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1
Le storie più belle sono notti d’amore.
Sorgono al tramonto e si spengono all’alba, bruciando sotto le stelle. La vita ti scorre davanti veloce, e di colpo rivedi tutto. I primi passi, i sogni dell’adolescenza, le sfide lanciate e perdute, le vittorie, il disincanto del tempo che passa. La guerra persa contro le verdure bollite.
Torni a illuderti che la felicità esista. È sdraiata accanto a te, respira lieve, il cuore le batte forte. L’abbracci, nudo, come se la conoscessi da sempre. Ogni dettaglio, ogni parola detta, ti pare di averla sentita, o di averla già pronunciata – sognata – mille altre volte. Anche se di lei non sapevi nulla fino a poche ore prima.
– Non mi hai ancora detto come ti chiami.
– Il nome. Vuoi sapere il mio nome.
– Mi piacerebbe.
– Come vorresti che mi chiamassi?
– Non lo so.
– Se vuoi che resti, devi dirmelo.
La fissò per qualche secondo, cercando di immaginare un suono, prima che una parola, una successione di note da attribuire a un volto. Non gli venne in mente nulla. Si guardò intorno in cerca di appigli e vide solo l’avviso che chiedeva di lasciare la stanza entro le ore dieci.
– Stella. Ti chiamerai Stella.
– Bene. Sarò Stella solo per te, Roger.
Si baciarono a lungo. Era una notte strappata dal vento, che fagocitava le emozioni scaraventandole contro i loro corpi. Roger era ebbro di passione. Stella sembrava fuori di sé, posseduta da un desiderio irrefrenabile di donarsi totalmente, quasi fosse l’ultimo giorno possibile. E per lei, a modo suo, lo era. Fecero sesso a più riprese, cambiando registro ogni volta, come se dovessero cominciare un nuovo discorso. I corpi si conoscevano attraverso naso e mani, attraendosi sempre più. Il loro incastro perfetto presagiva il destino di grandi unioni: Paolo e Francesca, Stanlio e Ollio, pomodoro e mozzarella, Clark Gable e Vivien Leigh, destra e sinistra, Dolce e Gabbana, Scilla e Cariddi, Mork e Mindy. Durante le pause, si regalarono carezze di chi ha grande confidenza, o è costretto a prenderla.
– Come hai fatto a scoprire che mi chiamo Roger?
– L’ho visto alla reception, mentre consegnavi il documento. Roger Milone, per essere precisi.
– Sei una donna intelligente.
– Sono una donna. Punto.
Una donna dalla pelle diafana e dallo sguardo smarrito, con due occhi che sembravano appartenere a un disegno animato. E poi mani affusolate, dita lunghe e nude, capaci di far vibrare l’aria con i loro soli movimenti.
– È la mia notte più bella dai Mondiali di Spagna.
– Anche per me è una notte importante, Roger. Domani mi sposo.
Stella gli prese le braccia e le strinse al petto. Confessò la verità senza bisogno di aggiungere molto. Roger annusava il suo odore speziato e scuoteva la testa. No, non poteva andare così, la sfiga non poteva avercela di nuovo con lui. Forse era colpa della congiuntura astrale. A volte basta un pianeta nel posto sbagliato per mandare a monte un destino. Stettero a sorridersi in silenzio, bagnando i loro baci con lacrime salate, nate per la delusione di essersi incontrati – e scoperti – troppo tardi. Ma il desiderio non si dà mai per vinto, guai, e riprese a pulsare tra le lenzuola sotto le forme più ardite, prima di crollare spossato.
Era l’alba. La notte stava per tramontare, e quell’assurda camera con lei. Non c’era più la Via Lattea, nel cielo, ma una ventola al soffitto. Stella si alzò dal letto, Roger provò a trattenerla in un ultimo, temerario tentativo.
– Tra un’ora devo farmi trovare a casa. Arriva il parrucchiere.
– Non andare.
– Non so chi sei, e non ho più il tempo di conoscerti. E tu non saprai mai chi sono.
– Tu sei Stella.
– Una stella che ha brillato una notte soltanto. Da domani tornerò al mio posto, nel buio dell’anonimato, e non mi vedrai più. Avrò un marito, dei figli, il mio lavoro. Ma sono contenta di cosa mi aspetta. Questo era il mio regalo di nozze, solo che non potevo dirtelo.
Roger sbiadì.
Stella si alzò dal letto, raccolse il vestito nero gettato a terra e se lo fece scivolare addosso. Ebbe qualche difficoltà a chiudere la cerniera, ma non volle essere aiutata. Legò i lunghi capelli con una fascia e cominciò a racimolare gli effetti personali che nell’irruenza dei preliminari aveva disseminato nella stanza. Lui la guardava impotente, ancora sdraiato, cercando di mantenersi impassibile. Aveva un fisico tonico, un torace importante e due gambe ben disegnate. Argomenti che improvvisamente non erano più capaci di trattenerla. Non ci sarebbe stato un secondo appuntamento, un corteggiamento postumo, regali da fare, promesse da mantenere, segreti da svelare nei momenti di rabbia. Non ci sarebbe stato l’incubo di San Valentino, e neppure una suocera da detestare. Un raggio di sole tagliava la stanza in due, come una lama di coltello. Si abbracciarono a lungo, ormai vestiti, per rubare ancora istanti all’incanto. Attimi senza musica, né rumori. Solo baci bagnati e profumo d’oriente. Stella fuggì dalla stanza, e Roger rimase aggrappato alla porta chiusa.
Ci sono storie che cominciano con un addio. Questa, forse, era una di quelle.
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2
– E che ne sarà di David?
– Lo porterò con me, Fletcher.
– Smettila di chiamarmi Fletcher. Sono tua madre.
“Dio esiste, e ce l’ha con me.” Questo pensava Maria Milone, in un momento di debolezza, mentre vedeva l’unico figlio maschio fare gli scatoloni del suo primo trasloco. Roger aveva aspettato trentadue anni prima di compiere questo passo, una decina in più dei suoi coetanei di Parigi e Stoccolma. Per farlo, era stata necessaria una notte dannata e indimenticabile. Aveva preso la decisione quella mattina, tornando a casa stravolto.
Sentiva il bisogno di un nuovo spazio, di rimettersi in gioco, di rischiare. Doveva trovare Stella. E non appena l’avesse trovata, l’avrebbe portata a casa e riempita di baci e croissant. Tutta la sua vita era stata costellata da momenti di noia e decisioni repentine, quasi fosse una sinusoide. Ora una fata metropolitana aveva fatto capolino nella sua esistenza, e lui si sentiva improvvisamente al capolinea.
Comprò tutti i quotidiani della città, per vedere se c’erano annunci di matrimonio, confondendoli con i necrologi. Non ne trovò nemmeno uno, magari mi ha mentito, e comunque quello non era nemmeno il suo nome. Pensò addirittura di fare un giro per chiese, ma poi desistette. Non avrebbe retto a vederla con l’abito bianco, mano nella mano, mentre la riempivano di complimenti e commozione, viva gli sposi. Lui stesso faticava a capire quel groviglio di emozioni. In fondo, era stato solo sesso. Gran sesso. Ma non gli era mai capitata una situazione così fiabesca, con una ragazza troppo diversa da lui per origini, stile, linguaggio. Eppure si erano trovati, in un incastro perfetto. Forse si era innamorato di un mostro, forse non si era innamorato affatto, ma non importava. Doveva rivederla, e doveva cercare di fare qualcosa. Correndo via, Stella aveva lasciato una sola, labile traccia: uno scontrino. Non una lettera, un biglietto da visita, un codice segreto, un banalissimo numero di telefono. Ma il suo ultimo passaggio in profumeria. Stampato alle 18 e 43, il giorno prima delle nozze.
Roger si tolse la maglietta e, come ogni giorno, fece una quarantina di flessioni sul pavimento. Diceva che la palestra non è necessaria, se sai fare bene gli esercizi in casa. Poi chiamò Nico, la sua spalla di sempre, e gli chiese se poteva trasferirsi temporaneamente da lui, senza fare cenno alla sua notte insonne. Gli disse subito sì. Da quando Roger era rimasto orfano di padre, quindici anni prima, Nico aveva preso il suo posto senza cercare di sostituirlo: punto di riferimento, consigliere, modello, boa, compagno di avventure. Tre anni di differenza che Roger cercava continuamente di colmare, senza sapere mai come. Li rivedeva, quei tempi passati, nelle foto che metteva velocemente negli scatoloni, senza ordine né logica. La signora Maria lo guardava perplessa, ancora esterrefatta che l’evento annunciato potesse avverarsi sul serio. Aveva addirittura dimenticato i broccoli a bollire, per osservare suo figlio assemblare oggetti e vestiti.
– Ti aiuto io, va’. Che altrimenti non ritrovi più niente.
– Mamma, non rompere.
– Da quando mi chiami “mamma”? Sei arrabbiato, di’ la verità. Mentre dovrei esserlo io, che non mi hai avvisato prima.
La mamma, è inutile, lo sa sempre. Bisogna arrendersi. Devono averle installato un microchip appena sei nato, che le segnala ogni tuo sbalzo d’umore, evento traumatico o tracollo sentimentale. È il microchip che fa la spia. E se lei non dice nulla, è solo perché ha capito che non è il momento. A Roger vennero occhi iniettati di rabbia, ma riuscì a fermarli. Staccò il grande poster di David Letterman – David – e lo piegò con cura.
– Sei proprio sicuro di volerlo portare con te? Guarda che segno rimane sulla tappezzeria...
– Non ti preoccupare, Fletcher. Rosita lo rimpiazzerà in un attimo. E poi madrina si offenderebbe se lo lasciassi qui. Ogni volta mi dice che quel poster ha attraversato l’oceano per me.
David Letterman, l’uomo più potente della TV americana, quello che intervista i presidenti e Julia Roberts con la stessa disinvoltura, campeggiava da almeno cinque anni sul letto di Roger. Glielo aveva portato sua zia – la madrina di battesimo, che in famiglia chiamavano semplicemente “madrina” – da un viaggio organizzato a New York. Roger era stato appena assunto a Tele Nueva, e la zia aveva visto in quel poster un segno di buon auspicio. Pur non sapendo niente di questo Letterman – ma neanche la zia ne sapeva niente, gliene aveva parlato la guida durante una visita da Macy’s – Roger aveva deciso di appendere il poster sopra il letto. Alla fine, tutti si erano affezionati alla faccia con gli occhiali di David, che era diventato elemento d’arredo della famiglia Milone. L’unica a non sopportarlo era sua sorella Rosita.
– Hai tolto la foto del nonno? Ma allora è vero che te ne vai...
– Cos’è questo tono sfacciato? Saluta tuo fratello.
– Oh, che palle, Fletcher...
– Smettila, e dimmi chi te l’avrebbe raccontata, questa cosa.
– Quella del piano di sotto, che vi ha sentito. Dice che Roger ha bisogno dei suoi spazi e che la sua vita deve andare avanti da sé, anche se non si sposa.
– Tu non devi dare retta alle cattiverie di quella scostumata, capito? Piuttosto, dimmi com’è andata a scuola.
Rosita si tuffò sul letto e si mise a canticchiare Cry Me a River di Justin Timberlake.
– Allora?
– Quella di mate mi ha dato dal cinque al sei. L’equazione era difficile, e non ci sono stata dentro.
– Potevi chiedere a Roger, che te le spiegava lui.
– Non poteva spiegarmele, lui, perché ha fatto ragioneria.
– Embè? Un fratello è sempre un fratello.
Quando iniziavano a rimbeccarsi, in media ogni mezz’ora, Roger non le tollerava.
– Ma la volete finire voi due?
– Bravo, diglielo tu che a te ti ascolta. Io vado a vedermi i Simpson. Ah, dimenticavo. La madre di Calì ha comprato le tue cavolo di pentole e dice che il riso si attacca. Grazie per la figura di merda...
La signora Maria dovette intervenire.
– BASTA, ROSITA! Scaldati la pasta e guarda i Flintstones, e smettila!
– Sono i Simpson, Marge.
La pasta, l’assaggio di primi, per me ancora un po’, grazie. Ogni cosa detta portava Roger lontano da lì. A quest’ora forse gli sposi si erano appena seduti a tavola. Stella si sarebbe attardata per fare il filmino nei giardini, è questa la prassi, no? E poi le foto coi testimoni, coi parenti di lei, coi parenti di lui, con gli amici di lei, con i cugini di lui, di nuovo la rabbia. La signora Maria disattivò il microchip e fece finta di non capire. Era una mamma generalmente invasiva, ma sapeva stare al suo posto, se necessario. Solo la faccia tonda divenne più buia del solito, senza tuttavia scalfire la dolcezza del suo tono di voce.
– Sarà dura, lo so, ma è solo così che si cresce, Roger. Ormai sei un uomo, e il Signore ti aiuterà. E non dar retta a quello che dice tua sorella. Lei ci tiene a te, un sacco. È che adesso deve fare la ribelle, per via della sua età. Tu però devi promettermi una cosa.
– Dimmi.
– Che ti comporterai sempre in modo onesto, come ha fatto tuo padre. È per questo che lui vive ancora in mezzo a noi.
Era davvero troppo. Roger abbracciò sua madre con quel poco di cuore che gli rimaneva, lasciò gli scatoloni in mezzo alla camera e uscì.
Salì sulla sua Golf usata, scontrino alla mano, e corse a casa di Nico.
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3
Nico si vergognava come un ladro.
Il suo amico era impazzito in una notte, e lo aveva trascinato in un sabato pomeriggio di racconti dettagliati, deliri visionari e ardite supposizioni. Per la parola “Stella” c’era l’offerta tre per due. Roger la menzionava appena possibile, ripetendo frasi ed eventi come un vecchio arteriosclerotico. Era stupidamente fiero che merito di quel nome fosse la grande – e unica – stella usata per indicare la categoria del motel. Ma lo faceva solo per dissimulare uno stato affettivo incerto.
A Nico veniva da ridere, ma si sforzò di mantenere inalterata la facciata da fratello maggiore. Lo conosceva bene, e sapeva che quando gli prendeva il trip bisognava lasciarlo fare.
– Io però non ce la faccio a entrare in una profumeria che si chiama The English Roses. E poi per cosa? Per chiedere se conoscono una tipa che ha comprato un “profumalenzuola”? Roger, ti rendi conto?
– Io mi rendo perfettamente conto. Ma anche tu devi renderti conto che il sognatore ha sempre ragione.
– Minchia, è arrivato il filosofo...
Roger parcheggiò in doppia fila, lasciò le chiavi della macchina a Nico e si avviò a piedi nelle viuzze in cui cominciava la zona a traffico limitato. Non ci andava spesso, lì. Negozi troppo cari e ragazze troppo fidanzate. A volte ci faceva un salto la domenica con gli amici per mangiarsi un gelato, o una piadina, ma niente più. The English Roses era un negozio-gioiello all’angolo, con piccole finestre al posto delle vetrine, luci basse. Roger attese l’uscita di due ragazze prima di entrare. Provò la stessa sensazione di quando varcava le porte di un sexy shop. Un’elegante signora magra ed educata – una madamina, direbbero a Torino – scrutò il mai visto cliente con un certo sussiego. Malgrado una camicia a righe che ne sottolineava i pettorali, le scarpe beige non perfettamente linde tradivano la sua matrice popolare. Ma la madamina, che in realtà era una madame di origine inglese, si era imposta di essere gentile con tutti allo stesso modo.
– Mi dica.
– Buonasera, signora. Complimenti per il negozio. C’è un ottimo profumo...
– Grazie. Sa, è una profumeria. Cercava qualcosa di personalizzato?
– Veramente sto cercando una persona.
La signora reagì con un certo distacco, la mano pronta a far suonare l’allarme da un momento all’altro. Ma Roger fu efficace e accorato, consapevole che quello era l’unico appiglio per ritrovare una donna di cui non sapeva neppure il nome. Aveva un certo ascendente sulle signore oltre i cinquanta, forse per quell’aria da bravo ragazzo che in casa sa aggiustare tutto, anche il fon. Dopo un po’ di titubanze, dovute al pregiudizio più che a un’etica professionale, la signora accettò di vedere lo scontrino. The English Roses era una profumeria artigianale, nel senso che i prodotti venduti erano creati personalmente dalla madami...