Le Guerre del Mondo Emerso - 2. Le due guerriere
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Le Guerre del Mondo Emerso - 2. Le due guerriere

  1. 462 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Le Guerre del Mondo Emerso - 2. Le due guerriere

Informazioni su questo libro

Dopo essere sfuggita alla Gilda degli Assassini, la giovane guerriera Dubhe deve liberarsi dalla maledizione che le è stata inflitta. L'unico che può salvarla è Sennar, il più potente tra i maghi, compagno di Nihal, ritiratosi nelle Terre Ignote. Intanto la sanguinaria setta ha trovato il modo per riportare in vita Aster il Tiranno, dopo lunghissimi anni di attesa. Manca soltanto la vittima sacrificale, il corpo che dovrà accoglierne la reincarnazione, e il prescelto è San, nipote di Sennar e Nihal. A proteggere il ragazzo dalla caccia feroce degli Assassini è chiamato il vecchio gnomo Ido, antico maestro di Nihal e fiero nemico del corrotto re Dohor. Nel frattempo Dubhe e il suo compagno di viaggio, il giovane mago Lonerin, sono inseguiti dal più temibile dei nemici: Rekla, la Guardia dei Veleni della Gilda, colei che le ha impresso il sigillo della maledizione, e che deve vendicare la vergogna della sua fuga. Il destino del Mondo Emerso si gioca nelle misteriose terre oltre il Saar. Due guerriere se lo disputano.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804574675
eBook ISBN
9788852011894

Terza parte

20

Salvataggio

Lonerin rimase solo, l’ampolla vuota in una mano, l’altra a sorreggere la testa di Dubhe. Dopo tutto quel fracasso, il silenzio della piana era assordante.
Si guardò intorno attonito. Al di là della frana c’era il corpo di Rekla, poco piú di un fagotto nero su uno specchio di sangue. Dall’altra parte, in posizione quasi speculare a quella della Guardia dei Veleni, c’era Filla. Anche lui abbandonato a terra in una posizione scomposta.
Lonerin indugiò per un istante sul suo volto, gli occhi aperti e colmi di dolore volti verso la donna che amava. L’ultima cosa che aveva visto, il suo ultimo pensiero. L’odio che aveva provato per quell’uomo evaporò completamente, dissolvendosi in una pietà che lo devastava. Perché tutto quel dolore? Per chi? Per Thenaar?
Abbassò gli occhi su Dubhe, che giaceva tra le sue braccia. Era pallidissima. Neppure stavolta l’aveva salvata. Nonostante il suo amore e la sua dedizione, la maledizione stava per inghiottirla per sempre. Lonerin era stanco, non aveva la forza per continuare. Era troppo. Strinse Dubhe a sé, e sentí il debole battito del suo cuore. Avrebbe voluto piangere.
C’è bisogno del tuo aiuto, idiota, avanti!
Tornò in sé. Cercò di analizzare la situazione, di valutare le condizioni fisiche di Dubhe. Ma fu difficile: era divorato dall’angoscia e dalla preoccupazione, e solamente con un grande sforzo riuscí a mantenersi lucido.
Dubhe aveva un grande taglio al petto, e una lama le aveva trafitto da parte a parte una mano. Aveva graffi ed ecchimosi un po’ ovunque, il respiro era flebile, il pallore sconfortante. Se non prendeva in fretta una decisione, stavolta rischiava davvero di perderla.
Lucido, Lonerin, devi restare lucido!
Nausea. Sentí un conato salirgli alla gola, assieme al sapore salato delle lacrime. Avrebbe voluto urlare fino a consumarsi, e chiedere aiuto al cielo. Ma era desolatamente solo.
Con mano tremante sfiorò le ferite di Dubhe: non erano molto gravi in realtà, ma aveva già perso fin troppo sangue. Bisognava fermare l’emorragia, solo che non aveva mai visto una persona ridotta in quello stato, ed era completamente impreparato ad affrontare una situazione del genere.
Sentiva il cuore battere all’impazzata e le orecchie ronzargli. Una voce dentro di lui non faceva che gridare terrorizzata.
Depose lentamente la testa di Dubhe a terra, quindi si prese il capo fra le mani e si abbandonò a un tremito convulso. I pensieri si aggrovigliavano impazziti attorno a immagini di morte e desolazione, e una in particolare spiccava sulle altre. Era un corpo bianco, avvolto in una lunga casacca candida. Un’ampia macchia rossa all’altezza del petto, e i capelli neri sparsi sulla fronte e sulle spalle. Sua madre nella fossa comune.
Dubhe era come lei. Una era la donna che non era riuscito a proteggere e l’altra quella che a tutti i costi voleva salvare. Era come se condividessero lo stesso destino, e lo stesso posto nel suo cuore. Urlò disperato.
Calmo, calmo! si impose, e cercò di ragionare.
Si strappò una parte della tunica, la intinse nell’acqua che aveva nella borraccia e iniziò a lavare le ferite a una a una. Erano troppe, e il sangue confondeva tutto. Non riusciva a capire che movimenti fare. E infatti esaurí la riserva d’acqua prima di averle lavate tutte.
Siamo perduti… non ce la faremo.
Cercava di scacciare quei pensieri ai margini della coscienza, ma non ci riusciva.
Strappò quel che restava della tunica e ne ricavò delle strisce. Non erano sufficienti, e per di piú erano corte. Per cui prese il mantello e lo fece a pezzi, un’operazione complessa per il suo stato fisico. Si mise a gridare per la rabbia e lo sforzo.
Lasciò perdere i tagli piú superficiali e si dedicò solo a quelli piú profondi, partendo dalla mano ferita. La strinse con tutta la forza che gli era rimasta, e il sangue gli invischiò le dita. Sentí un nuovo conato di vomito, però si trattenne. Gridò la formula di guarigione, ma capí che non ce l’avrebbe fatta. L’energia scorreva dalle sue mani in un flusso misero e interrotto. Troppo poco.
Ci sei già passato. È come nel deserto, avanti, concentrati!
Non era come quella volta, invece. Lui era sfinito e Dubhe stava anche peggio. Non c’era nessuno che potesse aiutarli. Erano soli e sperduti in un luogo che non conoscevano.
Strinse le bende il piú possibile, poi passò agli altri tagli. Su ciascuno tentava di usare la magia per qualche secondo, ma era troppo stanco per riuscire a guarirli. La vista pian piano si appannò, e le sue mani presero a tremare. Nella mente, l’immagine indelebile della fossa comune continuava a tormentarlo.
Stavolta sarà diverso! La Gilda non si prenderà anche lei!
Quando ebbe finito era spossato. Ora doveva prendere in braccio Dubhe e incamminarsi per trovare aiuto. Provò una volta, ma le gambe cedettero sotto il peso. Al terzo tentativo riuscí a issarsela sulle spalle, anche se l’equilibrio restava precario.
Non aveva idea di dove dirigersi, però la cosa piú logica era andare avanti. Pensò a Sennar, sperò che fosse vicino, ma in quella situazione tutto gli sembrò per un attimo assurdo. Solo allora si accorse di non avere meta.
Era stato sconfitto. Era stato sopraffatto dalla Gilda. Era stato inutile soffocare l’odio e rendersi più forti, unirsi alla resistenza e cercare di combattere. Il Dio Nero era piú potente e divorava tutti i suoi affetti.
Cadde su un ginocchio, avrebbe voluto mollare. Le lacrime gli impastavano la bocca e la vista, tutto intorno a lui era indistinto e confuso.
Ma in quel momento ebbe la sensazione di non essere solo. Sbarrò gli occhi: forme tondeggianti ai lati del camminamento erano uscite da dietro le rocce e si dirigevano verso di lui. Avevano assistito allo scontro, chiamate dall’urlo del Dio Drago, ma non avevano osato intervenire. Ora, di fronte all’uomo che piangeva, non avevano piú paura e venivano allo scoperto.
Lonerin era sfinito, aveva fatto soltanto pochi passi, ma non era in grado di rialzarsi. Si lasciò cadere a terra, e Dubhe gli si appoggiò alla schiena con un tonfo. Imprecò contro il cielo; poi, sollevando gli occhi, vide bene uno di quegli esseri. Era la creatura piú bizzarra che gli fosse mai capitato di incontrare, ma in quell’istante non stette a chiedersi chi fosse o cosa volesse. Pensò soltanto che non era solo, e che forse qualcuno li avrebbe aiutati.
Era un essere della grandezza di uno gnomo, ma piú snello e slanciato. Portava i capelli e la barba lunghi e decorati, ma con gingilli che non aveva mai visto nel Mondo Emerso. Da sotto la capigliatura folta e irsuta, di un colore scuro a metà tra il nero e il blu, comparivano due orecchie appuntite.
«Sta male!» urlò Lonerin. «Aiutateci!»
Lo gnomo aveva una lancia in mano e una lunga spada attaccata alla cintura. Non portava la casacca, ma solo pantaloni di pelle. Rimase immobile a guardarlo.
Lonerin indicò Dubhe. «Male! Aiutateci!»
Ne spuntarono altri, le lance stavolta puntate contro di lui. I loro volti però non erano ostili. Erano quattro o cinque, abbigliati nello stesso modo.
Lonerin provò ad alzarsi, ma riuscí soltanto a strisciare dolorosamente sulle ginocchia.
«Vi prego, aiutateci!» urlò, e quelli arretrarono di qualche passo.
Si guardarono confabulando e indicando ripetutamente tanto lui che Dubhe tra le sue braccia.
Uno di loro gli si avvicinò. «Araktar mel shirova?»
Lonerin rimase confuso. Quello strano borbottio gli fece venire in mente qualcosa, ma non riusciva a ricordare. Era troppo stravolto e stanco per mettersi a pensare. La sua voce si ridusse a un sussurro: «Aiuto…»
Lo gnomo lo guardò accorato, quindi fece cenno ai suoi. Due scomparvero di corsa, mentre gli altri lo aiutarono a deporre delicatamente Dubhe al suolo. Lonerin era confuso.
«Aiuto» mormorò quello che gli era andato vicino.
Lonerin tirò un respiro di sollievo. «Sí, sí, aiuto, aiuto…» disse, e rise istericamente. Era salvo!
Si gettò accanto a Dubhe, accarezzandole i capelli.
«Siamo salvi… Adesso ti cureranno, ne sono certo… Siamo salvi.»
Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, mentre le teneva stretta una mano. Si sentiva cosí infinitamente leggero, cosí dannatamente felice e sollevato e… prossimo a cedere. Non aveva piú energie, e gli occhi gli si chiudevano.
Lo gnomo lo stette a guardare mentre si chinava su Dubhe. La sua espressione era indecifrabile. Quando lo vide piú calmo, gli chiese: «Di là?» indicando col dito verso l’orizzonte della gola da cui erano partiti.
«Non capisco…» rispose Lonerin, ed era vero.
L’altro sembrò pensarci a lungo, come per cercare di riportare alla memoria qualcosa di importante. «Erakhtar Yuro… terre… di là fiume…»
Lonerin dovette concentrarsi un po’, ma infine capí. Annuí vigorosamente. «Sí, dal Mondo Emerso, sia io che la ragazza!»
Lo gnomo sorrise annuendo di rimando. «Ghar, ghar… Mondo Emerso… Erakhtar Yuro.»
Lonerin si ricordò di averla studiata quella lingua, come aveva fatto a non riconoscerla? Era elfico, o qualcosa di molto simile.
Lo strano individuo lo guardò sorridendo. «Poco parlo barbaro, poco.»
Lonerin non stette a chiedersi come fosse possibile quel miracolo. Non importava sapere chi fossero quegli esseri, da dove erano arrivati. Erano i loro salvatori, tanto bastava.
In quel mentre, i due mandati in avanscoperta tornarono con una nutrita scorta di compagni. Erano tutti vestiti piú o meno nella stessa maniera e con loro portavano un animale legato alla catena. Sembrava un cucciolo di drago, viste le proporzioni, ma non aveva ali. Dalla bocca partivano dei finimenti che passavano sulla schiena e trascinavano una barella. Vi deposero Dubhe, sebbene una parte della gambe uscisse fuori. Ovviamente era un mezzo di trasporto adeguato alle dimensioni di quegli gnomi, non degli esseri umani.
La creatura davanti a lui gli fece cenno di alzarsi.
Lonerin riuscí a malapena a mettersi in piedi. Le gambe lo reggevano a stento, eppure si affiancò a Dubhe, continuando a tenerle la mano. Non voleva lasciarla. Con fatica si mise a camminare dietro i suoi salvatori.
C’era il Maestro, con lei. Le teneva una mano, le accarezzava la fronte. Le mormorava parole di conforto.
“Sono contenta che tu sia tornato…” gli disse guardandolo in faccia.
O...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Le Guerre del Mondo Emerso - 2. Le due guerriere
  4. Prima parte
  5. Seconda parte
  6. Terza parte
  7. Epilogo
  8. Personaggi
  9. Copyright