La strana guerra
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La strana guerra

1939-1940: quando Hitler e Stalin erano alleati e Mussolini stava a guardare

  1. 216 pagine
  2. Italian
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La strana guerra

1939-1940: quando Hitler e Stalin erano alleati e Mussolini stava a guardare

Informazioni su questo libro

La sera del 31 agosto 1939 un commando speciale di dodici uomini travestiti da soldati polacchi assalta la stazione radio di Gleiwitz alla frontiera tra Germania e Polonia, lanciando un messaggio di sfida al Terzo Reich. Il finto "incidente", organizzato dai vertici delle ss, darà il pretesto a Hitler per invadere il territorio polacco e far scoppiare così la seconda guerra mondiale.
Preparato da un patto di non aggressione fra Germania e Unione Sovietica, che dava campo libero alle due potenze firmatarie nelle reciproche aree d'influenza, e inauguratosi con una Blitzkrieg, ossia un attacco fulmineo alla Polonia da parte dei tedeschi, il conflitto ebbe, nella sua prima fase, sviluppi singolari e contraddittori, che suscitano interrogativi ancora oggi senza risposta.
Perché Francia e Inghilterra aprirono le ostilità con la Germania dopo la sua offensiva in Polonia, e non con l'Unione Sovietica che aveva fatto altrettanto fagocitando, per giunta, tutti i paesi baltici? E come mai sul confine franco-tedesco, dove si fronteggiavano l'inespugnabile Linea Maginot e la Linea Sigfrido, l'esercito francese, considerato il più forte del mondo, al quale si era aggiunto il Corpo di spedizione britannico, non approfittò della debolezza delle truppe tedesche, impegnate a combattere soprattutto sul fronte polacco? Per mesi non venne sparato un solo colpo fra i due schieramenti, che fecero il possibile per non irritarsi a vicenda. Temporeggiavano, giocando alla guerra. A una "strana guerra", nome con cui quella stagione di schermaglie e attese è passata alla storia.
Ma alla fine del novembre 1939 il cannone cominciò a tuonare per davvero nel profondo Nord, con il conflitto russo-finnico. Eppure le "stranezze" continuarono: anziché combattere i tedeschi, gli Alleati corsero ad aiutare la Finlandia pianificando grandiose operazioni militari contro Stalin. Che cosa accadeva? L'Europa stava forse impazzendo?
È quanto si propone di indagare Arrigo Petacco che, attraverso una cronaca puntuale e coinvolgente, racconta gli eventi, i personaggi, gli accordi segreti, i retroscena del periodo fra il 1939 e il 1940 in cui Germania e Unione Sovietica si tenevano la mano e negli ambienti politici e militari occidentali il vero nemico sembrava essere più Stalin che Hitler. In questo scacchiere ancora incerto, un ruolo primario fu svolto dall'Italia, di cui queste pagine ripercorrono i nove mesi di "non belligeranza" descrivendo l'intensa attività diplomatica, palese e occulta, di Mussolini. Fra contraddizioni, tentennamenti e bluff, il Duce cercò di procrastinare il più possibile l'intervento in guerra, nella speranza di giungere a una conferenza internazionale e di ripetere così il successo ottenuto a Monaco nel 1938 come "salvatore della pace". Ma dovette ben presto arrendersi di fronte alla potenza distruttiva della macchina bellica tedesca, che avanzava inesorabile. La "strana guerra" era finita e cominciava quella vera.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804583042

VI

LE MIRE DI HITLER A OCCIDENTE

La volta della Francia
Hitler aveva cominciato a pensare all’offensiva contro la Francia quando ancora non aveva concluso la rapida campagna di Polonia. Quest’uomo, che nel corso della guerra rivelerà insospettate capacità strategiche, possedeva anche una mente che tendeva a precorrere gli eventi e a suggerirgli le contromisure. Attaccando la Polonia, egli non aveva escluso l’eventualità dell’intervento nel conflitto di Francia e di Inghilterra, come effettivamente era accaduto, e si era preparato ad affrontarlo.
A suo avviso, appena liquidata la Polonia e garantita la frontiera orientale grazie all’accordo con Stalin, non esisteva alternativa se non quella di scatenare una fulminea offensiva contro la Francia. Altrimenti, un lungo indugio avrebbe giocato solo a vantaggio della Francia e dell’Inghilterra che avrebbero avuto modo di rinforzare i propri eserciti, mentre la Germania avrebbe consumato le sue riserve e si sarebbe anche trovata esposta al rischio di un attacco alle spalle da parte dei sovietici. Il fragile patto Hitler-Stalin, basato sulla reciproca sfiducia, non era affatto d’«acciaio» come quello con l’Italia fascista e poteva non durare troppo a lungo. Meglio dunque, per Hitler, bruciare i tempi e sferrare un colpo decisivo alla Francia. Una volta caduta – questo era il suo convincimento – la Gran Bretagna sarebbe scesa a patti e avrebbe concesso alla Germania il dominio dell’Europa pur di salvaguardare la sopravvivenza del suo immenso impero.
Hitler era sicuro del fatto suo. A differenza dei suoi generali, i quali ancora temevano l’elefantiaco esercito francese che li aveva sconfitti nella prima guerra mondiale, lui era convinto che un piccolo ma agguerrito esercito, guidato da comandanti determinati, avrebbe avuto la meglio su un’armata priva di spirito combattivo e guidata da generali sclerotici. Pur riconoscendo ai francesi la netta superiorità nel campo delle armi e dei mezzi convenzionali, egli contava infatti sulla perfezione tecnica raggiunta dai suoi aerei e dai suoi carri armati, nonché sulla strenua determinazione dei suoi soldati e sulla nuova generazione di ufficiali usciti dalle scuole di guerra, bene addestrati e pieni di entusiasmo.
Deciso dunque a sferrare al più presto l’offensiva, appena si era conclusa la facile conquista della Polonia Hitler aveva intensificato la sua pressione sull’OKW, il comando supremo delle forze armate, affinché realizzasse il piano d’operazioni per l’imminente attacco alla Francia. Ma, nel 1939, l’autorità del Führer non era del tutto recepita dai vecchi generali che ancora recalcitravano a eseguire gli ordini del presuntuoso «caporale austriaco». Essi non condividevano il suo ottimismo, non erano contagiati dalla sua sicurezza fanatica nella vittoria e speravano invece in un accomodamento diplomatico che evitasse di far degenerare il limitato conflitto in una guerra mondiale, ad affrontare la quale la Germania, a loro parere, non era assolutamente preparata.
Avversi all’azzardato progetto hitleriano erano infatti tutti i componenti dell’OKW, compresi il comandante della Wehrmacht Walter Brauchitsch e il suo capo di stato maggiore Franz Halder. Tanto è vero che in quei giorni fra gli alti gradi delle forze armate tedesche si giunse addirittura a progettare un piano per rovesciare Hitler. Ma i congiurati, fra i quali figuravano anche Brauchitsch e Halder, rinunciarono all’impresa quando ebbero la consapevolezza che i giovani ufficiali e tutta la base dell’esercito non avrebbero obbedito agli ordini tanta era la cieca fiducia che essi riponevano nel Führer.
Pur ignorando questo episodio, ma in ogni caso indispettito per le lungaggini pretestuose dell’OKW, il 23 novembre 1939 Hitler aveva convocato lo stato maggiore per sferrare un attacco a fondo contro l’attendismo dei suoi generali. Li accusò infatti di pusillanimità e lasciò minacciosamente intendere che cominciava a sospettare che si stesse cercando di sabotare i suoi piani. Il tentativo compiuto da Brauchitsch per sottolineare i rischi cui si poteva andare incontro attaccando la Francia ebbe l’effetto di provocare uno scoppio d’ira del Führer. Il generale, offeso per la sfuriata ricevuta, gli aveva presentato all’istante le proprie dimissioni, ma Hitler le aveva sdegnosamente respinte invitandolo a obbedire agli ordini. Che si mettessero dunque tutti al lavoro.
La fretta di Hitler circa l’opportunità di una rapida offensiva contro la Francia, comunque la si voglia giudicare, era dal punto di vista militare completamente giustificata. I comandanti alleati non erano ancora psicologicamente pronti a sostenere l’urto dell’esercito tedesco benché sulla carta sembrassero più forti. E Hitler, da stratega istintivo abituato a obbedire ai propri impulsi più che alla ragione, evidentemente lo aveva percepito.
D’altra parte, nel 1939, sul pensiero militare di tutti gli stati maggiori europei influiva ancora il ricordo della grande guerra. Passata la bufera del primo conflitto mondiale, gli esperti avevano esaminato con calma ciò che era successo per trarne un insegnamento valido per il futuro. Al centro della loro attenzione era stato collocato il cosiddetto piano Schlieffen, ossia il progetto elaborato dal generale Alfred von Schlieffen che nel 1914 per poco non aveva messo subito la Francia in ginocchio. Esso prevedeva una manovra avvolgente che, partendo dal Belgio, come un colpo di falce doveva accerchiare Parigi chiudendola in una sacca. La sua esecuzione era stata affidata al generale Helmuth von Moltke, il quale vi aveva apportato notevoli variazioni, cause non ultime del suo insuccesso. I tedeschi giunsero comunque quasi alle porte della capitale francese, ma l’operazione era stata infine mandata in frantumi dal generale Joseph Joffre nella grande e memorabile battaglia che i francesi chiamarono «il miracolo della Marna», sottolineando però che si trattava di un miracolo della volontà umana e non di grazia divina.
Nel dopoguerra i pregi e i difetti di «Schlieffen» erano stati sviscerati dagli stati maggiori, i quali erano tuttavia giunti a conclusioni diverse: per i francesi, il piano non aveva funzionato perché, semplicemente, non poteva funzionare per la loro superiorità. Per i tedeschi invece non aveva funzionato per gli errori commessi da von Moltke, che infatti ne aveva commessi molti, ma restava un alto prodotto dell’intelligenza militare, una concezione ardita però scientificamente corretta.
Spronato da Hitler, lo stato maggiore tedesco, rivelando scarsa fantasia, aveva così messo a punto un progetto, chiamato piano Gelb, che ricalcava fedelmente il vecchio piano Schlieffen. «Gelb» prevedeva infatti la solita manovra avvolgente che, dai tempi di Annibale alla battaglia di Canne, continuava ad affascinare gli strateghi senza idee: uno sfondamento attraverso il Belgio neutrale e quindi una manovra a semicerchio in direzione di Parigi.
Nel corso dell’elaborazione di questo progetto, Hitler intervenne personalmente più volte ai Kriegsspiel, i consigli di guerra, interloquendo e contraddicendo i suoi generali per suggerire nuove idee rivoluzionarie che potevano scaturire solo da una mente non condizionata dai dogmi tradizionali delle scuole di guerra. Hitler, per esempio, chiese a Brauchitsch se non fosse possibile sferrare una azzardata «azione falciante» alla rovescia rispetto a quella suggerita dal vecchio piano Schlieffen. Ossia una marcia attraverso il Belgio e il Lussemburgo per poi sfondare a Sedan, dove terminava la Linea Maginot, e quindi marciare a sud della Mosa, ma non in direzione di Parigi bensì della Manica. Tale operazione, secondo Hitler, avrebbe consentito di imbottigliare le forze che sicuramente i francesi avrebbero inviato in soccorso del Belgio dividendo in tal modo l’esercito avversario in due tronconi. Ma Brauchitsch, confortato dai suoi collaboratori, non nascose le sue perplessità e le espose a Hitler con tanta convinzione che questi, ancora poco sicuro del proprio «genio» strategico, finì per esternare qualche dubbio. Di ciò approfittarono i generali per esaminare altri progetti e cercare nuove soluzioni. Resta tuttavia il fatto che fu merito di Hitler l’avere indicato Sedan come il punto più debole dello schieramento difensivo francese.
Nel frattempo, il generale Erich von Manstein, capo di stato maggiore del feldmaresciallo Gerd von Rundstedt, che era escluso, per ragioni di grado, dai Kriegsspiel dell’alto comando, si era messo di sua iniziativa a studiare il piano Gelb e ne aveva individuato il punto debole. Appariva infatti chiaro ai suoi occhi che Gelb, ripetendo l’offensiva suggerita da Schlieffen, avrebbe trovato il nemico preparato ad affrontarla. Era quindi necessario cambiare strategia per evitare di creare la stessa situazione del 1914, quando le truppe di von Moltke erano state arginate sulla Marna e impossibilitate a proseguire la marcia su Parigi.
Curiosamente, pur ignorandolo, Manstein sosteneva a grandi linee la stessa tesi di Hitler che gli alti strateghi avevano scartato. Egli dava infatti per scontato che i francesi, attendendosi la ripetizione di Schlieffen, avrebbero inviato nei Paesi Bassi gran parte delle loro forze. Di conseguenza, se i tedeschi avessero sfondato, attraverso le Ardenne, la cerniera di Sedan, limite estremo della Linea Maginot, con una rapida avanzata verso la Manica sarebbe stato possibile aggirare sul rovescio le forze concentrate in Belgio per chiuderle in una sacca. Tuttavia, per avere successo, questa operazione doveva essere fulminea: non poteva insomma procedere al lento passo del fante. Era indispensabile l’impiego dei carri armati. Ma sarebbe stato possibile attraversare con i carri la vasta foresta delle Ardenne?
Erich von Manstein, che aveva servito nella Panzerwaffe, le forze corazzate, vi aveva lasciato un caro amico che, al comando dei suoi carri, si era già distinto nella campagna di Polonia per competenza e audacia, il generale Heinz Guderian, escluso pure lui, per inferiorità di grado, dai Kriegsspiele. Quando Manstein gli espose il suo progetto, Guderian ne fu immediatamente conquistato. Racconterà infatti nelle sue memorie:
Manstein mi chiese se i carri armati sarebbero stati in grado di attraversare la foresta delle Ardenne. Poi mi espose la sua idea di sfondare al limite della Maginot nei pressi di Sedan, accantonando il piano Schlieffen che il nemico conosceva e che probabilmente si aspettava di vedere applicato ancora una volta. Io avevo avuto occasione di conoscere quella regione durante la prima guerra mondiale e, dopo avere esaminato con attenzione le carte della zona, mi dissi d’accordo con lui. Le Ardenne non rappresentavano per i miei carri un ostacolo insuperabile.
Come accade in tutti gli eserciti, e così pure nella vita, le idee dei subordinati (anche quando sono geniali) vengono sempre accolte con sospetto dai superiori e, se possibile, scartate. Andò così anche per Manstein. Quando presentò arditamente il suo piano all’OKW, senza rispettare le vie gerarchiche, la sua audacia fu severamente redarguita. Come si permetteva un semplice capo di stato maggiore di contestare le idee dei migliori strateghi della Wehrmacht? La loro risposta fu infatti dura, negativa e sferzante. Ma poiché Manstein continuava a sostenere la validità del progetto, i suoi superiori presero la decisione consueta che si adotta in casi simili: lo «scocciatore» fu allontanato e trasferito nella lontana Pomerania a comandare un gruppo di divisioni di fanteria. Non fu neppure esaudito il suo desiderio di ottenere almeno il comando di un corpo corazzato.
Nei mesi che seguirono, mentre la guerra russo-finnica stava per concludersi con la vittoria dell’Armata Rossa, l’alto comando tedesco aveva proseguito i suoi studi per la realizzazione del piano Gelb. Il 14 febbraio 1940, sollecitato da Hitler, il quartier generale della Wehrmacht tenne un altro Kriegsspiel per preparare l’offensiva contro la Francia. In quella occasione venne consultato anche Guderian il quale, sempre più affascinato dall’audace progetto di Manstein, indicò la cerniera di Sedan come il punto più debole dello schieramento avversario e suggerì l’idea di forzarlo con un’irruzione a sorpresa dei panzer da dove i francesi non se lo sarebbero mai aspettata: la foresta delle Ardenne.
La proposta di Guderian fu accolta con un’alzata di spalle. Quella foresta impraticabile avrebbe sicuramente impedito la marcia dei carri. E, qualora fossero riusciti ad attraversarla, cosa avrebbero fatto senza l’appoggio delle fanterie? Nel 1940 lo sfruttamento di una breccia operata dai carri armati era generalmente ammessa da tutte le scuole di guerra, in quanto poteva essere utile per abbattere un ostacolo, però sempre nel corso di un’operazione combinata con le altre forze. Ciò che spaventava l’OKW – e del resto anche i comandi alleati, per non parlare di quello italiano – era il rischio che si poteva correre basando un piano militare soltanto su un’azione di rottura compiuta autonomamente dai carri senza l’appoggio preventivo o concomitante della fanteria. Cosa sarebbe accaduto dopo? Nell’incertezza, meglio non rischiare.
Lo stesso von Rundstedt giudicò troppo pericoloso affidare quella delicatissima operazione ai soli mezzi corazzati. Trascorsero così altri mesi. La repentina decisione di Hitler di invadere la Norvegia distrasse per qualche tempo l’attenzione dell’alto comando dal tranquillo fronte occidentale, ma non dalla mente del Führer, per il quale l’offensiva contro la Francia rimaneva l’obiettivo principale. «La lotta per il piano», come appunto si intitola il capitolo delle memorie di Heinz Guderian dedicato a questo argomento, continuò infatti fra discussioni e contrasti.
In un successivo Kriegsspiel, di fronte alle perplessità degli altri generali, Guderian, animato da una fede incrollabile nei carri armati come elementi base degli eserciti moderni, tornò a insistere sulla validità del progetto di Manstein. Di fronte all’ostinato diniego dei presenti, ebbe anche uno scatto d’ira: «Questa discussione tradisce il vostro misconoscimento dell’importanza dei carri. Non capirete mai che devono essere i panzer ad aprire la strada alla fanteria e non viceversa?». Gli altri generali non lo capirono e anche quel Kriegsspiel si concluse senza che venisse presa una decisione definitiva.
Hitler, che non era mai stato informato del progetto di von Manstein, ne venne a conoscenza solo per un caso fortuito. Il 17 febbraio, come voleva la consuetudine secondo cui i generali che ricevevano un nuovo comando venissero ricevuti dal Führer, Manstein si presentò alla cancelleria ed ebbe con Hitler uno scambio di idee durante il quale, con sua vivissima sorpresa, scoprì che nulla del suo piano gli era stato riferito. Prendendo il coraggio a quattro mani, gli espose allora con chiarezza il suo progetto e Hitler, che vi riconobbe immediatamente la propria idea, lo accolse con un’esplosione di gioia. Manstein fu colmato di complimenti e invitato a redigere una relazione.
Il 6 marzo venne convocata una conferenza di tutti i comandanti d’armata e di corpo d’armata. Era presente anche Guderian, al cui comando era affidato il 19° corpo della Panzerwaffe, al cui vertice era il generale Ewald von Kleist. Mancavano appena due mesi all’offensiva contro la Francia, tuttavia l’ordine di battaglia non era ancora definito. La puntata contro Sedan era stata decisa, ma le difficoltà da superare restavano enormi. L’attraversamento delle Ardenne era per molti da scartare: una marcia in mezzo ai boschi, fra grovigli inestricabili, avrebbe consentito soltanto ad alcuni elementi sparsi di raggiungere la Mosa. Le vaste pianure del Brabante sembravano essere fatte apposta per favorire l’avanzata dei carri: perché non scegliere quelle? Poiché Guderian insisteva, il generale Fedor von Bock gli si rivolse risentito: «Voi intendete sgusciare a quindici chilometri dalla Linea Maginot e pensate che i francesi resteranno a guardarvi?» gli domandò a bruciapelo. «Credete davvero che potrete attraversare le Ardenne e poi la Mosa e correre fino al mare con un fianco scoperto di trenta chilometri? Che cosa farete se i francesi vi inchioderanno tra la frontiera e il fiume? Avete forse dimenticato che esiste l’aviazione? Credete a me. Voi state sognando!» Guderian incassò in silenzio, ma non cambiò idea.
Il 15 marzo, lo stesso Hitler partecipò al Kriegsspiel e prese di petto la situazione. Rivoluzionò completamente il piano Gelb e impose l’esecuzione del «suo» piano, che prevedeva l’impiego dei carri armati in completa autonomia. Stabilì infatti che un Panzerkeil, un «cuneo corazzato», proveniente dalle Ardenne, sarebbe stato lanciato di sorpresa contro la cerniera di Sedan. Dopodiché, superata la Mosa e proseguendo l’avanzata dei carri, sarebbe stato possibile intrappolare da sud le forze nemiche che sarebbero accorse in Belgio. Richiesta l’opinione di Guderian, questi non perse l’occasione di esporre con chiarezza anche al Führer il progetto che tanto gli stava a cuore. Come risulta dai verbali, illustrò dettagliatamente ciò che si proponeva di fare. «Il giorno X» affermò con sicurezza «passerò la frontiera lussemburghese dirigendomi subito verso Sedan, attraverso le Ardenne, con il mio corpo corazzato disposto su tre colonne. Ho calcolato che potrò raggiungere la frontiera belga il primo giorno superandola la sera stessa. Il secondo giorno avanzerò fino a Neufchâteau e il terzo raggiungerò Bouillon, dopo avere attraversato il Semois. Al quarto giorno sarò alla Mosa e l’attraverserò il quinto giorno. Per quella sera conto di avere costituito una consistente testa di ponte al di là del fiume.»
«E cosa farete dopo?» chiese Hitler.
«Salvo ordini contrari,» rispose Guderian «conto di proseguire l’indomani la mia avanzata verso ovest. La sola cosa che chiedo al comando è che mi si dica quale deve essere la direzione di marcia: Amiens o Parigi. A mio parere, tuttavia, la soluzione corretta consisterebbe nel puntare su Amiens per raggiungere la Manica.»
Hitler si disse completamente d’accordo e il «suo» piano fu definitivamente adottato. Il comando del Panzerkeil, che doveva assolvere il compito principale, venne assegnato al generale von Kleist.
Il piano definitivo prevedeva che il giorno X, tre gruppi di armate si sarebbero messi in azione lungo l’immenso fronte. Il gruppo C (comandato da Wilhelm Ritter von Leeb) doveva limitarsi a presidiare il fronte fra la Svizzera e il Lussemburgo. Il gruppo B (comandato da von Bock) doveva occupare l’Olanda e sfociare nel Belgio. Questo gruppo era relativamente sfornito di grandi unità corazzate, ma disponeva della più importante novità militare dell’epoca: la fanteria dell’aria, i paracadutisti, che dovevano occupare i ponti sul Reno e sulla Mosa e attaccare le fortificazioni con i metodi rivoluzionari concepiti dal Führer. Si sperava che queste azioni spettacolari avrebbero indirizzato l’attenzione del nemico verso il nord e orientato in quella direzione il grosso delle sue forze. Al gruppo A (comandato da von Rundstedt) era infine affidata l’azione principale, ossia la copertura dell’attacco a sorpresa di Sedan a opera del Panzerkeil di von Kleist. Le armate di von Bock erano quindi l’incudine e quelle di von Rundstedt il martello che avrebbero schiacciato il nemico in una morsa.
Operata la rottura a Sedan, il «cuneo corazzato» sarebbe stato diviso in tre scaglioni. Il primo, al comando di Guderian, avrebbe raggiunto Boulogne e poi Calais sulla Manica, il secondo, al comando di Hans von Reinhard, avrebbe puntato al centro in direzione di Cassel e il terzo, comandato da Erwin Rommel, avrebbe operato sull’estrema destra in direzione di Lilla.
Non del tutto soddisfatto, Hitler volle aggiungere al piano anche due varianti di peso. La prima comportava la riduzione delle Panzerdivisionen incaricate di sfondare a Sedan da dieci a sette (tre a Guderian e due ciascuno a Reinhardt e a Rommel), tutte quante opportunamente occultate nella foresta delle Ardenne: era necessario, secondo Hitler, che tre divisioni rimanessero sulle loro posizioni iniziali, una puntata su Rotterdam e due su Bruxelles, per ingannare la ricognizione nemica e nascondere l’obiettivo principale dell’offensiva. Il piano infatti poteva funzionare soltanto se gli Alleati si fossero effettivamente precipitati in aiuto del Belgio ignorando quanto si stava preparando per sfondare a Sedan. «Una trappola» ridacchiò Hitler commentando il progetto «ha bisogno della tagliola, ma anche del formaggio. Le tre Panzerdivisionen lasciate sulla destra del fronte funzioneranno da esca.» A suo parere, anche se ridotta di potenza, la puntata contro Sedan dei panzer di von Kleist, favorita dall’effetto sorpresa, avrebbe avuto ugualmente successo.
L’altra variante suggerita da Hitler prevedeva la liquidazione definitiva delle forze alleate con un doppio e simultaneo attacco. Un «colpo di falce» – questo fu infatti il nome dato all’operazione – avrebbe isolato e poi annientato le truppe alleate nel Belgio, mentre le altre divisioni corazzate e le fanterie avrebbero effettuato profondi raid nell’interno della Francia per impegnare le forze che sicuramente sarebbero state distolte dalla Maginot e dal fronte alpino con l’Italia, nel tentativo di sbloccare la situazione. In altri termini, le armate tedesche, giocando sulla sorpresa e mantenendo un atteggiamento risolutamente offensivo, avrebbero potuto liquidare la Francia in poche settimane. L’intuizione di Hitler si era trasformata in soli quattro mesi, come osserva Raymond Cartier, in una delle combinazioni str...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Indice
  5. I - Tutto Cominciò In Polonia
  6. II - La Guerra Sul Mare
  7. III - La Guerra Nella Neve
  8. IV - Intermezzo Italiano
  9. V - L’Assalto Al Grande Nord
  10. VI - Le Mire Di Hitler A Occidente
  11. VII - Verso L’Atlantico
  12. VII - L’Italia In Guerra
  13. IX - Hitler Arriva Sull’Atlantico
  14. Bibliografia
  15. Fonti iconografiche
  16. Indice dei nomi