Umana avventura
eBook - ePub

Umana avventura

  1. 252 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Umana avventura

Informazioni su questo libro

Un uomo che non riesce più a conciliare i sogni con la realtà, che non riesce a far quadrare il bilancio della propria vita personale e familiare. Tra memorie e presagi, tra nuove speranze e vecchi rimpianti, quest'uomo deve combattere la più difficile delle sue battaglie. Un'avventura che comincia con un silenzioso, inquietante miraggio subacqueo, nel mare di Delo. Una storia in cui molti si possono rispecchiare.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Umana avventura di Alberto Bevilacqua in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804376163
eBook ISBN
9788852011283
Parte prima

I

Eppure l’ho vista.
Nessuno potrà togliermi questa certezza.
Nei giorni che hanno preceduto la scoperta, fenomeni che avrebbero potuto apparire provocati da guasti tecnici, me ne hanno dato segnali. Ho pensato dapprima che la zona a sud di Delo – dove con mia moglie e mia figlia vengo ogni estate, e da solo più spesso per i miei lavori di scavo – fosse impregnata di un gas o altra esalazione inesplicabile.
Tutto ciò che, della mia barca, era stato predisposto contro l’azione ossidante dell’aria, si ossidava con la rapidità dei trucchi ottici. La spazzola rotante per la pulizia della carena si bloccava. Qualunque tentativo facessi, essa si rifiutava di rimuovere i detriti che si moltiplicavano a vista d’occhio.
Il congegno di contatto tra il subacqueo e chi rimane a bordo, e l’allarme che avverte quando l’uomo in acqua corre pericolo, si mettevano in moto. Benché nessuno si fosse immerso e per un largo raggio non ci fosse nessuno.
Le spie rosse mi segnalavano un circoscritto cataclisma sotto lo scafo. Ma quale?
La sorpresa maggiore venne un giorno dalle corde lasciate dal marinaio: esse cominciarono a sciogliersi mentre tutt’intorno le torce ad accensione magnetica, di cui mia figlia si era munita per l’esplorazione dei fondali, si accendevano da sole. Un fenomeno analogo lo produceva il vento sulle pinne degli ospiti abituali della barca, che si animavano come se invisibili piedi scendessero a calzarle, cercando poi di riguadagnare la volta celeste. Era un movimento con sapienza umana. Ben differente dalla comune reazione delle cose al vento.
Ciò accadeva in quel preciso punto. Entro un diametro di qualche centinaio di metri.
In vista dei leoni arcaici contro il Lago Sacro. E della Casa dei Delfini. Ma mi sembrava visibile anche la Fossa della Purificazione di Reneia, dove dirigevo gli scavi in quei giorni.
Portando la barca oltre questo confine, tutto cessava.
Il fenomeno che avrebbe potuto chiarirmi qualcosa, era quello a cui già ho accennato. In carena, l’anticorrosivo capace di resistere per anni si apriva alle gialle chiazze della corrosione. La vernice stessa dello scafo, inattaccabile fino a cento gradi centigradi, si sfarinava sotto la mano come calce imbevuta di secolari piogge.
Mi lasciavo scivolare sottochiglia.
Allora, dalla ghiacciaia portaesca, sgusciavano rigidi come pugnali i pesci che vi avevo rinchiuso. Senza che riuscissi a scoprire un minimo varco.
Guardavo i pesci perdersi nell’azzurro denso della profondità. Se cercavo di afferrarne qualcuno, essi diventavano piccoli miraggi di sola luce che mi sgusciavano attraverso il palmo.
Da giù, avevo modo di osservare lo sciogliersi dell’antivegetativo che provocava una veloce formazione di alghe. Nubi verdescuro mi assalivano da ogni parte. Mi toglievano la vista, mi soffocavano. Avvertivo un sapore di sangue nella bocca. O forse era la suggestione della vernice rossa che dalla fascia anch’essa si scioglieva, spandendo gocce sanguigne sia su di me che sulle alghe.
Perché mai tutto in quel punto?
Mi ero spinto raramente in profondità. Sempre col terrore di superare il confine di sicurezza. Stavolta la felicità mi spingeva. Il fondale aveva una bianchezza non già di sabbia, ma di un qualcosa che assomigliava al gesso. Mi avvicinavo e il gesso prendeva forma. Costole. Colonne vertebrali. Crani. Mani. La prima somiglianza umana mi venne dai gesti che le conficcavano o le tendevano verso l’alto. Per un’estrema difesa.
Si erano prodotti scoscendimenti, tra i quali rintracciavo sempre nuovi passaggi.
Aumentando la profondità, le forme degli ossami ricordavano progressivamente l’uomo. Affondai in una sostanza untuosa e afferrai il lembo, disfatto ma ancora riconoscibile, di una pelle. Il cumulo si componeva di pelli e la sostanza untuosa era grasso. Per chi conosca le tragedie subacquee, un’altra prova di un massacro. Avevo visto qualcosa di simile nel pieno dell’Oceano, al largo delle Isole Mascarene dove, secoli prima, l’uccello chiamato dronte era stato ferocemente sterminato. La grandezza dei resti mi fece pensare ai leoni marini. Sulla testa e sul collo essi portano infatti una criniera che assomiglia a quella del leone terrestre: una volta abbattuti e scuoiati, le carcasse vengono abbandonate sulla spiaggia e le pinne, mummificandosi, sembrano mani.
I labirinti che mi accoglievano mutarono via via questa idea.
La visibilità era perfetta. Una brezza che in queste isole chiamano in agonia facilitava al massimo ogni mio movimento. Accerchiai una roccia. Mi trovai di fronte a uno sguardo come dipinto sul bianco osseo. Cominciarono ad avvolgermi occhiate furtive. Mi scrutavano e le scrutavo. Abbracciandosi a una pianta marina, una colonna vertebrale acquistò le forme di una donna. In ginocchio. Il viso rivolto in alto. Mai avevo visto nulla di più sereno. Il pelo acquistava un colore rossiccio. Volava a nube di capelli intorno al cranio. In contrasto con la grazia del corpo. Era assurdo: ma la felicità cresceva.
Sfiorai tante porte chiuse. Oggetti di metallo galleggiavano sopra buchi come fogne. Il paesaggio si completava incessantemente. Questa era una scritta indecifrabile nella roccia. E la roccia aveva la stessa consistenza delle gigantesche ossa. Fu allora che la felicità si accompagnò a un suono solenne. Nel ricordo esso è un pianto, evidentemente creato dalle correnti, con un’eco marina. Ho pensato al disfacimento del cosmo e all’invocazione – udita una volta nella registrazione di un osservatorio – della stella che muore nell’universo.
Una finestra. Mi trovai affacciato.
Un’altra figura si fece intravedere tra luce e tenebra. Era la camera di una ragazza che sedeva e sembrava contemplarsi in un punto d’acqua luccicante, con le movenze, ondulate dalla corrente, che si usano allo specchio. La sua treccia di capelli bruni mi si attorcigliò al collo. Fui costretto a strapparla. Questo gesto richiamò sopra di me un’immagine virile che allargò le braccia. Attraverso la maschera l’acqua mi appariva surriscaldata. Non era, sul fondo, qualcosa simile al rogo?
Seguì lo splendore di una vegetazione selvatica. Poi la tinta del fondale divenne cerulea. Inginocchiato sul pendio, l’uomo più gigantesco che mi fosse mai capitato di incontrare: col suo cappuccio d’alghe, aleggiandogli intorno la veste di sacerdote implorante la superficie del mare. Di fianco a lui, una statuina, un bambino dai capelli biondo grano: anch’esso fisso in preghiera.
Il fondale si biforcò.
Così mi apparve la città.
La distesa dei corpi era enorme. Potevo scorgere, nel mezzo, ruderi di casupole, blocchi quadrati con sopra un altro blocco più piccolo, e larghe finestre. Dominava ogni cosa una costruzione che era evidentemente un luogo di preghiera: la facciata, altissima, fatta insieme di roccia e pietra. I gesti di tutti vi si rivolgevano, supplicando in serenità.
Mi trovavo dunque di fronte a una città di morti.
Era difficile distinguere quanto – di quella distruzione – fosse dipeso dalle tempeste marine che si erano succedute in seguito e quanto invece dal cataclisma che aveva ucciso quegli esseri simili per sembianze all’uomo, ma apparentemente con nulla di umano nella loro materia inorganica.
La superficie marina, sempre più remota, diventava ora la volta di un cielo. Misteriosa e punteggiata di luci. Come la volta notturna che risplende tranquilla sopra un terremoto. La sensazione che ne avevo era di tutte le forze della terra che si fossero scatenate definitivamente. Ad esse andavo. Mi chiamavano. Quasi dovessi anch’io trovare una collocazione in mezzo alle loro creature. Mi aiutavano a trovare il luogo che mi competeva. E mi lasciavo pilotare dalla guglia del luogo sacro. Ogni oscuro disegno che avevo avuto nella mia esistenza, mi ritornava; ma acquistando chiarezza, non mi dava colpa. Tutti i miei desideri, i pentimenti, le sofferenze, le mie testimonianze al dramma umano, li rivedevo: in una sintesi ottica, cioè staccata da qualunque emozione, con la possibilità di un giudizio totalmente sottratto al mio essere uomo.
Il pensiero era uno stato contemplativo, ma biologico. Un’energia inspiegabile lo rendeva tale. Toccavo madri che si abbracciavano a piccoli figli. Guerrieri nell’atto di difendere la soglia delle loro dimore. Amanti rovesciati sul fondale con la spossatezza dell’amore appena fatto. Una bambina curva nel gesto di deporre un fiore sopra un morto.
E il fiore era un’alga dall’inverosimile colore celeste.
Scesi una scaletta. Mi trovai anch’io sul pavimento lastricato del luogo delle preghiere: uno stato di languore mi induceva a contemplare l’alabastro di un altare sopra il quale alghe rugginose davano idea del sangue di una vittima che vi fosse stata sacrificata.
Tutt’intorno, l’esuberanza di altre alghe simili alle acacie in fiore, e poi ai gelsomini, e poi a rose. Ero ormai prigioniero dentro il porticato di archi moreschi. E già mi lasciavo prendere dal sonno, mentre una pace buia più profonda mi predisponeva con le braccia verso l’alto, nella posizione definitiva di quanti mi accoglievano.
Inciampai in un’ancora di pietra ed essa mi si legò al piede.
Nessun movimento mi era più possibile. Riuscivo solo a guardare. Come gli altri sembravano guardare e null’altro. Il grande portale era aperto. Nella luce attonita delle acque, nei colori ultramarini, di indaco, di neve e di smeraldo, fissai a distanza ravvicinata farfalle ossee che avevano il viso di donna, e viceversa, vidi volare lassù un oggetto aureo che si trascinava una lunga coda d’alghe, mutando via via i segnali luminosi dello strano aquilone. Mentre così avevo la certezza di frugare l’infinito, scoprendolo uguale a una giornata tiepida, ebbi l’ultimo pensiero umano.
Mi nacque osservando grappoli di donne, che la corrente spingeva, ma senza poterle staccare dalle tombe dei figli. Stavano come accanto a letti vissuti. Il mio orecchio ne percepiva un sussurro, trasmesso fino a me dal fondo di pietre: vi riconobbi le loro preghiere che avevano la voce delle forze naturali. Ciascuna aveva pianto sulla spalla dell’altra. A vicenda ancora si sostenevano.
Pensai a una vita, che era stata anche mia, affollata di madri che dopo aver taciuto per troppa pena con le esistenze dei figli, ugualmente per troppa pena parlano alle loro ombre, dopo la morte, nei riti del nulla che sostituiscono i familiari e inespressi incontri di allora. Ma nello stesso istante, direi evocata da questo pensiero al centro dell’immensità subacquea che era diventata il mio luogo, spuntò un’ultima figura.
Ebbe dapprima la consistenza delle creature che mi circondavano. Cioè mi sembrò incisa nella roccia lontana e attraversata dalle luci marine. La più timida nell’offrirsi al cielo delle correnti. Le braccia aperte nel gesto della preghiera. Ai piedi la solita coda di alghe.
Quando mi afferrò la mano – solo allora – mi accorsi che era mia figlia.
Muoveva le labbra nello schermo della maschera. Voleva dirmi qualcosa e mi sorrideva. Finalmente divenni consapevole che l’aria mi mancava e che stavo per soffocare. A colpi violenti di pinna mi spostò verso occidente. Staccandomi dalla mia città e riportandomi alla vita degli esseri terreni di cui distinsi per prima cosa il faro di Mykonos, il suo braccio tremava per un terrore che comunque dominava. Come non avevo mai fatto, scoprivo la bellezza già adulta del suo corpo di sedicenne.
Faticava a portarmi in alto. Ma io non potevo aiutarla. Anche quando mi divenne possibile, non feci nulla. Finché i contorni del suo corpo non si dissolsero nel passaggio tra acqua e sole. Nemmeno per un momento avevo temuto che la mia vita corresse pericolo. Ora sì. Mentre l’aria tornava nei miei polmoni e io cadevo sulla sabbia.
Mia figlia si buttò in ginocchio sopra di me.
«Cos’è stato?» le chiesi.
Non mi rispose.
«Esiste?» aggiunsi semplicemente.
«Cosa?»
«Ciò che anche tu hai visto.»
«Io non ho visto nulla.»
«Non è possibile» ripetevo. Ma già col pudore, che in seguito non sarebbe scomparso, di parlare a qualcuno del mio mistero.
Ribadì: «Non esiste nulla».
Eppure non diceva la verità. Ne ero certo.
La fissavo. Mentre, fissandomi a sua volta, mi ascoltava i battiti cardiaci. Non aggiunsi una parola, ma decifrò ogni altra domanda che avrei voluto farle e mi spiegò i fenomeni dell’estate: i loro poteri, quando il caldo si fa equivoco tra realtà e irrealtà, e i poteri non differenti delle profondità marine, di cui conosce ogni segreto.
«Un momento di stanchezza» concluse.
Ma i suoi occhi in quell’istante non erano da creatura di terra e rifiutavano il mondo in cui mi aveva riportato: rividi lo sguardo delle figure sepolte.
Ecco come mi ricordai di una cosa.
Non mi ero voltato indietro. A guardare, lasciandolo, quel luogo.
Poi molte mani mi sollevarono.
Dalla Via Sacra un altoparlante diffondeva l’allarme.
Mia figlia già si distraeva da me e mi dimenticava attraversando la spiaggia verso chi la chiamava. Salì su una barca a motore che si allontanò in direzione del faro di Mykonos.
E io, con la testa rovesciata, vedevo la barca correre capovolta nel cielo, confondendo la scia con le nuvole, e tutto sembrava alzarsi dalla terra e dal mare per inseguirla.
Fu in quel momento che il fenomeno si completò.
Molte domande raggiunsero la mia mente e mai più si sarebbero allontanate.
Quale misterioso potere aveva portato mia figlia a salvarmi, se realmente mi aveva salvato?
Quale connivenza dietro le sue risposte?
Quale modificazione si era prodotta in lei e chi era questa figlia che ora cominciavo a vedere con diversi occhi?
Sottovento. Un orologio d’alto mare scricchiolava sulle sospensioni cardaniche. Non c’era altro suono né altro relitto che risplendesse. Stavano demolendo un cabinato e in mezzo al fasciame di mogano, che sembrava distrutto da una tempesta, l’orologio incorporava il centro di un mondo di cui ricordava, insieme alla fine, quella che ne era stata la funzione di rispondere a un ordine prestabilito.
Qualcosa in cui mi riconoscevo.
Il contenitore di cuoio era rotolato nell’ombra rettangolare che lo strumento proiettava sulla sabbia. Ero stato attratto proprio da questo casuale accostamento di oggetti in una composizione come creata dalla genialità dell’uomo e – fissando il quadrante segnare la sua ora senza tempo contro il vuoto marino, le scogliere e gli alberi in lontananza, i battelli al molo – meditavo sul potere che hanno le cose di interpretare a volte il loro stesso mistero.
Sono salito sopra le rocce e mi sono seduto dove potevo abbracciare l’orizzonte.
Era un pomeriggio di quelli che si ricordano per la bellezza con cui non accade nulla. Ciò mi metteva profondamente in pace con me stesso. Non desideravo che questa pace. Ma avendo, senza ragione, il timore che non mi fosse possibile: perché mai mi ritornava l’inquietudine di quando avevo condotto la barca al punto della città sepolta?
Se ora la solitudine e il silenzio erano assoluti?
Ed ecco che, come allora, una serie di visioni venivano a confermarmela costringendomi a dover decidere sulla verità di alcune cose che si presentavano ai miei occhi, non più con l’attrazione di quelle creature subacquee, bensì con la volgarità di cui sanno essere capaci le creature umane.
Tuttavia, pur mutando la natura della provocazione, questo secondo miraggio riproduceva esattamente il fenomeno di pochi giorni prima dentro il mare. Mi trascinava a una rivelazione che avrebbe avuto un peso definitivo.
Li ho visti quando già erano affiorati. Senza che ne avessi avvistato segno sulle acque. Le loro mute occupavano lo spazio perché diffondevano sulla sabbia ombre assa...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Parte prima
  5. Parta seconda
  6. Indice