Il mastino dei Baskerville
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Il mastino dei Baskerville

Arthur Conan Doyle, Oreste Del Buono

  1. 210 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il mastino dei Baskerville

Arthur Conan Doyle, Oreste Del Buono

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Il mastino dei Baskerville è il romanzo più famoso fra quelli che vedono Sherlock Holmes e il dottor Watson come protagonisti. Un romanzo che, secondo le intenzioni dell'autore, non avrebbe mai dovuto vedere la luce. Perché nell'avventura precedente Sherlock Holmes era precipitato, insieme al suo acerrimo nemico Moriarty, in un crepaccio, inghiottito dalle tenebre.
Un finale che non lasciava via di scampo, e che non riuscì gradito ai lettori, ormai stregati dalla ferrea logica e dall'infallibile fiuto del detective. E così, costretto dalle insistenze del pubblico e dell'editore, Conan Doyle fece "resuscitare" il suo celebre personaggio, abbandonando il genere del romanzo storico cui avrebbe preferito dedicarsi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
ISBN
9788852013119

1

Mr Sherlock Holmes

Il signor Sherlock Holmes, che di solito si alzava molto tardi la mattina, tranne le volte tutt’altro che rare in cui restava sveglio l’intera notte, sedeva a tavola per la prima colazione. Io mi ero chinato sulla stuoia accanto al caminetto e avevo raccolto il bastone da passeggio dimenticato dal nostro ospite della sera precedente. Era un bellissimo esemplare di solido legno, dall’impugnatura a bulbo, del tipo conosciuto come “Penang lawyer”. Al di sotto del pomo c’era una striscia d’argento della larghezza di un pollice, su cui si poteva leggere inciso: “A James Mortimer, M.R.C.S., dai suoi amici del C.C.H.”. La data era “1884”. Era proprio il bastone da passeggio che portano abitualmente i medici di famiglia all’antica: dignitoso, massiccio, ispirava fiducia.
«Be’, Watson, cosa ne pensate?»
Sherlock Holmes mi girava le spalle, non riuscivo a capire come avesse potuto accorgersi dei miei movimenti.
«Come diamine avete fatto a indovinare cosa stavo facendo? Scommetto che avete due occhi anche sulla nuca.»
«Ho qui davanti a me una bella caffettiera d’argento lucida lucida» replicò. «Ma ditemi, Watson, cosa ne pensate della mazza da passeggio del nostro visitatore? Dal momento che siamo stati così sfortunati da non incontrarlo e non abbiamo, quindi, la minima idea del motivo della sua visita, questo involontario souvenir viene ad assumere una certa importanza. Vediamo se riuscite a ricostruirmi l’uomo dal bastone.»
«Penso» dissi sforzandomi di seguire per quanto mi era possibile i metodi del mio convivente «che il dottor Mortimer dovrebbe essere un medico in età avanzata, con una buona clientela, e molto stimato dal momento che coloro che lo conoscono gli hanno fatto omaggio di questa testimonianza di ammirazione.»
«Bene!» esclamò Sherlock Holmes. «Bravo!»
«E penso anche che con ogni probabilità deve trattarsi di un medico di campagna, abituato a compiere a piedi il giro di visite.»
«Da che lo arguite?»
«Dalla constatazione che questo bastone, all’inizio senz’altro più che bello, appare ormai talmente usato e strausato che stento a immaginarlo in mano a un professionista di città. Il grosso puntale di ferro è tutto consumato. È quindi evidente che con questo bastone il nostro uomo deve aver fatto un gran camminare.»
«Giustissimo!» approvò Sherlock Holmes.
«E poi c’è questo “dai suoi amici del C.C.H.”. A mio modesto parere è in ballo un qualche circolo di caccia. Qualche società venatoria locale i cui soci si saranno forse avvalsi delle sue prestazioni mediche e avranno pensato di disobbligarsi così.»
«Francamente, Watson, vi state superando» disse Sherlock Holmes scostando la sedia e accendendosi una sigaretta. «Devo riconoscere che in tutte le storie, che avete avuto la bontà di scrivere sulle mie trascurabili imprese, avete sempre sottovalutato le vostre capacità personali. Può darsi che non siate quel che si dice una fonte di luce, ma siete indubbiamente un buon conduttore di luce. Alcuni individui, pur senza possedere il genio, hanno tuttavia il meraviglioso potere di stimolarlo negli altri. Confesso, mio caro amico, di dovervi molto.»
Sherlock Holmes non mi aveva mai lodato tanto e devo ammettere che al momento le sue parole mi fecero un gran piacere, poiché spesso ero rimasto ferito dall’indifferenza con cui aveva accolto i miei tributi di ammirazione e i miei ripetuti tentativi di far conoscere al pubblico i suoi straordinari metodi d’indagine. Ero inoltre orgoglioso di avere assimilato quei suoi metodi al punto di meritarmi la sua approvazione. Mi tolse il bastone di mano e lo esaminò un poco a occhio nudo, un’espressione d’interesse gli conquistò la faccia, posò la sigaretta e si trasferì vicino alla finestra con il bastone che tornò a esaminare questa volta con la lente.
«Interessante, anche se elementare» disse dirigendosi verso il suo angolo preferito del divano. «Ci sono un paio di tracce su questa mazza che possono fornire la base per un certo numero di deduzioni.»
«Mi sono lasciato sfuggire qualcosa?» domandai piuttosto infastidito. «Eppure non credo di aver trascurato nulla d’importante.»
«Temo proprio, mio caro Watson, che la maggior parte delle vostre conclusioni siano erronee. Quando ho affermato che voi avete un effetto stimolante su di me, intendevo dire per la verità che, proprio nel constatare i vostri errori, sono stato a volte sospinto sulla strada giusta. Non che voi siate del tutto fuori strada in questo caso particolare. È indubbio che si tratta di un medico di campagna.»
«Dunque, avevo ragione.»
«Sino a questo punto sì.»
«Ma è tutto.»
«No, no, mio caro Watson, non offendetevi, vi prego. Direi, per esempio, che è più probabile che un regalo a un medico venga da un ospedale piuttosto che da un circolo di caccia, e questa H. starebbe quindi per ospedale. Pertanto è naturale che le iniziali C.C.H. significhino Charing Cross Hospital.»
«Può darsi.»
«Le probabilità vanno in questo senso. Se lo prendiamo come un punto di partenza avremo una nuova base su cui ricostruire la personalità del nostro ignoto visitatore.»
«D’accordo, supponiamo pure che le iniziali C.C.H. significhino Charing Cross Hospital. Cos’altro possiamo tirarne fuori?»
«Non lo vedete da voi? Conoscete i miei metodi. Fate il favore di applicarli.»
«Vedo un’unica deduzione possibile: che prima di trasferirsi in campagna il nostro uomo abbia esercitato la professione di medico in città.»
«A parer mio, potremmo arrischiarci anche un poco oltre. Esaminate la cosa sotto quest’aspetto: in quale occasione è più probabile che gli abbiano fatto un regalo del genere? Quando si saranno riuniti i suoi amici per donargli un pegno tangibile della loro considerazione? Naturalmente quando il dottor Mortimer ha deciso di ritirarsi dal servizio ospitaliero per darsi alla libera professione. Sappiamo di sicuro che un regalo c’è stato e supponiamo che ci sia stato anche un trasferimento dalla città alla campagna. Vi pare arrischiato affermare che la cerimonia si è verificata in occasione di tale trasferimento?»
«Mi pare probabilissimo.»
«Converrete che il nostro uomo non poteva essere un primario perché una simile posizione in ospedale è in grado di tenerla solo un medico di successo, con una solida e vasta clientela. Un tale uomo non si rassegnerebbe facilmente a ritirarsi in campagna. Che cosa era, dunque, il nostro uomo? Se lavorava nell’ospedale senza essere il primario, e non partecipando alla direzione, non poteva che essere un assistente in chirurgia o medicina interna... poco più di uno studente anziano. E se ne è andato cinque anni fa, c’è la data sul bastone. Quindi, mio caro Watson, il serio medico di famiglia di età avanzata scompare nel nulla ed emerge, invece, un giovanotto al di sotto della trentina, simpatico, privo di ambizioni, distratto e possessore di un cane prediletto che immaginerei suppergiù un poco più grande di un bassotto e un poco più piccolo di un mastino.»
Scoppiai a ridere, incredulo, mentre Sherlock Holmes si lasciava andare all’indietro sul divano, lanciando verso il soffitto tremuli anelli di fumo.
«Per quanto riguarda le ultime vostre affermazioni, non ho dati sufficienti per controllarne l’attendibilità,» dissi «invece, non mi è difficile accertare qualcosa a proposito dell’età del nostro uomo e della sua carriera.»
Sfilai dal mio scaffaletto l’Annuario medico e ne sfogliai le pagine sino alla lettera M. C’erano molti Mortimer, ma uno solo poteva essere il nostro visitatore. Lessi ad alta voce la nota che lo riguardava.
«“Mortimer James, M.R.C.S., 1882, Grimpen Dartmoor, Devon, Medico all’Ospedale di Charing Cross dal 1882 al 1884. Vincitore del premio Jackson per la patologia comparata con il saggio La malattia è una sopravvivenza?. Socio corrispondente della Società di patologia svedese. Autore di Capricci dell’atavismo (Lancet, 1882), C’è progresso in noi? (‘Journal of Psychology’, marzo 1883). Ispettore medico dei circondari di Grimpen, Thorsley, High Barrow...”»
«Nessun accenno a un circolo di caccia locale, mio caro Watson,» mi fece Sherlock Holmes con un sorrisetto malizioso «ma si tratta pur sempre di un medico di campagna, e, quindi, qualcosa avete indovinato. Quanto alle mie conclusioni, le ritengo giustificate. Se ricordo bene, ho definito il nostro uomo: simpatico, privo di ambizioni, distratto. Ebbene, so per esperienza che a questo mondo solo un tipo simpatico riceve attestati di amicizia, solo un tipo privo di ambizioni abbandona una professione a Londra per ritirarsi in campagna, e infine solo un tipo distratto lascia il proprio bastone anziché il proprio biglietto di visita dopo avere aspettato per un’ora.»
«E il cane?»
«Ha l’abitudine di riportare il bastone al padrone. Poiché si tratta di un bastone di un certo peso, il cane lo deve addentare ben stretto in mezzo, e in questo punto, infatti, i segni dei suoi denti sono visibilissimi. La mascella del cane, com’è dimostrato dallo spazio intercorrente tra questi segni, è, secondo me, troppo larga per appartenere a un bassotto, mentre non è abbastanza larga per appartenere a un mastino. Potrebbe trattarsi... ma sì, per Giove, si tratta proprio di uno spaniel dal pelo ricciuto.»
Sherlock Holmes, parlando, si era alzato e aveva preso ad andare in su e giù per la stanza, ma ora si era fermato nel vano della finestra, e aveva pronunciato le ultime parole con un tono di tale convinzione che lo guardai con stupore:
«Ma, mio caro amico, come potete affermare una simile ipotesi con tanta sicurezza?»
«Per la semplicissima ragione» replicò «che vedo il cane in carne e ossa proprio sulla soglia di casa nostra, ed ecco che il suo padrone suona il campanello. Non muovetevi, Watson, vi prego. Dopotutto, è un vostro collega, e la vostra presenza potrebbe essermi di grande aiuto. Questo è il momento drammatico, carico di fato, Watson, in cui udiamo sulle scale un passo che sta per entrare nella nostra vita, e non sappiamo ancora se ci porterà gioia o sciagura. Cosa vuole questo dot-tor James Mortimer, uomo di scienza, da Sherlock Holmes, lo specialista del delitto? Accomodatevi, avanti, avanti!»
Il nostro visitatore costituì un’autentica sorpresa per me poiché mi aspettavo comunque un tipico medico di campagna. Era, invece, un uomo alto, magro, con un lungo naso a becco proiettato tra gli occhi grigi, vividi e molto vicini protetti da un paio di occhiali cerchiati d’oro. Era vestito in modo professionale, ma piuttosto trasandato: la sua giacca a coda di rondine era unta e bisunta e l’orlo dei pantaloni era sfrangiato. Sebbene fosse ancora giovane, era curvo e camminava con la testa buttata avanti con espressione curiosa e bonaria. Nell’entrare lo sguardo gli cadde sul bastone che Sherlock Holmes teneva in mano e si affrettò a recuperarlo con un’esclamazione di gioia.
«Oh, come sono contento» disse. «Non ricordavo più se lo avessi lasciato qui o all’Agenzia di navigazione. Non vorrei perder questo bastone per tutto l’oro del mondo.»
«Un regalo, a quanto pare» disse Sherlock Holmes.
«Precisamente.»
«Da parte del Charing Cross Hospital?»
«Me l’hanno regalato degli amici che ho lì in occasione del mio matrimonio.»
«Ahi, ahi, le cose si mettono male» disse Sherlock Holmes, scuotendo il capo.
Il dottor Mortimer sbatté le palpebre dietro le lenti con mite stupore.
«Perché dite che le cose si mettono male?»
«Oh, nulla. C’è solo che voi avete buttato all’aria le nostre modeste deduzioni. Ma mi stavate parlando del vostro matrimonio, se non sbaglio...»
«Sissignore. Mi sono sposato, e così ho lasciato l’ospedale e con esso la speranza di formarmi una clientela. Ma era necessario metter su casa.»
«Be’, proprio tutto non lo avevamo sbagliato» osservò Sherlock Holmes. «E ora, egregio dottor Mortimer...»
«Signor Mortimer, signor Mortimer... un umilissimo M.R.C.S.»
«Un uomo, però, dalla mente molto precisa.»
«Oh, un semplice dilettante della scienza, signor Holmes. Un raccoglitore di conchiglie lungo le rive del grande oceano dell’ignoto. Credo di rivolgermi proprio al signor Holmes e non...»
«No, questo è il mio amico dottor Watson.»
«Lietissimo di conoscervi. Ho sentito parlare anche di voi. Ma voi mi interessate enormemente, signor Holmes. Non mi sarei davvero aspettato un cranio così dolicocefalo e neppure un orbitale superiore così sviluppato. Mi consentite di far scorrere il mio dito lungo la sutura parietale? Un’impronta del vostro cranio, egregio signore, sino a quando non sarà disponibile l’originale, potrebbe costituire il vanto di qualsiasi museo antropologico. Lungi da me ogni intento adulatorio, ma ve lo confesso: quanto vi invidio il vostro cranio!»
Con un cortese cenno della mano Sherlock Holmes invitò a sedere il nostro eccentrico visitatore.
«Mi accorgo che siete entusiasta della vostra materia come io lo sono della mia» disse. «Noto dal vostro indice che vi fate le sigarette da voi. Accendetevene pure una.»
Il signor Mortimer cavò di tasca cartine e tabacco e si arrotolò con sorprendente destrezza una sigaretta. Aveva dita lunghe, nervose, agili e inquiete come le antenne di un insetto.
Sherlock Holmes taceva, ma nel suo sguardo acuto e penetrante leggevo l’interesse risvegliato in lui da quello strano tipo.
«Immagino» disse alla fine «che non sia stato solo il desiderio di esaminare il mio cranio a spingervi a onorarmi della vostra visita ieri sera e di nuovo oggi. Non è così?»
«No, no, sebbene sia felice che mi sia stata offerta una simile occasione. Sono venuto da voi, signor Holmes, perché riconosco di essere totalmente sprovvisto di qualsiasi senso pratico e mi trovo, invece, di punto in bianco a dover fronteggiare un problema gravissimo e assolutamente insolito. Ora, dato che vi so il secondo grande esperto in materia d’Europa...»
«Davvero? E posso chiedervi chi è il primo?» proruppe Sherlock Holmes, piccato.
«Per chiunque sia dotato di un cervello matematicamente scientifico, l’opera di Monsieur Bertillon non ha rivali.»
«E perché non consultate Monsieur Bertillon, allora?»
«Io ho parlato di cervelli matematicamente scientifici, ma è risaputo che come uomo pratico voi siete insuperabile. Spero, signor mio, di non avervi involontariamente...»
«Be’, lasciamo perdere» tagliò corto Sherlock Holmes. «Io penso, dottor Mortimer, che fareste bene a espormi senza ulteriori indugi l’esatta natura del problema per cui chiedete la mia assistenza.»

2

La maledizione dei Baskerville

«Ho in tasca un manoscritto» attaccò il dottor James Mortimer.
«Me ne sono accorto appena avete messo piede in questa stanza» disse Sherlock Holmes.
«È un manoscritto antico.»
«Deve risalire ai primi del XVIII secolo, ammesso che non sia un falso» replicò Sherlock Holmes.
«Come potete affermare una cosa simile?»
«Durante tutto il tempo in cui avete parlato con me, ho potuto notare un paio di centimetri del vostro manoscritto. Ora sarebbe un perito da due soldi chi non riuscisse a precisare la data di un documento al massimo nell’arco di un decennio. Forse ignorate la modesta monografia che ho compilato in proposito. Il vostro manoscritto dovrebbe risalire al 1730 o giù di lì.»
«La data esatta è il 1742» e, dicendo questo, il dottor Mortimer estrasse di tasca l’argomento del discorso.
«Questo documento di famiglia è stato affidato nelle mie mani da Sir Charles Baskerville, la cui morte così tragica e improvvisa circa tre mesi fa ha provocato una profondissima emozione nel Devonshire. Dirò che oltre a essere il suo medico di famiglia ero anche un suo amico intimo. Sir Charles era un uomo di grande volontà, di grande astuzia, di grande praticità, totalmente sprovvisto d’immaginazione, esattamente com’è il caso mio. Eppure aveva preso molto sul serio questo documento e si era preparato nell’animo alla fine che poi lo ha effettivamente colto.»
Sherlock Holmes tese una mano, s’impadronì del manoscritto e se lo spianò tutto sulle ginocchia.
«Osservate, prego, Watson, l’uso alternato delle S ,lunghe e delle s brevi: è uno dei vari indizi che mi hanno permesso di azzardare una data.»
Sporgendomi sopra la sua spalla esaminai la carta giallastra e quello scritto sbiadito.
L’intestazione in cima al foglio recitava “Maniero dei Baskerville”. La data in cifre arabescate era “1742”.
«Parrebbe una relazione, o qualcosa del genere.»
«Infatti, è la trascrizione di un’antica leggenda che si tramanda dalla notte dei tempi nella famiglia Baskerville.»
«Ma se non ho sbagliato a capire, voi intendete consultarmi su qualcosa di più vicino a noi e di più pratico.»
«Molto più vicino a noi. Molto più pratico, direi addirittura pressante poiché la decisione va presa entro ventiquattro ore. Ma il manoscritto è breve, e strettamente connesso con l’affare che ci concerne. Se me lo consentite, ve ne darò lettura io stesso.»
Sherlock Holmes si allungò sullo schienale, congiunse la punta delle dita e chiuse gli occhi, con aria di rassegnazione. Il dottor Mortimer girò il manoscritto verso la luce, e attaccò a leggere con voce acuta, stridente, la strana, antiquata narrazione:
«Sulle origini del mastino dei Baskerville sono state tramandate molte leggende, ma, poiché discendo direttamente da Hugo Baskerville, e questa storia mi è stata raccontata da mio padre il quale, a sua volta, l’aveva appresa da suo padre, la trascrivo qui con la certezza che tutto è avvenuto come qui descritto. E vorrei, figlioli miei, che fosse viva in voi la fede in quella Giustizia che punisce i peccati, ma può anche perdonarli, e non esiste maledizione così grande che non possa venir rimossa dalla preghiera e dal pentimento. Apprendete, dunque, dal racconto che vi faccio a non temere i frutti del passato, ma piuttosto a esser circospetti per il futuro, affinché quelle folli passioni che tanta sofferenza hanno causato alla nostra famiglia non trovino più sfogo nelle nostre azioni.
«Sappiate, dunque, che all’epoca della Grande Ribellione (e vi raccomando vivamente di farvi dir tutto in proposito dall’esp...

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