L'incendio
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L'incendio

  1. 280 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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L'incendio

Informazioni su questo libro

Composto di getto nell'estate 1980, ma concepito alla fine degli anni Sessanta, L'Incendio narra la vicenda del pittore Mucci, legato alla matronale Fernanda da una relazione con risvolti masochistici, del suo cliente nonché voce narrante Vitaliano Zorzi e del critico d'arte Marinoni, principale interprete e mentore dell'artista. Per i giochi del caso il valore della pittura di Mucci viene riconosciuto subito dopo la sua morte in un incidente stradale in Congo. Le quotazioni dei suoi quadri s'impennano, fino al giorno in cui un dipinto rivela un dettaglio inquietante... Una narrazione intensa e sfaccettata, dagli echi pirandelliani, un ottimo Soldati, in cui si ritrovano tutti i temi a lui più cari: l'amicizia, la fragilità della carne, l'oscurità del desiderio, il denaro; e poi l'intrigo, la menzogna, la mistificazione, l'arte con la sua potenza rappresentativa. Un brivido di sensualità rende ancora più godibile l'intreccio ricco di interrogativi e colpi di scena, in cui truffa e beffa, falso e autentico si rincorrono fino alla fine.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804569350
eBook ISBN
9788852013492
XI

Il coraggio di Marinoni

Due ore e mezzo dopo, ero a Diano.
Di solito, quando ho fretta, non perdo tempo a fare manovra nello stretto vicolo e a aprire il pesante portone: non entro con la macchina nel giardino, continuo diritto e la lascio sul sagrato davanti alla chiesa. Anche questa volta, dunque, feci così. Presa con me la borsa e la valigia, tornai indietro verso casa sull’antico acciottolato: cento passi o poco più.
Abitavo a Diano solo dalla fine dell’inverno scorso. Ma il viaggio in Africa, estraniandomi totalmente da quel luogo che presto mi era diventato caro, pareva che avesse in qualche modo abbreviato ancora di più il tempo in cui vi avevo vissuto e cancellato l’abitudine che vi avevo fatto. In quel breve tragitto che mi separava dal grande portone verde, vedevo tutto come se me ne fossi dimenticato o come se il viaggio fosse durato anni. Ah! Perché non sono Mucci! Perché non sono pittore!
Il vicolo deserto, nella luce dolcissima del pomeriggio autunnale: a sinistra il vecchio muro in ombra, bianco azzurro, bianco viola, e gli alti alberi del parco, e alla fine del muro il portone verde vivo di casa mia; a destra le altre case, molte dell’ottocento, più modeste, e poche del settecento, più solenni e massicce; la bellezza del colore dell’intonaco di ciascuna, qua giallino, là rosa, laggiù bianco; i grandi spazi tra finestra e finestra, anche con i panni appesi a asciugare tra le persiane verdi scure; i davanzali di ardesia; e in fondo il vicolo che si perdeva in curva, in un’ombra più misteriosa, però con un colpo di sole che quasi indorava i tetti di pietra grigi chiari… Che cosa farei se fossi Mucci?
Dio solo sa se ero impaziente di parlare con Marinoni. Ma trovai naturale fermarmi un momento in mezzo al vicolo, meravigliarmi di ciò che avevo davanti a me; e trovai giusto vincere una fretta che, malgrado tutto, era molto meno importante della bellezza che vedevo. Che cosa farei, mi dissi, se fossi pittore? Come avviene, come si svolge il processo magico dell’arte?
Capii allora, o mi parve di capire, che il pittore desidera soltanto ricreare ciò che vede. Anche il pittore astratto, sì: anche lui desidera soltanto ricreare ciò che vede sebbene lo veda non in una realtà che ha davanti a sé ma in una realtà che esiste nella sua fantasia o nel suo sogno. E come fa, il pittore, a ricreare quella realtà? Cerca di copiarla con tutto quello che ha imparato a forza di prove, certo, e a forza di studiare la pittura dei maestri. Certissimo. La tecnica, insomma. Ma la stessa grafologia insegna che la mano che tiene la penna di uno scrivano qualsiasi è sempre comandata dai nervi, da un impulso in qualche modo irrazionale, personale, intimo – da qualche cosa che dipende soltanto da lui, e che è tutto lui. Figuriamoci il pittore, il quale può scegliere tra infiniti mezzi di riproduzione! Ma la scelta sarà sempre sua.
E la pittura, perciò, non è che un succo spremuto da tutta la sua esperienza consapevole e inconsapevole, da tutti i suoi ricordi insieme fusi, da tutta la sua vita.
La pittura non è che un raddoppio della vita costruito in una materia che si prolunga nel tempo un po’ più della vita del pittore e che si estende penetrando nella vita degli altri, perché il pittore crede, e deve credere, se è sincero, di dipingere solo per se stesso. Ma il fatto che dipingendo crei un oggetto che poi rimane fuori di lui, autonomo, dimostra come lo scopo segreto e inconscio del suo impulso a dipingere sia creare qualcosa che può essere visto dagli altri, comunicare con gli altri, dare agli altri se stesso…
Era, lo so, la scoperta dell’ombrello. E me lo dissi subito: questa ovvia e improvvisata filosofia dell’arte forse è soltanto un tentativo in extremis di illudermi che quanto mi aspetta in casa dipenda da un grosso malinteso tra mia moglie e Marinoni, oppure, più concretamente, è soltanto il bisogno di una pausa prima di affrontare la grana. Mi faccio coraggio. Cavo di tasca la vecchia, enorme chiave. Entro, avanzo sulla ghiaia, nel viale.
Quando esco dall’ombra dei lecci, odo un urlo:
«Vitaliano!» È Marinoni che mi ha visto dalla finestra della camera degli ospiti. «Resta giù! scendo subito!»
Ha sentito anche mia moglie: eccola alla porta, mi corre incontro, mi abbraccia.
Siamo ancora abbracciati quando esce a precipizio Marinoni:
«Scusatemi! Scusa Mariagrazia, scusa Vitaliano!»
Abbraccio anche lui.
«Devo parlarti, subito» mi dice affannato.
«Lo so, Mariagrazia mi ha detto… Gianni mi ha detto che sei qua da quattro giorni.»
«Capirai subito che non potevo fare diversamente» continua lui, e si avvia. «Sono venuto qui perché… Andiamo laggiù in fondo al parco, sotto il pergolato, è meglio. Abbi pazienza, Mariagrazia! si tratta di una cosa che riguarda me solo.»
«Permetterai che Vitaliano prenda un caffè? Ha fatto un lungo viaggio, è stanco.»
«Sei stanco?»
«Sì, sono stanco ma non fa niente. Parliamo pure subito. Mariagrazia, sii gentile, portaci due caffè al pergolato.»
Mia moglie sospira e entra in casa.
«Dunque?» dico dopo due passi. Marinoni si volta indietro, mi prende sottobraccio, mi stringe il gomito con forza come se temesse di cadere, e con voce strozzata dice che Mucci è vivo.
Mi fermo:
«L’hai visto?»
«Con i miei occhi. Ci siamo parlati, parlati a lungo. Tutto è chiaro.»
«E a Mariagrazia non l’hai detto?»
«No, non era possibile. Capirai subito. Dobbiamo, prima, decidere insieme che cosa fare: da tre anni tutti credono che sia morto. Vieni, non fermarti. Andiamo lontano. Nessuno deve sentirci.»
Ci rincamminiamo velocemente.
«Quando l’hai visto?»
«Quattro giorni fa, di notte. La mattina dopo, alle dieci di mattina, ero già qui. Nessuno lo sa, che sono qui. Era il solo posto sicuro. Lui non sa dove stai.»
«Lui chi? Mucci?»
«No, il pericolo non è Mucci.»
«E chi, allora? Rudy?»
«Sì.»
Gli dico che la madre di Rudy sa benissimo dove sto: «Ha il mio telefono».
«Non ha telefonato, in ogni caso. Almeno fino a oggi. Ma adesso che tu sei qui, non c’è più pericolo.»
«Vuoi dirmi che cosa è successo? E la lettera del Vescovo?»
«L’ha scritta Mucci. A me, non a te. A te non avrebbe osato. È stato uno scherzo che ha fatto a me.»
«Uno scherzo? E a che scopo?»
«Così, uno scherzo. Uno scherzo per punirmi, per farmi un po’ di spavento. Io non scrivevo mai il grande articolo che dovevo scrivere su di lui… Aveva l’intenzione, appena arrivato in Italia, di venire subito a Milano a trovarmi. Ma ha fatto il viaggio in piroscafo, da Abidjan a Bordeaux. E a Bordeaux ha preso il treno per Lione - Chambéry - Modane, e è sceso alla prima stazione italiana, che neanche a farlo apposta era Bardonecchia…»
«Quando, questo?»
«Non ti so dire adesso la data precisa. Ma è stato verso la metà di dicembre di quell’anno, poco più di un mese dopo l’uscita dei miei primi articoli sul “Corriere”: Il Pittore di Fuoco. Gli hanno fatto un effetto così straordinario che comincia a non muoversi più dalla casa di Fernanda.»
«Al primo piano dell’ufficio postale?»
«Sì, al primo piano dell’ufficio postale. Poi sono venuti subito gli altri articoli, di tutti gli altri critici. Per qualche settimana non si è mosso, non usciva neanche. Poi ha cominciato a uscire, ogni tanto, per Bardonecchia, e poi anche a viaggiare, a venire a dipingere in Riviera…»
«Qui?»
«Qui no, non credo… Piuttosto tra Genova e qui, e nelle Langhe, nel Cuneese, nel Monferrato…»
«E nessuno lo ha mai riconosciuto?»
«Prima di tutto ha la barba, una barba così…»
«Ma il nome? Se viaggia, andrà negli alberghi…»
«Sì, ma lui si chiama Domenico Smeriglio. In nessun documento c’è scritto Mucci. Chi ha mai saputo che Savinio si chiamava De Chirico? Solo qualche intellettuale. Ma nemmeno gli intellettuali, oggi, sanno che Mucci si chiama Smeriglio. Come vedi, restare nascosto è stato facilissimo.»
«Ma adesso, come vive?»
«È probabile che in principio avesse ancora dei soldi, di quelli che gli avevi dato tu per andare in Africa. È anche probabile che in Africa abbia speso poco. Dai Missionari e alla Miniera era ospite. Pagava coi quadri. Poi qui, a ogni modo, ha trovato Fernanda. E da quando Fernanda ha venduto i primi quadri lui certamente non ha più avuto problemi finanziari.»
«E sa del quadro della diga?»
«Naturalmente che lo sa. Rideva come un matto!»
«Rideva?! Dunque è allegro, sta bene?»
«No, non sta bene. Tutt’altro. Sta in una brutta situazione… Non ti posso spiegare tutto così di colpo. Sta bene, e insieme sta male. Ride, e insieme piange. Vive nella commedia, e insieme nella tragedia. È sempre lui. Dice a ogni modo che il quadro della diga è stata l’unica, assolutamente l’unica imprudenza che ha fatto.»
«Imprudenza? In che senso?»
«Sì. A Bardonecchia pare che abbia dipinto anche altri quadri, ma pochi, e questi pochi, tutti esclusivamente soltanto dalle finestre del primo piano dell’ufficio postale, e rimanendo bene indietro dentro la stanza… Del resto, l’ufficio postale è isolato, nessuno poteva vederlo, se non con un cannocchiale da lontano. Dice che nella buona stagione non c’era difficoltà. D’inverno, dovendo lasciare aperta la finestra, lavorava col cappotto addosso. Il quadro della diga è stata l’unica imprudenza. L’unico che abbia dipinto andando fuori col cavalletto e mettendosi a dipingere all’aperto in un luogo dove era conosciuto…»
«Ma l’avranno visto per la strada anche a Bardonecchia, no?»
«Sì, a Bardonecchia lo conoscono benissimo. Anche da prima. È andato varie volte a Bardonecchia prima di partire per l’Africa. Ma nessuno sapeva che lui era un pittore, credevano semplicemente, come credono anche oggi… che sia un amico, l’amico di Fernanda, e anche il padre di Rudy.»
«Perché Rudy rappresenta il pericolo?»
«Aspetta un momento…»
Proprio in quel momento arrivava Mariagrazia col caffè. Tacemmo di colpo. E ero così sbalordito e, allo stesso tempo, così inquieto, ansioso di sapere tutto il resto, che mentre lei versava il caffè nelle tazzine, rimasi non soltanto in silenzio, ma anche senza guardarla.
«Grazie, Mariagrazia, scusami tanto…» mormorò Marinoni con un sorriso forzato che tradiva la sua angoscia, così come il mio silenzio e il mio sguardo distolto dovevano tradire la mia preoccupazione.
«Guardate che tra poco va giù il sole e farà freddo» disse Mariagrazia «ma potete venire nello studiolo in fondo: ho già acceso il caminetto.»
La ringraziai guardandola finalmente negli occhi e annuendo lievemente con un’espressione di cui lei capì certo il significato: ti dirò tutto dopo, sta tranquilla.
«Rudy, dunque…» dissi appena lei si fu allontanata.
E Marinoni allora cominciò a dirmi che aveva passato qui quattro giorni chiuso in camera con dei libri che doveva e voleva leggere, ma non riusciva mai a andare oltre poche pagine. Ripensava invece a quello che gli era capitato con Mucci, e a mettere ordine nella complicata successione degli avvenimenti:
«Sì, mettere ordine, perché aspettavo soltanto questo momento qui, adesso, con te, e sapevo che sarebbe stato difficile proprio questo: raccontarti tutto in fila, in modo che tu capissi l’ingranaggio incredibile di fatti magari piccoli o piccolissimi, che mi hanno portato a affrontare il rischio, a vincere la mia paura e a scoprire che Mucci era vivo e poi… e poi a vederlo, a potergli parlare.»
«Dimmi.»
Mi guardò per un momento in silenzio e poi, con un tono diverso:
«Naturalmente non ti dico niente di nuovo anche se non ne abbiamo mai parlato… non ti dico niente di nuovo se ti dico che non mi sono mai piaciute le donne, ma soltanto i ragazzi. Non siamo mai stati veramente amici, noi due, in questa storia di Mucci che ha voluto che ci vedessimo tante volte, ormai da cinque anni… Ma adesso, ecco forse l’ultimo elemento dell’ingranaggio, penso che possiamo considerarci amici. Quando Rudy...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione di Raffaele Manica
  4. Cronologia
  5. Bibliografia critica essenziale
  6. Nota al testo di Stefano Ghidinelli
  7. L’Incendio
  8. I. Un armagnac lasciato là
  9. II. Il ponte della Paglia
  10. III. Sotto il vessillo della vittoria
  11. IV. Mai più
  12. V. Il canto della gioia
  13. VI. La Gatta Verde
  14. VII. Cartoline dall’Africa
  15. VIII. La gloria
  16. IX. Rudy
  17. X. Violette di Parma
  18. XI. Il coraggio di Marinoni
  19. XII. I passi nella calle
  20. Copyright