ABBREVIAZIONI USATE NEL COMMENTO
Bel. = V.G. Belinskij, Polnoe Sovranie Soěineij, t. 1-13, Moskva-Leningrad, 1953-1959.
Br. = N.B. Brodskij, Evgenij Onegin. Roman A.S. Puškina. Posobie dlja učitelej srednej školy, Moskva, 1957.
Č. = Alexander Sergeevich Pushkin. Evgenij Onegin. A Novel in Verse. The Russian Text edited with introduction and Commentary by Dmitry Čiževsky, Cambridge (USA), 1953.
L. = Ju. M. Lotman, Roman A.S. Puškina «Evgenij Onegin». Kommentarij. Leningrad, 1980.
N. = Onegin Eugene. A Novel in verse by Aleksandr Pushkin. Translated from the Russian, with a Commentary, by Vladimir Nabokov. In four volumes, Princeton University Press, 1975.
CAPITOLO PRIMO
Il capitolo, che si apre con la descrizione del viaggio (e dei pensieri) di Eugenio che corre verso il paese dello zio morente, è dedicato al protagonista, di cui si racconta l’infanzia (strofa III), l’adolescenza, la giovinezza, con gli studi e le passioni (strofe IV-XI). Il racconto si ferma su Eugenio all’epoca del romanzo e sulla descrizione della vita brillante di un giovin signore di Pietroburgo (strofe XII e segg.). Particolarmente ampio è lo spazio dedicato al teatro e alle attrici: qui Puškin è largamente autobiografico (strofe XIV-XIX). Il costume è l’argomento che occupa le strofe XX-XXIII. Con la strofa XXIV ha inizio il tema dei ricevimenti e delle feste da ballo, con digressioni direttamente autobiografiche. Alla strofa XXXII, Eugenio va a letto mentre gli altri s’alzano, proprio come il giovin signore del Parini (il raffronto è però puramente esteriore). Il ritratto morale di Eugenio è tracciato nelle strofe XXXIV e XXXV, dove facciamo conoscenza con la malattia di moda, lo spleen. Il tema delle belle donne è toccato nelle strofe XXXVI e XXXVII, cui seguono quelli dell’inutilità dei libri (strofa XXXVIII) e dell’amicizia: il poeta si inserisce nel romanzo come amico di Onegin (strofe XXXIX-XL). La strofa XLIII è dedicata al tema mitico dell’Italia, e la XLIV al ricordo ancestrale dell’Africa, legato a uno struggente desiderio di libertà. Con la strofa XLV riprende il racconto interrotto all’inizio del capitolo: Eugenio e l’eredità dello zio. Di nuovo la biografia interiore, il tema della campagna, l’affermazione antibyroniana e la conclusione, letteraria, del capitolo. Questo capitolo venne iniziato il 9 maggio 1823 (vecchio stile) a Kišinjov. Čiževskij fa notare che, nella minuta, dopo la strofa XXXIII (XXX), è segnata la data: 16 agosto. Il 22 ottobre 1823 il capitolo era terminato.
1. Vjazemskij: l’epigrafe è tolta dalla poesia La prima neve, del 1819. In S la citazione non venne stampata, in B era di due versi («Attraverso la vita così trascorre l’ardente gioventù / E s’affretta a vivere, e s’affretta a provar sentimenti»). Il poeta Pjotr Andreevič Vjazemskij (1792-1878) fu carissimo amico di Puškin, con il quale fu in corrispondenza fin dai tempi del liceo. Vjazemskij frequentava le riunioni dell’Arzamas; scrisse articoli critici su varie opere di Puškin.
2. onesti principii: riprende, ironicamente, il primo verso di una favola di Krylov (L’asino e il contadino, 1819), che dice: un asino di onesti principi (v. Br. 31 e Č. 210). Per la discussione intorno a questo punto v. in particolare N. 2, 29-31. Ma L. 121 afferma che questo riferimento preciso a Krylov non è accettabile, nel senso che la frase era di uso corrente.
3. scavezzacollo: in questa definizione, secondo Br. 33 non v’è alcuna sottolineatura ironica od offensiva per Eugenio. In due passi (nella poesia A Jurev e nella Gavriliada) Puškin definisce se stesso scavezzacollo, ma con una sfumatura politico-ideologica determinata. Anche la società della «Lampada Verde» era formata da scavezzacolli (povesa). Potremmo anche tradurre «libertino» nel senso più sottile del termine (amico della libertà e uomo libero da pregiudizi). Si tratta di terminologia di origine illuminista.
L’inizio dell’azione del poema (Eugenio che corre in carrozza dallo zio morente) è stato ispirato dall’inizio del poema di C. R. Maturin, Melmoth the Wanderer: c’è qui, appunto, John Melmoth che corre dallo zio morente, (N. 2, 35). Charles Robert Maturin (1782-1824), il maestro inglese del «romanzo gotico», ebbe gran fama anche in Russia.
4. erede: erede dello zio e di altri parenti, ma non del padre. Eugenio potrà continuare a fare la bella vita solo perché lo zio, un ricco avaro, gli lascia terre, boschi e manifatture. Altrimenti avrebbe fatto la fine di altri giovani nobili, le cui famiglie andavano perdendo, tra il 1820 e il 1830, la loro stabilità economica. Il padre di Eugenio muore lasciando un passivo di debiti pari, se non superiore, alle sostanze. Questo destino di impoverimento sarà proprio di molti altri personaggi-nobili di Puškin. Eugenio Onegin è, in un certo senso, un’eccezione, in quanto evita la sorte di molti coetanei.
5. Ljudmila e Ruslan: Puškin si rivolge ai lettori, che già lo conoscono per avere letto il poema, che lo rese famoso, Ruslan e Ljudmila, iniziato nel 1817 al liceo di Carskoe Selo e pubblicato nel luglio 1820. Argomento del poema, in sei canti, è un’avventura fantastica, simile alle avventure narrate dall’Ariosto nell’Orlando Furioso. Ruslan è un intrepido principe che sposa Ljudmila, figlia di Vladimiro-Bel-Sole, sire di Kiev. Ma subito dopo le nozze, il mago Černomor rapisce la sposa e la nasconde in un palazzo incantato. Ruslan la libera, dopo mille avventure strabilianti.
L. 121 mette a fuoco le ragioni di questo riferimento a Ruslan e Ljudmila, sottolineando il fatto che il poema era più apprezzato dai cosiddetti «arcaicisti» (avversari di Karamzin e della sua scuola linguistica stilistica modernizzante), in particolare da Kjuchel’beker, che ne dette una valutazione assai positiva. Ma Puškin, nell’edizione del 1825, aveva premesso una prefazione (vedi la nostra edizione a p. 165), in cui ricorda anche il Prigioniero del Caucaso, uno dei suoi poemi byroniani: Puškin vuole, secondo quanto osserva L., dichiarare qui il carattere di «sintesi» dell’Eugenio Onegin.
6. alcun preambolo: l’Eugenio Onegin dev’essere considerato anche come una manifestazione polemica contro i classicisti: Puškin sottolinea il fatto che il suo romanzo in versi entra subito in medias res, senza prefazioni ed esordi (del tipo «Cantami, o Diva» oppure «Canto l’armi pietose»), proprio per una sottolineatura polemica: egli mette sì l’esordio, ma alla fine del VII capitolo!
7. Onegin: ricordiamo che nel piano dell’opera, tracciato da Puškin, il primo di nove capitoli in cui il poema si sarebbe dovuto suddividere era dedicato al protagonista maschile, che dava il nome a tutto il romanzo. Puškin aveva intitolato questo capitolo, sempre nel piano, col nome chandra, e cioè noia, angoscia: la malattia di cui soffriva Eugenio. Una prima guida per capire la figura del protagonista sono le parole di Belinskij di cui riportiamo i giudizi salienti: «Il poeta bene ha fatto a scegliere un eroe dell’alta società. Onegin non è un gran personaggio...; Onegin è un uomo mondano... Suo zio gli era estraneo, sotto tutti i rapporti. E che cosa vi può essere in comune fra Onegin, che già sbadigliava sia nelle sale alla moda che in quelle vecchie, e il rispettabile possidente, che nella profondità della sua campagna, per quarant’anni aveva litigato con la governante, guardato dalla finestra e acchiappato mosche? Diranno: lo zio è il suo benefattore. Quale benefattore, se Onegin era l’erede, per legge, degli averi dello zio? Qui il benefattore non è lo zio, ma la legge, il diritto di ereditare. Qual è la situazione di un uomo costretto a recitare la parte del parente addolorato, sofferente, davanti al letto di morte di un uomo a cui era completamente estraneo e lontano? Si dirà: chi lo ha costretto a recitare una parte così bassa? Ma come chi? Un sentimento di delicatezza, di umanità...». E più oltre: «Gran parte del pubblico ha negato completamente che Onegin avesse un cuore, un’anima; ha visto in lui un uomo freddo, arido, un egoista di natura. Non si può capire un personaggio in modo più sbagliato e più contorto di così. Ancora: molti, in buona fede, hanno creduto e credono che il poeta volesse rappresentare Onegin come un freddo egoista. Ma questo significa aver gli occhi e non vedere. La vita mondana non ha ucciso in Onegin i sentimenti, ma solo li ha resi freddi e ostili alle sterili passioni e ai piaceri da poco... Onegin non era né freddo, né arido, né duro; nella sua anima viveva la poesia e, in genere, egli non apparteneva al novero della gente comune, dozzinale. Un’involontaria dedizione ai sogni, sensibilità e indolenza nell’ammirare le bellezze della natura e nel ricordare i romanzi d’amore degli anni passati: tutto ciò è più testimonianza di poesia e di sentimento, che non di freddezza e aridità. Il fatto è che Onegin non amava abbandonarsi ai sogni, sentiva più di quanto non volesse dire, e non era chiuso a ogni cosa. Una mente irritata è anche segno di una natura elevata, perché l’uomo la cui mente è irritata è scontento non solo degli altri, ma anche di se stesso. Gli uomini dozzinali sono sempre contenti di sé, e, se le co...