fuori dalle aule e lungo i corridoi verso il refettorio. Si sedette e guardò i due pezzetti di burro sul piatto ma non riuscì a mangiare il pane umido. La tovaglia era umida e molle. Bevve il tè leggero e bollente che lo sguattero, impacciato e cinto di un grembiule bianco, gli versò nella tazza. Si chiese se anche il grembiule dello sguattero fosse umido o se tutte le cose bianche fossero fredde e umide. Peste Roche e Saurin bevevano cioccolata che le famiglie mandavano loro in contenitori di stagno. Dicevano di non poter bere il tè; che era brodaglia per i maiali. Avevano i padri magistrati, dicevano gli altri.
Tutti i ragazzi gli sembravano molto strani. Tutti avevano padri e madri e vestiti e voci diverse. Avrebbe voluto essere a casa e appoggiare la testa sul grembo della mamma. Ma non si poteva: e così sperava che il gioco e lo studio e le preghiere finissero presto per andare a letto.
Bevve un’altra tazza di tè bollente e Fleming gli disse:
«Che ti prende? Ti senti male o c’è qualcos’altro?».
«Non so» disse Stephen.
«È male allo stomaco,» disse Fleming «perché sei pallido. Ti passerà.»
«Oh, sì» disse Stephen.
Ma non era lo stomaco a fargli male. Pensò di avere male al cuore, se si poteva aver male al cuore. Fleming era molto buono a chiederglielo. Aveva voglia di piangere. Appoggiò i gomiti sul tavolo, aprendo e chiudendo i padiglioni delle orecchie. Tutte le volte che li apriva sentiva il rumore del refettorio. Era un rombo, come un treno di notte. E quando chiudeva i padiglioni il rombo svaniva come un treno che entra in galleria. Quella notte a Dalkey il treno aveva fatto un rombo simile e poi, quando era entrato in galleria, il rombo era cessato. Chiuse gli occhi e il treno continuò, rombando e poi tacendo; rombando ancora e poi tacendo. Era bello sentirlo rombare e poi tacere e poi, una volta uscito dalla galleria, rombare ancora e poi tacere.
Poi quelli del primo gruppo cominciarono a sfilare lungo la stuoia nel centro del refettorio: Paddy Rath e Jimmy Magee e lo spagnolo che aveva il permesso di fumare il sigaro e il piccolo portoghese che portava il berretto di lana. Poi fu la volta dei tavoli del gruppo successivo e dei tavoli del terzo gruppo. E ogni individuo aveva un modo diverso di camminare.
Si sedette in un angolo della sala di ricreazione facendo finta di seguire una partita di domino e un paio di volte riuscì a sentire per un istante la canzoncina del gas. Il prefetto era sulla porta con alcuni ragazzi e Simon Moonan gli annodava le finte maniche. Parlava di Tullabeg.8
Poi si allontanò dalla porta e Wells andò verso Stephen e gli disse:
«Dicci un po’, Dedalus, prima di andare a letto dai un bacio a tua madre?».9
Stephen rispose:
«Sì».
Wells si...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. BUR Rizzoli
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Prefazione di Tim Parks
  6. Cronologia della vita e delle opere
  7. Bibliografia
  8. RITRATTO DELL’ARTISTA DA GIOVANE
  9. Sommario