
- 518 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Una fortuna pericolosa
Informazioni su questo libro
Inghilterra, 1866. La tragedia irrompe in uno dei collegi più esclusivi del Regno: uno studente muore annegato in un misterioso incidente che vede coinvolti anche due giovani eredi della famiglia Pilaster, ricca dinastia di banchieri. Fatale disgrazia o qualcosa di più complicato? La verità sfugge e sono in pochi a intuirla. È l'inizio di una spirale di intrighi e vendette destinate a durare più di vent'anni, una guerra per il potere e il denaro. Per amore o per orgoglio, nessuno sembra disposto a fermarsi davanti a nulla, in una lotta senza quartiere che rischia di travolgere tutti coloro che vi sono coinvolti.
Dai circoli in cui si riunisce l'alta società londinense alle case di tolleranza dove quella stessa società consuma i suoi più inconfesssabili piaceri, dalle sale da ballo ai sontuosi uffici di chi governa la finanza internazionale, Ken Follett dà vita a una saga familiare che ha il passo travolgente del thriller.
Dai circoli in cui si riunisce l'alta società londinense alle case di tolleranza dove quella stessa società consuma i suoi più inconfesssabili piaceri, dalle sale da ballo ai sontuosi uffici di chi governa la finanza internazionale, Ken Follett dà vita a una saga familiare che ha il passo travolgente del thriller.
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Informazioni
Print ISBN
9788804405115eBook ISBN
9788852013706Parte seconda
1879
1
Gennaio
Hugh fece ritorno a Londra dopo sei anni.
In quel periodo i Pilaster avevano raddoppiato le loro ricchezze… e in parte il merito era suo.
A Boston gli era andata molto bene, meglio di quanto avrebbe potuto sognare. Il commercio attraverso l’Atlantico fioriva mentre gli Stati Uniti si riprendevano dalla guerra di Secessione, e Hugh aveva fatto in modo che la Pilaster’s Bank finanziasse una parte sostanziosa di quell’attività .
Aveva acquisito finalmente una solida competenza nel caotico mercato delle azioni ferroviarie e aveva imparato a capire quali ferrovie avrebbero fatto fortuna e quali non sarebbero mai riuscite a superare la prima catena montuosa. All’inizio lo zio Joseph si era mostrato diffidente, memore del crac di New York del 1873. Ma Hugh aveva ereditato la prudenza conservatrice dei Pilaster e aveva raccomandato soltanto le azioni di ottima qualità , evitando scrupolosamente quelle che puzzavano di speculazione azzardata, e il suo giudizio si era rivelato fondato. La Pilaster’s Bank era diventata la più importante fonte di finanziamento dello sviluppo industriale del Nord America. Hugh aveva uno stipendio di mille sterline l’anno, e sapeva di valere molto di più.
Quando sbarcò a Liverpool trovò ad attenderlo il direttore della filiale locale della banca, con il quale aveva scambiato telegrammi almeno una volta la settimana da quando si era trasferito a Boston. Non si erano mai visti, e quando si incontrarono il capufficio esclamò: «Bontà divina, non sapevo che fosse tanto giovane, signore!». Hugh ne fu molto soddisfatto: proprio quella mattina si era scoperto il primo capello bianco. Aveva ventisei anni.
Prese il treno per Folkestone senza fermarsi a Londra. I soci della Pilaster’s Bank avrebbero voluto che si recasse da loro prima di andare a trovare la madre, ma Hugh la pensava diversamente: gli aveva dedicato gli ultimi sei anni della sua vita e doveva concedere almeno un giorno a sua madre.
La trovò bella e serena come sempre, ma come sempre vestita a lutto. La sorellina Dorothy, che adesso aveva dodici anni, si ricordava appena di lui, e si comportò con timidezza fino a che se la fece sedere sulle ginocchia e le rammentò quanto male gli avesse piegato le camicie.
Supplicò la madre di stabilirsi in una casa più grande: per lui non sarebbe stato un problema pagare l’affitto. Sua madre rifiutò e gli consigliò di risparmiare quel denaro per aumentare il suo capitale. Hugh la convinse almeno a prendere un’altra domestica per dare una mano alla signora Builth, l’anziana governante.
L’indomani prese il treno e arrivò a Londra, alla stazione dell’Holborn Viaduct. Accanto alla stazione era stato costruito un grande albergo da una società convinta che Holborn sarebbe diventata una tappa importante per gli inglesi in partenza per Nizza o Pietroburgo. Hugh non vi avrebbe investito un soldo: immaginava che la stazione sarebbe stata utilizzata soprattutto dagli impiegati della City che abitavano nei sobborghi sempre più ampi della Londra sudorientale.
Era una luminosa mattina di primavera. Raggiunse a piedi la Pilaster’s Bank. Aveva dimenticato il sapore di fumo dell’aria di Londra, molto peggiore che a Boston o New York. Si soffermò per un momento davanti alla banca e guardò l’imponente facciata.
Aveva detto ai soci che voleva venire a casa in vacanza per rivedere la madre, la sorella e la patria. Ma aveva un’altra ragione per tornare a Londra.
Stava per lanciare una bomba.
Era arrivato con la proposta di fondere la filiale nordamericana della Pilaster’s Bank con la banca newyorkese Madler & Bell, per formare una società nuova che si sarebbe chiamata Madler, Bell & Pilaster. La banca avrebbe guadagnato parecchio: sarebbe stato il coronamento dei risultati che aveva ottenuto negli Stati Uniti, e gli avrebbe permesso di tornare a Londra e di assumere poteri decisionali. Sarebbe stata la fine dell’esilio.
Si sistemò nervosamente la cravatta ed entrò.
Il salone, che anni prima l’aveva impressionato con il pavimento di marmo e gli uscieri dall’aria solenne, gli parve ora nulla più che dignitoso. Mentre si avviava per salire la scala incontrò Jonas Mulberry, il suo ex capufficio. Mulberry era stupito e lieto di vederlo. «Signor Hugh!» esclamò stringendogli la mano. «È tornato definitivamente?»
«Lo spero. Come sta la signora Mulberry?»
«Benissimo, grazie.»
«La saluti da parte mia. E i tre piccoli?»
«Ora sono cinque, e tutti in ottima salute, grazie a Dio.»
Hugh pensò che il capufficio potesse conoscere la risposta all’interrogativo che gli stava a cuore. «Mulberry, lei era qui quando fu nominato socio il signor Joseph?»
«Ero stato assunto da poco. Il prossimo giugno saranno venticinque anni.»
«Dunque il signor Joseph aveva…»
«Ventinove anni.»
«Grazie.»
Hugh salì nella Sala dei Soci, bussò ed entrò. Erano tutti e quattro presenti: lo zio Joseph alla scrivania del Socio Anziano, calvo, invecchiato e ancora più somigliante al defunto Seth; il marito della zia Madeleine, il maggiore Hartshorn, con il naso ormai paonazzo quanto la cicatrice sulla fronte, intento a leggere il «Times» accanto al fuoco; lo zio Samuel, elegante come sempre nella giacca a doppio petto color antracite, con un panciotto grigio perla, e occupato nella lettura di un contratto; e il socio più giovane, William, che ora aveva trentun anni e scriveva su un quaderno.
Samuel fu il primo a salutare Hugh. «Mio caro ragazzo!» esclamò. Si alzò e gli strinse la mano. «Hai un’aria splendida!»
Hugh strinse la mano a tutti e accettò un bicchiere di sherry. Volse lo sguardo sui ritratti dei precedenti Soci Anziani appesi alle pareti. «Sei anni fa, proprio qui, vendetti a Sir John Cammel buoni del tesoro russo per centomila sterline» rammentò.
«Precisamente» confermò Samuel.
«La commissione della Pilaster’s Bank per quell’affare, al cinque per cento, è tuttora più di quanto mi è stato pagato in tutti i miei otto anni di lavoro» disse Hugh con un sorriso.
«Spero che non chiederai un aumento di stipendio» intervenne Joseph in tono irritato. «Sei già il dipendente più pagato della banca.»
«Esclusi i soci» precisò Hugh.
«Naturalmente» scattò Joseph.
Hugh si rese conto di aver iniziato male. Come sempre, sei stato troppo impaziente, si disse. Calmati. «Non voglio un aumento» disse. «Ma ho una proposta da sottoporre ai soci.»
«È meglio che ti sieda e ce ne parli» propose Samuel.
Hugh posò lo sherry che non aveva nemmeno assaggiato e riordinò i suoi pensieri. Si augurava disperatamente che accettassero la proposta. Era il culmine e la prova del suo trionfo sulle avversità . Avrebbe portato in un colpo solo più affari di quanti avrebbero potuto portarne in un anno quasi tutti i soci. E se avessero accettato, sarebbero stati più o meno obbligati a promuoverlo.
«Boston non è più il centro finanziario degli Stati Uniti» esordì. «Ormai è New York. Dovremmo trasferire la nostra filiale. Ma c’è un problema. Molti degli affari che ho realizzato negli ultimi sei anni sono stati conclusi insieme alla Madler & Bell di New York. Sidney Madler mi ha preso sotto la sua ala quando ero ancora un novellino. Se ci trasferissimo a New York, saremmo in concorrenza con loro.»
«La concorrenza va benissimo, quando è corretta» dichiarò il maggiore Hartshorn. Era raro che avesse da dire qualcosa di importante; ma pur di non restare in silenzio affermava le verità più ovvie in tono dogmatico.
«Può darsi. Ma io ho un’idea migliore. Perché non operiamo una fusione fra la nostra filiale nordamericana e la Madler & Bell?»
«Una fusione?» chiese Hartshorn. «Cosa vorresti dire?»
«Una joint venture che si chiamerebbe Madler, Bell & Pilaster. Avrebbe una sede a New York e una a Boston.»
«Come funzionerebbe?»
«La nuova banca si occuperebbe di tutti i finanziamenti per l’import-export attualmente seguito dalle due banche, e i profitti verrebbero divisi. La Pilaster’s avrebbe la possibilità di partecipare a tutte le nuove emissioni di titoli e azioni messi in vendita dalla Madler & Bell. Io mi occuperei di questa attività restando a Londra.»
«Non mi piace» commentò Joseph. «Sarebbe come consegnare i nostri affari nelle mani di qualcun altro.»
«Ma non hai ancora sentito il più bello» insistette Hugh. «Tutti gli affari europei della Madler & Bell, che attualmente sono distribuiti fra diversi agenti di Londra, sarebbero trattati dalla Pilaster’s.»
Joseph grugnì dalla sorpresa. «Deve ammontare a…»
«Più di cinquantamila sterline l’anno in commissioni.»
«Buon Dio!» esclamò Hartshorn.
Erano tutti sbalorditi. Non avevano mai partecipato a una joint venture, e non si aspettavano una proposta tanto innovativa da parte di qualcuno che non era neppure socio. Ma la prospettiva di cinquantamila sterline di commissioni all’anno era molto allettante.
«Naturalmente, ne avrai discusso con loro» disse Samuel.
«Sì. Madler è molto favorevole, e anche il suo socio John James Bell.»
«E tu dirigeresti da Londra la joint venture» intervenne il giovane William.
Hugh si accorse che William lo considerava un rivale, molto meno pericoloso a cinquemila chilometri di distanza. «Perché no?» rispose. «Dopo tutto, è a Londra che si raccoglie il denaro.»
«E quale sarebbe la tua posizione?»
Era una domanda alla quale Hugh avrebbe preferito non rispondere tanto presto. William l’aveva formulata con astuzia, allo scopo di metterlo in imbarazzo. Era costretto a lanciarsi. «Immagino che il signor Madler e il signor Bell vorrebbero trattare con un socio.»
«E tu sei troppo giovane per diventarlo» dichiarò subito Joseph.
«Ho ventisei anni, zio» replicò Hugh. «E tu sei stato nominato socio quando ne avevi ventinove.»
«Tre anni sono molti.»
«Sono molte anche cinquantamila sterline.» Hugh si rendeva conto di avere assunto un tono impertinente, come sfortunatamente gli succedeva spesso, e fece prontamente marcia indietro. Sapeva che se li avesse messi con le spalle al muro avrebbero rifiutato per puro spirito di conservazione. «Ma ci sono molte cose da vagliare. Immagino che vorrete parlarne. Forse è meglio che vi lasci soli.» Samuel annuì, e Hugh si avviò alla porta.
Samuel lo fermò: «Indipendentemente dal fatto che l’affare si concluda o no, Hugh, dobbiamo congratularci con te per una proposta tanto intraprendente… su questo, ne sono sicuro, siamo tutti d’accordo».
Guardò con aria interrogativa gli altri soci, e tutti annuirono. «Certo, certo» mormorò lo zio Joseph.
Hugh non sapeva se doveva sentirsi frustrato perché non avevano accettato il suo piano, o lusingato perché non l’avevano immediatamente respinto. Provava un deprimente senso di delusione. Ma non poteva fare altro. «Grazie» disse, e uscì.
Quel pomeriggio alle quattro Hugh si fermò di fronte all’enorme casa di Augusta in Kensington Gore.
Sei anni di fuliggine avevano scurito i mattoni rossi e sporcato la pietra bianca,...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Una fortuna pericolosa
- Prologo. 1866
- Parte prima. 1873
- Parte seconda. 1879
- Parte terza. 1890
- Epilogo. 1892
- Ringraziamenti
- Copyright