L'amore e il potere
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L'amore e il potere

Da Rachele a Veronica, un secolo di storia italiana

  1. 448 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'amore e il potere

Da Rachele a Veronica, un secolo di storia italiana

Informazioni su questo libro

Ci sono frasi tenere e complimenti ricambiati. Ma ci sono anche incomprensioni, tensioni, matrimoni finiti male, divorzi, annullamenti della Sacra Rota, amanti che hanno avuto un ruolo decisivo nella vita privata e anche nella vita pubblica degli uomini che hanno guidato l'Italia nell'ultimo secolo. Questo libro di Bruno Vespa è assai diverso da tutti gli altri: non racconta i retroscena della politica (che pure non mancano), ma i retroscena dell'anima. Con una serie di vicende finora mai rivelate, o dissepolte da un lungo oblio. Quanti sanno che Mussolini era forse bigamo? Che Umberto di Savoia amò la cantante Milly? Che Francesco Cossiga ha ottenuto, dopo sette anni di istruttoria, l'annullamento del suo matrimonio? Un secolo di storia d'Italia attraverso l'amore. Un ritratto inedito del potere, scritto da Bruno Vespa in presa diretta e con la consueta, avvincente freschezza.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804582205
eBook ISBN
9788852012037
Argomento
Storia
V

Amori democristiani/1
Da De Gasperi a Moro via Fanfani

De Gasperi: “Quando le mie braccia si chiudono attorno al tuo bel corpo…”

Anche i lettori più giovani avranno certamente presente l’immagine di Alcide De Gasperi. Il suo profilo arcigno, la sua bocca senza sorriso, la figura severa dell’uomo che doveva ricostruire un paese distrutto. Anche chi è stato comunista gli riconoscerà meriti infinitamente superiori a quelli di un Palmiro Togliatti e perfino di un Antonio Gramsci, che superò Togliatti di non so quante spanne per limpidezza morale e spirito di sacrificio. Bene, di De Gasperi siamo abituati a ricordare il mezzo busto, dimenticandoci che il suo corpo potesse avere anche una parte inferiore. E, di quel mezzo busto, abbiamo sempre immaginato che il cuore battesse per la Patria, per l’Idea. Che potesse battere per una donna (vedremo che capitò – e con quale ardore, quale tenerezza – anche allo sfortunatissimo Gramsci), chi scrive l’aveva dimenticato, e qualcuno, tra chi legge, mai l’aveva saputo. E meno che mai, idealizzandone la parte superiore del corpo, aveva pensato che pulsasse anche l’inferiore.
Eccone dunque la smentita, datata 28 dicembre 1921: “È l’amore che ci domina, ci unisce, ci fonde in uno. Io ho un grande temperamento fisico e un grande temperamento spirituale. Del primo tu senti la stretta quando le mie braccia si chiudono attorno al tuo bel corpo, del secondo tu hai la sensazione quando ti guardo e quando ti parlo. Ma come t’abbandoni sicura al mio abbraccio, così sento che tu liberamente, da pari a pari, corrispondi al mio impulso spirituale e lo ricambi della tua bontà”.
L’amore di Alcide De Gasperi per Francesca Romani fu un amore adulto e maturo. Quando si sposarono, nel 1922, lui aveva 40 anni, lei 27. Francesca era la seconda di otto figli di un ricco commerciante di Borgo Valsugana, quando il Trentino era ancora sotto l’Austria. Il papà di Francesca girava per l’Europa centrale con un calesse e una grossa pistola per difendersi: commerciava in legno, cotone, grano, ed era il più ricco del paese. Allorché l’imperatore Francesco Giuseppe andò in visita al Borgo, toccò a Francesca portargli i fiori (per la verità, emozionata, glieli gettò tra i piedi), ricevendo in dono un orologio (da uomo) con la firma imperiale. Padre illuminato, Romano Romani mandò a studiare la figlia dalle Dame di Sion: prima al liceo francese di Trento, poi a Nymphenburg, vicino a Monaco di Baviera, dove la ragazza si diplomò anche in pianoforte, e infine a Brighton, vicino a Londra.
De Gasperi era stato meno fortunato. Nacque nel 1881, due anni prima di Mussolini, dieci prima di Gramsci, dodici prima di Togliatti. Figlio di un modesto impiegato della gendarmeria austriaca, era nato anche lui in Trentino, a Pieve Tesino, e aveva studiato al ginnasio vescovile di Trento, dove venivano ammessi anche i ragazzi meritevoli che non potevano pagare la retta. Si laureò in filosofia a 24 anni, nel 1905, dopo essere stato imprigionato insieme con molti compagni e aver perso un semestre di studi: era stato aggredito da studenti pangermanisti che protestavano contro l’apertura di una cattedra di giurisprudenza per italiani a Innsbruck.
Diventato giornalista e poi deputato a 30 anni, De Gasperi incontrò Francesca per la prima volta nel 1915. Lei aveva 21 anni, lui 34. Fu un incontro goffo perché Alcide, che era andato a trovare Pietro, il fratello di Francesca, di cui era vecchio amico, si presentò in casa Romani con un terribile mal di denti. “Ti prego di fare di nuovo le mie più vive scuse alla tua signora Mamma e la signorina sorella” gli scrisse più tardi. “La prima mi avrà perdonato, sono certo, perché è Mamma e la seconda perché milita caritatevolmente nella Croce Rossa…”
Per anni De Gasperi continuò a frequentare casa Romani e a interessarsi a Francesca: una ragazza bella, alta, con il fisico da indossatrice (“Tutti ti trovano bella” le scriverà più tardi). Ma lei non sembrava accorgersene. “Mi resi conto di interessarlo” racconterà molti anni dopo “solo quando per caso sentii mia zia che, in un’altra stanza, diceva a mia madre: Lui le gira attorno e lei non ci fa neppure caso.”
Nel 1921 – Trento era ormai italiana – De Gasperi si presentò alle elezioni come deputato del Partito popolare di Luigi Sturzo e s’impegnò per far eleggere anche l’amico Pietro Romani. Un viaggio elettorale a Cortina tenne insieme per la prima volta Alcide e Francesca, e una gita a Sella fu l’occasione perché lui si dichiarasse. Lei era pronta. “Rimasi colpita dalle sue parole” dirà più tardi “dal suo tono fermo, determinato, da quel suo ragionare semplice e chiaro, lucidissimo, che non accettava compromessi.” Cominciò così uno scambio epistolare intensissimo, durato fino al 1935. Le lettere più belle di lui sono state ripubblicate dalla figlia Maria Romana (Cara Francesca). Quelle di lei sono andate perdute, distrutte da Francesca stessa che le considerava brutte.

E Alcide scrisse: “Il fremito dei miei baci e delle mie carezze…”

Le prime due lettere di De Gasperi dimostrano quanto fosse nobile il suo desiderio di mettere le cose in chiaro con una donna abituata a un tenore di vita piuttosto alto: “Io ricevo 1500 lire al giornale e 1140 circa alla Camera, un totale, quindi, di 2600-2700 lire al mese. Sarebbe un reddito notevole, se si potesse vivere quieti e raccolti a casa propria, ma la mia vita è troppo randagia ed io piuttosto spendereccio. Aggiungi, ad aggravio, ch’io ho l’assoluto dovere di contribuire in una certa parte anche al babbo e a mia sorella, mi vergognerei di lasciare che vi provvedesse totalmente mio fratello, e vedi che non ci sarà molto da ridere. In attivo, invece, c’è che con le mie attitudini posso, se vorrò, guadagnare di più: l’avrei potuto anche finora, ma mi sono tracciato norme di severo disinteresse, perché mi preme sovratutto la valutazione morale e politica. Ora te l’ho detto, ho fatto molta fatica, e scusami. Tu mi hai già risposto, lo so, e farei torto al tuo amore se ti chiedessi altra risposta ancora. Io sono tranquillo che tu condividerai con me le larghezze – se potranno venire – e le strettezze della vita e che in te troverò un sostegno per addolcire qualche preoccupazione che venisse, non un aculeo verso guadagni che potessero turbare la limpidezza della mia vita politica”.
Di analoga, dolce franchezza la lettera che scrisse alla madre di Francesca, chiedendole formalmente la mano della figlia (il padre era morto da tempo), consapevole di un consenso già dato: “La mia carriera è agitata e ricca di contrasti. Francesca lo sa. Accettando di condividere con me le fatiche e le poche soddisfazioni, mi dà tale prova di amore che non mi pare di poter trovare al di fuori di esso miglior garanzia per il comune avvenire”.
Le lettere che De Gasperi scrisse alla fidanzata prima del matrimonio sono ardenti, e non solo di spiritualità. I richiami all’illuminazione cristiana (l’uomo leggeva ogni giorno sant’Agostino e conosceva a memoria la Bibbia, anche se assicurava all’amata di non essere bigotto) si alternano a più terreni tremori: “Francesca, perdona alle mie labbra avidamente tremanti. Un’altra volta mi accontenterò di sentire le tue dolci braccia al collo e di baciarti nello splendore delle tue pupille…”. E ancora: “Ho fede in te, mio amore, e sono felice di amarti. Te le ripeto queste parole, perché ti rievochino il fremito dei miei baci e delle mie carezze e ti suscitino quella corrispondenza di cuore e di senso che unisce i nostri esseri”; “Mi piaci anche nella tua esuberanza di vitalità fisica. Mi piaci… Ma lasciamo stare le altre tue virtù, per non farti arrossire. Senti, amore, ora ci credo proprio che ci sposeremo perché era destino così”.
Francesca era una ragazza bella, ricca, sportiva, di educazione inappuntabile, sensibilmente più giovane del fidanzato. Alcide, come sappiamo, bello non era, né ricco, ma il suo carisma, la sua levatura spirituale, il suo fascino intellettuale l’avevano conquistata. Ciononostante, dalle lettere di De Gasperi traspare talvolta il sottile timore di perdere una sposa così dotata.
Per questo, lo statista ben si adattò a compiacere le esigenze borghesi di Francesca, a cominciare dal matrimonio, celebrato il 14 giugno 1922 nella chiesa di Borgo Valsugana: lui in frac e cilindro, lei in abito crema, impreziosito da un merletto a grandi rose di velluto nero. Il viaggio di nozze fu una favola, soprattutto per quei tempi. De Gasperi era presidente onorario della Società italiana dei grandi alberghi: si può dunque immaginare con quali riguardi la coppia fosse ricevuta all’Hotel de Russie di Roma, all’Excelsior di Napoli, al Quisisana di Capri…
Nelle lettere alla suocera, Alcide fa volentieri l’autoritratto dell’uomo maturo che si adatta felicemente ai piccoli capricci della giovane moglie. A Roma, Francesca andò dal parrucchiere: “Doveva tornare al più tardi alle due. Io siedo quasi solo nella sala da pranzo con una fame da lupo. Passano le due, le due e mezza, le due e tre quarti, le tre. Io mi sento svenire dalla debolezza e lei non viene ancora. Finalmente studio per la centesima volta il menu e mi decido di dire al cameriere con un fil di voce: “Faccia servire, la signora rientra più tardi”. Mi pareva che quasi a risposta mormorasse: “Più che l’amore poté il digiuno”. Infine, alle tre e mezza scoccate, ella arriva tutta ricciuta ma ansante e debole di languidezza viscerale e ordina… il caffè e latte. Perciò, cara mamma, questo è il menu del marito. La moglie, una volta ogni sei mesi (m’ha giurato di non farlo di più), va dal parrucchiere e beve il caffè e latte. L’economia pareggia la spesa”.
Scriveva poco dopo da Napoli: “Bisogna acquistare un paio di guanti perché Francesca li ha perduti chi sa dove. Facciamo la rivista dei negozi di via Toledo con un gran caldo e salvandoci per miracolo dalla carovana delle carrozzelle! Poi ha da comprare l’accappatoio, poi le viene in mente una borsetta per la spugna, poi le salta in testa la cuffia impermeabile, poi mi fa comprare un paio di scarpe. Io le trotto dietro sudato e… beato. Dopo aver messi sotto sopra sette negozi, mi ritrovo finalmente sulla gran via col portafoglio alleggerito e due gran pacchi sotto le braccia…”.
I frequenti riferimenti di De Gasperi al portafoglio confermano la diceria che fosse piuttosto tirato. Venticinque anni dopo il matrimonio, nella buvette di Montecitorio ci fu un vertice tra sparagnini: De Gasperi, presidente del Consiglio, e Luigi Einaudi, suo ministro del Tesoro. Decisero di prendere un caffè, ed Einaudi avvertì l’amico: “Guarda che non ho soldi”. “Non preoccuparti” rispose l’altro “provvedo io.” Quando l’illustre coppia si avvicinò alla cassa, De Gasperi aprì il suo portafoglio e lo trovò inesorabilmente vuoto.

In pelliccia, nel carcere delle Mantellate

Durante la sosta a Capri nel viaggio di nozze, delizie e comiche sofferenze di Alcide raggiunsero l’apice. Francesca pensò bene di visitare la Grotta Azzurra con le scarpe da ballo e decise di arrampicarsi su un tratto di roccia affondando dolorosamente i tacchi sulle generose mani del marito. Salendo al palazzo di Tiberio divorò more e carrube “e mentre io urtando i miei spigoli ossei con la roccia di Capri sentivo le punture e gli strappi, lei invece si rialzava subito, come fosse di gomma, orgogliosa dell’impunità di qualche sua rotondità. Mi consolai pensando: che palla! E che pelle!”.
Ancora da Capri. “Ho visto oggi alla Piccola Marina che sa nuotare, vispa e allegra come un pesce: io stavo a vederla, seduto sullo scoglio delle Sirene, ove per poco Ulisse mancò di perdere il suo equilibrio. Io non lo ritrovo da un pezzo. Poi dal motoscafo ha tirato ai pescecani con un moschetto. Tirava come un landesschütze. Quante virtù nascoste e fattive. Aggiungete che, secondo le assicurazioni sue, sa cucinare i gnocchi. Sono felice…”
Quattro mesi dopo le nozze di De Gasperi, ci fu la “marcia su Roma”. Al contrario di Sturzo, De Gasperi – come tutti i leader dei movimenti moderati – confidò nella possibilità di collaborare con Mussolini, ma dovette ricredersi presto. Nel 1924 Sturzo, costretto all’esilio di Londra, gli cedette la guida del Partito popolare, ma lo scioglimento della Camera lasciò il nuovo leader senza lavoro. Così Alcide si ritirò con la moglie a Trento per dirigere “il nuovo Trentino”, il giornale dei popolari. L’amarezza per l’incalzare di una dittatura che soffocava progressivamente ogni libera voce fu attutita dalla nascita delle prime due figlie, Maria Romana e Lucia (che si farà suora nel 1952), seguite nel 1930 da Cecilia e nel 1933 da Paola.
De Gasperi restò a Trento per due anni, poi scese a Roma, ma il clima era irrespirabile. L’11 marzo 1927, durante un viaggio in treno verso Trieste alla ricerca di un lavoro, la coppia fu fermata alla stazione di Firenze e condotta a Roma. Il segretario del Partito popolare fu condannato a quattro anni, ma tornò in libertà dopo sedici mesi. La moglie restò nel carcere femminile delle Mantellate per undici giorni. Naturalmente, l’unica motivazione per l’arresto (arbitrario) era il fatto che Francesca fosse la moglie di Alcide. Ricordando lei stessa l’episodio in un’intervista concessa a Adele Cambria per “Il Giorno” nel 1985 (quando aveva 91 anni), fece il parallelo con la moglie di Karl Marx, anch’essa arrestata in Belgio per la sua parentela con il pensatore rivoluzionario. La differenza con la signora Marx è che questa restò in prigione soltanto un paio d’ore, lei qualche giorno in più. In compenso, entrambe furono messe in cella con donne di malavita, “che parlavano in un modo che io non avevo mai sentito prima in vita mia”. La signora De Gasperi indossava una pelliccia che le tornò molto utile. Non se la tolse mai, infatti, per proteggersi dal freddo e dalle cimici.
Francesca tacque alle figlie che il padre era stato arrestato. “Non volevo che imparassero a odiare, che si sentissero perseguitate” dirà. Come spesso accade, a comunicare la notizia sgradevole provvide una compagna di scuola di Lucia: “È vero che tuo padre è stato in galera?”. La piccola non ne sapeva niente: “Non è vero” gridò azzuffandosi con la compagna. “Mio padre non è un delinquente.”

“Cara Francesca, perché non fai la mannequin?”

Nella clinica romana in cui fu ospitato nella fase finale della sua prigionia, De Gasperi non perse il buonumore. Il 28 giugno 1928 scriveva alla moglie: “Ho trovato nel “Corriere” questi due importantissimi avvisi: “Importante ditta di Monza cerca corrispondente concetto inglese, francese, tedesco. Referenze, pretese…”. Questo è per me, non ti pare? E ora eccone un altro per te: “Rinascente cerca mannequin taglia 44 alta … Presentarsi etc”. Hai capito? Monza-Milano e viceversa. Si combina magnificamente, amor mio, già penso il giorno che ti rivedrò, con le bambine. Intanto rimettiti bene – sai, la mannequin deve essere carina – che io ti verrò a prendere da Monza, tutte le sere!”.
De Gasperi trovò finalmente un lavoro presso la Santa Sede prima come semplice impiegato della Biblioteca Vaticana (1000 lire al mese), poi come segretario (1900 lire al mese). Quando portò a casa il primo stipendio aumentato, l’accompagnò con una bottiglia di lambrusco. Ma evidentemente l’aveva agitata troppo, perché, stappandola, ne uscì una buona parte.
Trascorsero così quindici lunghissimi anni. “Mio padre” mi dice Cecilia “ci iscrisse alle scuole private perché non voleva che portassimo la divisa fascista, ma non ho mai compreso fino in fondo perché fossimo diverse e perché non potevamo andare al sabato fascista. Vedevo che anche i figli dei nostri amici si comportavano allo stesso modo e quindi non mi meravigliavo più di tanto. Poi capii che erano tutti antifascisti. A differenza nostra, la figlia di Scelba conosceva le barzellette contro il fascismo. Io cantavo Giovinezza e recitavo la vita di Mussolini a memoria. Per farmi smettere mi dicevano che mamma aveva il mal di testa. Sapevo che c’era il re imperatore e noi, che non esponevamo mai la bandiera alle feste fasciste, la tiravamo fuori il giorno del suo compleanno. Poiché io sono nata l’11 novembre, lo stesso giorno di Vittorio Emanuele III, ero convinta che la bandiera fosse esposta per il mio compleanno.”
Dopo l’8 settembre 1943 e l’occupazione tedesca di Roma, la famiglia De Gasperi (come quella di Nenni e di altri illustri antifascisti) dovette trasferirsi all’interno del Laterano, sotto la protezione vaticana. Un giorno Alcide aveva scritto (imprudentemente) su un foglietto alcuni nomi compromettenti e la carta gli cadde dal terrazzo su un tetto sottostante. Se fosse piovuta in strada e finita in mano ai tedeschi, le conseguenze sarebbero state pesanti. Così lui, che pure non doveva essere agilissimo, si calò sul tetto e andò a recuperare il foglietto che si era posato a un passo dalla grondaia, e quindi dal vuoto.
Le vicende del dopoguerra sono più note. De Gasperi fu presidente del Consiglio dal dicembre 1945 al 1953. Restituì dignità internazionale al paese sconfitto e guidò la superba ricostruzione del paese distrutto.

E Francesca esplose contro padre Lombardi

Al contrario di quanto possa far supporre la sua immagine severa, in famiglia De Gasperi era una persona molto piacevole. “Si divertiva, quando era in Valsugana d’estate, a verniciare” ricordava la moglie. “Verniciava e riverniciava le sedie, i tavoli, gli scuri della casa. Dopo, quando è diventato presidente, non ha avuto più tempo.”
In privato, De Gasperi aveva un insospettabile senso dell’umorismo. “Al mattino” raccontava la signora Francesca “era di buon umore, scherzava. Qualche volta, da presidente del Consiglio, si svegliava e, quasi se ne accorgesse in quel momento, mi diceva: oh cielo, sono De Gasperi!”
“L’atmosfera in casa era molto serena” mi dice Maria Romana, la figlia maggiore. “Mia madre rideva spesso, papà sorrideva, ma ricordo anche momenti in cui ha riso fino alle lacrime.” Aggiunge Cecilia: “Ricordo molte risate arrivare dalla loro camera”.
“Abbiamo sempre vissuto con grande semplicità” riprende Maria Romana. “Ci ha molto aiutato in questo senso abitare sempre nella stessa casa, in quella che era via Bonifacio VIII, dietro San Pietro, e oggi si chiama via De Gasperi. Non abbiamo mai visto appartamenti gr...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L’amore e il potere
  4. Premessa
  5. I. Romano e Silvio, Flavia e Veronica. Storie incrociate d’amore e potere
  6. II. Mussolini, il bigamo
  7. III. Due regine: una amatissima, l’altra no
  8. IV. Le mogli della Repubblica
  9. V. Amori democristiani/1. Da De Gasperi a Moro via Fanfani
  10. VI. Amori democristiani/2. Da Andreotti a Forlani via De Mita
  11. VII. Amori socialisti. Da Nenni a Craxi
  12. VIII. Amori comunisti/1. Da Gramsci a Berlinguer via Togliatti
  13. IX. Amori comunisti/2. Da Occhetto a Veltroni via D’Alema e Fassino
  14. X. Amori a sinistra. Da Bertinotti a Rutelli via Marini
  15. XI. Amori a destra. Da Fini a Bossi via Casini
  16. Ringraziamenti
  17. Volumi citati
  18. Copyright