I vagabondi del Dharma
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I vagabondi del Dharma

  1. 266 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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I vagabondi del Dharma

Informazioni su questo libro

Pubblicato nel 1958, I vagabondi del Dharma rappresenta il seguito ideale del romanzo più celebre di Kerouac, quel Sulla strada considerato fin dal suo primo apparire una sorta di "Bibbia della Beat Generation". Anche nei Vagabondi, sempre di forte matrice autobiografica, lo scrittore racconta le avventure dei suoi discepoli e confratelli beatnik impegnati nella ricerca, disordinata ma sincera, di una nuova verità. Verità che, soprattutto grazie all'influsso della scuola Zen di San Francisco, Kerouac e i suoi identificano con gli insegnamenti buddhisti. Il loro percorso spirituale è costellato di omeriche bevute nei ritrovi fumosi del quartiere cinese di San Francisco così come di esaltanti scalate fra le montagne inviolate della California; di meditazioni notturne nei boschi o sulle spiagge solitarie ma anche di riti di sfrenata sessualità. Su tutto, la prosa ora lirica ora umoristica di Kerouac, ricca di echi musicali, che rende la narrazione sempre avvincente e serrata, mai lenta, neppure nelle pagine di più profonda meditazione e di più intenso lirismo descrittivo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804555414
eBook ISBN
9788852013423

Sei

Poi arrivò il momento della grande scalata in montagna. Japhy venne a prendermi in bici nel tardo pomeriggio. Tirammo fuori lo zaino di Alvah e lo sistemammo sul portapacchi della bici. Tirai fuori calzini e maglioni. Ma non avevo scarponi da montagna e l’unica cosa che potesse tornarmi utile erano le scarpe da tennis di Japhy, vecchie ma solide. Le mie erano troppo conciate e male in arnese. «Magari vanno pure meglio, Ray, con le scarpe da tennis i piedi sono leggeri e puoi saltare senza problemi da una roccia all’altra. Naturalmente se ci sarà bisogno ci scambieremo le scarpe e ce la caveremo.»
«E da mangiare? Cosa porti?»
«Be’ prima di parlare di cibo, R-a-a-y» (certe volte mi chiamava per nome e quando lo faceva trascinava sempre un lungo e triste «R-a-a-a-y» come se fosse preoccupato della mia salute) «ti ho rimediato un sacco a pelo, non è di piume come il mio, e naturalmente è molto più pesante, ma se dormi vestito e vicino a un bel falò ci starai bene.»
«Vestito va bene, ma che c’entra il falò? Siamo solo in ottobre.»
«Già, ma lassù in ottobre la temperatura scende sotto zero, R-a-a-y» disse triste.
«Di notte?»
«Di notte, già, e di giorno c’è un tepore meraviglioso e proprio piacevole. Sai il vecchio John Muir11 andava sempre sulle stesse montagne dove stiamo andando noi e si portava solo il suo vecchio cappotto militare e un cartoccio pieno di pane secco e dormiva avvolto nel cappotto e quando aveva voglia di mangiare si limitava a inzuppare il pane raffermo nell’acqua, e in questo modo restava lassù in cima per mesi e mesi prima di farsi una bella scarpinata fino in città.»
«Mio Dio, doveva essere proprio un tipo tosto!»
«Dunque, per il cibo sono andato in Market Street al mercato di Crystal Palace e ho comprato i miei cereali secchi preferiti, i bulgur, una sorta di fiocchi integrali di frumento bulgaro a cui aggiungerò dei pezzetti di pancetta, tagliata a cubetti, con cui preparare una bella cenetta per tutti e tre, io, te e Morley. E mi porto il tè, che ti viene sempre voglia di una bella tazza di tè bollente sotto quelle stelle gelide. E mi porto un budino di cioccolato vero, non quella roba fasulla solubile ma un bel budino di cioccolato da bollire e rimescolare sul fuoco e poi lasciar raffreddare e congelare nella neve.»
«Caspita!»
«Perciò stavolta invece del riso, che mi porto di solito, ho pensato di prepararti questa vera delizia, Ra-a-y, e nel bulgur ci metterò anche tutti i tipi di verdura disidratata a dadi che ho preso allo Ski Shop. Questo per colazione e per cena, e come cibo energetico, mi porto un bel sacchetto di noccioline e uvetta e un altro sacchetto di albicocche e prugne secche che dovrebbero tirarci su quando ne abbiamo bisogno.» E mi mostrò il sacco minuscolo dove aveva sistemato tutta questa bella roba da mangiare per tre uomini adulti impegnati in ventiquattr’ore e più di scalata ad alta quota. «La cosa più importante quando si va in montagna è portare meno pesi possibile, anche pacchi così diventano pesanti.»
«Ma per Dio non può esserci cibo per tutti in quel sacchetto minuscolo!»
«Sì che ce n’è, l’acqua lo gonfia.»
«Ci portiamo vino?»
«No là non ci serve a niente e quando arrivi molto in alto e sei stanco non hai nessuna voglia di bere.» Non ne ero convinto ma non dissi nulla. Mettemmo le mie cose sulla bici e attraversammo il campus a piedi fino a casa sua spingendo la bici sul bordo del marciapiede. Era un fresco crepuscolo terso da mille e una notte con la torre dell’orologio dell’Università della California solo un’ombra nera su uno sfondo di cipressi ed eucalipti e alberi di ogni tipo, scampanii provenienti da chissà dove, e aria frizzante. «Farà freddo lassù» disse Japhy, ma quella sera era in forma e rise quando gli chiesi del giovedì dopo con la Principessa. «Sai abbiamo giocato a yabyum altre due volte dall’altra sera, viene da me ogni giorno ogni notte ogni minuto e amico mio non tollera nessun rifiuto. Così devo soddisfare la bodhisattva.» E Japhy mi raccontò tutto, della sua infanzia nell’Oregon. «Sai mia madre e mio padre e mia sorella vivevano da veri primitivi nella fattoria di tronchi e nelle fredde mattine d’inverno ci spogliavamo tutti e ci rivestivamo davanti al fuoco, dovevamo farlo, ecco perché non ho i problemi che hai tu a spogliarti, cioè che non ho vergogna o niente di simile.»
«Cosa facevi al college?»
«D’estate lavoravo come guardia forestale – è questo che devi fare l’estate prossima, Smith – e d’inverno sciavo un casino e poi me ne andavo in giro per il campus tutto fiero con le mie stampelle. Ho fatto un sacco di scalate di montagne piuttosto alte lassù, compresa una lunga arrampicata sul Rainier quasi fino in cima dove puoi lasciare la tua firma. Alla fine, ce l’ho fatta un anno. Lassù ci sono solo pochi nomi, sai. E ho scalato tutti i monti intorno alle Cascades, fuori stagione e nella stagione giusta, e ho fatto il boscaiolo. Smith, devo proprio raccontarti che esperienza romantica è tagliare legna su a nord-ovest, e visto che tu mi parli sempre dei treni, devi vedere i trenini a scartamento ridotto che vanno lassù e le fredde mattine d’inverno con la neve e la pancia piena di frittelle e sciroppo e caffè nero, quando con la scure a doppia lama colpisci il primo ceppo della giornata non esiste niente di simile al mondo.»
«È proprio come il mio sogno del Grande Nord-Ovest. Gli indiani Kwakiutl, i poliziotti a cavallo del Nord-Ovest…»
«Be’, in Canada ci sono, nella British Columbia, certe volte li incontravo sui sentieri di montagna.» Spingendo la bici passammo davanti ai numerosi locali e bar del campus e ci fermammo da Robbie per vedere se c’era qualcuno che conoscevamo. Trovammo Alvah che faceva l’aiuto-cameriere part-time lì. Japhy e io avevamo un’aria piuttosto eccentrica nel campus con quei vecchi vestiti addosso e del resto Japhy veniva considerato un tipo strano dagli studenti, come succede sempre in tutti i campus e negli ambienti universitari tutte le volte che entra in scena un vero uomo – perché le università non sono altro che scuole di galateo per la non-identità middleclass che normalmente trova la sua migliore espressione fuori dei confini dell’università nelle schiere di ville da ricchi con prato e TV in ogni salotto dove tutti guardano la stessa cosa e pensano la stessa cosa nello stesso momento mentre i Japhy di tutto il mondo vanno a esplorare le distese dei deserti per sentire la voce che grida nel deserto, per ritrovare l’estasi delle stelle, per scoprire l’oscuro misterioso segreto dell’origine di un’anonima disincantata civiltà scialacquatrice. «Tutti questi qui» diceva Japhy «hanno gabinetti piastrellati di bianco e fanno sporchi stronzi grossi come quelli degli orsi di montagna, ma tutto viene lavato via in comode fogne ipercontrollate e nessuno pensa più agli stronzi né si rende conto che la sua origine è merda e fetore e feccia del mare. Passano tutta la giornata a lavarsi le mani con saponi cremosi che si vorrebbero mangiare di nascosto in bagno.» Aveva milioni di idee, le pensava tutte.
Arrivammo al suo capanno che era quasi buio e l’aria odorava di fumo di legna e di foglie, e sistemammo tutto per bene e poi scendemmo in strada per andare incontro a Henry Morley che aveva la macchina. Henry Morley era un tipo occhialuto di grande cultura ma anche lui eccentrico, più eccentrico ed estremista di Japhy al campus, uno studioso, con pochi amici, ma un alpinista. Il suo piccolo cottage composto da una sola stanza situato su un prato dietro a una casa di Berkeley era pieno di libri e foto di scalate e disseminato di zaini, scarponi da montagna, sci. Rimasi a bocca aperta quando lo sentii parlare, parlava proprio come Rheinhold Cacoethes il critico, poi venne fuori che erano stati amici un sacco di tempo prima e insieme avevano scalato montagne e sul momento non riuscii a capire se Morley avesse influenzato Cacoethes o viceversa. Avevo l’impressione che fosse stato Morley a influenzare l’altro – il loro modo di esprimersi era identico, ambiguo, sarcastico, molto brillante e ben articolato, con migliaia di immagini, tipo, quando io e Japhy entrammo e vi trovammo riuniti certi amici di Morley (un gruppetto strambo e bizzarro con anche un cinese e un tedesco appena arrivato dalla Germania e parecchi altri studenti) Morley disse: «Mi porto il materassino di gomma, voi ragazzi potete anche dormire su quella terra dura e fredda se ci tenete ma io mi porto il mio attrezzo gonfiabile che mi è costato sedici dollari nello sconfinato deserto di un negozio per la Marina militare a Oakland dopo aver girato in macchina tutto il giorno a chiedermi se uno che si applica ai piedi un paio di pattini a rotelle o delle ventose può tecnicamente essere definito un veicolo» e battute del genere dal significato oscuro e per me incomprensibile (come per chiunque altro), nessuno gli prestava ascolto, comunque, mentre lui non faceva altro che parlare quasi parlasse da solo ma mi piacque all’istante. Sospirammo alla vista della gran quantità di roba inutile che voleva portarsi dietro: persino cibi in scatola, e oltre al suo materassino di gomma un sacco di piccozze e di attrezzatura varia che proprio non ci sarebbe servita a niente.
«Portati pure quella piccozza, Morley, anche se mi sa che non ci serve, però i cibi in scatola sono tutta acqua che ti devi portare in spalla, non ti rendi conto che lassù troveremo tutta l’acqua che vogliamo?»
«Be’ è solo che pensavo che questo chop suey cinese in scatola sarebbe stato piuttosto appetitoso.»
«Ho da mangiare a sufficienza per tutti. Andiamo.»
Morley perse un sacco di tempo in chiacchiere e a cercare cose a destra e a manca e a sistemare il suo poco maneggevole portabagagli e alla fine salutammo gli amici di Morley e salimmo sulla sua utilitaria inglese e ci mettemmo in viaggio, più o meno alle dieci, diretti a Tracy e poi su a Bridgeport e di lì avremmo proseguito per altri tredici chilometri fino ai piedi del sentiero del lago.
Io presi posto nel sedile posteriore mentre loro davanti chiacchieravano. Morley era il mattacchione che una volta sarebbe venuto a prendermi (in seguito) con mezzo litro di marsala all’uovo aspettandosi che me lo bevessi, ma io invece l’avrei convinto a scarrozzarmi fino al negozio di liquori, mentre la sua idea era di andare a trovare una certa ragazza e di portarmi con sé a mettere pace: arrivammo alla sua porta, lei aprì, ce la sbatté in faccia non appena vide chi era, e allora tornammo in macchina al cottage. «Allora di che si tratta?» «Be’ è una lunga storia» avrebbe detto Morley tenendosi sul vago, non riuscivo mai a capire che cosa avesse in mente. Inoltre, vedendo che Alvah non aveva letti con reti a molle nel cottage, un giorno spuntò come un fantasma sulla porta mentre noi ci preparavamo in tutta innocenza ad alzarci e a preparare il caffè e ci regalò un’enorme rete a due piazze che sudammo sette camicie per nascondere nel granaio non appena lui si tolse dai piedi. E poi ci portava tavole rudimentali e quant’altro, e scaffali improponibili, roba di tutti i tipi, e anni dopo ebbi con lui altre avventure alla Three Stooges12 quando andammo nella casa di Contra Costa (che era di sua proprietà e che affittava) dove passammo pomeriggi incredibili in cui lui mi pagava due dollari l’ora perché trasportassi secchi interi di fanghiglia che lui raccoglieva con le mani da una cantina allagata, tutto nero e coperto di melma come Tartarilouak il Re dei Fanghi del Paratioalaouakak Span, con un’espressione cifrata di malizioso compiacimento in volto; e poi, sulla via del ritorno attraversando una piccola cittadina con l’idea di prenderci un gelato, passeggiammo sulla Main Street (avevamo camminato lungo la strada principale carichi di secchi e rastrelli) coi coni in mano urtando la gente sul marciapiede stretto come due comici dei vecchi film muti hollywoodiani, con la biacca in faccia e tutto il resto. Un tipo davvero strano, in ogni caso, da ogni punto di vista, e adesso era lui a guidare verso Tracy nell’autostrada trafficata a quattro corsie senza mai smettere di parlare, per ogni cosa che diceva Japhy lui aveva pronte dodici risposte, e il dialogo si svolgeva così, Japhy diceva una cosa come: «Per Dio, da un po’ mi sento molto studioso, mi sa che la settimana prossima magari mi leggo un trattato di ornitologia». Morley replicava: «E chi non si sente studioso quando non ha a disposizione una ragazza con una bella abbronzatura?».
Tutte le volte che apriva bocca si voltava e guardava Japhy e scodellava queste cretinate geniali con una faccia del tutto inespressiva; non riuscivo a capire che razza di strano misterioso erudito fantasista del linguaggio lui fosse in realtà sotto quei cieli della California. Oppure se Japhy accennava ai sacchi a pelo, Morley s’intrometteva dicendo: «Tra poco diverrò proprietario di un sacco a pelo francese azzurro pallido, di peso minimo,di piuma d’oca, proprio un buon affare, li trovi a Vancouver – va bene per Daisy Mae. Il Canada non fa per lei. Tutti vogliono sapere se suo nonno era un esploratore che incontrò un eschimese. Quanto a me, io vengo dal Polo Nord».
«Di cosa parla?» chiedevo io da dietro, e Japhy: «Morley non è altro che un curioso apparecchio per registrare».
Avevo raccontato ai ragazzi che avevo un principio di tromboflebite, coaguli di sangue nelle vene dei piedi, e avevo un po’ di paura per la scalata del giorno dopo, non di zoppicare ma di peggiorare una volta ridiscesi. Morley disse: «La tromboflebite è un particolare ritmo di pisciata?». Oppure se dicevo qualcosa sugli occidentali lui faceva: «Io sono un occidentale ottuso… guarda cos’hanno prodotto i pregiudizi in Inghilterra».
«Sei completamente pazzo, Morley».
«Non so, forse sì, ma anche se fosse lascerò lo stesso un bel testamento.» Poi di punto in bianco diceva: «Be’ sono proprio orgoglioso di scalare montagne con due poeti, scriverò anch’io un libro, parlerà di Ragusa, una repubblica marinara del tardo Medioevo che risolse il problema della lotta di classe, offrì la segreteria di stato a Machiavelli e per tutta una generazione vide il suo idioma adottato come lingua diplomatica del Levante. Tutto questo grazie all’appoggio dei turchi, naturalmente.»
«Naturalmente» dicevamo noi.
Allora si faceva una bella domanda ad alta voce: «Siete capaci di determinare il Natale con un’approssimazione di soli diciotto milioni di secondi a sinistra del vecchio fumaiolo rosso originale?».
«Come no» dice Japhy ridendo.
«Come no» dice Morley girando il volante per affrontare le curve sempre più frequenti. «Organizzano pullman speciali tipo Greyhound per un convegno prestagionale e intimo sulla Felicità nelle zone più interne della Sierra a novemilacentonovantacinque metri da un rudimentale motel. È un metodo più nuovo dell’analisi e ingannevolmente semplice. Se perdete il biglietto di ritorno potete trasformarvi in gnomi, i costumi sono carini e corre voce che i congressi per i Diritti degli Attori assorbano la gente in esubero scartata dalla Legione. O l’una o l’altra cosa, Smith, è chiaro» (voltandosi verso di me che ero seduto dietro) «e ritrovando la tua strada nel deserto delle emozioni ti arriverà senz’altro un regalo da… qualcuno. Credi che un po’ di sciroppo di acero ti farà stare meglio?»
«Certo, Henry.»
Morley era fatto così. Nel frattempo la macchina cominciò a inerpicarsi sul pendio di non so quali colline e attraversammo parecchi cupi villaggi dove ci fermammo a far benzina e nelle strade solo tanti Elvis Presley in blue jeans, pronti a fare a pugni con qualcuno, ma più in là oltre a loro il fragore di freschi torrenti e l’incombente presenza delle alte montagne a poca distanza da lì. Una notte dolce e pura, e finalmente sbucammo su una strada di campagna asfaltata stretta stretta e puntammo dritti verso le montagne. Ai bordi della strada cominciarono ad apparire alti pini e ogni tanto qualche sperone di roccia. L’aria era frizzante e meravigliosa. Ed era anche la vigilia dell’apertura della stagione della caccia e nel bar dove ci fermammo a bere qualcosa c’erano molti cacciatori con la faccia da scemi in berretto rosso e camicie di lana che si sbronzavano, con le macchine cariche di fucili e cartucce e ci chiedevano ansiosi se avevamo per caso visto qualche cervo. Certo che l’avevamo visto, un cervo, subito prima di arrivare al bar. C’era Morley al volante e parlava, diceva: «Be’ Ryder magari sarai il Lord Alfred Tennyson della nostra piccola comitiva di tennisti sulla Costa, ti chiameranno il Nuovo Bohémien e ti paragoneranno ai Cavalieri della Tavola Rotonda meno Amadis il Grande e lo straordinario splendore del piccolo regno moresco che venne offerto in vendita all’Etiopia per diciassettemila cammelli e milleseicento fanti al tempo in cui Cesare ciucciava la tetta di sua madre» quando tutto a un tratto il cervo era apparso in mezzo alla strada, gli occhi sbarrati sui fari, terrorizzato, prima di balzare nella macchia sul bordo della strada e scomparire nell’improvviso vasto silenzio adamantino della foresta (che udimmo quando Morley sp...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I vagabondi del Dharma
  4. Uno
  5. Due
  6. Tre
  7. Quattro
  8. Cinque
  9. Sei
  10. Sette
  11. Otto
  12. Nove
  13. Dieci
  14. Undici
  15. Dodici
  16. Tredici
  17. Quattordici
  18. Quindici
  19. Sedici
  20. Diciassette
  21. Diciotto
  22. Diciannove
  23. Venti
  24. Ventuno
  25. Ventidue
  26. Ventitré
  27. Ventiquattro
  28. Venticinque
  29. Ventisei
  30. Ventisette
  31. Ventotto
  32. Ventinove
  33. Trenta
  34. Trentuno
  35. Trentadue
  36. Trentatré
  37. Trentaquattro
  38. Copyright