Nota al lettore
Ero a Istanbul quando ci fu il terremoto del 1999. All’epoca vivevo in uno dei quartieri più vivaci ed eterogenei della città , dove la tipologia delle case variava quanto le storie dei loro abitanti. Quando, alle tre del mattino, fra le urla della gente, corsi in strada come tutti gli altri, mi trovai di fronte a una scena che mi paralizzò. Dall’altra parte della strada c’era il droghiere – un vecchio brontolone che non vendeva alcolici e non rivolgeva la parola agli emarginati –, seduto accanto a un travestito con una lunga parrucca nera e il mascara che gli colava sulle guance. Lo vidi aprire un pacchetto di sigarette con le mani tremanti e il volto pallido come un cencio, e offrirgliene una. Questa era, ed è tuttora, l’immagine di quella notte che mi è rimasta più impressa nella memoria: un droghiere conservatore e un travestito in lacrime che fumano uno accanto all’altro. Di fronte alla tragedia e alla morte, le nostre insulse distinzioni svanirono e, anche se solo per poche ore, diventammo un tutt’uno.
Ho sempre creduto che anche le storie abbiano un effetto analogo. Non voglio dire che la letteratura possegga la forza devastante di un terremoto, ma quando leggiamo un bel romanzo, ci lasciamo alle spalle le nostre accoglienti case e, attraverso i suoi personaggi, ci ritroviamo a conoscere individui che non avremmo mai incontrato altrimenti e che magari avremmo disprezzato perché diversi da noi.
A distanza di anni quella notte mi sarebbe tornata in mente in un contesto del tutto diverso. Dopo la nascita della mia prima figlia ho sofferto di una forte depressione, capace di allontanarmi da quella che fino ad allora era stata la mia più grande passione: scrivere narrativa.
Per me fu un cataclisma emotivo. Quando fuggii dall’edificio dell’io che avevo accuratamente costruito in tutti quegli anni, nel buio là fuori, turbata e impaurita, mi imbattei in un gruppo di Pollicine – sei donnine minuscole, ciascuna delle quali era una versione differente di me stessa – sedute una accanto all’altra. Ne conoscevo già quattro. Le altre due le incontrai allora per la prima volta. Capii che se non fosse stato per la depressione post partum, non sarei mai riuscita a vederle in una nuova luce e avrebbero continuato a vivere nel mio corpo e nella mia anima senza ascoltarsi, come vicine di casa che dividono la stessa aria ma non si scambiano mai un saluto cordiale.
Forse ogni donna ha dentro di sé un miniharem come questo, e a renderci davvero noi stesse sono la discrepanza, la tensione e la difficile armonia tra i nostri io conflittuali.
Impiegai un po’ di tempo per conoscere e amare tutte e sei le Pollicine.
Questo libro racconta come ho affrontato la mia diversità interiore e ho imparato a essere una.
Sono una scrittrice.
Sono una nomade.
Sono una cosmopolita.
Sono un’amante del sufismo.
Sono una pacifista.
Sono una vegetariana e sono una donna, più o meno in questo ordine.
Ecco come mi sarei definita fino a trentacinque anni.
Fino a quel momento mi consideravo innanzitutto una raccontastorie. Un tempo le persone come me narravano storie intorno ai fuochi da campo, sotto un cielo così immenso da sembrare infinito. A Parigi racimolavano i soldi dell’affitto scrivendo per i giornali. Nel palazzo di un sultano dispotico, ogni storia garantiva loro un altro giorno di vita. Mi sentivo legata a ciascun raccontastorie del passato, fosse esso un narratore anonimo, Balzac o la bella Shehrazad. La verità è che, come molti romanzieri, mi sentivo più vicina agli scrittori morti che a quelli contemporanei, e forse mi veniva più facile raccontare storie a persone immaginarie che a quelle reali, o almeno troppo reali.
Ecco come vivevo. Ecco come intendevo continuare a vivere. Ma poi mi capitò qualcosa di assolutamente inatteso, miracoloso e sconcertante: la maternità .
Cambiò ogni cosa, cambiò me.
Davanti al mio nuovo ruolo mi sentii accecata e disorientata come un pipistrello colpito dalla luce del sole.
Il giorno in cui scoprii di essere incinta, la scrittrice dentro di me si fece prendere dal panico, la donna cadde in una gioiosa confusione, la pacifista rimase indifferente, la cosmopolita provò a scegliere un nome internazionale per il bambino, la sufi accolse la notizia con piacere, la vegetariana temette di dover mangiare carne, e la nomade sarebbe voluta fuggire a gambe levate. Quando sei incinta, però, puoi fuggire da tutto e da tutti, ma non dai cambiamenti del tuo corpo.
Quando la depressione post partum mi colpì, mi prese totalmente alla sprovvista. Allungandosi davanti a me come un tunnel buio che pareva non finire mai, mi terrorizzò. Mentre cercavo di attraversarla, caddi diverse volte, e la mia personalità si frantumò in cocci tanto piccoli che sarebbe stato impossibile rimetterli insieme. Allo stesso tempo, tuttavia, quell’esperienza mi aiutò a guardarmi dentro e a vedere da una nuova prospettiva ogni componente del miniharem che mi ero portata dentro per tutti quegli anni. La depressione può essere un’occasione d’oro per affrontare le questioni che ci stanno a cuore ma che, per ignoranza o mancanza di tempo, facciamo passare sotto silenzio.
Non so bene cosa sia venuto prima e cosa dopo. Sono uscita dalla depressione e poi ho iniziato a scrivere questo libro? Oppure ho finito il libro e così sono riuscita a strisciare fuori dal tunnel? La verità è che non lo so. I ricordi di quei giorni sono vividi e intensi, ma non seguono affatto un ordine cronologico.
Di una cosa però sono certa: che questo volume è stato scritto con latte nero e inchiostro bianco, un cocktail di narrazione, maternità , spirito vagabondo e depressione, distillato per diversi mesi a temperatura ambiente.
Ogni libro è un viaggio, una mappa che aiuta a orientarsi fra le complessità della mente e dell’animo umano. Questo non fa eccezione. Ogni lettore è dunque una sorta di viaggiatore. Alcune visite guidate ci conducono in luoghi di interesse culturale, mentre altre si concentrano sulle avventure all’aria aperta e sul contatto con la natura selvaggia. Nelle pagine seguenti vorrei accompagnarvi in due visite contemporaneamente, una nella Valle dei Bambini e l’altra nella Foresta dei Libri.
Nella Valle dei Bambini vi inviterò a esaminare meglio i numerosi ruoli che scandiscono la nostra vita, partendo dalla femminilità , dalla maternità e dalla professione di scrittrice. Nella Foresta dei Libri passerò in rassegna la biografia e le opere di varie scrittrici, passate e presenti, orientali e occidentali, per vedere come abbiano trattato questi argomenti in modo più o meno efficace.
Questo volume non si rivolge solo alle donne che hanno attraversato o attraverseranno una depressione analoga alla mia, ma a chiunque – uomo o donna, single o sposato, con o senza figli, scrittore o lettore – trovi difficile, talvolta, destreggiarsi in questa molteplicità di ruoli e responsabilità nella propria vita.
I sufi credono che ogni essere umano sia uno specchio capace di riflettere l’universo nel suo complesso. Dicono che ciascuno di noi è un microcosmo ambulante. Essere umani significa dunque convivere con un’orchestra di voci stridenti ed emozioni contrastanti. Sarebbe un’esperienza appagante e proficua se non fossimo inclini a privilegiare alcuni membri dell’orchestra interiore a discapito degli altri. Reprimiamo molti aspetti della nostra personalità per conformarci all’immagine perfetta che cerchiamo di imitare. Così, dentro di noi, non si instaura quasi mai una democrazia, bensì una solida oligarchia in cui alcune voci prevalgono sulle altre.
Latte nero è il tentativo di rovesciare l’oligarchia con mezzi pacifici, per passare a una sana e matura democrazia interiore. Anche se sarebbe ingenuo dare per scontato che un regime democratico sia tutto rose e fiori, è sempre preferibile a qualsiasi forma di dispotismo. Solo allora, quando avremo armonizzato e sincronizzato le voci dentro di noi, potremo diventare madri migliori, padri migliori e, sì, probabilmente anche scrittori migliori.
Ma sto correndo troppo. Devo fare un’inversione a U e tornare indietro nel tempo, cercando il momento in cui tutto ha avuto inizio.