Un posto nel mondo
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Un posto nel mondo

  1. 252 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Un posto nel mondo

Informazioni su questo libro

Michele ha un amico, Federico. Uno di quegli amici con i quali si divide tutto, l'appartamento, la pizza e la birra, ma anche i sogni e le frustrazioni, le gioie e i dolori, e qualche volta le donne. Un giorno Federico decide di mollare tutto e partire. Stanco della vita monotona di provincia, se ne va alla ricerca dell'altra metà di sé. Michele invece resta. Quando torna, dopo cinque anni, Federico è cambiato. Ora è sereno, innamorato di una donna e della vita. Sembra una storia a lieto fine, ma non è così. Federico all'improvviso riparte, stavolta per un viaggio molto più lungo. Ritornerà (a sorpresa) nascosto dietro gli occhi di una bambina, Angelica. Le vicende di Michele, Federico, Francesca e Sophie sono quelle di un gruppo di giovani alla ricerca del loro posto nel mondo. Fabio Volo mette insieme le loro vite come i pezzi di un puzzle, fino a ricomporre un imprevedibile disegno.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804571247
eBook ISBN
9788852013997
1

Dai da bere ai ciclamini

Mi chiamo Michele, ho trentacinque anni e non saprei dire esattamente che lavoro faccio. Ho scritto un libro circa un anno fa e anche se non è stato un successo non è andato male, e comunque mi ha permesso di firmare un contratto per un secondo. Prima di scrivere il libro lavoravo come giornalista nella redazione di un settimanale. Anche se non in maniera fissa, scrivo ancora qualche articolo, soprattutto interviste. Sono quello che chiamano un free lance. Diciamo che questo è il mio lavoro principale, ma durante l’anno mi capita di arrangiarmi con altri mestieri secondari. Arrotondo e rendo diverse le giornate. Per quanto riguarda gli articoli, mi occupo io di ogni cosa. Chiamo chi devo intervistare, fisso l’appuntamento e tutto il resto. Consegno il pezzo già finito. Pronto da impaginare.
Scrivere un articolo ogni tanto, intervistando chi voglio, con i miei tempi, ha reso il mio lavoro migliore. Quando avevo l’obbligo di restare in redazione tutto il giorno, con una serie di regole e di orari da rispettare, le cose andavano peggio. È una cosa che non ho mai capito: avrei potuto fare il lavoro in metà tempo, ma se lo avessi fatto mi avrebbero dimezzato anche lo stipendio. Quindi fingevo. Per anni sono stato il re del solitario sul computer dell’azienda. Oppure gironzolavo su internet e andavo a vedermi le agenzie immobiliari che mettevano le foto degli appartamenti in affitto. La mia città preferita era New York. Nei giorni di vera noia cercavo una casa a Manhattan e, quando la trovavo, fantasticavo un po’ facendo finta di abitare lì. In quegli anni di lavoro ho abitato mezzo mondo.
«Scusi infermiera, sa dirmi qualcosa?»
«Siamo ancora all’inizio, stia tranquillo, appena succede qualcosa vengo io a informarla…»
Io e Francesca abbiamo anche rischiato di perderci. Nel senso che da quando ci siamo incontrati a oggi, che stiamo diventando genitori, ci siamo lasciati.
Praticamente sto avendo una bambina con la mia ex.
C’è chi dice che non bisogna tornare con gli ex perché la minestra riscaldata non è buona… Beh, non hanno mai assaggiato Francesca. A parte il fatto che a me il cibo riscaldato piace da matti. La pasta al forno, la polenta, il minestrone, perfino la pizza… sarà questione di gusti.
La prima volta che ci siamo frequentati non eravamo in grado di amarci. Eravamo come due persone che hanno tra le mani lo strumento che amano, ma non lo sanno suonare. Poi abbiamo imparato.
Il problema reale nel nostro modo di amare consisteva nel fatto che in fondo eravamo due persone che non avevano molto da dare. Le relazioni servivano a farci sentire meno soli, ci aiutavano a difenderci dalla nostra tristezza. Insomma, io per esempio ero un uomo che cercava la donna della vita perché in sostanza non avevo una vita. Questa è una frase che mi aveva detto Federico: “Non devi cercare la donna della tua vita, ma una vita per la tua donna, altrimenti cos’hai da offrire? Cosa metti in tavola?”.
Fede è una delle persone alle quali devo questa paternità. Gli devo la mia rinascita. E anche Francesca gli deve la vita. Senza di lui non so se ci saremmo ritrovati, ma soprattutto se mi sarei mai ritrovato. Forse avrei continuato a navigare alla deriva senza nemmeno accorgermene. Federico mi ha salvato.
Ci siamo conosciuti in prima media. In quel periodo della vita in cui cambi scuola e amici e hai un po’ paura. Vorresti ancora i compagni che avevi alle elementari. Il primo giorno quelli nuovi hanno tutti una faccia strana. Sempre.
“Ma chi sono questi qui? Da dove vengono? Non saranno mai miei amici come quelli di prima, con queste facce.”
E dopo solo un mese, quelli delle elementari neanche te li ricordi più. Federico era di quelli che, a prima vista, non sarebbe mai diventato mio amico. Non mi era neppure simpatico e infatti, come regola vuole, non essendomi piaciuto subito e non essendo piaciuto subito nemmeno io a lui, siamo diventati inseparabili. Lui era figlio unico e io avevo una sorella con cui parlavo poco; praticamente io e lui siamo diventati fratelli.
Spesso la sera invece che andare a dormire dai miei nonni andavo da lui. A tredici anni abbiamo fatto il giuramento di eterna amicizia appoggiando le nostre mani sulla pigna di cemento della casa diroccata.
Era una casa disabitata tutta distrutta che aveva sul tetto nella parte frontale una pigna di cemento. La casa andava a pezzi, quindi salire sul tetto per fare il giuramento richiedeva una grande prova di coraggio e dimostrava quanto ci tenevamo alla nostra amicizia.
Scendendo io sono scivolato e mi sono fatto un taglio sotto il ginocchio sinistro. La cicatrice che mi è rimasta è la firma della nostra amicizia.
Con Federico a sedici anni ho fatto le mie prime vacanze senza la famiglia. La prima è stata a Riccione. Siamo andati lì perché ai tempi si diceva che a Rimini e Riccione si trombava di sicuro. Dopo una settimana non avevamo concluso niente tranne una sera dove lui era riuscito a limonare con una di Padova in discoteca e a infilarle una mano nelle mutande. Usciti dalla discoteca, in cambio di un cappuccio e un bombolone, mi ha fatto annusare le dita.
In quella vacanza non avevamo molti soldi e più di una volta siamo anche usciti dalle pizzerie senza pagare. Avevamo escogitato un piano. Si portavano da casa degli oggetti che non servivano più, come un portafogli o un mazzo di chiavi o un marsupio o una giacca, e si portavano a cena. Poi dopo aver mangiato si lasciavano sul tavolo e si usciva uno alla volta. Il cameriere, vedendo le nostre cose, stava tranquillo come se uno fosse andato al bagno e l’altro in macchina o cose di questo tipo. Ha sempre funzionato. Anche quando eravamo più grandi. Soprattutto nei locali dove non si poteva fumare.
A diciott’anni, freschi di patente, abbiamo fatto la nostra prima vacanza in macchina. La sua Polo amaranto. Destinazione Danimarca.
Prima di arrivare alla frontiera italiana la macchina era già un cesso. Piena di pacchettini, lattine, tabacco sbriciolato sparso dappertutto. Non esisteva ancora il lettore CD: la macchina era piena di cassette. Sotto il sedile c’erano anche un paio di custodie nere dove infilarle, ma alla fine erano ovunque tranne lì. Cassette originali e cassette fatte da noi. Quando ero piccolo mia sorella registrava le cassette mettendo un piccolo registratore portatile vicino alle casse dello stereo di casa. Si chiudeva nella stanza e se per sbaglio una persona entrava doveva rifare tutto da capo. Poi il padre di Federico ha comprato uno stereo di nuova generazione con tape A e tape B.
Si facevano una serie di cassette con le canzoni adatte per la vacanza. Quella che non mancava mai era: Misto Vasco oppure, nel caso di una conquista, Lenti. Visto che andavo all’estero non lenti italiani. Fede aveva fatto una cassetta di lenti degli Scorpions. Una delle canzoni preferite di quel viaggio, quella che cantavamo a squarciagola, era La noia di Vasco. Lì nessuno ci aveva detto niente sulle donne per questo appena siamo arrivati è stato quasi uno choc. Le ragazze più belle che avessimo mai visto. Lì non era Riccione, lì abbiamo trombato veramente. Evvai di Scorpions.
Tornando da quel viaggio siamo passati da Amsterdam e con noi sono venute anche le nostre due conquiste danesi: Kris, la mia, e Anne, la sua.
Mi ricordo il cartello dell’autostrada, mi ricordo che abbiamo parcheggiato, poi non ricordo praticamente più niente. Una fetta di torta e dei funghetti. Basta. Il resto della memoria in fumo.
Ricordo solamente quando in stazione abbiamo salutato le nostre due fidanzatine e ci siamo accorti di essere tristi. Ci dispiaceva veramente. Ci sentivamo innamorati e volevamo stare con loro per tutto il resto della vita. Ci siamo ripromessi che ci saremmo scritti un sacco di lettere. “… I love you I love you I love you…”
Non ci siamo mai scritti nemmeno un ciao.
Ho ancora le foto, però… chissà come stanno adesso?
A volte mi viene voglia di rivederle, quelle sconosciute che si trovano tra le fotografie della mia vita.
Quando aveva circa vent’anni, Federico ha iniziato a vendere e affittare case, per questo abbiamo avuto la fortuna di andare a vivere da soli presto. Un giorno ha trovato due case in affitto che erano un vero affare. Ognuno il suo micro appartamento, perfetto per grandi feste qualsiasi giorno della settimana. Qualsiasi giorno tranne i mercoledì, perché la sera del mercoledì c’era l’appuntamento fisso da me per la partita a Subbuteo.
Pochi i motivi per cui si poteva richiedere il rinvio della partita:
– malanno grave improvviso;
– frattura al dito;
– sesso certo con una ragazza (solo se mai trombata prima);
– terremoto sopra il sesto livello della scala Mercalli;
– incapacità di reggersi in piedi a causa di una sbronza inaspettata all’aperitivo.
Insomma… siamo stati inseparabili fino all’età di ventotto anni, poi lui ha preso una decisione importante che ci ha allontanati. Gli ultimi anni, prima di separarci, vivevamo sempre nello stesso modo. Lavoravamo di giorno, qualche uscita serale durante la settimana, venerdì e sabato autodistruzione alcolica, la domenica più che altro serviva per recuperare. Quando ci andava bene si rimorchiava, altrimenti… pugnette! Devo dire che con le ragazze avevamo un discreto successo, lui più di me.
Insomma, sinceramente non è che nella vita si facesse molto di più. In quella routine ci sentivamo al sicuro. Tutto era conosciuto e così potevamo avere il controllo su ogni cosa. Si mangia qui, si beve l’aperitivo lì, si va in discoteca là. No problem. Pilota automatico. Per me era il massimo. La stabilità mi ha sempre fatto stare bene, almeno apparentemente.
Poi un giorno ecco l’imprevisto. Dopo il solito aperitivo e la solita cena, invece di andare in discoteca io e Federico siamo tornati a casa sua, perché lui non aveva voglia di stare fuori.
Quella sera a cena non aveva praticamente mai parlato. Ha passato la serata picchiettando il coltello sulla bottiglia dell’acqua. A un certo punto gliel’ho anche spostata, ma lui non mi ha nemmeno guardato, non ha detto niente e dopo un po’ ha ricominciato con quella del vino.
Arrivati a casa sua abbiamo preso due birre e ci siamo seduti. Io sul divano, lui sulla poltrona. Qualche commento su chi avevamo visto in piazza, qualche pettegolezzo stupido su un paio di tradimenti che erano ormai sulla bocca di tutti, poi lui è tornato a essere silenzioso. Fissava la bottiglia di birra mentre cercava di staccare l’etichetta con l’unghia. Gli ho chiesto se c’era qualcosa che non andava. Al momento ha risposto che andava tutto bene, poi, dopo un attimo di silenzio, ha iniziato un lungo monologo, come fosse impazzito o posseduto.
«Quale sarà la nostra cosa? Io la mia non ho ancora capito qual è. Ho la sensazione di essere qui su questo cavolo di pianeta per fare qualcosa di importante, ma non riesco a capire cosa… Tu sai come si fa a capire qual è la propria cosa? Boh… mi sembra che sto buttando via la vita. Ieri avevo sedici anni… boom, oggi ne ho ventotto.»
«Quale cosa, scusa?»
«Ma sì, dài… la propria cosa, la propria chiamata, il proprio talento o capacità da esprimere. Insomma, quella roba lì, quella cosa che ognuno ha e che ci rende diversi dagli altri, il motivo di questa mia presenza, il senso della vita, che cazzo ne so…»
«Oh… ma che c’hai messo nella birra, il pongo fuso? Che c’hai la crisi dei trent’anni a ventotto?»
«Mah… non lo so. Te l’ho detto, sento che devo fare qualcosa di grande, forse non per l’umanità intera ma per me, qualcosa di straordinario per la mia vita, anche se non ho ancora capito cosa. So solo che sono stufo e dentro di me sento una forza che spinge, ma io non riesco a liberarla e così finisce che qualsiasi cosa faccia alla fine mi annoia.»
Ha fatto una sorsata di birra, si è passato il labbro inferiore su quello superiore come fanno di solito quelli che hanno i baffi, anche se lui non li aveva, e poi è esploso: «Basta basta basta… mi sono rotto le palle, ci sarà un’uscita di sicurezza da questo modo di vivere, meritiamo di più che starcene in piazza a bere. L’abbiamo già fatto per troppo tempo, non dobbiamo commettere l’errore di rimanere qui e perderci in una vita ordinaria, già segnata. Io voglio veramente liberare quella forza prima che se ne vada, prima che finisca, che si spenga, e che renda il mio culo inseparabile dal divano».
«Mi sa che è veramente la crisi dei trent’anni a ventotto. L’ho sempre detto che sei uno avanti.»
«Vai a cacare! Non prendermi per il culo, aiutami a capire, piuttosto. Sto veramente impazzendo, oppure sono impazziti tutti gli altri? Cazzo Michele, io vendo case, niente di male per carità, guadagno anche bene, ma passo la mia giornata a dire alla gente quello che si vede aggiungendo solo bello o bella. “Qui c’è la sua bella vasca da bagno, qui la sua bella finestra, lì la sua bella caldaia…” Dico quello che si vede, hai mai pensato a quanto è assurda questa cosa? Mi aspetto sempre che un cliente mi risponda che non è mica scemo, che le vede anche lui la finestra e la vasca. Sii sincero, non dirmi che anche tu non ti sei rotto di fare sempre le stesse cose, vedere sempre gli stessi posti e la stessa gente. Non hai ogni tanto la sensazione che ci possa essere di più, che in realtà la vita sia di più? Gli articoli che scrivi sono belli, ma quanto ti frega realmente di quello che fai? Un paio di mesi fa hai scritto un articolo su come mantenersi in forma con gli oggetti di casa. C’era la fotografia di una casalinga che faceva gli esercizi con una bottiglia da un litro e mezzo di acqua… Cazzooooo, Michele, tu non sei così.»
«Cosa ci devo fare? Se mi chiedono di fare un articolo su quell’argomento, io lo faccio. Non sempre posso dire di no, non sono mica io a scegliere, a volte.»
«Comunque non è questo il punto, il punto è che sono io che mi sono rotto di questa vita e di queste serate.»
«Questa non è stata una grande serata e neppure una gran cena, sono d’accordo. Tu poi sei stato ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Un posto nel mondo
  4. Intro
  5. 1. Dai da bere ai ciclamini
  6. 2. Ciò che ho dovuto imparare
  7. 3. Avranno fatto l’amore?
  8. 4. Stavamo ancora bene insieme
  9. 5. Sotto casa a chiacchierare
  10. 6. Salutameli tu
  11. 7. Non avrebbe avuto senso
  12. 8. Lui non l’ha mai fatto
  13. 9. La collana di Sophie
  14. 10. Tutto in quei giorni diceva la stessa cosa
  15. 11. Alla ricerca di me
  16. 12. Indispensabile per lui
  17. 13. Ancora una volta
  18. 14. La mulher del abraço
  19. 15. Come mi aveva detto Federico
  20. 16. Una nuova vita. Anzi, due
  21. 17. I miei giorni erano sempre diversi
  22. 18. Caro papà
  23. 19. A lui non può accadere
  24. 20. Un buon motivo per non andare al lavoro
  25. 21. Non puoi capire quanto
  26. 22. Anche quando lei non c’è
  27. 23. Federico aveva ragione
  28. 24. Spero di meritarmelo
  29. 25. Caduti verso l’alto
  30. 26. È meglio se smetti di drogarti
  31. 27. Un’incantevole avventura
  32. Copyright