VI
Cuper, l’«hombre vertical»
Il nuovo allenatore dell’Inter è un argentino. Come Helenio Herrera, il nocchiero che tante soddisfazioni ha regalato a Moratti padre. Moratti figlio nega di essere stato condizionato dalla suggestione del ricordo: a lui, di Hector Raul Cuper piacciono cose ben più importanti del passaporto.
Cuper è nato a Chabas, nella provincia di Santa Fe, nel 1955. Ha giocato, come difensore, a buoni livelli: nei primi anni Ottanta ha vestito per otto volte la maglia della nazionale argentina, allora diretta da Luis César Menotti. Poi si è dedicato alla panchina: si è messo in evidenza alla guida dell’Huracan e del Lanus. Contattato dai dirigenti del Maiorca, si è trasferito in Spagna. Lì è diventato popolare, perché ottiene risultati sorprendenti con squadre sulla carta non eccezionali. Con il Maiorca arriva fino ad una finale di Coppa delle Coppe, persa contro la Lazio di Vieri e di Nedved. Si sposta quindi a Valencia e i fatti continuano a dargli ragione: l’organico francamente è modesto, eppure Cuper guadagna il diritto di disputare ben due finali di Champions League. Esce sconfitto in entrambe le occasioni, sia contro il Real Madrid di Roberto Carlos che contro il Bayern Monaco: è chiaro che non è un uomo fortunato nei momenti decisivi. Un dettaglio (si fa per dire) che caratterizzerà anche le sue esperienze in nerazzurro.
Sul conto di Hector Raul, il presidente si è ben documentato. Ha spedito Luisito Suarez in Spagna, a raccogliere informazioni. Le relazioni sono incoraggianti. L’argentino del nuovo millennio non somiglia per niente ad Herrera. Il Mago era un istrione, questo suo connazionale non ha nulla dello stregone. Il Mago era un incantatore di serpenti, sapeva sempre offrire ai giornalisti un titolo ad effetto. Invece Cuper è un personaggio sobrio, geloso custode della vita privata, disposto a confrontarsi con la stampa esclusivamente su questioni di lavoro. Il Mago le sparava grosse, Cuper preferisce lasciare parlare i fatti. Uniche concessioni al «colore», la pacca sul cuore con la quale l’«hombre vertical» accoglie a bordo campo gli undici titolari scelti per la partita e una passione per il saxofono.
Per l’Inter, uscita in mille pezzi dal caos figlio dei fallimenti di Lippi e di Tardelli, una figura così è l’ideale. Da Valencia, Hector Raul promette di portare serietà e competenza. La sua religione è il lavoro. Si presenta con una frase ad effetto: «Qui deve restare solo chi ne ha voglia». Non male, per un ambiente squassato dalle voci che indicano Bobo Vieri sulla via della fuga. Destinazione la Torino bianconera.
Alla fine, Vieri rimane. Rimane anche su sollecitazione di Ronaldo. Il brasiliano non la smette di telefonare al compagno: non puoi andartene proprio ora, ora che sono finalmente pronto a far coppia con te.
Di Cuper, il Fenomeno sa molto poco. Ne ha sentito parlare con rispetto da amici che militano nella Liga spagnola. È anche vero che, notoriamente, tra argentini e brasiliani quasi mai scatta il feeling giusto, spesso spuntano i residui di storiche rivalità continentali. Ma Moratti ha scelto Cuper e Ronaldo ha come unico obiettivo la rinascita. Collaborerà con il nuovo tecnico.
L’impatto iniziale, tra i due, è incoraggiante. L’allenatore dice pubblicamente di confidare nel pieno recupero del Fenomeno. Aggiunge però di non avere alcuna intenzione di rischiarlo prematuramente. Ronie è un atleta che viene da un lunghissimo e doloroso periodo di indisponibilità. È già incappato in una terribile ricaduta. Meglio privilegiare la cautela.
Così, l’Inter comincia il campionato senza la sua stella. Sul mercato, Moratti ha cercato di accontentare il mister. Cuper ha una convinzione fondamentale: per essere competitiva, una squadra ha bisogno di una spina dorsale. Portiere. Difensore centrale. Centrocampista di rottura. Centravanti.
Il portiere viene individuato in Francesco Toldo, venduto dalla Fiorentina di Cecchi Gori nel vano tentativo di evitare il fallimento. Il difensore centrale è Marco Materazzi, un ex del Perugia che ha affinato il bellicoso carattere indossando la maglia dell’Everton nella Premier League. In mezzo, torna dalla Roma scudettata Cristiano Zanetti, un giocatore in sicura crescita. E per i gol c’è Vieri.
La partenza è incoraggiante. Pur senza dare spettacolo, la formazione nerazzurra si issa nei quartieri alti della classifica. In poche settimane, Cuper ha compiuto un mezzo miracolo: ha restituito equilibrio e dignità ad un gruppo che ormai perdeva i derby con il Milan per 6-0.
E Ronaldo? Suda, corre, scatta. È divorato dal desiderio di rientrare. Ogni tanto è vittima di attacchi di malinconia. Si sfoga con un ragazzino che Moratti ha fatto appena arrivare dal Brasile: Adriano Leite Ribeiro ha una venerazione per il Fenomeno. Adriano ha impressionato al debutto, in una amichevole disputata in Spagna contro il Real Madrid: dieci minuti gli sono bastati per scatenare l’inferno, con tanto di clamoroso gol su calcio di punizione.
Adriano può permettersi il lusso di aspettare, nemmeno ha vent’anni. Ronaldo no. Ronaldo confessa all’amico di cogliere in Cuper una sorta di pregiudizio. Forse lui non pensa che io possa tornare quello che ero, borbotta. Forse mi considera un ex e non ha il coraggio di dirmelo in faccia.
Sono timori largamente esagerati. Non appena la condizione fisica del giocatore gli pare adeguata, l’argentino lo inserisce subito in squadra, sebbene ciò significhi togliere dall’assetto tipo l’africano Kallon, che si sta esibendo su eccellenti livelli. La partita è Inter-Lecce: proprio contro i pugliesi, nel novembre del 1999, Luis Nazario de Lima aveva disputato la sua ultima gara di serie A.
Essendoci di mezzo Ronaldo, inevitabilmente Inter-Lecce si trasforma nel match-clou. Ma la festa dei tifosi dura meno di un quarto d’ora. Stavolta, a fermare l’idolo di San Siro è un malanno muscolare. Nulla di grave, per fortuna. E però le perplessità degli scettici si rafforzano. Per superare lo shock dei disastri al tendine rotuleo, Ronie ha lavorato moltissimo sulla potenza. C’è chi lo trova ormai troppo «grosso» per il mestiere di calciatore. Un calciatore che ha basato sullo spunto veloce larga parte delle sue prodezze.
Il nuovo stop non getta Cuper nel panico. Nella testa dell’argentino, il brasiliano era e rimane un gigantesco punto interrogativo. Se torna grande, tanto meglio. Ma le sue sofferenze non possono più rappresentare un alibi, per l’ambiente nerazzurro. L’allenatore non può escludere dai suoi ragionamenti l’ipotesi di un’Inter competitiva anche senza il Fenomeno.
I risultati continuano a dare ragione all’ex difensore del Ferrocarril. La squadra resiste in vetta alla classifica, tenendo compagnia alla Juve di Lippi e alla Roma di Capello. Avanza anche in Coppa Uefa. E proprio sul palcoscenico europeo matura una incomprensione tra Cuper e Ronaldo destinata a pesare sul rapporto reciproco.
Il 6 dicembre, la Beneamata riceve a San Siro la visita degli inglesi dell’Ipswich. Il brasiliano va in panchina: si aspetta di essere utilizzato per almeno un tempo. Invece Hector Raul lascia che la partita vada avanti fin quasi alla fine, prima di decidersi a concedere una manciata di minuti a Ronie.
Il Fenomeno ci resta male. Grazie ad una tripletta di Vieri, la qualificazione non era in discussione. Se nemmeno in una circostanza del genere Cuper ritiene opportuno utilizzarlo, quando mai lo farà?
Ronaldo scappa dallo stadio infuriato. Al mondiale asiatico, mancano sei mesi. La ribalta planetaria è la grande occasione per il rilancio della carriera. Il commissario tecnico del Brasile, «Felipão» Scolari, è stato chiaro: lui su Ronie ci punta, ma ha bisogno di vederlo in campo con regolarità. Altrimenti, come fa a convocarlo?
Il 7 dicembre, festa di Sant’Ambrogio, Ronaldo confida tutte le sue perplessità a Moratti. Si spinge ad avanzare una proposta provocatoria: se l’allenatore non mi vede, tanto vale che mi cediate in prestito per sei mesi ad un club straniero, magari brasiliano. Così avrò modo di mettermi in mostra.
Il presidente comprende lo stato d’animo del giocatore che ama di più. Non ha nulla da rimproverare a Cuper, che sta gestendo magnificamente lo spogliatoio e che si sta dimostrando capace di isolare il gruppo dalle inutili polemiche. Ma Ronaldo è Ronaldo, mica uno qualsiasi.
Con garbo, Moratti fa presente all’argentino la situazione. Esiste la possibilità di trovare un compromesso, un punto di equilibrio tra le esigenze dell’uno e dell’altro? Cuper risponde di getto: se Ronie sta bene, il posto è suo. Poiché nel brandello di gara disputato contro l’Ipswich si è mosso con disinvoltura, domenica 9 partirà titolare nella sfida contro il Brescia.
Il gol di Brescia
Il 9 dicembre il sole illumina lo stadio di Mompiano. È una giornata quasi primaverile. Cuper mantiene la parola data a Moratti: Ronaldo gioca. Dal primo minuto. Dopo oltre due anni, l’Inter finalmente schiera la coppia dei sogni: in attacco, accanto al Fenomeno, c’è anche Bobo Vieri.
L’avvio del brasiliano è timido. Per muoversi, si muove. Solo che pare psicologicamente bloccato. Come se temesse un ulteriore impiccio, una nuova frenata del suo motore. È un atteggiamento comprensibile: stiamo parlando di un atleta reduce da una lunghissima pausa.
In campo, Ronaldo ha un alleato. Di più: un fratello. Vieri tenta in tutte le maniere di scuoterlo. Si mette al suo servizio. Bobo cerca sistematicamente lo scambio, la combinazione con il partner sudamericano. È evidente che Vieri sta disputando una doppia partita. Una per l’Inter. E una per Ronie.
Dalla generosità di Bobo nasce l’azione che archivia, simbolicamente e definitivamente, un incubo durato venticinque mesi. Ronaldo riceve palla nella metà campo del Brescia: con la coda dell’occhio vede Vieri che si avvicina per fargli da sponda. Il «dai-e-vai» funziona alla perfezione: l’assist del compagno proietta il Fenomeno verso la porta avversaria.
Per un istante, il tempo si ferma. È un momento da vivere in apnea, sugli spalti oppure davanti al televisore. La gente trattiene il respiro: Ronaldo non segna un gol dal 21 novembre del 1999. È un bomber fermo al secolo precedente.
Ciò che passa per la testa del Fenomeno, mentre si appresta a battere a rete, è un miscuglio di emozioni contrastanti. È a un passo dalla resurrezione, sì. Ma un errore, giustificato e giustificabile in qualunque altro giocatore, a lui difficilmente verrebbe perdonato: sarebbe la prova che ha perso, per sempre, l’istinto del predatore.
«Quando ho visto il pallone entrare in porta, ho fatto fatica a trattenere le lacrime» ricorda Javier Zanetti, il capitano dell’Inter. «Per tutti noi, la sofferenza di Ronaldo era un tormento. Chi di mestiere fa il calciatore sa quanto sia brutto essere quotidianamente accompagnati dal sospetto di non essere più in grado di giocare.»
È gol. Ronie si lancia in una danza sfrenata. Cuper scatta dalla panchina con i pugni alzati. Carletto Mazzone, che è l’allenatore del Brescia, applaude. Più tardi dirà: «La mia squadra purtroppo era passata in svantaggio, ma sull’amarezza prevaleva la gioia per il ritorno di un fuoriclasse. Ronaldo mancava troppo a tutto il calcio, non soltanto all’Inter».
In tribuna, qualcuno asciuga lacrime furtive. Forse mai, nella storia del club nerazzurro, un evento era stato così sospirato, così invocato, così atteso. Ronaldo che si riappropria di se stesso è la fine di un incubo.
La notizia si diffonde immediatamente fuori da Mompiano. Gli effetti sono sorprendenti. Racconta Bruno Gentili, il miglior radiocronista della Rai: «Quando “Tutto il calcio minuto per minuto” comunicò che per l’Inter aveva segnato Ronaldo, negli stadi scoppiò un applauso spontaneo, al Sud come al Nord. Fu la prova che il brasiliano era caro anche a chi faceva il tifo per una squadra diversa, anche agli juventini o ai milanisti o ai romanisti. Le sue disgrazie gli avevano regalato un affetto nazionalpopolare, oltre le bandiere e i confini».
A Mompiano, la partita potrebbe anche finire lì. Invece continua, come è giusto. Ronie fa altre cose buone e contribuisce al successo dei nerazzurri prima di essere sostituito dal prudente Cuper al ventiduesimo della ripresa. Quando esce, la gente si alza in piedi per tributargli una ovazione. Moratti si concede un commento che racchiude l’intera vicenda: «Abbiamo aspettato tanto, ma sapevamo che ne valeva la pena».
A questo punto, Ronaldo ha vinto le paure residue. «Non mi fermerò più» dichiara spavaldo. L’allenatore è d’accordo con lui. «Ma davvero credete» spiega l’argentino «che potrei rinunciare a Ronie, al miglior attaccante del mondo?»
Le silenziose frizioni tra i due vengono accantonate. Il Fenomeno scende regolarmente in campo il sabato seguente: per il suo ritorno sulla platea di San Siro, è pronto il sorprendente Chievo. La matricola veneta, guidata da Gigi Del Neri, sta lottando per lo scudetto. Non per caso: Ronaldo aiuta Vieri a siglare la rete del momentaneo pareggio, ma la sfida si chiude con il clamoroso trionfo degli scaligeri. Un 2-1 che fa male agli interisti: che hanno però subito l’opportunità di ripartire. Il campionato offre un turno infrasettimanale: il mercoledì, a Milano arriva l’altra squadra di Verona, l’Hellas di Alberto Malesani.
Alla vigilia, c’è chi pensa che Cuper eviterà la fatica supplementare al brasiliano: forse tanti impegni ravvicinati, per un giocatore che è stato fermo due anni, sono troppi. Invece l’argentino è di diverso avviso: ormai Ronie è pienamente recuperato, ha bisogno di accumulare minuti per rimuovere la ruggine dai muscoli.
Il calcolo è azzeccato: più ancora che a Brescia, contro il Verona gli interisti ritrovano il Ronaldo delle magie antiche. Scatenato, il Fenomeno manda in frantumi la difesa dei gialloblu. Sigla una doppietta con lo stile dei giorni belli. I commentatori sono unanimi: ora più che mai i nerazzurri sono favoriti per lo scudetto, ora che Vieri ha finalmente ritrovato il socio che aspettava.
È un sogno. Un sogno bellissimo: ecco perché il risveglio sarà crudele. Il 23 dicembre, antivigilia di Natale, l’Inter si reca a Piacenza. Penultima giornata di andata, Cuper ha a portata di mano la conquista del platonico titolo d’inverno. Insiste sulla coppia Bobo-Ronie, ci mancherebbe.
Il terreno del «Garilli» è gelato. Si fa fatica a stare in piedi. Ciò nonostante, allo scadere del primo tempo è il Fenomeno a guadagnare il rigore che permette a Vieri di sbloccare il risultato. Nell’azione, Ronaldo sente una fitta ad una coscia.
Al rientro negli spogliatoi, il brasiliano segnala a Cuper il dolore alla gamba. Non chiede esplicitamente di essere sostituito, ma è sicuro che il tecnico gli risparmierà il secondo tempo. L’argentino, in buona fede, la pensa diversamente: i medici gli assicurano che Ronaldo può continuare a mettere paura alla difesa del Piacenza.
Il resto è la cronaca di un disastro evitabile. Ronie si ferma di brutto quando ci sono ancora ventitré minuti da giocare. Alza la mano e si dirige direttamente verso gli spogliatoi. Nemmeno passa dalla panchina. Le sue sensazioni hanno ricevuto la peggiore delle conferme: il motore muscolare si è inceppato. Un’altra volta.
L’Inter a Piacenza si impone 3-2, grazie ad una straordinaria prestazione di Vieri, che azzera i disastri difensivi di Gonzalo Sorondo. Ma perde Ronaldo. Soprattutto, fra Cuper e il Fenomeno salta la tregua.
Due estranei
In realtà, è una guerra a senso unico. L’argentino non si sente assolutamente in conflitto con il brasiliano. «Sarebbe un atteggiamento stupido da parte mia» ribatte Cuper a chi avanza strani sospetti. «Si possono contestare le mie scelte, ma cercare di far credere che non colgo la differenza tra Ronaldo e Kallon è ridicolo.»
È ridicolo, già. Ma la situazione è complicata da quello che Fulvio Bernardini, grande maestro di calcio del Novecento, capace di guidare allo scudetto la Fiorentina nel 1956 e il Bologna nel 1964, aveva chiamato il «complesso dell’infanzia». Molti grandi campioni, aveva spiegato Bernardini, non diventano mai adulti. Nella loro testa, rimangono bambini per sempre. E, come i bambini, hanno un bisogno permanente di coccole. Si circondano inevitabilmente di una corte dei miracoli. Avvertono la necessità dell’adulazione.
Ronaldo non sfugge al paradigma. Il suo talento pedatorio è immenso. Ma la sua visione delle cose della vita è fanciullesca. Cuper ritiene che, sul piano comportamentale, i giocatori siano tutti uguali. «Un atleta» confida un giorno al team-manager Bruno Bartolozzi «si differenzia da un altro solo in due momenti della sua attività: in campo, quando esibisce le sue qualità, e in sede quando firma un contratto. Per il resto, i giocatori debbono essere trattati sempre alla stessa maniera.»
Il concetto è chiaro. Ciò non significa che Cuper li consideri, i giocatori a sua disposizione, identici e intercambiabili a livello tecnico. Eppure, il Fenomeno costruisce castelli. Immagina fantasmi. In lui è scattato un meccanismo contorto. Anche perché chi gli sta accanto getta benzina sul fuoco.
Ronie è accompagnato da una fauna umana variopinta. Bizzarri procuratori. Disinvolti procacciatori d’affari. Gente che si è data una missione: far fruttare la gallina dalle uova d’oro. In tale contesto, l’appuntamento con il mondiale asiatico è imperdibile. Più la scadenza si avvicina, più lucrosi contratti di sponsorizzazione sono a rischio. Se il Fenomeno non riconquista il posto nell’Inter, molti portafogli resteranno vuoti.
E allora, fatalmente, Cuper è il nemico. L’ostacolo da abbattere. Non importano le motivazioni che l’allenatore adduce: persino quando Ronaldo ha una ricaduta per un malanno muscolare a fine gennaio, l’argentino è l’imputato. Ha sbagliato a pretendere che il brasiliano segua il gruppo in un ritiro al sole di Maiorca. Ha sbagliato a sottoporlo a carichi di lavoro eccessivi.
Sono argomentazioni discutibili. Poggiano su una premessa indimostrabile: il presunto malanimo di Cuper nei confronti del campione. Che consolida le sue perplessità: la primavera è dietro l’angolo e l’ipotesi di un rientro in squadra non viene presa in considerazione.
Ronaldo si sfoga ripetutamente con Moratti. Al telefono. E durante gli incontri privati che il petroliere regolarmente gli concede. Il presidente è preso tra due fuochi. Da un lato, capisce le angosce di un calciatore speciale, un giovane uomo verso il quale nutre un affetto paterno. La sua rinascita agonistica è stata una sua scommessa personale: ormai è praticamente vinta, si tratta solo di avere un briciolo di pazienza.
Dall’altro lato, Moratti ha maturato una grande stima per Cuper e per un metodo di lavoro premiato dai risultati. La squadra è stabilmente in lotta per il titolo. Lo spogliatoio è molto unito: nei rari momenti di difficoltà, c’è stato uno sforzo collettivo per accantonare i malumori. Infine, i tifosi vogliono bene all’argentino. Dopo anni di umiliazioni, hanno riscoperto l’orgoglio di essere interisti.
Quando il presidente affronta la delicata questione con il tecnico, riceve immancabilmente una risposta che non ammette repliche. Eccola: sarei un pazzo se, avendo un Ronaldo competitivo a disposizione, non lo schierassi titolare. Nemmeno serve la traduzione dallo spagnolo: evidentemente, per il mister il Fenomeno ancora non è pronto.
Forse i margini per trovare un compromesso ci sarebbero, ma è una variabile indipendente ad innescare la crisi definitiva. Per la fine di marzo, il Brasile ha in programma una partita amichevole contro la Jugoslavia. Nello stesso periodo, l’Inter è attesa da uno scontro diretto presumibilmente decisivo contro la Roma di Totti e Batistuta.
A metà del mese, Scolari dirama le convocazioni. Tra lo sbalordimento generale, il ct della Seleção inserisce nella lista anche Ronaldo. La stampa brasiliana si scatena: come è possibile affidare la maglia della nazionale ad un atleta che da quasi tre mesi nemmeno viene portato in panchina dal suo club?
La risposta di Scolari è serafica. «Ronie mi ha assicurato di essere guarito. Poiché l’Inter non mi permette di controllare la credibilità delle sue affermazioni, ho il dovere di verificare di persona. Se Ronaldo è sano, ci farà vincere il mondiale.»
È una vicenda bizzarra. Anzi, francamente senza precedenti. I nerazzurri, ad Appiano Gentile, preparano la sfida che può assegnare lo scudetto senza contare sul centravanti titolare del Brasile. Nel frangente più delicato della stagione, gli interessi di Ronaldo e di Cuper non coincidono minimamente. Anzi, sono in rotta di collisione.
La partita contro la Roma, l’Inter...