Ido e i suoi allievi arrivarono al campo in una settimana e scoprirono che il fronte era arretrato ancora. Come previsto, i ragazzi rimasero sconvolti. Il sangue, i feriti, le cataste di morti, le spade spuntate dal troppo uso, la paura… erano tutte cose che nell’ambiente ovattato dell’Accademia non avevano mai avuto modo di immaginare.
«Questa è la guerra, è quella cosa sporca che all’Accademia vi passano per un lindo balletto di spade. Non ci sono regole, quando combatti, né lealtà. Ci sono la vita o la morte. Dimenticatevi l’onore, scordatevi i manuali di scherma e tenete bene a mente per che cosa combattiamo» disse agli allievi che lo guardavano spauriti.
Portò in giro il suo plotone anche per i villaggi, tra le macerie fumanti e i cadaveri lasciati a marcire lungo le vie. Mostrò ai ragazzi la disperazione dei sopravvissuti, gli orfani, le vedove, gli occhi spalancati sul nulla di chi ha perso tutto.
Qualcuno distoglieva la sguardo, qualcuno, la sera, singhiozzava nella sua tenda. Era giusto. Così doveva essere. Un guerriero che non è sorretto dall’orrore per la guerra e per l’ingiustizia non può combattere al meglio di sé.
Davanti alle lacrime di uno dei più giovani dei suoi allievi, Ido fu crudo e lapidario. «Piuttosto che piangere, rifletti. Fai entrare nel tuo cuore ciò che vedi e domandati perché c’è. Una volta che hai riflettuto, chiediti cosa puoi fare tu perché non accada più. Allora capirai che non impugni la spada perché tuo padre te l’ha messa in mano quando ancora neppure camminavi, perché vuoi essere più forte degli altri o perché le ragazze si girino quando passi, ma per uno scopo molto più alto.»
Ido cercava di trasmettere ai suoi allievi tutto ciò che aveva appreso nei lunghi anni di guerra, e quel lavoro lo esaltava, perché non significava solo addestrare guerrieri, ma formare uomini che un giorno avrebbero potuto reggere le sorti della pace, se mai fosse arrivata.
Forse dovrei farlo più spesso, forse dovrei prendermi altri allievi, si sorprese a pensare un giorno. In fin dei conti, non sarebbe stato anche quello un modo per riscattare il proprio passato?
Poi fu la volta delle ore di addestramento alla battaglia, dei duelli condotti tutti contro tutti, per apprendere a muoversi quando i nemici piombano da ogni direzione. Ido era un maestro severo. Richiedeva ai suoi allievi lo stesso rigore e lo stesso impegno che richiedeva a se stesso. Così li sfiniva a furia di combattimenti e di lezioni teoriche. «Non è un lavoro di tutto riposo, quello del guerriero» diceva quando qualcuno si lamentava.
Contemporaneamente all’addestramento, Ido seguiva anche le ultime fasi di preparazione della battaglia. La primavera volgeva al termine e la data stabilita per l’attacco si avvicinava. Vi furono molte riunioni di pianificazione e Ido e i suoi, un gruppo di circa quattrocento uomini, tra cui i giovani dell’Accademia, vennero assegnati alla prima linea. Gli aspiranti Cavalieri, invece, che erano già in grado cavalcare draghi, avrebbero fornito aiuto contro gli uccelli di fuoco. Il campo in quei giorni era un caos, fra i preparativi concitati e le strida delle decine di draghi ammassati nelle stalle.
Quando Ido comunicò ai suoi la data dell’attacco e la loro posizione, sentì la paura percorrere le file dei ragazzi.
«Noi non siamo veri e propri guerrieri» protestò uno.
«Lo siete, invece. L’addestramento che vi ho dato è più che sufficiente e avete alle spalle anche le nozioni dell’Accademia» replicò Ido.
«Sì, ma la prima linea è sempre la prima linea…» provò a dire un altro.
«Per questo vi abbiamo selezionati e addestrati. Non siete soldati comuni, ricordatevelo.» Ido fece scorrere lo sguardo sui volti intimoriti dei ragazzi. «Non dovete lasciarvi dominare dalla paura. Avete fatto una scelta, quando siete entrati in Accademia. Avete deciso di mettere in gioco la vostra vita per un ideale e ora è arrivato il momento di pagare il prezzo di quella scelta. La paura è una reazione normale e giusta. Dà la misura dell’amore per la vita, e ci vuole amore per la vita per fare questo mestiere. Ma dovete dominarla. Siete parte di un unico corpo. Come nella vita, la morte di uno permette agli altri di continuare. Questo dovete pensare. Non combattete invano. In ogni caso, avete tutti gli strumenti per evitare di farvi ammazzare.»
Il tempo trascorse rapido, la fredda primavera di quell’anno si stemperò lentamente nei primi caldi dell’estate incipiente e venne infine il giorno della battaglia.
Il campo traboccava di uomini e mezzi. Fin da prima dell’alba, fra le tende presero a rincorrersi gli ordini e le disposizioni, mentre i draghi venivano spostati da una parte all’altra dell’accampamento.
Ido si svegliò prestissimo, con il cuore in gola. Non gli era mai capitato, se non quando era un ragazzino e ancora combatteva per il Tiranno. Si diede dello sciocco e si alzò.
L’aria era carica di elettricità. Era una grande battaglia, lo percepivano tutti.
Ido andò dai suoi e li trovò tutti già svegli e agitati.
«Capisco la vostra ansia, ma dovete cercare di stare calmi. Scacciate i pensieri di morte e qualunque altra cosa che possa distrarvi dalla battaglia. Ora esistono solo la vostra spada e il nemico, nient’altro. Concentratevi sul vostro corpo, siate lucidi, non fatevi dominare né dalla paura né dall’ebbrezza dell’omicidio. Non è per questo che scenderete in campo.»
Li vide annuire, centoventi volti che pendevano dalle sue labbra.
Ido si trovava a corto di scudieri, da quando Laio se n’era andato, così si fece aiutare da uno dei suoi allievi, Caver, il ragazzo biondo che si era fatto avanti per duellare con lui. Poi rimase solo, a lucidare la sua spada. Lo faceva sempre prima della battaglia. Lo aiutava a rilassarsi e gli permetteva di trovare la concentrazione.
Dopo l’incantesimo di Soana, l’arma aveva assunto una trasparenza opaca, sembrava più leggera e riluceva nella penombra della tenda. Passare il panno sulla lama, però, non gli servì a calmarsi. In fondo al cuore sentiva un’ansia sorda, che somigliava in modo inquietante alla smania di combattere che provava quando militava fra le truppe del Tiranno.
Quando raggiunse Vesa, il suo stato d’animo non migliorò. Il drago era inquieto quanto il suo Cavaliere.
«Forse stiamo diventando vecchi» gli disse Ido, mentre gli accarezzava le squame rosse. «Un tempo ci bastava guardarci negli occhi per calmarci.»
Il drago sbuffò e lo gnomo restò ancora qualche istante con lui, il tempo di trovare la concentrazione indispensabile per la battaglia.
Ci volle più di un’ora perché tutti si schierassero e Ido ne approfittò per arringare le sue truppe e dispiegarle nel modo migliore per la battaglia. Intravide molti che conosceva, tra le file. Soana era in un canto, intenta ad apporre incantesimi sulle spade, seguita da un plotone di maghi. Più lontano c’era Mavern, che era stato messo a capo delle truppe dei giovani Cavalieri di Drago. Poco distante Nelgar, il generale in capo, quel giorno. Infine, gli occhi di Ido incontrarono qualcosa di insolito.
C’era un guerriero che non conosceva, a cavallo di un baio. Aveva un’armatura azzurrina finemente lavorata e impugnava una lunga spada piena di fregi. Quando il guerriero sollevò la celata dell’elmo, Ido lo riconobbe e ne fu addolorato. Capelli ricci castani, un volto ingenuo da ragazzino. Galla.
Lo gnomo credeva che la cosa fosse stata risolta. Durante una delle ultime assemblee, Galla si era alzato e aveva chiesto di poter partecipare alla battaglia.
«Mia moglie è morta per questo regno e io finora non ho fatto nulla, se non pianificare dalle stanze sicure della mia reggia. La mia gente intanto muore. Non posso più restare con le mani in mano» aveva detto.
Tutti sapevano che dalla morte della moglie Galla non era più lo stesso. L’aveva molto amata e vederla sparire così, dissolta nell’aria dalla lancia scagliata da Deinoforo il giorno della battaglia contro i morti, lo aveva annientato.
«Vostra Maestà, voi non siete un guerriero e il vostro regno ha bisogno della vostra guida. Non potete permettervi di rischiare di morire» aveva provato a farlo ragionare Mavern.
«E se la mia Terra cadesse? Cosa resterebbe di me? Io devo stare accanto al mio popolo.»
Quel giorno non erano riusciti a convincerlo, ma Ido credeva che alla fine Theris, la ninfa che rappresentava la Terra dell’Acqua nel Consiglio dei Maghi, lo avesse dissuaso.
«Ci abbiamo provato, credimi.»
Ido si voltò. Al suo fianco c’era Nelgar.
«È stato irremovibile» aggiunse il sovrintendente.
Ido sospirò. «Per certi versi lo capisco. È nobile voler condividere le sorti del proprio popolo, ma è anche immensamente stupido. Quell’uomo in realtà desidera soltanto morire.»
«Non possiamo far altro che lasciare che segua il suo destino. Oggi combatterà. Speriamo solo che sopravviva. Cercheremo di difenderlo quanto meglio possiamo.»
L’alba trovò l’esercito schierato a battaglia. Il cielo era plumbeo e scendeva una pioggerellina sottile. Il campo risuonava del rumore sordo dell’acqua che cadeva sulle tende e sulle armature.
Ido respirò a fondo. Innanzi a loro, il nemico era una marea grigia punteggiata dal nero dei Cavalieri di Drago. Uno, due… tre. Tre Cavalieri. Almeno da quel punto di vista erano pari. Anche da quella distanza lo gnomo distingueva Deinoforo, rosso come il fuoco. Era davanti a tutti, dunque avrebbe comandato lui le truppe.
Lo gnomo guardò oltre. Centinaia di fammin irrequieti e dietro di loro le bestie alate, che levavano i loro stridii. Infine, i fantasmi. Molti, come al solito. Ido non li guardò a lungo, ancora non era riuscito ad abituarsi a quella vista. La sua mente non sapeva confrontarsi con quell’orrore.
Diedero l’ordine di prepararsi. Ido sguainò la spada e ritrovò una calma improvvisa.
Finalmente.
I fammin levarono il loro urlo di guerra. Qualche ragazzo dietro Ido diede segni di insofferenza.
«È tutta scena, non preoccupatevi» cercò di tranquillizzarli.
Un attimo di silenzio precedette l’inizio. Era sempre così. Un silenzio lungo un’eternità, durante il quale ciascuno era investito da migliaia di pensieri. La vita, la morte, gli amici, gli amori… Nella mente di Ido c’era posto solo per una chiazza rosso fuoco.
Poi l’ordine di attacco, e la battaglia ebbe inizio.