Madame Bovary
eBook - ePub

Madame Bovary

  1. 464 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Emma Bovary, moglie insoddisfatta di un mite medico di campagna, cerca un senso alla sua monotona esistenza in una serie di sfortunate vicende sentimentali. Un romanzo dallo stile esemplare che costò a Flaubert (1821-80) un processo con l'accusa d'avere offeso la morale pubblica.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Madame Bovary di Gustave Flaubert, Maria Luisa Spaziani in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804477754
eBook ISBN
9788852010903
SECONDA PARTE

I

Yonville-l'Abbaye (così chiamato da un'antica abbazia di Cappuccini di cui non restano nemmeno le rovine) è un borgo a otto leghe da Rouen, fra la strada di Abbeville e quella di Bauvais, al fondo di una valle lambita dalla Rieule, piccolo fiume che si getta nell'Andelle dopo aver fatto girare la ruota di tre mulini, verso la foce e dove c'è qualche trota che i ragazzi, la domenica, si divertono a pescare con la lenza.
Si lascia la strada maestra alla Boissière e si continua senza ostacoli fino in cima alle alture dei Leux dove si scopre la valle. Il fiume che l'attraversa ne fa due regioni di ben diversa fisionomia: tutto quanto sta a sinistra è erba da pascolo, tutto quanto sta a destra è terra arata. La prateria si snoda sotto un cercine di colline basse per ricollegarsi, sul retro, ai pascoli della contrada di Bray, mentre verso Est la pianura in leggera ascesa si va aprendo a ventaglio e offre a perdita d'occhio i suoi biondi campi di grano. L'acqua che scorre lungo l'erba spartisce con una riga bianca il colore dei prati e il colore dei solchi, e così la campagna assomiglia a un vasto mantello dispiegato con un colletto di velluto listato d'un gallone d'argento.
All'estremo orizzonte, quando si arriva, si hanno davanti le querce della foresta d'Argueil con le scarpate del colle Saint-Jean striate dall'alto in basso di un rosso diseguale; sono le tracce delle piogge, e quelle sfumature color mattone, rivoli sottili contrastanti con il colore grigio della montagna, sono dovute alle tante sorgenti ferrugginose che dall'altro versante scorrono nei paesi circostanti.
Qui si è ai confini della Normandia, della Piccardia e dell'Île-de-France, contrada bastarda dove il linguaggio è privo d'accento, come il paesaggio è privo di carattere. È qui che si fanno i peggiori formaggi di Neufchâtel di tutto il circondario, e d'altra parte coltivare è costoso perché ci vuole una quantità di letame per concimare queste terre friabili tutte sabbia e pietre.
Fino al 1835 non c'era nessuna strada praticabile per arrivare a Yonville; ma proprio a quel tempo si è aperto un grande raccordo che collega la strada di Abbeville a quella di Amiens, e che talvolta viene usata dai carrettieri che da Rouen vanno nelle Fiandre. Eppure nonostante i suoi sbocchi nuovi Yonville-l'Abbaye non ha fatto un solo passo avanti. Anziché migliorare le coltivazioni ci si incaponisce ancora sui pascoli, per deprezzati che siano, e il borgo sonnacchioso, scostandosi dalla pianura, ha continuato secondo un ritmo naturale a ingrandirsi verso il fiume. Lo si scorge di lontano, sdraiato lungo la riva, come un guardiano di vacche che faccia la siesta sulla sponda.
Ai piedi del pendio, dopo il ponte, comincia una carreggiata tutta bordata di giovani pioppi tremoli, che in linea retta conduce fino alle prime case del paese circondate da siepi, fra cortili pieni di costruzioni sparse, frantoi, tettoie per i carri e distillerie, tutto disseminato sotto gli alberi frondosi che reggono scale a pioli, pertiche e falci appese ai rami. I tetti di paglia, berretti di pelliccia calati sugli occhi, scendono fino a un terzo circa delle basse finestre dai rozzi vetri convessi con un nodulo al centro come un fondo di bottiglia. Sul muro a calce, attraversato in diagonale da travi nere, si abbarbica qua e là qualche pero macilento, e davanti alle porte del pianoterra ci sono steccati girevoli per sbarrare il passaggio ai pulcini che vengono a becchettare sulle soglie briciole di pan bigio imbevute di sidro. Procedendo, i cortili si restringono, le case si avvicinano l'una all'altra, le siepi spariscono; un mannello di felci infilato in un manico di scopa dondola sotto una finestra; c'è la fucina di un fabbro ferraio e più avanti un carradore con due o tre carrette nuove che sporgono sulla strada. Poi, oltre una staccionata, appare una casa bianca al di là di un cerchio d'erba abbellito da un amorino con il dito sulle labbra; due vasi di ghisa chiudono ai lati la gradinata; delle targhe rilucono sulla porta: è la casa del notaio, e la più bella del paese.
La chiesa è dall'altra parte della strada, venti passi più in là, all'entrata della piazza. Il piccolo camposanto che la circonda, cinto da un muretto al quale ci si può affacciare, è talmente fitto di tombe che le vecchie pietre orizzontali s'incastrano l'una all'altra come selci fra cui l'erba abbia spontaneamente tracciato verdi riquadri regolari. La chiesa è stata riedificata negli ultimi anni del regno di Carlo X. La volta di legno comincia a imputridire dall'alto, e qua e là nel suo azzurro compaiono sbavature nere. Sopra la porta, al posto dell'organo c'è una tribuna per gli uomini, con una scala a chiocciola che rimbomba sotto gli zoccoli.
La piena luce, attraversando le vetrate a tinta unita, illumina obliquamente i banchi allineati contro il muro, su alcuni dei quali sta, fissata con chiodi, una stuoia recante a grossi caratteri: “Banco del Tal dei Tali”. Poco dopo, nel punto in cui la navata si restringe, al confessionale fa riscontro una statuetta della Vergine con un abito di raso, sul capo un velo di tulle tempestato di stelle d'argento e rossa sugli zigomi come un idolo delle isole Sandwich; infine una copia della Sacra Famiglia, offerta dal ministro degli Interni, che domina l'altare maggiore fra quattro candelabri e chiude sul fondo la prospettiva. Gli stalli del coro, in legno d'abete, non sono mai stati dipinti.
Il mercato, cioè un tetto di tegole retto da una ventina di pali, occupa da solo la metà circa della piazza principale di Yonville. Il municipio, costruito su progetto di un architetto di Parigi, è una specie di tempio greco che fa angolo, accanto alla casa del farmacista. Ha tre colonne ioniche al pianterreno, e al primo piano un loggiato con archi a tutto sesto, mentre sul timpano che lo conclude si accampa un gallo celtico che poggia una zampa sulla Carta e con l'altra regge la bilancia della giustizia.
Ma ciò che attira particolarmente gli sguardi è senz'altro, di fronte alla locanda del Lion d'or, la farmacia del signor Homais. La sera, soprattutto, quando la lampada di Quinquet è accesa e i boccali rossi e verdi che ornano la vetrina proiettano lontano, sul selciato, i loro due bagliori colorati; allora tra l'uno e l'altro, come tra fuochi del Bengala, s'intravede l'ombra del farmacista con i gomiti appoggiati al banco. La sua casa, dall'alto in basso, è tappezzata di pubblicità in caratteri corsivi, tondi, in stampatello: “Acque di Vichy, di Seltz e di Barèges, pozioni depurative, sedativi Raspail, racao degli Arabi, pastiglie Darcet, pasta Regnault, bende, bagni, cioccolato ricostituente, ecc.”. E l'insegna, che occupa l'intera larghezza della bottega, reca in lettere d'oro: Homais, farmacista. Al fondo della bottega, poi, dietro alle grandi bilance fissate sul bancone, la parola laboratorio si staglia sull'alto di una porta vetrata che al suo centro ripete ancora una volta Homais a lettere d'oro in campo nero.
Non c'è nient'altro da vedere a Yonville. La via (l'unica), lunga un tiro di schioppo e con qualche bottega sui due lati, finisce di colpo in una curva. Lasciandola sulla destra e proseguendo sotto l'altura Saint-Jean, ben presto si giunge al cimitero.
Ai tempi del colera, per ampliarlo si è abbattuto un lembo di muro e si sono acquistati tre acri di terra limitrofa; ma la parte nuova è pressoché disabitata perché le tombe continuano, come in passato, ad accumularsi presso la porta. Il custode, che è insieme becchino e sagrestano della chiesa (e così trae un doppio guadagno dai cadaveri della parrocchia), ha approfittato del terreno libero per seminarci patate. Da un anno all'altro, tuttavia, il suo piccolo campo si restringe, e quando sopraggiunge un'epidemia lui non sa più se rallegrarsi dei decessi o rattristarsi per le sepolture.
“Voi vi nutrite di morti, Lestiboudois!” finì per dirgli un giorno il parroco.
Questa frase sinistra lo lasciò meditabondo. Per qualche tempo ne fu trattenuto, ma oggi ancora coltiva i suoi tuberi e sostiene anzi senza batter ciglio che crescono da soli.
Dal tempo degli avvenimenti che stiamo per raccontare, non si può proprio dire che a Yonville qualcosa sia cambiato. Il tricolore di latta ruota sempre sulla cima del campanile; la bottega del merciaio agita sempre al vento le due banderuole di cotonina; i feti del farmacista, come grumi di esche bianche, imputridiscono sempre più nell'alcol limaccioso. E sopra la porta della locanda il vecchio leone d'oro, sbiadito dalle piogge, esibisce sempre agli occhi dei passanti i suoi riccioli da barboncino.
La sera in cui i coniugi Bovary dovevano arrivare a Yonville, la vedova Lefrançois, padrona della locanda, era talmente indaffarata che grondava di sudore rimescolando le casseruole. C'era, il giorno dopo, mercato al paese. Bisognava preparare le carni già tagliate, eviscerare i polli, fare pentoloni di minestra e il caffè. Quasi non bastasse, doveva occuparsi del pranzo dei pensionanti, e del dottore, di sua moglie e della domestica; dal biliardo provenivano scoppi di risa, nella saletta tre mugnai ordinavano a gran voce dell'acquavite; la legna divampava, la brace sfrigolava, e sul lungo tavolo di cucina, fra i quarti di pecora cruda, torreggiavano pile di piatti pericolanti sotto le scosse del ceppo dove si tritavano gli spinaci. Echeggiavano dal cortile gli strilli del pollame che la serva rincorreva per tagliargli il collo.
Un uomo in pantofole di pelle verde, un po' butterato dal vaiolo, con in capo un berretto di velluto con la nappina d'oro, si scaldava la schiena al camino. Il suo volto esprimeva solo una grande soddisfazione di se stesso, e sembrava in pace con la vita come il cardellino che gli pendeva sopra la testa nella gabbia di vimini: era il farmacista.
“Artémise! – gridava la padrona della locanda, – spezza un po' di legna, riempi le caraffe, porta l'acquavite, sbrigati! Se sapessi almeno che dessert offrire alla compagnia che arriva! Bontà divina! I facchini del trasloco ricominciano a far bordello nel biliardo! E hanno piantato il carro sotto il portico! L'Hirondelle è capace di sfondarlo arrivando! Chiama Polyte che lo tolga di mezzo!... E dire che da stamattina, signor Homais, si sono fatti una quindicina di partite, e si sono scolati otto boccali di sidro!... Ma così mi strapperanno il panno” continuava senza perderli d'occhio di là, con la schiumarola in mano.
“Non sarebbe un gran male – rispose Homais, – ne comprereste un altro.”
“Un altro biliardo!” esclamò la vedova.
“Dal momento che quello non sta più in piedi, signora Lefrançois; ve lo ripeto, vi fate torto, vi fate gran torto! E poi gl'intenditori al giorno d'oggi vogliono strette le buche e pesanti le stecche. Non si gioca più alle biglie, tutto si evolve! Bisogna stare al passo con il secolo! Fareste meglio a guardare Tellier...”
La padrona arrossì di disappunto. Il farmacista continuò:
“Il suo biliardo, avete un bel dire, è più bello del vostro. E se salta fuori l'idea, mettiamo, di combinare una sfida patriottica a favore della Polonia o degli alluvionati di Lione...”
“Non saranno dei morti di fame come lui a farci paura! – tagliò corto la padrona alzando quelle sue spalle da scaricatore. – Via, via, signor Homais, finché il Lion d'or vivrà avrà i suoi bravi clienti. Chi ha più filo fa più tela, ve lo dico io! Ma una di queste mattine, invece, vedrete il Café français chiuso e con tanto di avviso sulla saracinesca!... Cambiare il mio biliardo – continuava fra sé e sé, – che mi fa tanto comodo per piegare i panni del bucato, che in tempo di caccia ci ho messo a dormire anche sei forestieri!... Ma quel trottapiano di Hivert che non si fa vivo!”
“Aspettate lui per dar da mangiare ai vostri ospiti?” domandò il farmacista.
“Aspettarlo? E dove mettete il signor Binet? Alle sei in punto lo vedrete che fa il suo ingresso, ché in fatto di precisione non ha l'eguale sulla terra. Bisogna riservargli il suo posto nella saletta. Si farebbe ammazzare piuttosto che cenare altrove! E com'è schizzinoso! Ed esigente sul sidro! Non è come il signor Léon che certe volte viene alle sette e magari alle sette e mezza, e non dà nemmeno un'occhiata a quello che si mette in bocca. Che bravo giovanotto! Mai che gli capiti di alzare la voce.”
“Il fatto è, vedete, che c'è una bella differenza fra uno che ha ricevuto un'educazione e un marmittone che ora fa l'esattore.”
Suonarono le sei. Entrò Binet.
Era vestito d'una redingote turchina che gl'impacchettava rigidamente il corpo magro; e il berretto di cuoio dai paraorecchi assicurati da cordoncini alla sommità del capo lasciava scorgere sotto la visiera rialzata una fronte calva e schiacciata dalla consuetudine dell'elmo. Portava un gilè di panno nero, colletto di crine, calzoni grigi e a tutte le stagioni stivali ben lucidi recanti due rigonfiamenti paralleli dovuti alla pressione degli alluci. Nemmeno un pelo sporgeva dalla linea della sua bionda barba a collare che, contornando la mascella, incorniciava come il bordo di un'aiuola quel lungo viso spento dagli occhi minuti e dal naso a becco. In gamba nel maneggiare ogni genere di carte, buon cacciatore e calligrafo di tutto rispetto, si teneva in casa un tornio, dove si divertiva a tornire cerchietti da tovagliolo di cui aveva riempito la casa con la gelosia di un artista e l'egoismo di un borghese.
Si diresse verso la saletta: ma prima bisognò snidare di là i tre mugnai. E per tutto il tempo che ci volle a preparargli la tavola, Binet se ne stette zitto al suo posto accanto alla stufa; poi chiuse la porta e, secondo il solito, si tolse il berretto.
“Non sono certo i convenevoli a consumargli la lingua!” disse il farmacista quando si trovò da solo con la locandiera.
“È sempre di poche parole – rispose lei; – sono venuti qui, la settimana scorsa, due rappresentanti di stoffe, ragazzi pieni di spirito che alla sera tiravano fuori certe storielle che io piangevo dalle risate: beh, lui se ne stava lì come una salacca, senza aprir bocca.”
“Sì – fece il farmacista, – immaginazione zero; umorismo zero, zero tutto quanto costituisce l'uomo di società!”
“Però dicono che ha delle qualità” obiettò la locandiera.
“Qualità! – replicò Homais. – Lui! Nel suo campo, forse” aggiunse in tono più calmo.
E riprese:
“Ah, che un commerciante pieno di relazioni importanti, che un giureconsulto, un medico, un farmacista siano tanto occupati da diventare lunatici e magari burberi, posso capirlo; si citano tanti aneddoti nella storia! Ma a qualcosa, almeno, pensano. Io, ad esempio, quante volte mi è capitato di cercare la penna sullo scrittoio per fare un'etichetta e di scoprire, guarda un po', che me l'ero messa sull'orecchia!”
Intanto la signora Lefrançois si era fatta sulla soglia per vedere se per caso arrivasse l'Hirondelle. Ebbe un sobbalzo. Un uomo vestito di nero era entrato in cucina all'improvviso. Le ultime luci del crepuscolo permettevano di scorgerne la faccia rubiconda e la figura atletica.
“In che cosa posso servirvi, signor parroco? – domandò la padrona della locanda mentre prendeva sul camino uno dei doppieri di rame incolonnati là con le loro candele; – volete bere qualcosa? Un dito di cassis, un bicchiere di vino?”
L'ecclesiastico rifiutò con grande cortesia. Veniva a cercare l'ombrello che due giorni prima aveva dimenticato al convento d'Ernemont e, dopo aver pregato la signora Lefrançois di farglielo riavere in serata alla canonica, uscì per andare in chiesa perché suonava l'Angelus.
Quando il farmacista sentì dileguarsi sulla piazza il rumore delle sue scarpe, osservò che quel modo di comportarsi era stato quanto mai villano. Il rifiuto di accettare un bicchiere gli pareva un'ipocrisia delle più odiose; i preti sgavazzavano tutti se nessuno li vedeva, e cercavano di ripristinare i tempi delle decime.
La locandiera prese le difese del suo parroco:
“Del resto, ne piegherebbe quattro come voi contro il ginocchio. L'anno scorso ha aiutato i nostri uomini a mettere dentro la paglia; ne portava anche sei fasci per volta, tanta forza ha!”
“Ma bene – disse il farmacista. – E allora mandate le vostre ragazze a confessarsi da un simile pezzo di marcantonio con tanto di temperamento! Se fossi al governo, io, ordinerei che si salassassero i preti una volta al mese. Sì, signora Lefrançois, tutti i mesi, una generale flebotomia nell'interesse dell'ordine pubblico e dei buoni costumi!”
“Ma chiudete quella bocca, signor Homais! Siete un empio! Non avete ombra di religione!”
Il farmacista rispose:
“Ce l'ho una religione, la mia religione, e ce n'ho anche più di tutti loro messi insieme, accozzaglia di baciapile e di buffoni! Adoro Dio, anzi! Credo nell'Essere supremo, in un Creatore, chi sia poco importa, che ci ha collocato quaggiù per adempiere al nostro dovere di cittadini e padri di famiglia; ma non ho bisogno di andare in una chiesa a baciare dei piatti d'argento e a ingrassare di tasca mia un mucchio di pagliacci che mangiano meglio di noi! Lo si può infatti onorare altrettanto bene in un bosco, in un campo, o magari contemplando la volta eterea, come gli antichi. Il mio Dio è il Dio di Socrate, di Franklin, di Voltaire e di Béranger. Io sono per la Profession de foi du vicaire savoyard e per gl'immortali principi dell'89. E allora trovo inammissibile un Dio dabbenuomo che se ne va su e giù per il suo praticello fiorito, con il suo bravo bastone in mano, piazza i suoi amici nel ventre delle balene, muore lanciando un grido e risuscita tre giorni dopo: cose già assurde di per sé e affatto incompatibili, del resto, con tutte le leggi della fisica; ciò...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. PRIMA PARTE
  3. SECONDA PARTE
  4. TERZA PARTE