El Paseo de Gracia
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El Paseo de Gracia

  1. 266 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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El Paseo de Gracia

Informazioni su questo libro

Al Paseo de Gracia di Barcellona - dice un anonimo autore catalano - tutti si incontrano come al giudizio universale. Qui però Il Giudizio Universale è il titolo di un kolossal cinematografico ispirato alla Cappella Sistina: vogliono realizzarlo un vecchio produttore avido di potere e di denaro in alleanza con un rampante capitano dell'industria televisiva degli anni Ottanta. Esiste già un'antica sceneggiatura scritta da Eugenio Crema-Donnini, o Eugene Kramer, come lo chiamano ora in California, talentuoso scenografo da Oscar, vero protagonista del libro: un uomo doppio, di "granitico egocentrismo ", tormentato da un eros che lo spinge a ripetuti tradimenti e trasgressioni, ma al tempo stesso marito senza pentimenti e padre coscienzioso.
Edito nel 1987, El Paseo de Gracia è un romanzo di invenzione rigogliosa in cui i classici temi soldatiani sono proiettati nel mondo che cambia dell'economia e della comunicazione; un libro doloroso e irriverente in cui Soldati ha il coraggio di farsi beffe di tutto, del cinema, della finanza, delle donne, persino di se stesso. Questa edizione si arricchisce di un'introduzione di Massimo Onofri e di una nota al testo di Stefano Ghidinelli, corredata da materiali inediti.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804581253
eBook ISBN
9788852013430

Parte quinta

1

Prima che finisse il 1986, e proprio tra Natale e Capodanno, il dottor Brezzi ebbe molto da fare. Durante quei giorni i voli tra Milano e Roma erano sempre prenotati. Ma in ogni volo almeno un posto, prima di venire venduto, doveva ricevere da Roma il nulla-osta dell’avvocato Gualdo Moriconi. Non è dunque strano che il dottor Brezzi, prima del 1987, abbia volato avanti e indietro tre volte tra le due capitali e che Peppino, il quale si trovava da due giorni a Parigi, all’Hotel Crillon, sia stato chiamato da Milano alle ore 19 del pomeriggio di San Silvestro.
Peppino aspettava quella telefonata con tale impazienza che non lasciò neppure parlare la povera ragazza:
«Sì, sono io, mi passi il dottor Brezzi!»
«Mi spiace, il dottor Brezzi non c’è.»
«Come? Non c’è?»
«No, non è a Milano.»
«E dov’è?»
«È a Capolago, nella sua villa di Capolago, con la sua famiglia…»
«E dov’è Capolago?»
«In Svizzera.»
«Per favore mi dia subito il numero…»
«No, aspetti un attimino. Ho una comunicazione per lei…»
«Mi dica subito.»
«Guardi, se lei permette, è un fonogramma, glielo leggo, l’ho qua.»
«È lungo?»
«No… ma insomma…»
«Me lo legga.»
«Ecco. Vado adagio, se vuol scrivere.»
«No, per piacere vada in fretta. Poi, semmai, me lo rilegge, e allora scriverò. Dunque?»
«CARO PEPPINO ENTRO STASERA 31 DICEMBRE RICEVERà UN BIGLIETTO PER CONCORDE CHE ORE 12 DOMATTINA PRIMO GENNAIO PARTE DA PARIGI DE GAULLE PER WASHINGTON. IL POSTO VICINO A LEI SARà OCCUPATO DAL SIGNOR SECONDO PICCIONE. SPERO FARETE AMICIZIA ANZI CI CONTO. TUTTO MI SEMBRA PREPARATO PER IL MEGLIO MA SI RICORDI QUANTO DETTO NOSTRO ULTIMO COLLOQUIO. AUGURI IN TUTTI I SENSI. Qui c’è la firma: SUO BREZZI. Devo rileggere?»
«Sì, ma non importa che vada adagio. Legga più in fretta di prima. Grazie.»
Mentre il taxi finalmente imboccava l’ultimo rettilineo del De Gaulle, Angélique guardò l’ora: 5 alle 12. Era in ritardo: una stranezza che, neanche a farlo apposta, non le succedeva mai nella normale routine, e che invece le succedeva sempre nelle rare occasioni straordinarie, come questa volta: perché? Angélique si domandò perché. Il taxi fermò davanti all’Ingresso riservato al Personale. Due blocks la dividevano dal Concorde. Angélique pagò e intanto capì che la stranezza dipendeva da un suo inconsapevole orgoglio: quando era importante che arrivasse in orario arrivava sempre in ritardo e così rischiava il licenziamento in tronco, appunto perché voleva dimostrare a se stessa che firmando un contratto da hostess non si era fatta schiava della Air France. Balzò fuori dal taxi, alzò il volto di un pallido rosa al marmo grigio del cielo invernale: l’aere saturo di un profondo rombo la avvertì che lo Pterosauro aveva già acceso i turbopropellers: si slanciò verso il lontano tarmac, dove sapeva che, di là dall’Aeroreggia, la attendeva il Mostro. Si allontanò correndo e scrollando la grande borsa a tracolla e la cascata dei lunghi capelli d’oro.
Era giovane, fino a qualche anno prima giocava a basket, era stata campione di Francia nel Nevers Girls e quando aveva capito che non lo sarebbe più stata, allora era passata in aviazione. Ma non aveva perso lo scatto: in un minuto raggiunse la scaletta, gettò la grande borsa allo steward che l’acchiappò a mezz’aria, Angélique intanto saltava sui gradini retrattili che già si contraevano.
Appena a bordo, cercò di identificare subito con un colpo d’occhio i due passeggeri italiani che la sera prima, nel convento di Rue de Sèvres, le erano stati affidati dal Père Delanois S.J. ma, ancora prima di loro riconobbe, sorpresa meravigliosa! l’uomo che più ammirava e amava tra tutti quelli della sua vita sebbene lo avesse visto soltanto tre volte, ai concerti, e gli avesse parlato soltanto una: Roberto Machado, il famoso pianista spagnolo, gallego di La Coruña. Peppino e Felicìn potevano aspettare! Il Padre gesuita le aveva dato le loro fotografie: in tre ore di volo non le sarebbe stato difficile affascinarli. Roberto Machado, invece, era lì in seconda fila come la Grazia, come un dono celeste, come un premio che le Bon Dieu le assegnava per aver rischiato, impavida, di arrivare troppo tardi all’aeroporto. Irragionevole? Anzi: perché proprio questa era la fede di Angélique: educata dalla sua famiglia alla venerazione della Mère Angélique, la Santa di Port Royal, Angélique la hostess era cresciuta nella sicurezza giansenista che solo la disperazione conduce alla speranza, e che si trova Dio soltanto quando si teme di averlo perduto. E adesso Roberto Machado era lì, coi suoi capelli neri, lisci, appena un po’ disordinati, il viso allegro, lo sguardo luminoso, guizzante, allo stesso tempo così intelligente e così infantile, e le morbide mani magre.
Era stata lei la prima a vedere lui: ma quella gioia di trovarselo sul Concorde, solo e cioè senza la compagnia dei soliti tirapiedi d’ambo i sessi, solo e cioè quasi a sua disposizione per l’intero volo, era stata una gioia talmente forte che Angélique aveva subito distolto da lui lo sguardo e si era messa a sorridere qua e là in giro ai passeggeri. Alta, da atleta, la statura; alta, da artista, la fronte: l’estrema bellezza di Angélique aveva qualcosa di levigato e di solenne, di sensuale e di intellettuale: una creatura rara, forse unica. Ma quando poi, per decollare, il Concorde attaccava la sua formidabile rincorsa, allora Angélique, spalle alla cabina di pilotaggio, faccia alla fusoliera gremita di viaggiatori, prendeva la sua rituale posizione al centro della corsia: afferrandosi con le mani alle spalliere delle poltrone dalle due parti, allargava le braccia come un angelo protettore, e era così che durante l’abituale stress del take-off continuava a guardare i suoi passeggeri: le labbra finemente in rilievo, gli occhi nocciola chiaro con riflessi scuri, e un’insuperabile espressione di ironia tranquilla. Insomma, era la migliore hostess di classe che una compagnia di navigazione aerea potesse offrire ai propri clienti. E Angélique, che lo sapeva benissimo, anche quella volta come sempre distribuì intorno, a tutti, un po’ del suo sorriso rassicurante, ma evitò di soffermarlo, sia pure per un attimo, su Roberto, proprio perché, intanto, pensava solo a Roberto e si teneva Roberto stretto e quasi nascosto nel cuore.
Il risultato fu questo, che Roberto credette di essere lui il primo a vedere lei, e allo sciogliete-le-cinture subito si alzò e corse a cercarla:
«Angélique! Querida! Non mi avete ancora visto! Non mi avete nemmeno riconosciuto!»
«Non, malheureusement» disse Angélique fissandolo un solo istante ma con tale intensa calma che chiunque altro meno lui avrebbe capito che quel “Non, malheureusement”, quel “No, purtroppo” era la più evidente dichiarazione del contrario, la più appassionata confessione di amore.
E l’intelligentissima Angélique, in compenso, scoprì che Roberto le piaceva molto più di quanto lei credeva che le piacesse. Ecco l’uomo più simpatico del mondo! si diceva Angélique, così simpatico da non pensare mai di se medesimo come di qualcuno al quale fosse dovuto qualcosa! Oppure no. Forse Angélique sbagliava. E sbagliava esattamente come sbagliava anche Roberto, perché Roberto amava lei così come lei amava lui, e quando si ama ci si sente uno straccio.
Era il momento dei drinks: champagne, whisky sour, Bacardi, Martini, Bloody Mary, ecc. Senza dubbio, alcuni personaggi importanti delle Compagnie di Navigazione Aerea dovevano sapere che Angélique era in stretti rapporti a Parigi con i Padri della Compagnia di Gesù, ossia col Vaticano. E le hostesses colleghe avevano ormai la certezza che Angélique godeva di un particolare trattamento dalla direzione dell’Air France e qualche volta erano arrivate a sospettare che a Angélique, durante un volo, fosse affidato qualche incarico misterioso.
Chiaro che, in certe occasioni, lei eseguiva del suo lavoro solo una parte che riteneva opportuno eseguire. E bisogna dire che, calcolo astuto o naturale gentilezza, Angélique non abusava mai della concessione: la adoravano perfino le sue colleghe.
Lì per lì, dunque, non si attardò a parlare con Roberto. Fece un breve tour col vassoio dei cocktails e trovò subito uno dei due business-men italiani nello spazio che le era stato indicato dal Père Delanois.
Il Padre l’aveva avvertita che erano due volpi: anzi, aveva usato ridendo proprio l’espressione americana: two sons-ofa-bitch, due figli di puttana. E che lei doveva soprattutto evitare di insospettirli.
Non erano amici, tra loro due, non si conoscevano nemmeno. E appunto durante questo viaggio sul Concorde, da Roma qualcuno, qualcuno si intende del Vaticano, aveva stabilito che dovevano conoscersi, e anzi associarsi, insomma combinare insieme un grosso affare. «Ma proprio per questo, state bene attenta a ciò che vi dico, ciascuno dei due cercherà di non fare il necessario primo passo per conoscere l’altro. Avere fatto il primo passo sarebbe, poi, nelle trattative, un pesante handicap. Nessuno dei due, mia cara Angélique, prenderà mai l’iniziativa di presentarsi all’altro, sarebbe la confessione di una debolezza, del bisogno che uno ha di conoscere l’altro… Quelli del Vaticano avevano commesso un grave errore, avevano prenotato due posti vicini. Quelle erreur! Et c’est justement pour cela, che io ho pregato l’Air France di assegnare loro due posti abbastanza lontani l’uno dall’altro affinché nessuno di loro due possa sospettare la verità: e cioè che più in alto di loro esiste qualcuno al quale interessa che loro due si mettano d’accordo. Mi duole di aver complicato le cose per voi, mia cara, ma bisogna che essi non arrivino mai neppure a immaginare che, sotto il loro viaggio, esiste una trama nascosta, qualcosa di già combinato, e elaborato, qualcosa che si riferisce a interessi molto superiori, interessi della Chiesa e del Santo Padre in persona.»
Può sembrare strano che un gesuita se la intenda con una giansenista. Ma i gesuiti francesi di oggi inconsapevolmente sono scivolati verso Sant’Agostino e la Grazia: gli antichi avversari finiscono sempre per diventare un po’ amici. Del resto, il Père Delanois gioiva ogni volta che gli capitava di “adoperare” a buon fine una persona della quale si poteva fidare anche se non ne approvava le idee. È una combinazione che ha un che di perfetto, pensava il Padre sorridendo tra sé e sé.
Angélique, lei, oh lei non si preoccupò troppo. L’importante era non fare passi falsi e, col pensiero sempre al suo Roberto, limitò il proprio programma, durante gli aperitivi, all’impresa di identificare i due italiani. Chi dei due era il signor Peppino Chianese? E chi era il signor Felicìn Guffanti? Questo era indispensabile saperlo fino dal principio. Guai se, al momento buono, negli attimi fatali e finali, lei avesse presentato ciascuno dei due col nome dell’altro! Vero, però, che questo pericolo era stato evitato in anticipo dallo stesso Père Delanois. Consegnandole la fotografia di Felicìn le aveva detto:
«Soprattutto, figlia mia, fate attenzione a non sbagliare: ecco, questo qui della foto, che assomiglia tanto a Napoleone Primo, è M. Guffanti, M. Felice Guffanti.» Fu appunto lui che Angélique trovò subito: era così somigliante a Napoleone che cominciò fra sé e sé a chiamarlo Napoleone. E rideva, Angélique: sarebbe buffo che al momento buono, quando lo presenterò all’altro, finissi per dire, dall’emozione: e questo… e questo è il signor Napoleone! Era piccolo, naturalmente, ma dalla fotografia non lo si capiva, che fosse così piccolo. La fronte rotonda, un po’ calva davanti, e con la ciocca nera, a virgola, di traverso. Perfetto. Diverso però da Napoleone, che era sempre imbronciato, sempre serio e duro. Diverso nell’espressione, che invece mi pare sempre sorridente e neanche ironica, ma sorridente di semplice contentezza. Sempre? Sono con lui da pochi secondi, il tempo di servirgli un sugo di pomodoro con due gocce, due di numero, di vodka, e il tempo, ecco, adesso, di domandargli:
«Êtes-vous Corse par hazard?»
«Corso, no! Sono milanese. Ma perché mi chiede se sono Corso?»
Angélique rise:
«Très simple, monsieur. Parce que vous ressemblez terriblement à Napoléon Premier, et quand il était jeune, naturellement! Napoléon de la première guerre d’Italie!»
«Grazie! Nessuno me l’aveva mai detto, grazie!»
Aveva fretta di tornare da Roberto. Si era allontanata da Felicìn, troncando bruscamente inutili scambi di parole, perché voleva restar fedele al programma che si era imposta quasi inconsapevolmente: approfittare del giro dei cocktails per identificare i due italiani. Doveva dunque, ora, subito, cercare l’altro, il cosiddetto Peppino: avrebbe, così, sofferto e insieme goduto di allontanare il momento di mettersi vicino a Roberto: non le era sfuggito che, per caso, c’era una poltrona libera accanto a lui.
Si avviò, egualmente, proprio in quella direzione, cioè verso la cabina di pilotaggio, in seconda fila, e intanto cercava di ricordarsi la fotografia di Peppino: ma purtroppo se l’era dimenticata, provò un momento la tentazione: l’aveva con sé, in un piccolo portafogli di pelle appeso alla cintura: ma era impossibile tirarla fuori senza farsi notare. Di colpo si ricordò: era uno con gli occhiali, e i capelli grigi e ricciuti… era quello che in quello stesso momento sembrava che le venisse incontro fissandola e sorridendole. Sì, sorridendole al punto che Angélique arrischiò la prova: continuò a camminare ma guardando da un’altra parte, verso la cabina di pilotaggio, e arrischiò anche, un attimo prima di incontrarlo, la mossa di scansarlo lateralmente, mormorando un «Pardon!» senza guardarlo. Le andò bene, perché fu lui a fermarla:
«Pardon, mademoiselle… J’ai besoin de vous!» disse Peppino con un francese orripi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione di Massimo Onofri
  4. Cronologia di Bruno Falcetto
  5. Bibliografia critica essenziale di Bruno Falcetto
  6. Nota al testo di Stefano Ghidinelli
  7. El Paseo de Gracia
  8. Parte prima
  9. Parte seconda
  10. Parte terza
  11. Parte quarta
  12. Parte quinta
  13. Copyright