Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (Mondadori)
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Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (Mondadori)

Il trafugatore di salme - Un capitolo sui sogni

  1. 336 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (Mondadori)

Il trafugatore di salme - Un capitolo sui sogni

Informazioni su questo libro

"Il signor Utterson, il legale, era una persona dall'aspetto ruvido, illuminato da un sorriso; gelido, reticente, impacciato nel conversare, riluttante al sentimento, esile, allampanato, malmesso, tetro: nonostante tutto sapeva comunicare un che di amabile."

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804508465
eBook ISBN
9788852011047

Lo strano caso
del dottor Jekyll e del signor Hyde1

The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde

Storia di una porta

Il signor Utterson, il legale, era una persona dall’aspetto ruvido,2 mai illuminato da un sorriso; gelido, reticente, impacciato nel conversare, riluttante al sentimento, esile, allampanato, malmesso, tetro: nonostante tutto sapeva comunicare un che di amabile.
Fra amici, specie quando il vino gli andava a genio, nel suo sguardo baluginava un senso di umanità profonda. Un senso che, per quanto non riuscisse mai a tradursi in parole, sfoggiava la sua eloquenza non solo dopo il pranzo, nella compiacenza silente dei simboli del volto, ma ancor più sovente e con maggior ardore nelle azioni della vita. Era severo con se stesso; di tanto in tanto si concedeva il piacere solitario d’un sorso di gin per castigare una certa propensione ai vini di pregio; amante del teatro, non ne varcava la soglia ormai da venti anni. Con gli altri, invece, si mostrava di una grande tolleranza e non di rado assaporava lo stupore, non scevro da una certa invidia, al cospetto dell’incontenibile vitalismo che sospinge gli animi al delitto. Nei casi più truci era più disposto a comprendere che a condannare. «Tendo a schierarmi dalla parte di Caino» soleva dire con una punta di arguzia «e lascio che il mio fratello vada al diavolo come meglio preferisce.»3 Con tale disposizione dell’animo, gli capitava spesso di rivestire il ruolo dell’ultima stimabile conoscenza e dell’estremo, benefico confidente che potessero avere individui giunti al limite della degradazione. E fin tanto che costoro andavano a trovarlo nel suo studio, si vedevano trattati sempre allo stesso modo, senza il minimo mutamento.
Per il signor Utterson non era affatto difficile riuscirci, poiché era l’uomo più discreto che potesse esistere e persino le sue amicizie sembravano ispirate al crisma, del tutto analogo, della comprensione reciproca.4 È tipico dell’uomo senza pretese accogliere nel novero delle proprie amicizie quanti gli vengono porti dalle mani del caso, e tale era infatti la consuetudine dell’avvocato. Per amici aveva i propri consanguinei o persone conosciute da tempo immemorabile. I suoi sentimenti crescevano con il passare del tempo, abbarbicandosi come l’edera, a prescindere dalla rispondenza che potessero avere. Di questo stampo erano i vincoli che lo univano al signor Richard Enfield, un parente alla lontana, ben noto uomo di mondo. Per molti era un rebus stabilire cosa quei due trovassero l’uno nell’altro, o cosa avessero in comune. Quanti li incontravano durante le loro passeggiate domenicali, riferivano poi che i due se ne stavano muti come pesci, lo sguardo assente, pronti a dare il benvenuto, con evidente sollievo, alla comparsa di un terzo conoscente. Nondimeno i due tenevano in gran conto queste passeggiate e le consideravano il momento più prezioso della settimana, tanto che, pur di non interrompere quella dolce litania, rinunciavano ad altre piacevoli occasioni e resistevano perfino al richiamo del lavoro.
Durante uno di quei vagabondaggi, il caso li condusse in una via fuori mano, in un operoso quartiere londinese. Quella strada era l’emblema di una quiete decorosa, sebbene durante la settimana brulicasse di fervidi commerci. Doveva abitarci un ceto benestante, a quanto pareva, tutta gente protesa a migliorare con solerte emulazione il proprio tenore di vita e disposta a investire l’eccedenza dei propri guadagni in opere di abbellimento, tanto è vero che le facciate delle botteghe si succedevano lungo la via con aria allettante, simili a una schiera di sorridenti commesse. Perfino la domenica, quando la via smorzava le sue più vivide note, ed era in proporzione più deserta, il nitore del luogo risaltava sulla tetraggine dei dintorni come un falò nella boscaglia, e con le sue imposte dipinte di fresco, le placche e i pomelli d’ottone lucidati a dovere, il senso diffuso di linda gaiezza, non mancava di attrarre e sedurre l’occhio del viandante.5
A un paio di porte da un cantone, sulla sinistra di chi fosse diretto a oriente, la sequela dei negozi s’interrompeva per dare accesso a un chiostro, e proprio in quel punto un casamento dall’aria sinistra protendeva sulla strada l’aggettante frontale. Era un edificio a due piani privo di finestre: al piano terra s’apriva soltanto una porta sovrastata dalla cieca superficie d’una muraglia slavata che proseguiva ininterrotta fino alla gronda. Sotto ogni aspetto ostentava i segni di un’annosa, sordida decadenza. La porta, cui mancavano campanello e batacchio, aveva la vernice scolorita, tutta bolle e screpolature. Sotto l’archivolto andavano ad accucciarsi i vagabondi che solevano sfregare gli zolfanelli sui battenti dell’uscio; sui gradini i mocciosi giocavano al mercato; gli scolari avevano messo alla prova i temperini sulle modanature, e per una generazione o giù di lì nessuno s’era preso la briga di cacciare quegli occasionali visitatori o di ripararne gli scempi.
Il signor Enfield e l’avvocato passeggiavano dall’altro lato di quella via secondaria ma, quando furono all’altezza della porta, il primo gliela indicò sollevando la giannetta.
«Hai fatto mai caso a quell’uscio?» chiese; e alla risposta affermativa del compagno aggiunse: «Nella mia mente è connesso a una storia bizzarra.»
«Davvero!» disse il signor Utterson con una lieve incrinatura della voce. «E di che si tratta?»
«Ecco come andò» rispose il signor Enfield. «Verso le tre di un mattino d’inverno, buio come la pece, stavo rientrando a casa da un luogo in capo al mondo. Il mio itinerario si snodava attraverso quartieri della città in cui non c’era da vedere proprio niente all’infuori dei lampioni: una strada dopo l’altra, e tutta la gente a dormire… una strada dopo l’altra, nel fioco barbaglio dei lampioni che sembravano in processione, e tutto deserto come la navata d’una chiesa… Alla fine mi ritrovai in quello stato d’animo in cui si tende pieni d’ambascia l’orecchio e si scruta in giro invocando la presenza d’un poliziotto. All’improvviso scorsi due figure: l’una era un uomo piuttosto piccolo che arrancava verso oriente con un incedere goffo eppure veloce; l’altra era una bambina di otto o dieci anni che correva a perdifiato per una viuzza traversa. Ebbene, caro mio, fu inevitabile che i due si scontrassero al crocicchio e proprio allora successe una cosa orribile, perché l’uomo calpestò senza remore quel corpicino lasciando sul selciato la bambina che era tutto un urlo.6 A sentirla raccontare non fa granché effetto, eppure era come assistere a una scena demoniaca. Quel tale non sembrava un essere umano, ma piuttosto qualche maledetto Juggernaut.7 Gettai subito un grido d’allarme, mi buttai all’inseguimento di quel messere e, afferratolo per la collottola, lo riportai indietro fino al luogo in cui s’era formato un crocchio di persone attorno alla bambina che ancora strillava. Costui non oppose resistenza e mantenne una gelida calma, anche se mi gettò un’occhiata così truce che mi fece venire i sudori come dopo una corsa. Le persone scese in strada erano i familiari della bambina. L’avevano mandata loro a chiamare il dottore, il quale difatti comparve in capo a qualche minuto. La bambina non sembrava aver riportato lesioni, solo tanto spavento: così almeno sentenziò il medicastro.8 E con ciò si sarebbe potuto dir chiusa la storia, se non si fosse verificata una curiosa circostanza. Quel messere che avevo acciuffato aveva suscitato in me un odio istantaneo, condiviso, com’è naturale, dai familiari della bambina. Ma quel che mi colpì fu il contegno del dottore. Era il tipico medico, fatto e messo lì, così scialbo da non rivelare né età né temperamento, con uno spiccato accento edimburghese e sensibile alle emozioni quanto lo sarebbe stata una cornamusa.9 Non ci crederesti, mio caro, ma anche il medicastro aveva la nostra medesima reazione: ogni volta che guardava il prigioniero si sbiancava in volto e fremeva dalla voglia di fargli la buccia. Sapevo quel che gli frullava in testa, come del resto lo sapeva lui nei miei confronti, ma poiché non era questione di conciare la pelle a nessuno, cercammo di fare del nostro meglio per sistemare la faccenda. Minacciammo quel tale di creare un tale scandalo attorno alla storia, da esporre il suo nome all’esecrazione di tutta Londra: gli garantimmo che, se avesse avuto amici o qualche credito, li avrebbe perduti e, mentre gliene dicevamo di cotte e di crude,10 avevamo un gran da fare per tenerlo lontano dalle grinfie delle donne, invelenite come arpie. Non ho mai visto un’accolita di facce così accese dall’odio. In mezzo a quel cerchio c’era l’uomo con un ghigno di gelido livore… spaventato anche lui, lo vedevo bene…, eppure capace di tener testa alla situazione, sissignore, come Satanasso in persona. “Se volete sfruttare questo incidente per spillarmi quattrini” disse “non posso oppormi. Qualunque gentiluomo al posto mio vorrebbe evitare le chiassate, quindi ditemi quanto volete.” Be’, gli scucimmo un centinaio di sterline per la famiglia di quella povera stella; lui avrebbe voluto tagliare la corda, ma il gruppetto che l’attorniava aveva un’aria non proprio raccomandabile per cui, alla fine, venne a più miti consigli. A questo punto doveva andare a prendere il denaro e dove pensi che ci conducesse… se non alla porta di questo edificio? Qui estrasse in fretta e furia una chiave, entrò e quasi subito fu di ritorno con qualcosa come dieci sterline in oro e un assegno della banca Coutts11 per il resto della cifra, pagabile al portatore e firmato da un nome che non posso riferire, sebbene sia uno degli elementi salienti della storia, un nome, comunque, molto noto e che ricorre spesso sui giornali. Era un bel gruzzolo, ma quel che contava di più era la firma, se era autentica. Feci notare al nostro messere che tutta la faccenda sapeva di bruciato, poiché nella vita reale è difficile trovare un tizio che, alle quattro del mattino, ti s’infila nella porta d’uno scantinato e ne sgattaiola fuori con un assegno di quasi cento sterline firmato da un’altra persona. Quello tuttavia continuava a ghignare con imperterrita soperchieria. “Non vi agitate” disse “rimarrò con voi fin quando apriranno gli sportelli della banca e incasserò io stesso l’assegno.” Così ci incamminammo tutti quanti, il dottore, il padre della bambina, il nostro amico e io, e trascorremmo il resto della notte a casa mia. Il giorno appresso, fatta la nostra brava colazione, ci recammo in corteo alla banca. Fui io stesso a porgere l’assegno, dicendo che avevo buoni motivi di crederlo falsificato: niente affatto, la firma era perfettamente autentica.»
«Guarda, guarda!» fece il signor Utterson.
«Vedo che c’è qualcosa che stona anche a te» disse il signor Enfield. «Sì, è una gran brutta storia. Quello era un individuo con il quale nessuno avrebbe voluto spartire alcunché, un essere immondo; mentre il firmatario dell’assegno è un esempio vivente di probità, assai rinomato e (quel che è ancor più penoso), uno di quei tuoi amici dediti, come si suol dire, a fare del bene. Ricatto, suppongo: una persona dabbene che si svena a furia di sborsare denaro per qualche scappatella di gioventù. Ecco perché chiamo questo edificio dall’unica porta la Casa del Ricatto. Sebbene anche questo, è chiaro, è ben lungi dal fornire una spiegazione plausibile.» E con queste parole sembrò perdersi in qualche sua meditazione.
Ne fu distolto da una domanda che il signor Utterson buttò là a bruciapelo: «E non sai se ci sta la persona che firmò l’assegno?».
«Un bel posticino, vero?» rispose il signor Enfield. «No, ne sono sicuro perché avevo notato di sfuggita l’indirizzo; quel tale vive in una piazza, non so bene dove.»
«E non hai chiesto informazioni circa… l’edificio che ha una sola porta?» disse il signor Utterson.
«Niente affatto, me l’ha impedito la mia inveterata discrezione» fu la risposta. «Non mi piace fare troppe domande, mi fanno pensare al giorno del giudizio universale. Porre una domanda è come mettere in moto una pietra: te ne stai tranquillo e beato sulla sommità di un colle e la pietra comincia a rotolare trascinando nella corsa altri detriti, e tutto a un tratto un buon vecchietto, l’ultima persona al mondo a cui avresti pensato, si busca un...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione. La doppia vita
  4. Cronologia. Vita romanzesca di un romanziere
  5. Bibliografia
  6. Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde
  7. Il trafugatore di salme
  8. Un capitolo sui sogni
  9. The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde
  10. The Body Snatcher
  11. A Chapter on Dreams
  12. Postfazione di Joyce Carol Oates
  13. Note
  14. Copyright