L'ultimo brigatista
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L'ultimo brigatista

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'ultimo brigatista

Informazioni su questo libro

Chi è l'ultimo brigatista? E quale mistero nasconde? Il suo nome va scovato tra coloro che hanno partecipato alla più eclatante e drammatica operazione delle Br: il sequestro e l'omicidio di Aldo Moro. Raffaele Fiore, condannato all'ergastolo, non si è mai pentito né ha mai rinnegato gli anni della militanza. Oggi, per la prima volta, fa sentire la sua voce. Una voce autentica, sobria, a tratti quasi cruda. Che racconta di come - da un'infanzia pugliese al lavoro in fabbrica a Milano agli anni della clandestinità torinese - sia arrivato, un giorno di marzo del 1978, a colpire il cuore dello Stato. Chi c'era, dunque, con lui in via Fani? Quanti erano i brigatisti coinvolti? Dove sono Alvaro Loiacono, Alessio Casimirri, Rita Algranati? Chi li aiutò a fuggire dall'Italia?Un libro che, attraverso testimonianze e documenti inediti, oppone alla stanca e involuta dietrologia di questi anni la semplice verità dei fatti: le Brigate rosse e la lotta armata sono il frutto di una storia tutta italiana. Che va compresa e riconosciuta per essere una volta per tutte superata.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2011
Print ISBN
9788817016452
eBook ISBN
9788858602775

16 marzo 1978

Quella mattina, la mattina del 16 marzo 1978, erano appena passate le nove. In via Fani, al quartiere Trionfale, stava per andare in scena una delle pagine più tragiche della storia repubblicana. Nell’arco di pochissimi minuti si consumò l’agguato nel quale morirono i cinque uomini della scorta del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro. L’assalto e la successiva via di fuga erano state studiate sin nei minimi particolari. Tutti e dieci i componenti del nucleo delle Brigate rosse che partecipò al sequestro arrivarono sul posto in tempo per disporsi nei punti in precedenza fissati. Mario Moretti, la mente, colui che aveva, paradossalmente, l’incarico più delicato – ossia porsi davanti alle auto dello statista senza dare nell’occhio – ricorda chiaramente quella ragazza cui era stato affidato il compito di segnalare l’arrivo del «convoglio», una militante che nessuno aveva visto perché al momento dell’azione si era già defilata: Rita Algranati.
«A ogni compagno – rievoca Moretti – è assegnato non solo il posto preciso dove stare e un ruolo specifico, ma anche il percorso di avvicinamento a via Fani. Andrà ad appostarsi nei punti esatti soltanto se tutto è a posto e l’azione parte di sicuro. La verifica tocca a me, e fino all’ultimo faccio la spola tra un gruppo di compagni e l’altro… Dobbiamo capire se Moro c’è e se uscirà di casa come al solito. I giorni precedenti c’era. Per accertarsene con almeno mezz’ora di anticipo basta vedere se c’è la scorta sotto casa, alla palazzina dove abita in via del Forte Trionfale. Passo con la macchina, la scorta c’è, le due auto sono parcheggiate una in fila all’altra nel cortile antistante l’ingresso, come al solito. Sicuramente di lì a poco Moro esce. Faccio l’ultimo giro fra i compagni in avvicinamento, confermo, ciascuno va a prendere posizione. L’azione è partita. Il momento critico è quello iniziale: una nostra macchina (la 128 targata Corpo Diplomatico) deve andare a mettersi davanti al piccolo convoglio composto dalla 130 con dentro Moro, l’autista e il maresciallo, e dall’Alfetta con gli altri tre. Bisogna avvistare in tempo le due macchine, che vanno veloci per motivi di sicurezza e cogliere il momento esatto in cui rallentano per girare a sinistra di via del Forte Trionfale in via Fani. È un attimo, la nostra macchina deve essere in movimento e mettersi con naturalezza davanti a loro. Se non li agganciamo lì non li riprendiamo più. Guai se la manovra riesce male o se succede qualcosa, anche piccola, che attiri l’attenzione degli agenti di scorta. Su quella macchina non ci vuole uno che guidi come un pilota di Formula Uno, ma che abbia esperienza e nervi saldi. Tocca a me. Ma occorre che un compagno mi segnali che il convoglio sta arrivando con qualche attimo di anticipo prima che svolti per via Fani… La ragazza, appunto. Deve fare solo questo, poi salire su una Vespa e andarsene. È giovane, carina, non ha che da star ferma all’incrocio con un mazzo di fiori in mano. I poliziotti non sono degli sprovveduti, ma una donna con dei fiori in mano è nel ruolo, non dà nell’occhio. Come un operaio che mangia un panino su un muretto, con le gambe penzoloni: ci può stare anche un’ora, non si meraviglia nessuno. Eravamo abili nell’osservare queste cose. La ragazza fa il segnale, esco al momento giusto e mi metto davanti alle due macchine di Moro, regolando l’andatura: abbastanza piano perché le macchine che ci precedono si allontanino un poco, in modo da non venire coinvolte nella sparatoria, ma anche abbastanza veloce perché il convoglio di Moro non mi sorpassi. Funziona. Nessuno si accorge di niente. Tutto va tranquillamente.»1
Giù in basso, di fronte al bar Olivetti, all’incrocio con via Stresa e seminascosti dalla siepe c’è il gruppo di fuoco formato dai quattro brigatisti in divisa da piloti Alitalia: Valerio Morucci, Franco Bonisoli, Raffaele Fiore e Prospero Gallinari. Il problema del camuffamento degli unici quattro componenti a piedi del commando operativo era stato affrontato e risolto nei giorni immediatamente precedenti l’agguato. In zona erano stati visti in più di una circostanza dei piloti della compagnia di bandiera Alitalia. Fu Adriana Faranda ad acquistare i berretti Alitalia e alcuni dei fregi da apporre sugli impermeabili blu.
Anche Gallinari ha in mente, a distanza di trent’anni, il particolare del mazzo di fiori:
«Siamo in azione. Non c’è più ritorno, non c’è più spazio per il dubbio, e ti accorgi che le decine, centinaia di volte in cui hai pensato e discusso i movimenti e le varianti possibili della sequenza delle azioni, hanno creato in te una dimestichezza con l’ambiente, con i gesti, con le ipotesi immaginate, che ti fanno muovere come un orologio. La situazione è come prevista, il movimento è quello studiato dozzine di mattine. L’unico assente è il fioraio abitualmente piazzato nella via, che sarà incavolato come una iena davanti alle quattro gomme squarciate del suo furgone. Non può immaginare che i teppisti autori del gratuito sfregio abbiano ritenuto più conveniente fargli spendere soldi per le gomme nuove, che obbligarlo a trovarsi sulla linea di fuoco di quattro mitra che sparano a raffica. Ora è l’attesa, quella di un movimento, di un mazzo di fiori in fondo alla via che segnali l’arrivo di una macchina seguita da altre. In quei momenti la testa è troppo impegnata, fissata sulla sequenza dei movimenti, perché possa essere attraversata da valutazioni, da pensieri di ogni genere. I fiori si muovono, ci mettiamo in posizione di scatto, la strada è libera, vediamo sullo sfondo le macchine e cominciamo a uscire».2
In alto, a far da cancelletto superiore, in sostanza a chiudere l’accesso alle altre auto una volta passato il convoglio e a proteggere, nell’eventualità, l’operazione, la vettura con dentro Alvaro Loiacono e Alessio Casimirri. Sul fronte opposto, a fungere da cancelletto inferiore, Barbara Balzerani. Poche decine di metri più in basso l’auto con al volante Bruno Seghetti, pronto a fare retromarcia e ad affiancare la 132 blu di Moro per facilitare il trasferimento del prigioniero. Anche Casimirri ha raccontato ai servizi segreti italiani il ruolo di staffetta svolto in via Fani dalla sua compagna Marzia. Così come fece Barbara Balzerani all’udienza del 2 dicembre 1993:
«Anzitutto, alla domanda sul numero dei componenti il nucleo operativo Br, la Balzerani ha specificato che il gruppo era composto di dieci persone. Poi ha indicato nei termini seguenti i singoli ruoli… “a iniziare dal basso, dall’incrocio con via Stresa in mezzo all’incrocio c’ero io, e, nella prosecuzione della strada c’era un’altra persona in macchina che era la macchina che doveva, facendo marcia indietro, prendere l’on. Moro… era un uomo. Poi c’era un’altra persona a bordo della macchina che ha bloccato il convoglio… un altro uomo. Poi c’erano quattro persone che sono intervenute sugli agenti, quattro uomini, due sul 130 e due sull’Alfetta. Poi, c’erano altre due persone che chiudevano la strada in cima. Facevano da cancelletto.
Presidente: cancelletto superiore?
Balzerani: sì… e copertura.
Presidente: uomini o donne?
Balzerani: due uomini. La decima persona aveva una funzione di staffetta, avvisò dell’arrivo delle due macchine e se ne andò subito dopo immediatamente.
Presidente: uomo o donna?
Balzerani: una donna.
Presidente: due donne. È così?
Balzerani: sì.
Presidente: diciamo che erano otto uomini e due donne?
Balzerani: sì».3
Il primo, però, a ricostruire cosa accadde quel giorno fu, nel suo memoriale, Valerio Morucci. Lo fece, inizialmente, senza specificare il nome dei partecipanti all’azione, ma in un secondo momento ebbe a trascrivere, accanto allo schema dell’agguato e fra parentesi, i nominativi dei brigatisti in corrispondenza del punto in cui erano originariamente disposti. Si tratta di un documento prezioso, che in epoca ben antecedente alle altrui ammissioni, affrontava la propria militanza nelle Brigate rosse senza cercare assoluzioni da chicchessia, ma con l’unico scopo di fare il più possibile chiarezza. Qualcuno lo ha anche accusato di reticenza per non aver rivelato i nomi dell’ingegner Altobelli e di Rita Algranati tra i partecipanti al sequestro di Aldo Moro. Chi conosce anche solo un po’ Morucci, sa che è un uomo che non mente. Sa anche, però, che verso alcuni ex compagni di strada nella lotta armata ha sempre nutrito una sorta di senso di colpa per averli traghettati su quella via sciagurata che è costata lacrime e sangue. Che senso avrebbe avuto raccontare di Germano Maccari quando nessuno, per quasi vent’anni, si era accorto di lui? E che cosa sarebbe cambiato, sotto il profilo della ricostruzione storica, se ai nove brigatisti che quella mattina si trovavano in via Fani ne fosse stata aggiunta un’altra che, per di più, aveva già ricevuto tanti anni di carcere di quanti una vita, da sola, non basterebbe a espiarli tutti? Eppure, chiunque si avvicini a quella mattina con spirito libero da ogni pregiudizio e pregiudiziale, non può, a distanza di oltre vent’anni, non apprezzarne la minuziosità del racconto.
«Alle ore otto e quarantacinque del 16 marzo 1978 – ricorda Morucci – un gruppo composto da nove bierre si portò all’incrocio tra via Fani con via Stresa disponendosi in varie posizioni, secondo il piano elaborato nel villino di Velletri dalla direzione della colonna romana e approvato dal comitato esecutivo delle Brigate rosse. Io facevo parte di questo nucleo d’assalto… Sul luogo dell’azione, la mattina del 16 marzo, erano presenti uomini e auto disposti nel modo seguente (partendo dalla parte alta di via Fani e scendendo verso l’incrocio fatale con via Stresa). Un bierre, contraddistinto dal numero 1 (Moretti) era in via Fani con la Fiat 128 giardinetta targata CD, sulla destra di via Fani subito dopo via Sangemini, venendo da via Trionfale e con il muso dell’auto in direzione dell’incrocio con via Stresa. I bierre numero due e tre (Loiacono e Casimirri) erano a bordo della Fiat 128 bianca, sulla stessa parte di via Fani, poco più avanti della Fiat 128 targata CD. La Fiat 128 blu era posteggiata con una persona a bordo (bierre numero quattro – Balzerani) al lato opposto di via Fani, superato l’incrocio con via Stresa e in direzione contraria, con il muso dell’auto rivolto verso la direzione di provenienza delle auto di Moro. Una quarta autovettura, la Fiat 132 blu con un altro brigatista (il numero cinque – Seghetti) era ferma in via Stresa, parcheggiata contromano sul lato sinistro, a qualche metro dall’incrocio di via Fani, con la parte posteriore verso l’incrocio, pronta a portarsi a retromarcia accanto alla 130 di Moro. Una quinta autovettura, una A112 senza persone a bordo, era parcheggiata in via Stresa, sul lato destro della strada, a venti metri da via Fani, in direzione via Trionfale.»4
«Io ed altri tre brigatisti – scrive Morucci – (rispettivamente i numeri sette, otto e nove – Fiore, Gallinari, Bonisoli) eravamo dietro le siepi antistanti il bar Olivetti, situato all’incrocio tra via Fani e via Stresa. L’azione si è sviluppata in questo modo. Appena la Fiat 130 blu con Moro, seguita dall’Alfetta, ha imboccato via Fani proveniente da via Trionfale, la Fiat 128 bianca targata CD condotta dal bierre uno (Moretti), si è immessa nella carreggiata e si è diretta verso l’incrocio via Fani-via Stresa. Lo stesso bierre numero uno (Moretti), dopo aver bloccato la 128 poco prima dello stop, facendosi tamponare dalla Fiat 130 seguita dall’Alfetta, è rimasto per qualche tempo quasi fino alla fine della sparatoria sulla stessa auto che si è spostata in avanti a causa dei ripetuti tamponamenti da parte dell’autista del 130, che cercava di guadagnare un passaggio sulla destra, verso via Stresa. La presenza casuale di una Mini Minor in via Fani, proprio all’altezza dell’incrocio con via Stresa, può aver in parte contribuito ad impedire la manovra di svincolo della 130. Dopo il tamponamento della Fiat 128 targata CD da parte della 130 di Moro – a sua volta tamponata dall’Alfetta di scorta – si è posta dietro questa, trasversalmente rispetto alla strada, la 128 bianca con i bierre numero due e tre (Loiacono e Casimirri), che avevano il compito di bloccare il traffico da via Fani e rispondere entrambi ad eventuali attacchi delle forze di polizia. Nel frattempo il bierre numero quattro (Balzerani) disceso dalla Fiat 128 blu, parcheggiata dall’altro lato dell’incrocio, si è portato al centro dell’incrocio di via Fani con via Stresa per bloccare il traffico proveniente dalle diverse direzioni. Io e i bierre sette, otto e nove (dal basso Fiore, Gallinari e Bonisoli), portatici sulla strada, abbiamo sparato contro gli uomini della scorta di Moro, in modo da evitare che venisse colpito Aldo Moro. Io ed il bierre sette (Fiore) abbiamo sparato contro gli uomini a bordo della 130. I bierre otto e nove (Bonisoli e Gallinari) hanno sparato contro i tre uomini che erano sull’Alfetta di scorta. Nell’azione si sono inceppate diverse armi tra cui lo Fna 43 in mio possesso e l’M12 in possesso di uno degli altri tre uomini (Fiore, che sparava anch’egli sulla 130). In conseguenza dell’inceppamento della mia arma, per non intralciare gli altri, mi sono portato verso via Stresa e ho impiegato del tempo per disinceppare l’arma. Subito dopo sono tornato accanto alla 130 e ho sparato altri colpi, ma l’auto era già ferma. Notai che il numero uno (Moretti) non era ancora sceso dalla 128 CD. I bierre otto e nove (Gallinari e Bonisoli) usarono anche le pistole in loro dotazione, perché si incepparono anche i loro mitra. Nel frattempo, il bierre uno (Moretti) invece di portarsi al centro dell’incrocio, come previsto dal piano di attacco, per appoggiare la Balzerani nella difesa dell’incrocio, si è portato accanto alla 130 di Moro e insieme al bierre sette e otto (Fiore e Gallinari) ha prelevato l’ostaggio e lo ha caricato sul sedile posteriore della Fiat 132, che nel frattempo, facendo retromarcia da via Stresa a via Fani, si era affiancata alla Fiat 130 di Moro. Dopodiché, lo stesso bierre uno (Moretti) è salito accanto all’autista (bierre numero cinque – Seghetti), mentre sul sedile posteriore ha preso posto accanto a Moro il bierre sette (Fiore). Caricato Moro, che fu coperto con un plaid, la Fiat 132 ha preso verso via Stresa in direzione di via Trionfale; i bierre due e tre (Loiacono e Casimirri), risaliti sul 128 bianco, che aveva sbarrato via Fani dietro l’Alfetta della scorta, hanno raccolto il bierre otto (Gallinari) e si sono accodati alla Fiat 132, su cui Moro veniva portato via. Il bierre nove (Bonisoli) è salito sul 128 blu – che era rimasto fermo nella parte inferiore di via Fani con il muso rivolto verso l’incrocio con via Stresa – e ha preso posto di fianco al posto di guida. Sul sedile posteriore era nel frattempo risalito il bierre quattro (Balzerani).»5
(A seguito di alcune risultanze dei rilievi effettuati in via Fani bisogna aggiungere che molto probabilmente il bierre otto – cioè Bonisoli – che era l’ultimo verso l’alto dei quattro “avieri”, dopo l’inceppamento del suo mitra ha sparato con la sua pistola contro l’agente Iozzino – aiutato in questo forse anche da Gallinari – e dopo ha girato dall’altro lato dell’Alfetta sparando ancora altri colpi con...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. BUR
  3. Frontespizio
  4. Dedica
  5. Prefazione
  6. Introduzione
  7. La gioia e la vergogna
  8. Un film mai visto
  9. Un futuro da operaio
  10. Un potenziale ribelle
  11. Iniziazione di un brigatista
  12. Una vita difficile
  13. L’attacco al cuore dello Stato
  14. Nuovo corso
  15. La scelta
  16. La colonna «infame»
  17. La metamorfosi
  18. Clandestino nella metropoli
  19. Si alza il livello dello scontro
  20. Riciclaggio artigianale
  21. Giornalisti nel mirino
  22. Discesa nella capitale
  23. Via Fani
  24. Niente è più come prima
  25. Fine di un’avventura
  26. Il dolore e il perdono
  27. I falsi misteri
  28. I veri misteri
  29. La testimonianza dimenticata
  30. Guardie e ladri
  31. Caso Moro
  32. Missione fallita
  33. Varo
  34. Compagni di scuola
  35. 16 marzo 1978
  36. Bibliografia
  37. Ringraziamenti
  38. Indice