Una storia di bugie dorate (Life)
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Una storia di bugie dorate (Life)

  1. 352 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Una storia di bugie dorate (Life)

Informazioni su questo libro

"Un brivido di inquietudine la attraversò. Suo padre e suo nonno avevano entrambi perso una figlia. La primogenita." Da quando Paige Hathaway, erede di una famosa casa d'aste, inizia a occuparsi di un antico dragone cinese, tutte le sue certezze sembrano crollare a una a una. La famiglia, gli affetti, la sua vita: forse niente è quello che sembra. E a complicare le cose c'è il proprietario del dragone, Riley McAllister. Lui e Paige non pot rebbero essere più diversi. Riley si è affrancato a fatica dalle proprie origini modeste, mentre Paige ha avuto tutto dalla vita. Eppure, nonostantele loro differenze, quando l'antico dragonescompare dalla casa d'aste degli Hathaway, i loro destini si scoprono legati. Un tradimento del passato unisce le loro famiglie, e ora minaccia di dist ruggerle. Per salvarsi l'unica strada è unire le forze, ritrovare l'antico manufatto e scoprire il segreto che nasconde, un segreto che affonda le sue radici in Cina, ai tempi della Seconda guerra mondiale. Ognuno di loro sarà costretto a scegliere tra l'amore e la lealtà familiare: una volta aperta la porta sul passato, non si può tornare indietro. Un irresistibile intreccio di passione, intrighi e segreti. Un successo del passaparola che ha scalato la classifica dei bestseller del "New York Times".

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Informazioni

1

San Francisco, oggi

«Pare che i dragoni portino fortuna a chi li possiede» disse Nan Delaney.
Riley McAllister scrutava l’oggetto di bronzo brunito nelle mani di sua nonna. La statuetta era alta venticinque centimetri, e per quanto ricordasse un dragone, il corpo di serpente e le scaglie annerite di sporcizia la facevano somigliare piuttosto a un mostro. I brillanti occhi verdi sembravano pietre preziose, ma non poteva certo trattarsi di giada autentica. Né il collare poteva essere davvero d’oro. Quanto alla fortuna, Riley non ci aveva mai creduto, e non intendeva cambiare idea proprio adesso. «Se fosse vero, saremmo in testa alla fila.»
Lanciò uno sguardo esasperato alla calca che li circondava. Un centinaio di persone, come minimo. Quando aveva accettato di aiutare sua nonna a sgomberare la soffitta non aveva previsto di ritrovarsi alle prime ore di un lunedì mattina nel parcheggio della Cow Palace Arena di San Francisco, confuso tra una ressa di gente accorsa per far valutare la propria paccottiglia da una giuria di antiquari itineranti.
«Ci vuole pazienza, Riley.» Nan abitava in California da sessant’anni, eppure la sua inflessione tradiva ancora le origini irlandesi.
Al sorriso ottimista di sua nonna, Riley rispose con una smorfia. Ma dove le trovava tante energie, quella donna? Aveva settantatré anni, per la miseria, ed era ancora un vulcano in miniatura. Ancora bella, con quei capelli bianco-argento e gli occhi azzurro chiaro che erano capaci di frugargli l’anima.
«Se sai aspettare, sarai ricompensato» gli rammentò.
A Riley l’esperienza aveva insegnato il contrario. Per ottenere qualcosa dovevi sudare sangue e darci dentro, sacrificando ogni cosa, senza mai permettere che i sentimenti avessero il sopravvento sulla ragione. «Perché non mi lasci vendere questa roba su Internet?» suggerì per la ventesima volta.
«E farmi prendere per il naso da qualcuno? Scordatelo.»
«Cosa ti fa credere che questi “esperti” siano affidabili?»
«Antiques on the Road viene trasmesso in televisione» rispose lei con una logica inattaccabile. «Non possono mentire davanti a un pubblico di milioni di persone. Senza contare che sarà divertente, una nuova esperienza. E tu sei stato un tesoro ad accompagnarmi. Il nipote perfetto.»
«Certo, un tesoro, come no… Puoi anche smetterla con i complimenti. Tanto ormai sono qui.»
Sua nonna sorrise, e con delicatezza appoggiò il dragone in cima al resto del bottino, ammucchiato su un antiquato carretto rosso per bambini, scovato anch’esso in soffitta. Nan era convinta che da qualche parte, in quell’accozzaglia di teiere sbreccate, vecchie bambole, figurine da baseball e libri gualciti, si celasse un tesoro; secondo i calcoli di Riley, sarebbe stata una fortuna insperata ricavarne cinque dollari in tutto.
Uno sferragliare sonoro lo fece voltare. «Che diavolo è quello?» domandò, sconcertato, mentre un uomo con indosso un’armatura avanzava rumorosamente sulla strada, saltando la coda.
«Sembra un cavaliere delle favole.»
«A me sembra più l’Uomo di latta, però in cerca del cervello.»
«Probabilmente pensa di avere più possibilità di partecipare al programma con indosso l’armatura. Noi non abbiamo niente di originale da metterci?» Nan si chinò sul carretto e cominciò a frugare nel mucchio.
«Non provarci. Io resto vestito come sono.» Riley chiuse di scatto la cerniera della giacca in pelle nera, sentendosi l’unico sano di mente in quel circo di pazzi.
«Che ne dici di questo?» domandò lei, mostrandogli un berretto da baseball.
«Perché l’hai portato? Mica è antico.»
«È autografato da Willie Mays. Guarda.»
Riley studiò lo sgorbio sulla visiera. Non vedeva quel berretto da parecchio tempo, ma ricordava perfettamente di aver scarabocchiato lui stesso quella firma. «Ehm… nonna, mi spiace deluderti, ma Willie Mays sono io. Volevo vendere il berretto a Jimmy O’Hurley, poi però qualcuno ha fatto la spia.»
Lei si accigliò. «Eri proprio un birbante, Riley.»
«Facevo del mio meglio.»
A quelle parole, la rossa formosa davanti a loro si voltò, rivolgendogli un lungo sguardo da gatta. «Mi piacciono i ragazzacci» miagolò.
L’anziano al suo fianco batté impaziente il bastone da passeggio sul selciato. «Cos’hai detto, Lucy?» domandò, armeggiando con l’apparecchio acustico.
La rossa scoccò a Riley un’occhiata piena di rimpianto, poi si rivolse al vecchio ingobbito, lo stesso che presumibilmente le aveva infilato al dito il diamante da due carati. «Ho detto che ti amo, caro.»
«È uno scandalo» bisbigliò Nan all’orecchio di Riley. «Potrebbe essere sua nipote. È la prova provata che gli uomini riescono sempre a conquistare le donne giovani.»
«Se sono abbastanza ricchi sì» puntualizzò Riley.
«Il tuo cinismo non mi piace, lo sai?»
«Non sono cinico, sono realista, nonna. Non credo ti piacerebbe vedermi in giro per San Francisco con un’armatura indosso, o sbaglio? Oh, grazie a Dio la coda si sta muovendo» concluse con sollievo mentre la folla si avviava verso i cancelli dello stadio.
Il Cow Palace, un tempo celebre per il mercato del bestiame, era stato suddiviso in vari settori, ognuno occupato da un paio di esperti intenti a esaminare gli oggetti più disparati. Quando arrivò il loro turno, una donna rovistò in fretta tra il ciarpame di Nan, soffermandosi pensierosa di fronte alla statuetta. Poi li indirizzò al banco successivo, dicendo loro di mostrare al suo collega la statuetta del dragone. Il collega ebbe una reazione identica: guardò l’oggetto, si accigliò, poi chiamò un terzo esperto.
«Ho idea che parteciperemo al programma» sussurrò Nan. «Sarei dovuta andare dal parrucchiere» aggiunse, ravviandosi i capelli con aria preoccupata. «Come sto?»
«Sei perfetta.»
«E tu un bugiardo, ma è per questo che ti adoro.»
Fu interrotta dalla voce di uno dei due uomini.
«Questo pezzo è molto interessante» disse l’esperto. «Ci piacerebbe includerlo nel programma.»
«Intende dire che vale qualcosa?» domandò Nan.
«Altroché» rispose quello con un lampo negli occhi. «Il nostro esperto di arte orientale potrà essere più preciso, ma a mio parere risale a una dinastia molto antica.»
«Una dinastia» mormorò Nan, sbalordita. «Santo cielo. Hai sentito, Riley? Il nostro dragone apparteneva a una dinastia.»
«Sì, ho sentito, ma non ci credo. Da dove arriva quella statuetta?»
«Non lo so. Tuo nonno deve averla trovata da qualche parte» rispose lei mentre si facevano largo all’interno dello stadio. «Oh, che emozione! Sono così felice che tu sia qui con me.»
«Va bene, va bene, ma non entusiasmarti» la mise in guardia lui. «Alla fine potrebbe rivelarsi un oggetto senza valore.»
«Oppure valere un milione di dollari. Magari ci chiederanno di esporlo in un museo.»
«Per quant’è brutto, mi sembra la destinazione giusta.»
«Prego, signora Delaney, noi siamo pronti» disse una giovane sorridente, facendo loro strada verso il set ingombro di riflettori e telecamere.
Li accolse un uomo anziano dai tratti asiatici. Esaminò il dragone, e confermò: il pezzo apparteneva alla dinastia Zhou. «Un oggetto molto raro» aggiunse. Gli occhi erano due pezzi di giada, disse, e il collare una fascia d’oro a ventiquattro carati.
Riley non credeva alle proprie orecchie. A detta di quel tizio, con ogni probabilità la statuetta aveva fatto parte della collezione di un imperatore. Il valore stimato era di svariate migliaia di dollari, se non centinaia di migliaia.
Al termine delle riprese furono scortati fuori dal set. E immediatamente travolti da un nugolo di gente che sgomitava per stringere loro la mano e allungare biglietti da visita. Riley teneva il dragone premuto contro il petto, e Nan saldamente sottobraccio. Quell’oggetto stava provocando la stessa reazione di una succulenta bistecca gettata in pasto a un branco di lupi.
Si aprì un varco tra la ressa trascinandosi dietro sua nonna, e non disse una parola finché non furono seduti in macchina, con le portiere ben chiuse. Fece un lungo sospiro. «Pazzesco. Quelli sono matti.»
«Solo elettrizzati, credo» replicò Nan, guardando la statuetta in grembo al nipote. «Ci pensi? Ha migliaia di anni…»
Per un istante, Riley si lasciò quasi convincere. Quel dragone sembrava emanare uno strano calore, molto intenso. Oh, che diamine. Tutta immaginazione. Vecchio di un anno o di millenni, restava un pezzo di bronzo, niente per cui valesse la pena di agitarsi. Lo appoggiò sul cruscotto, senza osare confessarsi il sollievo che provava a levarselo di mano.
«E per tutto questo tempo è rimasto in soffitta…» aggiunse Nan in tono sognante. «Come in una fiaba.»
«O come in un incubo.»
Ma la nonna non gli dava più retta, intenta com’era a passare in rassegna il mazzetto di biglietti da visita. «Oh, santo cielo» esclamò. «La House of Hathaway. Guarda.» E gli mise sotto il naso un elegante cartoncino avorio con stampato in rilievo il nome del più prestigioso e raffinato negozio d’antiquariato di San Francisco. «Mi hanno chiesto di contattarli il prima possibile. Ho un buon presentimento, sai?»
«Ah, sì? Perché il mio è pessimo.»
«Tu ti preoccupi sempre troppo. Non devi concentrarti sui problemi, Riley. Devi pensare alle possibilità. Questo potrebbe essere l’inizio di una straordinaria avventura.»
«Credi davvero che sia un pezzo della dinastia Zhou?» domandò Paige Hathaway a suo padre mentre metteva in stop la registrazione di Antiques on the Road, fermando le immagini su un primo piano del dragone. Se esisteva qualcuno in grado di datare la statuetta, quello era lui.
«Sì, è possibile» rispose David, con una nota di entusiasmo nella voce e una scintilla di trepidazione negli occhi, mentre avvicinava il volto allo schermo. «Peccato non poterlo vedere meglio. Quel tizio continua a mettersi di mezzo.»
Il tizio al quale si riferiva era un giovane uomo alto e dal fisico atletico, che indossava una giacca in pelle nera. Sotto lo sguardo delle telecamere, la sua espressione era passata dall’imbarazzo allo sbalordimento a un deciso scetticismo. In netto contrasto con lui, l’anziana signora che lo accompagnava sembrava eccitata da quell’imprevisto colpo di fortuna. Una grossa fortuna, se il padre di Paige aveva azzeccato la datazione dell’oggetto.
«Perché non hanno ancora telefonato?» domandò David. «Sei sicura di aver spiegato bene ai signori quant’era importante che ci contattassero oggi stesso?»
«L’ho specificato in entrambi i messaggi che ho lasciato in segreteria» cercò di rassicurarlo Paige. «Vedrai che chiamano.» Ma un’occhiata all’orologio insinuò il dubbio anche in lei. Erano già quasi le sei di sera. «Magari domani.»
«Io non posso aspettare domani. Devo avere quel dragone adesso.»
David prese a camminare avanti e indietro nell’ufficio della figlia al quinto piano dell’edificio.
Peccato che l’arredo rigorosamente cinese della stanza, semplice e raffinatissimo, pensato per creare un ambiente distensivo e favorevole all’ispirazione, su di lui non stesse sortendo alcun effetto.
«Ti rendi conto, Paige?» esclamò. «La dinastia Zhou iniziò a regnare intorno al 1050 a.C. E quel bronzo potrebbe addirittura collocarsi tra i primi manufatti del periodo. Custodisce senz’altro una storia straordinaria.»
«E io non vedo l’ora di sentirtela raccontare» replicò Paige. Era in momenti come quello che amava di più suo padre, quando la passione gli brillava negli occhi e gli riscaldava il cuore.
«Ma non posso farlo, se prima non lo tengo tra le mani. Devo averlo qui per ascoltare la sua voce, per percepirne la magia.» David raggiunse la finestra affacciata su Union Square, ma sembrava cieco alle luci della città. Era immerso nell’entusiasmo per un nuovo, possibile acquisto: quando accadeva, nient’altro aveva importanza per lui. Convogliava tutte le energie verso un unico obiettivo.
Ma adesso, per la prima volta aveva incluso anche lei. Di solito le telefonate preliminari per le nuove acquisizioni venivano effettuate dai suoi assistenti, scelti in base al tipo di pezzo da comprare e all’area di competenza di ciascuno. Invece in quel caso David si era rivolto a lei, chiedendole di contattare la signora Delaney. Paige se ne era stupita, ma non aveva fatto domande. Se suo padre voleva coinvolgerla, non avrebbe fatto obiezioni.
Sorrise vedendolo passarsi una mano tra i capelli castani, spettinandoli più del solito. Il suo aspetto scarmigliato mandava sempre Victoria fuori dai gangheri. Sembrava sempre più sgualcito delle banconote che teneva appallottolate in tasca, invece di infilarle nel costoso portafoglio che la moglie gli aveva regalato pochi mesi prima per il suo cinquantacinquesimo compleanno. David Hathaway era fatto così: un po’ trasandato, spesso impulsivo, sempre affascinante. A volte Paige rimpiangeva di non somigliargli. Aveva ereditato i suoi occhi castano scuro, ma quanto al resto era decisamente figlia di sua madre. Forse se lui avesse trascorso più tempo a casa, se le avesse trasmesso le proprie conoscenze, invece che affidare la sua educazione a Victoria… Se l’avesse amata quanto amava la Cina…
Meglio non pensarci. Non poteva essere gelosa di un’intera nazione. Era un sentimento ridicolo, e gli Hathaway non erano mai ridicoli. Gli Hathaway non si abbassavano mai al di sotto della perfezione.
Ogni singolo giorno della sua vita, il nonno e sua madre le avevano inculcato la necessi...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Prologo
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. 21
  26. 22
  27. 23
  28. 24
  29. 25