Succede. E mi è successo. Dopo anni di sbattimenti, spettacoli nelle bettole e trasmissioni invedibili (in tutti i sensi), le cose sono cambiate. Le persone giuste si sono accorte finalmente di me e adesso moltissimi apprezzano il mio talento. Da imbecille a genio. Ma io non mi sento affatto cambiata. Sarà che sono rimasta imbecille o sono sempre stata un genio? Tant’è.
Adesso mi capitano le cose più strane. Prima fra tutte mi si chiede il parere su qualsiasi cosa. Dai movimenti della tettonica a zolle al calo della libido. E io quasi mai ho qualcosa di veramente interessante da dire. Mi viene da rispondere: «Mah?». E mi rendo conto che è un po’ pochino. Poi ricevo un sacco di inviti. Dal gran galà della trifula alla festa privata in disco dove: «Minchia, se vuoi puoi fare tutto lo spettacolo, noi ti diamo la cena gratis, bibite comprese».
Poi godo di un notevole fenomeno di riconoscibilità stradale che, a ragion del vero, mi fa un sacco piacere. Lo dice sempre anche mia zia: «Di sentirci amati non ne abbiamo mai a basta». L’abbordaggio tipico avviene più o meno così: «Nooo! Ma tu sei la Littizzello? La pervertita della televisione?». Oppure: «Guardaaa! C’è la Trippizzetto! Mi dici bastardo?». O ancora: «Mi scrivi sulla carta d’identità “Ti amo bastardo”? Grazie, sei gentilissima». O quando proprio si esagera: «Tu sei la Zippittetto, vero? Ci ho qui la videocassetta del matrimonio di mio cugino Ettore dove ho fatto l’imitazione di Wess e Dori Ghezzi contemporaneamente… puoi mica farla avere a Gori? A proposito: ma la Marcuzzi ce le ha vere o rifatte?».
Una volta un tipo a Porta Susa con incontenibile gioia mi ha chiesto: «Ma tu sei Minchia Sabbri? Ma ti chiami Minchia di cognome?». Quello è stato un momento pesante. Ma la vera perla è successa durante la cena di un dopo spettacolo. Il gestore del ristorante mi ha accolta a braccia aperte e, dopo essersi sdilinquito in un miele di complimenti, con l’occhio pazzo da Jocker di Batman, ha zittito la compagnia con queste parole: «Silenzio, ordina prima la cantante!».
E poi incredibile dictu: ho fatto il cinema. Io. La nana di Cit Turin. Il cinema quello vero, non quello che evoca mia madre quando vuole che la pianti e urla: «Luciana, fa’nen tant cine!».
Quello che non mi spiego è perché, in dieci anni di mestiere, il trucco cinematografico, teatrale o televisivo non mi sia mai servito a migliorare esteticamente. E quando dico mai dico mai. Mi peggiora sempre. Mi esalta i difetti. Si impegna a ridare vita al mostro che riposa in me. Tanto che poi la gente, quando mi incontra per strada, generalmente sbotta con apprezzamenti del tipo: «Ma non sei così racchia, in fondo…» che, vi assicuro, non fanno certo bene al mio amor proprio.
Devo dire che anche i ruoli che mi scelgo son quelli che sono. In due film su tre ho fatto la moglie cornuta e nel terzo la prostituta. Mi sembra un bilancio di tutto rispetto. Si vede che ispiro. In un cortometraggio per Cinema Giovani, qualche tempo fa, sono stata conciata da prostituta picchiata. La truccatrice mi ha riempito di bozzi e graffi, poi mi ha unto e scompigliato i capelli e, dubitando ancora della buona riuscita del suo lavoro, ha chiesto a una comparsa: «Così è credibile come prostituta?». E lei: «No, per me era più credibile prima!». Praticamente come ero arrivata da casa. E avanti.
Ho girato la mia prima, e suppongo ultima, scena di sesso. Ho la credibilità di Topo Gigio. Io e lui a letto. In mutande, naturalmente, sotto le lenzuola. La macchina da presa appesa al soffitto. Io sotto e lui sopra. Roba da missionario. Io l’espressione tipica del rettile. Lui l’occhio da batrace. Io che per coprirmi le tette gesticolavo col risvolto del lenzuolo come la Mondaini in Casa Vianello. Lui che cercava di distrarsi per il terrore che il suo ammennicolo potesse da un momento all’altro prendere vita. Abbiamo girato sei ciak. Poi ho deragliato di testa. Al settimo. Quando il direttore della fotografia ha urlato all’operatore: «Bene, adesso mettiamo il diaframma!».
E poi. Un esercito di pazzi furiosi è stato assoldato apposta per cambiarmi il look. «Mica si può fare il tuo mestiere con ’nu jeans e ’na maglietta?» Ah, no? Eppure mi sembra che Nino D’Angelo ci sia riuscito… o sbaglio? Niente. Non sentono ragioni. Ma se sono arrivata fin qui con questo muso che, certo lascia un po’ il tempo che trova, perché cambiarlo? Perché la parola d’ordine è svecchiare e allora… si comincia con l’abito che a quanto pare fa un casino il monaco. Via il comodo pantalone ascellare e pronti col calzone vita bassa, cavallo mezza coscia, maglietta stretch e golfino di lana di cane. «Importante, mi raccomando, l’ombelico di fuori, meglio con l’orecchino.» No. L’orecchino non me lo sparo nella pancia! C’ho un neo. Va bene lo stesso? Eppoi, posso tirare un po’ giù ’sto golf che sento freddo alle budella e mi viene la colite? «Sei pazza? Non ci hai mica sessanta anni?» Sì, ma ne ho trentasei e soffro ancora di acetone, come si spiega ’sto fatto? «Silenzio.» Passiamo alla scarpa. Ecco. «Un bel sandalo aperto (tanto siamo a marzo) con tacco a Toblerone e calzino corto, meglio se di lamé.» Mi cade la prima lacrima. Ma Milano non era la capitale della moda? «Zitta.» Siamo alla fase capelli. «Non si discute: bionda.» No. Bionda no. «Qualche colpo di sole? Una botta di luce? Una frangia di luna?» Piuttosto mi ammazzo. «Ma il biondo è un colore molto televisivo, è per questo che fioccano le Mare Venier, le Antonelle Elie, le Marie Terese Rute!» E chissenefrega! «Anche la mitica Marilyn è passata da questo tunnel.» Infatti io non ho niente in comune con lei. E state giù con quelle forbici. «Te li sfiliamo un po’, vuoi mica tenerti ’sta chioma a Raperonzolo?» E così eccomi qua. Un bell’incrocio tra Ringo Starr e La fata Fior di melo. «E per quella cellulite lì sui fianchi?» Ah no! Giù le mani! Quella sta lì. Dio me l’ha data e guai a chi me la tocca!
Ma com’è ’sto fatto? È primavera, svegliate ci siam svegliate, messer aprile dovrebbe fare il rubacuor e invece… qui non si batte chiodo. Né ranocchi bavosi né tanto meno principi.
Le mie amiche si son mobilitate. Nel giro di una settimana mi hanno presentato almeno una decina di uomini, manco fossi un’eremita che non ha scambi col mondo. La mia amica Molly (si chiama Maria Adelaide, ma si fa chiamare Molly per via del nome uguale all’ospedale di Torino) ha voluto a tutti i costi che uscissi a cena con Rubens, un tipo di Gressoney. Alto, moro e sempre vestito di bianco. Un incrocio tra Little Tony e uno spacciatore di coca di Miami Vice. Dico solo che all’antipasto già aveva estratto la foto della sua ex fidanzata, l’unica donna mai amata in vita sua. Una specie di gatto delle nevi con il naso a patata americana. Ma si può? Caro il mio mister Loba Loba, credi che me ne possa fregare qualcosa dei tuoi lutti passati? E poi c’aveva un profumo che non mi piaceva… mi ricordava l’odore della vaschetta delle tartarughe. E allora? Lo dice anche la Mannoia che «Siamo così, dolcemente complicate…», delle specie di cubi di Rubik con le tette.
Poi è toccato a Gualtiero, melomane, maniere da cicisbeo, mani venate di azzurro come fette di gorgonzola, probabilmente allattato fino in terza media. Saliamo in auto e mi fa: «Orbene…».
“Orbene”? Ma come parli? Dove vivi? Sparisci, avanzo fossile di lumacone del Pleistocene!
Tornata a casa ho tentato il suicidio. Volevo strangolarmi di Mars e far la fine del ratto impigliato nel malto. Ma non è andata così. Il destino ha voluto punirmi ancora. Ho accettato l’invito a cena di un musicista dal cognome veramente improponibile: Soffritto. Era chiaro. Non poteva nascere nulla tra di noi. Neanche per vero amore accetterei di chiamarmi Luciana Littizzetto in Soffritto! Ci eravamo conosciuti da meno di cinque minuti che già gonfio di orgoglio maschio mi mostrava la sua maglietta. E sapete quale motto portava stampigliato a lettere cubitali? «Green Fig, salviamo la gnocca.»
Peccato. Peccatissimo. Erano una coppia così ben assortita… lui così gnomo, lei così vichinga… A me Tom e Nicole davano tanta sicurezza. Considerando il fatto che io alla Kidman somiglio moltissimo, per una serie di affinità non solo fisiche, contavo che prima o poi un pezzo di Cruise sarebbe planato anche a me tra le braccia. E invece ciccia. Persino la piroga del loro amore ha cominciato a imbarcare acqua. Nella mia già nidificano i pesci. Vorrà dire che per il resto della vita starò da sola, farò presine all’uncinetto, leggerò la vita quotidiana dei fenici e mi purificherò con tisane al finocchietto selvatico. E penserò alla vera, unica e suprema maestra dell’amore: Barbie. Quarantuno anni e non sentirli. Barbie ha cinque anni più di me e io sembro sua bisnonna. Quale sarà mai il segreto della sua forma inossidabile? Ve lo dico io. Non si è mai sposata. E dire che quel rincoglionito di Ken le vuole bene, è dalla prima asilo che le sbava dietro. Ma lei niente. Dura. Un tocco di marmo. Fidanzati sì ma poi… mi a ca’ mia e ti a ca’ tua. Lei nella sua villa a tre piani in pura plastica con un guardaroba da far invidia alla Carrà e lui nel suo monolocale a scolpirsi i capelli con pialla e seghino. Sì, c’è stata quella mezza storia con Big Jim, quel Taricone che faceva boxe olimpica e si pettinava col grasso di balena, ma era solo roba di sesso e palestra. Barbie aveva ben altro da fare. In primis cambiare lavoro. Roba da far tremare i sindacati. È stata ballerina, dentista, paleontologa, astronauta, atleta olimpica, maestra elementare, persino ambasciatrice dell’Unicef. E poi occuparsi della sua famiglia che geneticamente parlando è ben strana. Barbie ha un nugolo di fratellini e sorelline di età compresa tra i trentasei e i sei anni. O sua madre è un’androide o suo padre ha la vitalità sessuale di Charlie Chaplin. Visti i suoi genitori si è presa ben guardia di convolare a giuste nozze. Però si è comprata l’abito e ha fatto finta. «Barbie sogno di sposa.» Mica scema. Io mi sento così vicina a lei. Litti sogno di sposa, Litti pink splendor, Litti fata marzapane. Siamo due gocce d’acqua. E poi anch’io ho le gambe lunghe e dure che da un paio di mesi (sarà l’età) non si piegano più.
Anche le mucche sono andate fuori di testa. Ah, siamo a posto. Un punto fermo avevamo nella vita: la mansuetudine delle vacche. E adesso puff. Svanito pure quello. Cosa ci riserverà il futuro? Forse il pollo balengo o il maiale pirla. E dire che noi donne il cervello spongiforme come il Cioccorì ce l’abbiamo da un pezzo. Fortuna che non siamo commestibili. Che vista la situazione è un po’ la nostra salvezza. Ma il nostro cervellino poroso purtroppo di qualche porcheriola si inzuppa. Beh… è un po’ il destino della sua natura di spugnetta. Per esempio della convinzione di essere grasse. Tutte le donne, prima o poi nella vita, si guardano allo specchio e vorrebberro farsi a fette con un machete. Ho delle amiche che sono a dieta dal giorno della prima comunione e per sfinarsi e non sembrare tappi di damigiane si vestono solo di scuro con sfumature che vanno dal nero fumo di Nottingham al grigio ardesia di Courmayeur. Insomma. Ci depuriamo trenta giorni al mese, ingurgitiamo bibitoni di scagliola ogni mezzogiorno, mangiamo per settimane intere solo banane come gli scimpanzé, dividiamo il nostro tempo libero con le fave di fuca e la ceramica del water. Io dico. Con tutto il fegato che ci siamo mangiate in anni di tortura dovremmo almeno essere calate di qualche etto. Infatti. Qualcosina abbiamo perso nei punti sbagliati. Tipo le tette che per quella stupida storia della gravità ci sono calate come le foglie della kenzia. Io ho visto soltanto una volta piangere la mia amica Valentina: dopo il quarto giorno della dieta «solo minestrone». Quella povera creatura ha sopportato tutto, nelle peggiori avversità della vita si è dimostrata dura come una roccia, ma al minestrone non ha resistito. Ora ha smesso. È più serena e per ovviare al problema dei chili di troppo si nasconde la Nutella. Da sola.
Ma la palma d’oro spetta e spetterà sempre, nei secoli dei secoli, a una mia vecchia zia. Il suo criterio era che più una era grassa e più era bella. Per lei, che aveva conosciuto la guerra, il rigoglio fisico era un insindacabile segno di bellezza. E così, a una mia amica super complessata e in continua dieta dimagrante, la magica zia era riuscita a dire: «La vedo bene!». E la mia amica, gonfia di orgoglio: «Trova?». E zia: «Oh sì! Bella grassa!». E la mia amica, distrutta, con la voce già rotta dal pianto: «Mi trova ingrassata?». E zia, non paga: «Molto. Molto grassa. Complimenti!». Fantastica la zia Angelina… Ma ritorniamo a noi. Cosa fare per calare di qualche grammo? Bere. Ininterrottamente. Perché l’acqua fa fare tanta… tin tin… e poi è altissima e purissima. D’altra parte dicono che il corpo umano sia composto per il novanta per cento di acqua. E il resto? Cazzate, suppongo. Tempo fa riflettevo. Cosa fa un corpo per mantenersi in vita? Due cose solo. Mangia e fa la cacca. È semplice. Ma andiamo avanti e meditiamo. In buona sostanza la differenza tra quello che abbiamo mangiato e la cacca che abbiamo fatto siamo noi. Capito? Siamo solo uno stupido resto. Il netto rimasto tra il prendere e il lasciare. Viviamo serene. E anche tu, cara la mia Megan Gale, vola basso.
Per gli uomini è diverso. Con l’età guadagnano punti. Più diventano vecchi e più migliorano. Come il dolcetto. Noi donne invece siamo più come il gorgonzola. Più diventiamo vecchie e più diventiamo grasse. Quel bel grasso stagionato che cola. E ci vengono anche le vene varicose blu cobalto. Tali e quali alle muffe della gorgo. È come il crollo di una diga. Da un momento all’altro. Cric cric… un leggero avvertimento e poi sbarabaquak… il disastro. Io un giorno sì e uno no mi farei a pezzettini e mi infilerei nel bidoncino dell’umido. Chissà che riciclandomi insieme alle pelli del salame cotto e ai gusci di noce non ne esca qualcosa di buono. Dovrei provare a potarmi, come si fa coi gerani. Via il naso, via le orecchie, via anche il mento. Tanto con la primavera e i primi tiepidi mi rispunta tutto. Anche più fresco. La mia amica Marcella ha fatto la «befanoplastica». Beh, si trattava di un caso disperato. Era una befana proprio fatta e finita. Non riusciva più a sollevare le palpebre tanto era il peso della pelle in esubero. Era come se dormisse sempre. Con due origami di cartacrespa appoggiati sugli occhi. Adesso è un’altra cosa. Non riesce quasi più a chiuderli. Ha un’espressione stupita ventiquattr’ore al giorno, come se avesse visto un dinosauro comprare la pizza bianca in panetteria. Di notte dorme con l’occhio socchiuso da guardia giurata. E per lei viene giorno sempre un po’ prima. Ma è abituata. Ha più silicone Marcella che una veranda esposta a nord. Si è rifatta le tette due volte. Le ha così grosse che non riesce più a farle stare separate, una di qua e l’altra di là. Le tiene praticamente l’una sull’altra. Incolonnate. Devi vederla in macchina. Tranquilla come un fringuello. Eh certo. Con quell’air bag lì può scaraventarsi giù come Thelma e Louise senza farsi neanche un livido. Io ne conosco una di chirurga estetica. Che ti rimette a postino come un puzzle da poco prezzo. Lei che lo fa di mestiere. Si sistema le labbra da sola. Infatti ce le ha tutte storte e sgonfie come un canotto abbandonato al sole. Dice che per eliminare le guanciotte da pesca melba non c’è niente di meglio che togliersi i molari, così il muso si rilassa. Che comodo! Una volta, senza che le fosse in alcun modo richiesto, mi ha appoggiato le mani sul volto e in una specie di trance ha sentenziato: «No, mi dispiace. Con te non si può fare nulla. È la struttura ossea che è proprio brutta». Pazienza, sono rimasta tutta biodegradabile. Se mi addormento in un bosco di montagna rischio di marcire insieme alle castagne. Ma adesso mi impegno. Faccio la maschera almeno una volta la settimana. Dove? Al Teatro Carignano? Mah. Per queste rughe non basta una crema. Mi sa che ci vuole direttamente una smerigliatrice.
Ecco qua. La primavera dovrebbe farmi sbocciare e invece mi sto seccando come una pianticella di erica. Se mi scuoto perdo i pezzi. Ho lo stesso colore delle ostriche. Ma non della perla. Proprio del guscio rugoso.
Rendersi incantevole è un lavoraccio. La Stefanenko dice che per avere un viso acqua e sapone ci vuole più o meno un’ora di trucco. Meravigliosa saggezza sovietica. Certo che sì. La pelle levigata è privilegio solo delle giovanissime, anche se vogliono farci credere il contrario. Mai provato lo stress da profumeri...