Attenti al gorilla
eBook - ePub

Attenti al gorilla

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Attenti al gorilla

Informazioni su questo libro

Nel bel mezzo di una festa lussuosa e affollata, la figlia del padrone di casa fugge in moto con un amico e poco dopo viene ritrovata uccisa. L'investigatore privato assunto per occuparsi del servizio di sicurezza, un personaggio bizzarro, segnato da una curiosa particolarità, inizia un'indagine destinata a scoprire una serie di intrighi e bugie che mascherano molti scomodi segreti. Ambientata nella Milano contemporanea, questa storia ha rivelato un nuovo talento narrativo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804473282
eBook ISBN
9788852011177
Parte terza

Nel buio

Interludio

Gli allievi del corso avanzato di aikido salutarono il maestro e cominciarono a lasciare il dojo. Erano tutti stanchi e rilassati e lo stanzone odorava del sudore pulito dell’esercizio fisico. Il maestro gli si avvicinò e toccandolo sulla spalla gli chiese di trattenersi, facendolo accovacciare di fronte a lui.
«Sì sensei?»
«Volevo parlarti. Non ti dispiace, vero, passare qualche minuto del tuo tempo con un vecchio chiacchierone?»
Il ragazzo sorrise, asciugandosi il sudore che gli appannava gli occhiali. «Sono sempre felice di parlare con lei.»
Anche il giapponese sorrise. Da molti anni viveva in Italia, e aveva perso l’abitudine, molto orientale, di nascondere il più possibile i propri sentimenti. Al contrario, chi gli stava davanti, sembrava essere un esperto in quell’arte. Trovava difficile leggerlo, come faceva con gli altri allievi, quando una postura del corpo bastava per rivelargli le loro sensazioni più intime. «Sei davvero felice?»
«Certo!»
«Bene, allora anch’io sono felice. Avevo paura che tu non riuscissi mai a esserlo. Devi scusare i miei timori.»
Il ragazzo non aveva cambiato espressione, ma le sue spalle si erano sensibilmente irrigidite. «Non capisco. Il mio umore cambia, come quello di tutti gli altri. Sono felice e triste, secondo le giornate.»
Il vecchio annuì. «Come tutti gli altri» ripeté. «Desideri molto essere come gli altri, non è così?»
«Crede che io non lo sia?» Il vecchio preferì non rispondere. Non direttamente. «Arrivati a questo punto del corso, gli allievi cattivi rimangono indietro, quelli bravi imparano a rilassarsi, a lasciare che sia il proprio corpo a guidarli, non il cervello. Tu sei bravo, ma cerchi di tenere imprigionato il tuo corpo.» Congiunse le mani a coppa. «Impari con la mente, non con il cuore. Hai paura del tuo cuore?»
«Non ho paura di niente, sensei.» Il ragazzo aveva preso un tono guardingo, sulla difensiva.
«Oh che grande bugia è questa! Solo gli sciocchi non hanno paura, e tu non sei sciocco. Ma hai paura di ammettere la tua paura.»
«E di cosa avrei paura?»
«Di te stesso.» Capì di aver centrato nel segno perché il ragazzo, per un attimo, perse la sua maschera, facendo intravedere le emozioni che si agitavano al di sotto. «Quando siamo sul tatami, tu combatti contro te stesso, non contro l’avversario. Hai paura che la tua ombra si rivolti contro di te. Non guardarmi così, non sono un indovino. Ma pratico l’arte da molti anni, e mi ha insegnato a vedere nelle persone.» Gli indicò la testa. «Cos’hai, lì, che ti fa paura? Non vuoi dirlo al tuo vecchio insegnante? Ti prometto che non scapperò.» Il ragazzo si era fatto cupo. «Ci sono molte cose che non capisco di me, e quello che scopro non mi piace. Ho qualcosa di sbagliato, che non funziona. Pensavo che prima o poi mi sarei adattato, ma non è stato così, va sempre peggio.»
Il vecchio annuì di nuovo. «È perché prendi la via sbagliata. Tutti abbiamo qualcosa che non funziona e che non ci piace. Non si combatte quello che non si può cambiare. I saggi imparano a vivere con quello che non possono vincere, a trovare un equilibrio con esso. In aikido tutto è equilibrio, perché l’universo è equilibrio. Le energie del nostro corpo sono equilibrio, bene e male sono equilibrio. Se ti accetterai, anche quello che non ti piace troverà il suo posto.»
«Non so come fare, sensei. Ci ho provato.»
Il maestro sorrise di nuovo. «Non hai provato nel modo giusto.» Gli prese le mani e gliele fece posare sul ventre. «Ascoltati. Respira. Ascoltati.»
Il ragazzo chiuse gli occhi.

1

Il mio Socio aveva tenuto d’occhio Villa Gardoni per tutto il giorno e buona parte della sera, prima di farsi dare il cambio. Non si annoiava mai, beato lui. Dopo quattro ore io mi ero invece già abbondantemente rotto di fissare porte chiuse e tende tirate in attesa di un segno di vita che non arrivava. Non che lo desiderassi.
La villa, anche secondo le informazioni della Vecchiarda che avevo tenuto accuratamente all’oscuro della mia sortita, non veniva più utilizzata da quando Alice era morta. I Gardoni avevano accomiatato la servitù, chiuso il gas e messo l’immobile in mano a qualche agenzia, in cerca di un compratore che non avesse paura dei fantasmi. Nessuno si era fatto ancora avanti, e il luogo metteva tristezza, soprattutto di notte.
Gli unici esseri viventi che si aggiravano in zona, a parte la miriade di insetti di ogni forma e colore, erano la coppia di guardiani sui sessanta, marito e moglie, che abitavano nella casetta al limitare del parco recintato. Passavano la loro giornata a coltivarsi l’insalatina nell’orto e a controllare che nessuno usasse il parco per pomiciare, o farsi le pere, nascosto dalle fresche frasche. Per fortuna i due non possedevano cani e avevo potuto risparmiarmi la classica confezione di polpettine avvelenate, che noi incursori abbiamo come dotazione base.
All’una di notte mi feci l’ennesimo giro del perimetro, mandando giù l’ultimo panino alla lattuga moscia e mozzarella con l’aiuto di una latta di coca tiepida. Quel maledetto del mio Socio si rifiuta di comprare alcolici e stavolta era stato lui a preparare il cestino della merenda. Imboscai il sacchetto vuoto tra un mucchio di altri rifiuti, dentro a un fosso, e mi parcheggiai su un sasso al ciglio della strada, a riposare le stanche membra.
Quella sera era una delle poche in cui rimpiangevo di non essere più sotto contratto con un’agenzia. I lavori di sorveglianza erano pagati a ore e riuscivo a tirar su un bel po’ di quattrini con il trucco del cambio istantaneo, senza imbottirmi di anfetamine come quasi tutti i colleghi. Beccavo subito quelli che erano stati di punta notturna: tutti con i medesimi occhi a palla e la ciarla a mitragliatrice.
Recuperai lo zaino dal cespuglio dove l’avevo mimetizzato e mi diressi verso il lato del muro che dava sul viottolo sterrato, più adatto ai miei loschi scopi.
Il punto che avevo scelto per saltare dentro era vicino a un palo dell’alta tensione. Il muro perimetrale, che distava circa un metro, era ricoperto di filo spinato e di punte di ferro, ma ai miei guanti da guastatore avrebbero fatto il solletico. I guanti sono un prodotto dell’esercito americano, che avevamo recuperato per far bella figura al corso di surviving: cuoio duro e flessibile, con un bello strato di kevlar sul palmo e la parte inferiore delle dita.
Mi aggrappai al palo e mi tirai cautamente su, cercando di toccarlo solo con le mani e gli anfibi. Non fu una salita molto agevole, e dovetti tendere tutti i muscoli del corpo ancora doloranti per arrivare all’altezza che mi serviva.
A tre metri puntai un piede sulla sommità del muro, e guardai giù, preparandomi alla capriola.
Nonostante la luna piena, con gli occhiali a specchio non riuscivo a distinguere nulla del terreno, ma la sera della festosissima festa avevo girato in lungo e in largo la proprietà e sapevo cosa mi sarei trovato di sotto, sistema d’allarme compreso. Mi diedi una spinta, tonfando nell’erba umida con un colpo che mi mozzò il fiato. Rimasi accucciato, cercando di ascoltare i rumori intorno. Un filo di vento faceva frusciare leggermente i cespugli, e qualcosa poco distante produceva un ronzio elettrico, ma niente di più. Mi incamminai, fingendomi un’ombra tra le ombre.
Sapevo che nell’area erbosa l’unico strumento di sorveglianza erano delle fotocellule a luce invisibile nascoste tra gli alberi, tarate per non scattare su eventuali animaletti. Se non avevo perso l’orientamento, e le avevo contate tutte, le prime le avrei trovate piazzate tra la fila d’alberi che incrociava la mia strada. Il punto cieco era a un metro da terra, con uno spazio di circa cinquanta centimetri. Dopo un calcolo spannometrico, mi tolsi lo zaino e lo feci passare cautamente. Niente sirene. Prendendo un minimo di rincorsa mi tuffai a ruota, atterrando di pancia. Uff, cominciavo a essere un po’ troppo vecchio per giocare a Diabolik.
I lampioncini decorativi in prossimità della villa erano accesi e la luce illuminava la facciata destra, cui stavo puntando. Mi mossi tra gli alberi in un’area fuori portata dalle finestre dei guardiani, e mi toccò un altro balzo al pelo, prima di attraversare il prato all’inglese. Corsi piegato in due, sentendomi orribilmente visibile, ma nessun colpo di lupara mi fulminò.
Da quello che sapevo, l’allarme collegava tutte le finestre ed era dotato di sensori di movimento all’interno delle stanze principali. Unica via d’entrata rimaneva quindi il finestrone della cantina, rasoterra, concepito in origine per scaricare direttamente nella legnaia: sapevo che non era protetto perché vi avevano appena terminato dei lavori di ristrutturazione. Era a sbarre e riquadri di vetro, bloccato da un fermo di metallo che attraversava due anelli saldati al muro.
Cercando di incollarmi al terreno posai lo zaino, ne tirai fuori parte del mio armamentario da piccolo scassinatore: nastro adesivo, martello di gomma da campeggio e seghetto al diamante. Speravo bastasse: quel poco che sapevo di effrazione, oltre che dal mio eroico passato di occupante abusivo l’avevo imparato per corrispondenza dal mio Socio. Se ne intendeva più di me, come quasi di tutto, ma si era rifiutato di entrare al posto mio sperando che rinunciassi a quella che riteneva la cavolata del secolo. Mi dispiaceva aver coinvolto anche lui, ma nessuno aveva ancora inventato il sistema per separarci.
Cambiai i guanti con un paio di gomma, poi coprii un riquadro di finestra di nastro adesivo e diedi una martellatina esitante. Il rumore mi parve rimbombare per chilometri, ma non si produssero effetti visibili. Costrinsi un po’ di forze a rifluire nel mio timoroso braccio e tirai mar...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Attenti al gorilla
  4. Personaggi principali
  5. Parte prima. Clienti Serpenti
  6. Parte seconda. Sbattere il muso
  7. Parte terza. Nel buio
  8. Copyright