
- 384 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Le avventure erotiche di un arrampicatore sociale nel romanzo più famoso di Maupassant (1850-93). Un ritratto sferzante degli ambienti corrotti della Terza Repubblica, ma anche un affresco brillante della Belle époque.
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Informazioni
Print ISBN
9788804480563eBook ISBN
9788852010958PARTE SECONDA
I
Georges Duroy aveva ripreso le antiche abitudini.
Ormai sistemato nell’appartamentino al pianterreno di rue de Constantinople, ci viveva tranquillo, come un uomo che si prepari a una nuova esistenza. I suoi rapporti con la signora de Marelle avevano assunto un andamento quasi coniugale, una specie d’esercitazione in vista del prossimo evento; e l’amante, spesso meravigliata dal quieto trantran di quell’unione, gli ripeteva ridendo: «Sei tutto casa e famiglia, peggio di mio marito! non valeva certo la pena cambiare!».
La signora Forestier non era tornata, indugiava a Cannes. Duroy ricevette una lettera che ne annunciava il ritorno solo per la metà d’aprile, senza la minima allusione ai loro addii. Attese, ormai deciso a sfruttare qualsiasi mezzo pur di sposarla, se gli avesse mostrato qualche perplessità. Ma aveva fiducia nella sua buona sorte, e in quel potere di seduzione che si sentiva dentro, un potere vago ma irresistibile che conquistava tutte le donne.
Un bigliettino lo avvertì che scoccava l’ora. “Sono a Parigi. L’aspetto. Madeleine Forestier.”
Tutto qui. Era arrivato con la posta delle nove. Alle tre del pomeriggio, si presentò da lei. Madeleine Forestier gli tese le mani, sorridendo con il sorriso di sempre; e si guardarono in fondo agli occhi per qualche attimo.
Poi lei mormorò: «Com’è stato buono a venire laggiù, in circostanze così tremende!».
«Avrei fatto qualsiasi cosa mi avesse ordinato» rispose lui. E sedettero. Lei s’informò delle ultime novità, dei Walter, di tutti i colleghi e del giornale. Ci pensava spesso, al giornale.
«Mi manca tanto,» diceva «proprio tanto. Ero diventata giornalista nell’anima. Che vuole, è un mestiere che amo.»
Poi s’azzittì. Lui credette di cogliere, d’intuire in quel sorriso, nel tono della voce, nelle parole stesse, una specie d’invito; e benché si fosse ripromesso di non precipitare le cose, balbettò:
«E allora… perché… perché non riprenderlo… quel mestiere… con… con il nome di Duroy?»
Ridiventò subito seria, e, posandogli una mano sulla spalla, mormorò: «Non ne parliamo ancora, vuole?».
Ma lui capì che aveva accettato e, caduto in ginocchio, le copriva le mani di baci appassionati, ripetendo, farfugliando: «Grazie, grazie, come l’amo!».
Lei si alzò. Duroy imitandola si accorse ch’era molto pallida. Comprese allora che le piaceva, e da molto, forse; e poiché si trovavano uno di fronte all’altra, l’abbracciò, baciandola poi in fronte d’un lungo bacio tenero e compunto.
Quando si fu liberata, scivolandogli sul petto, ella riprese con voce grave:
«Senta, amico mio, non ho deciso ancora nulla. E tuttavia potrebbe anche essere un sì. Ma deve promettermi il più assoluto segreto fino al momento in cui la scioglierò dal giuramento.»
Duroy giurò e se ne andò, con il cuore traboccante di gioia.
Da quel momento, si comportò sempre con la massima discrezione durante le visite, non sollecitando mai una volta un consenso più esplicito, poiché lei aveva un modo di parlare del futuro, di dire “in seguito”, di fare progetti in cui le loro esistenze si trovavano mischiate, che rispondeva di continuo, meglio e con maggior delicatezza, a un’accettazione formale.
Duroy lavorava sodo, spendeva poco, cercava di fare delle economie per non trovarsi senza un soldo al momento del matrimonio, ed era diventato tanto avaro quant’era stato prodigo.
Passò l’estate, e poi l’autunno, senza che la gente sospettasse di nulla, poiché si vedevano poco e con molta naturalezza.
Una sera, Madeleine gli disse guardandolo in fondo agli occhi: «Non ha ancora parlato del nostro progetto alla signora de Marelle?».
«No, amica mia. Ho giurato di mantenere il segreto, per cui non ho aperto bocca con anima viva.»
«Bene, sarà il caso d’avvertirla, allora. Ai Walter ci penso io. Lo farà entro la settimana, vero?»
Lui era arrossito.
«Sì,» disse «lo farò domani stesso.»
Lei stornò piano lo sguardo, come per non notare quel turbamento, e riprese: «Se vuole, potremmo sposarci ai primi di maggio. Mi sembra il momento più adatto».
«Ai suoi ordini, e con gioia.»
«Mi piacerebbe molto il 10 maggio, ch’è un sabato, perché è il giorno del mio compleanno.»
«Vada per il 10 maggio, allora.»
«I suoi genitori abitano vicino a Rouen, vero? Così almeno mi ha detto.»
«Sì, vicino a Rouen, a Canteleu.»
«Che cosa fanno?»
«Sono… sono dei piccoli proprietari.»
«Ah! vorrei tanto conoscerli.»
Lui esitò, molto perplesso: «Il fatto è, vede… che sono…».
Poi prese il coraggio a quattro mani come si addice a un vero uomo: «Sono dei contadini, mia cara, piccoli tavernieri, e si son cavati il sangue per pagarmi gli studi. Non che me ne vergogni, certo, ma la loro… semplicità… la loro rusticità potrebbe metterla a disagio».
Lei sorrideva adorabile, il volto illuminato da una tenera bontà.
«Oh, no! vorrò loro molto bene. Andremo a trovarli. Ci tengo. Ne riparleremo. Anch’io sono figlia di gente modesta… ma li ho perduti, io, i miei genitori. Non ho più nessuno al mondo…» e gli tese la mano, aggiungendo: «… solo lei».
E lui si sentì intenerito, commosso, conquistato come non gli era mai successo con nessun’altra donna.
«Avrei pensato a una cosa,» disse lei «ma è piuttosto difficile da spiegare.»
«E che mai può essere?»
«Be’, ecco, sono come tutte le donne, mio caro, con le mie… debolezze, le mie piccinerie, amo ciò che brilla, sì, l’altisonanza. Mi sarebbe piaciuto moltissimo portare un nome aristocratico. Non potrebbe, in occasione del nostro matrimonio, ecco… nobilitarsi un pochino?»
Era arrossita a sua volta, come se gli avesse fatto una proposta indelicata.
Lui rispose semplicemente: «Ci ho pensato molto spesso, ma mi sembra alquanto difficile».
«E perché mai?»
Lui si mise a ridere: «Perché ho paura di rendermi ridicolo».
Lei alzò le spalle: «Ma nemmeno per idea, nemmeno per idea. Lo fanno tutti, e nessuno si sogna di riderne. Divida a metà il cognome, “Du Roy” sarebbe perfetto».
Lui replicò subito, da uomo che ha studiato a fondo il problema:
«No, così non va. È un procedimento troppo semplice, troppo comune, troppo noto. Avevo pensato di prendere il nome del mio paese come pseudonimo letterario, prima, attaccandolo poi al mio, e infine dividere quest’ultimo in due come ha suggerito lei.»
Lei domandò: «Si chiama Canteleu, il suo paese?».
«Sì.»
Non pareva convinta: «No, non mi piace come finisce. Vediamo un po’, non potremmo modificarlo un tantino questo… Canteleu?».
Aveva preso una penna dalla tavola e s’era messa a scarabocchiar cognomi studiandone la fisionomia. D’un tratto esclamò: «Ecco, ecco, guardi!».
E gli tese un foglio dove si leggeva: “La signora Duroy de Cantel”.
Lui ci pensò su qualche secondo, poi dichiarò solennemente:
«Sì, va benissimo.»
Lei ripeteva tutta entusiasta:
«Duroy de Cantel, Duroy de Cantel, la signora Duroy de Cantel. Ma è perfetto, perfetto!»
E aggiunse, con aria convinta: «E vedrà come sarà facile farlo accettare. Ma bisogna saper cogliere l’occasione; in seguito, sarebbe troppo tardi. Fin da domani, comincerà a firmare i suoi articoli D. de Cantel, e gli echi di cronaca con il solito Duroy. Capita tutti i giorni, nel giornalismo, e nessuno si meraviglierà nel vederla prendere un nome di battaglia. Quando ci sposeremo, potremo dargli un’altra ritoccatina, dicendo che aveva rinunciato al du nobiliare per modestia, per via della sua posizione, o senza spiegare un bel niente, anche. Come si chiama suo padre?».
«Alexandre.»
Lei mormorò due o tre volte di seguito: «Alexandre, Alexandre», attenta alla sonorità delle sillabe, poi scrisse su un foglio vergine:
“Il signore Alexandre du Roy de Cantel e signora hanno l’onore di partecipare il matrimonio del loro figlio, Georges du Roy de Cantel, con la signora Madeleine Forestier.”
Guardava il suo scritto da qualche distanza e, entusiasmata dall’effetto, dichiarò: «Con un briciolo di metodo puoi ottenere tutto quello che vuoi!».
Quando si ritrovò per via, ben deciso a chiamarsi du Roy d’ora in poi, e anzi du Roy de Cantel, gli pareva d’aver acquisito una nuova importanza. Camminava con piglio più ardimentoso, la testa più alta, i baffi più fieri, come si conviene a un gentiluomo. Si sentiva dentro una specie d’esultanza vogliosa d’urlare ai passanti:
“Mi chiamo du Roy de Cantel, io!”
Ma appena rientrato fu subito preso dal pensiero della signora de Marelle, era parecchio inquieto, e le scrisse chiedendole un appuntamento per l’indomani.
“Sarà dura” pensava. “Mi farà una scenata dell’altro mondo.”
Poi si mise il cuore in pace con quella noncuranza naturale che gli permetteva d’accantonare le cose sgradevoli della vita, e cominciò a scrivere un articolo di fantasia sulle nuove imposte da promuovere al fine di consolidare l’equilibrio del bilancio, proponendo cento franchi all’anno per la semplice particella nobiliare e da cinquecento a cinquemila franchi, sempre all’anno, per i titoli da barone fino a principe.
E si firmò D. de Cantel.
L’indomani, ricevette un telegramma dell’amante che ne annunciava l’arrivo per l’una.
L’attesa si fece un po’ febbrile. Era ben deciso a parlare subito comunque, e senza peli sulla lingua, per poi, passata la prima emozione, discutere con calma provandole che non poteva rimanere scapolo in eterno e che, poiché il signor de Marelle s’ostinava a vivere, aveva pur dovuto pensare a un’altra donna per farne la sua legittima compagna.
E tuttavia era un po’ emozionato. Quando udì la scampanellata, fu preso dal batticuore.
Gli si gettò fra le braccia: «Buongiorno, Bel-Ami!».
Poi, trovandolo un po’ freddo, si sciolse dall’abbraccio con aria interrogativa: «Cos’hai?».
«Siediti» disse lui. «Dobbiamo parlare seriamente.»
Lei sedette senza togliersi il cappello, rialzandosi solo la veletta sulla fronte, in attesa.
Lui, a capo chino, si preparava. Iniziò con voce lenta:
«Cara amica, oggi mi vedi tutto sconvolto, triste e imbarazzato per quanto ho da dirti. Io ti amo, ti amo veramente, con tutto il cuore, ecco perché il timore di addolorarti m’affligge ancor più della notizia che ti devo dare.»
Lei impallidì e, sentendosi tremare, balbettò:
«Che c’è? Parla, parla!»
Lui allora dichiarò, con voce triste ma risoluta, e quella finta disperazione di chi annuncia una sciagura felice:...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Introduzione. di Dominique Fernandez
- BEL-AMI
- Parte prima
- Parte seconda
- Copyright