Il ricatto
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Il ricatto

  1. 396 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Kyle McAvoy èun giovane avvocato intelligente edi bell'aspetto, conun roseo futuro davanti. Ma nel suo passato c'è un segreto che vorrebbedimenticare. Quando alcuni loschi personaggi lo avvicinano, annunciandoglidi avere le prove del suo coinvolgimento in uno stuprodi gruppo negli anni del college, Kyle capisce di non essere più l'unicopadrone del suo destino. Gli uomini che lo hanno contattato affermanodi essere agenti dell'FBI e lo costringono a piegarsi alla loro volontà.I ricattatori, in realtà, agiscono per conto di un misterioso committenteinteressato a una causa per il possesso dei progetti di un avveniristicobombardiere commissionato dal Pentagono. Kyle dovrà semplicementeaccettare la proposta di lavorare a New York nel più prestigioso studiolegale del mondo, che gli ha offerto un impiego strapagato. Questogli consentirà di passare ai suoi ricattatori preziose informazioni. Kylesi rende conto che la sua carriera e la sua libertà sono in pericolo, così come il futuro che aveva immaginato per sé. Ribellarsi al diabolicomeccanismo che rischia di stritolarlo significherà ridare un senso alsuo codice etico e mettersi una volta per tutte alla ricerca della verità, anche su se stesso.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804598282
eBook ISBN
9788852010408

1

Le regole della New Haven Youth League prevedevano che ogni ragazzino entrasse in campo per almeno dieci minuti a partita. Erano ammesse eccezioni nel caso di giocatori che avessero saltato gli allenamenti o violato altre regole. Allora il coach poteva redigere un rapporto prepartita per informare il tavolo dei giudici che il Tal dei Tali avrebbe giocato poco, o magari per niente, a causa di qualche infrazione. Alla lega questo non piaceva granché, dopo tutto si trattava di un’attività ricreativa più che competitiva.
A quattro minuti dalla fine della partita, coach Kyle guardò verso la panchina, fece un cenno in direzione di un ragazzino cupo e imbronciato di nome Marquis e gli chiese: «Vuoi entrare?». Senza rispondere, Marquis si avvicinò al tavolo dei giudici e aspettò un’interruzione del gioco. Le sue infrazioni erano numerose: allenamenti saltati, scuola marinata, brutti voti, smarrimento dell’uniforme, turpiloquio. In effetti, dopo dieci settimane e quindici partite, Marquis aveva violato tutte le poche norme che il suo allenatore aveva tentato di imporre. Coach Kyle si era reso conto ormai da tempo che qualsiasi nuova regola sarebbe stata immediatamente trasgredita dalla sua star, ed era quella la ragione per cui aveva ridotto al massimo l’elenco e vinto la tentazione di aggiungerne altre. Non stava funzionando comunque. Cercare di gestire con mano morbida dieci ragazzini provenienti da quartieri degradati aveva fatto finire i Red Knights all’ultimo posto in classifica del campionato d’inverno, divisione fino ai dodici anni.
Marquis di anni ne aveva solo undici, ma era chiaramente il miglior giocatore sul parquet. Preferiva tirare e segnare piuttosto che passare e difendere, e nel giro di due minuti, evitando agilmente la marcatura di atleti più grossi di lui, aveva segnato sei punti. Aveva una media di quattordici punti a partita e, se gli fosse stato concesso di giocare più di un tempo, probabilmente avrebbe potuto arrivare a trenta. Secondo la sua giovane opinione, non aveva alcun bisogno di allenarsi.
Nonostante l’one-man show, la partita ormai era persa. Kyle McAvoy sedeva silenzioso in panchina e guardava l’azione sul campo aspettando che l’orologio segnasse la fine. Ancora un incontro e la stagione si sarebbe conclusa, la sua ultima da coach. In due anni aveva vinto dodici partite e ne aveva perse ventiquattro, e ora si interrogava sui motivi per cui una persona sana di mente potesse di sua spontanea volontà decidere di allenare, a qualsiasi livello. Lo faceva per i ragazzi, si era detto mille volte, ragazzi senza padre, ragazzi con famiglie disastrate, ragazzi bisognosi dell’influenza di una figura maschile positiva. E ci credeva ancora, ma dopo due anni passati a fare il baby-sitter, a discutere con i genitori quando si prendevano il disturbo di farsi vedere, a litigare con altri allenatori che non erano ostili al gioco sporco, a tentare di ignorare arbitri adolescenti che non distinguevano un blocco da uno sfondamento, non ne poteva più. Aveva chiuso con il servizio alla comunità, perlomeno in quella città.
Kyle seguiva la partita e aspettava, strillando ogni tanto perché era quello che si supponeva dovesse fare un coach. Si guardò intorno nella palestra semideserta, un vecchio edificio di mattoni nel centro di New Haven, sede della lega giovanile da quasi cinquant’anni. Sulle gradinate c’era un gruppetto di genitori, in attesa della sirena finale. Marquis fece di nuovo canestro. Nessuno applaudì. I Red Knights erano sotto di dodici punti a due minuti dalla fine.
In fondo alla palestra, proprio sotto il vecchio tabellone segnapunti, si aprì la porta ed entrò un uomo, che si appoggiò alle tribune mobili. Si notava perché era un bianco. In nessuna delle due squadre c’erano giocatori bianchi. L’uomo dava nell’occhio anche perché indossava un abito nero, o blu scuro, camicia bianca e cravatta bordeaux, il tutto sotto un trench che indicava il suo essere un agente federale o un qualche tipo di poliziotto.
Fu solo per caso che Kyle lo vide entrare, e pensò subito che fosse fuori posto. Probabilmente un detective, forse uno della Narcotici alla ricerca di uno spacciatore. Non sarebbe stato il primo arresto nella palestra o negli immediati dintorni.
Dopo essersi appoggiato alle tribune, l’agente/poliziotto lanciò una lunga occhiata verso la panchina dei Red Knights e i suoi occhi sembrarono fermarsi su Kyle, il quale sostenne lo sguardo per un secondo prima di cominciare a sentirsi a disagio. Marquis tirò da quasi metà campo e coach Kyle balzò in piedi, allargò le braccia e scosse la testa come per chiedere: “Perché?”. Marquis lo ignorò e rientrò in difesa. Uno stupido fallo fermò l’orologio, prolungando l’agonia. Mentre osservava il giocatore che eseguiva i tiri liberi, Kyle notò sullo sfondo l’agente/poliziotto che continuava a guardare, non l’azione sul campo ma l’allenatore.
A un venticinquenne specializzando in legge senza precedenti penali e senza alcun comportamento o tendenza illegale, la presenza e l’attenzione di un uomo che aveva tutta l’aria di lavorare per qualche ramo delle forze dell’ordine non avrebbero dovuto suscitare alcuna preoccupazione. Ma non funzionava mai così per Kyle McAvoy. I vigili e gli agenti della Stradale non lo inquietavano in modo particolare: erano pagati per reagire a un’infrazione. Ma gli uomini in abito scuro, detective e agenti, quelli addestrati a scavare in profondità per scoprire segreti… tipi del genere lo mettevano in agitazione.
Trenta secondi alla fine e Marquis stava litigando con un arbitro. Due settimane prima ne aveva colpito uno scagliandogli addosso la palla ed era stato squalificato per una partita. Coach Kyle strillò alla sua star, che non gli diede ascolto, poi passò rapidamente lo sguardo nella palestra per vedere se l’agente/poliziotto N. 1 fosse solo o accompagnato dall’agente/poliziotto N. 2. No, era solo.
Un altro fallo stupido e Kyle urlò all’arbitro di lasciar correre. Si rimise a sedere e si passò una mano su un lato del collo, poi si asciugò il sudore. Era l’inizio di febbraio e la palestra, come sempre, era gelida.
Allora perché stava sudando?
L’agente/poliziotto non si era mosso di un millimetro. Sembrava divertirsi a fissare Kyle.
Finalmente la vecchia sirena gracchiò rauca. La partita grazie a Dio era finita. Una squadra fece festa e l’altra rimase indifferente. Tutte e due si allinearono per scambiarsi l’obbligatorio cinque e il solito “bella partita, bella partita”, tanto privo di significato per i giocatori dodicenni quanto per quelli dei college. Mentre si congratulava con il coach avversario, Kyle guardò in fondo alla palestra: l’uomo bianco era sparito.
Quante probabilità c’erano che stesse aspettando fuori? Naturalmente era paranoia, ma la paranoia era entrata a far parte della sua vita da così tanto tempo che ormai Kyle si limitava a riconoscerne la presenza, adeguarsi e andare avanti.
I Red Knights si ritrovarono nello spogliatoio della squadra ospite, un locale piccolo e pieno di roba sotto le cadenti gradinate fisse riservate ai sostenitori della squadra di casa. Coach Kyle disse tutte le cose che doveva dire: buona gara, bella difesa, il nostro gioco in certe fasi è migliorato, sabato vediamo di chiudere in bellezza. I ragazzi si stavano cambiando e non lo ascoltavano quasi. Erano stanchi di basket perché erano stanchi di perdere e, naturalmente, tutte le colpe erano del coach. Che era troppo giovane, troppo bianco, troppo Ivy League.
I pochi genitori presenti stavano aspettando fuori dallo spogliatoio, ed era proprio durante quei momenti di tensione, quando la squadra usciva, che Kyle odiava maggiormente il suo servizio alla comunità. Ci sarebbero state le solite lamentele sui minuti di gioco. Marquis aveva uno zio,un ventiduenne ex all-state, con una gran boccaccia e la tendenza a lamentarsi per l’ingiusto trattamento riservato al “miglior giocatore della lega” da parte di coach Kyle.
Nello spogliatoio c’era una seconda porta: dava in uno stretto corridoio buio che si snodava dietro le gradinate fino a un’uscita su un vicolo. Kyle non era il primo allenatore ad averlo scoperto, e quella sera voleva evitare non solo le famiglie con le loro lagnanze, ma anche l’agente/poliziotto. Salutò rapidamente i ragazzi e, mentre loro lasciavano lo spogliatoio, si diede alla fuga. Nel giro di pochi secondi raggiunse il vicolo e poi la strada, dove si mise a camminare veloce. C’era parecchia neve ammucchiata e il marciapiede, rivestito da uno strato di ghiaccio, era a malapena transitabile. La temperatura era molto al disotto dello zero. Erano le otto e mezzo di un mercoledì sera e Kyle era diretto alla redazione della rivista della scuola di legge di Yale, dove avrebbe lavorato almeno fino a mezzanotte.
Non andò così.
L’agente era appoggiato al parafango di una Jeep Cherokee rossa. L’auto era intestata a un certo John McAvoy di York, Pennsylvania, ma negli ultimi sei anni era stata l’affidabile compagna del figlio Kyle, il vero proprietario.
Anche se d’improvviso i piedi gli sembrarono due mattoni e sentì cedere le ginocchia, Kyle riuscì a continuare a camminare come se non ci fosse stato niente di insolito. Non solo hanno trovato me, si disse mentre cercava di pensare con lucidità, ma svolgendo diligentemente il loro compitino hanno trovato anche la mia Jeep. Be’, non proprio una ricerca di altissimo livello. Io non ho fatto niente di male, si ripeté.
«Partita dura, coach» disse l’agente, quando Kyle fu a tre metri da lui e cominciò a rallentare il passo.
Kyle si fermò ed esaminò il robusto giovanotto con le guance e le basette rosse che l’aveva fissato durante la partita. «Posso esserle utile?» domandò, e vide l’ombra del N. 2 attraversare rapidissima la strada. Quella gente lavorava sempre in coppia.
«È esattamente quello che può fare» disse N. 1 estraedo dalla tasca un portadocumenti di pelle e aprendolo con un movimento a scatto. «Bob Plant, FBI
«Un vero piacere» disse Kyle, mentre sentiva il sangue defluire dal cervello. Non poté fare a meno di indietreggiare.
N. 2 fece il suo ingresso in scena. Era molto più magro del collega e più vecchio di una decina d’anni, con un po’ di grigio sulle tempie. Anche lui aveva qualcosa in tasca ed eseguì con disinvoltura il numero dell’esibizione del distintivo. «Nelson Ginyard, FBI
Bob e Nelson. Entrambi irlandesi. Entrambi del Nordest.
«Nessun altro?» domandò Kyle.
«No. Ha un minuto per parlare?»
«Non proprio.»
«Forse dovrebbe» disse Ginyard. «Potrebbe essere molto produttivo.»
«Ne dubito.»
«Se adesso se ne va, noi la seguiamo» disse Plant, raddrizzandosi dalla posizione rilassata e facendo un passo avanti. «Lei non ci vuole nel campus, giusto?»
«Mi state minacciando?» domandò Kyle. Il sudore era tornato, adesso sotto le ascelle, e nonostante la temperatura polare Kyle si sentì colare un paio di gocce lungo il costato.
«Non ancora» rispose Plant con una specie di sorriso.
«Senta, solo dieci minuti, davanti a una tazza di caffè» propose Ginyard. «C’è una panineria proprio dietro l’angolo. Sono sicuro che là dentro fa più caldo.»
«Ho bisogno di un avvocato?»
«No.»
«È quello che dite sempre. Mio padre è avvocato e io sono cresciuto nel suo studio. Li conosco certi trucchi.»
«Nessun trucco, Kyle. Te lo giuro» disse Ginyard, e sembrò sincero. «Dacci solo dieci minuti. Ti prometto che non te ne pentirai.»
«Di che si tratta?»
«Dieci minuti. È tutto quello che ti chiediamo.»
«Datemi un’idea, altrimenti la risposta è no.»
Bob e Nelson si guardarono, e si strinsero nelle spalle. Perché no? Prima o poi dovevano dirglielo. Ginyard girò la testa e, con lo sguardo rivolto alla strada, parlò al vento: «Duquesne University. Cinque anni fa. Ragazzi di una confraternita ubriachi e una ragazza».
Il corpo e la mente di Kyle ebbero reazioni diverse. Il corpo cedette: un rapido abbassamento delle spalle, un leggero sospiro, una visibile contrazione delle gambe. Ma la mente reagì all’istante. «Stronzate!» esclamò Kyle, che poi sputò sul marciapiede. «Io ne sono fuori. Non è successo niente, e voi lo sapete.»
Ci fu una lunga pausa. Ginyard continuava a guardare lungo la strada e Plant osservava ogni movimento di Kyle. Il suo cervello lavorava freneticamente. Perché l’FBI era coinvolta in un presunto crimine di competenza dello Stato? All’esame di procedura penale aveva studiato le nuove norme relative agli interrogatori dell’FBI. Adesso era un reato perseguibile mentire a un agente in una situazione come questa. Doveva tacere? Doveva telefonare a suo padre? No, in nessuna circostanza avrebbe chiamato suo padre.
Ginyard si voltò, fece tre passi avanti, serrò la mascella come un cattivo attore e cercò di recitare la sua battuta da vero duro. «Vediamo di arrivare al sodo, Mr McAvoy, perché sto gelando. A Pittsburgh è pronta un’incriminazione formale, okay? Per stupro. Se vuoi giocare a fare lo studente di legge furbastro e stronzo e correre a cercarti un avvocato, o anche a telefonare al tuo vecchio, allora l’incriminazione ti arriva domani e quella vita che ti sei programmato va a farsi fottere. Ma se ci dai dieci minuti del tuo prezioso tempo, adesso, nella panineria dietro l’angolo, allora il procedimento verrà sospeso, se non addirittura dimenticato.»
«Te la puoi cavare» disse Plant accanto a lui. «Con poco sforzo.»
«Perché dovrei fidarmi?» riuscì a chiedere Kyle, con la bocca secca.
«Dieci...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il ricatto
  4. Capitolo 1
  5. Capitolo 2
  6. Capitolo 3
  7. Capitolo 4
  8. Capitolo 5
  9. Capitolo 6
  10. Capitolo 7
  11. Capitolo 8
  12. Capitolo 9
  13. Capitolo 10
  14. Capitolo 11
  15. Capitolo 12
  16. Capitolo 13
  17. Capitolo 14
  18. Capitolo 15
  19. Capitolo 16
  20. Capitolo 17
  21. Capitolo 18
  22. Capitolo 19
  23. Capitolo 20
  24. Capitolo 21
  25. Capitolo 22
  26. Capitolo 23
  27. Capitolo 24
  28. Capitolo 25
  29. Capitolo 26
  30. Capitolo 27
  31. Capitolo 28
  32. Capitolo 29
  33. Capitolo 30
  34. Capitolo 31
  35. Capitolo 32
  36. Capitolo 33
  37. Capitolo 34
  38. Capitolo 35
  39. Capitolo 36
  40. Capitolo 37
  41. Capitolo 38
  42. Capitolo 39
  43. Capitolo 40
  44. Capitolo 41
  45. Capitolo 42
  46. Copyright