L'ottava vita
eBook - ePub

L'ottava vita

I nostri animali vivono per sempre

  1. 154 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'ottava vita

I nostri animali vivono per sempre

Informazioni su questo libro

Pupina non c'è più, ma la sua presenza si fa continuamente sentire nella vita di Licia Colò. Non si tratta soltanto dei teneri ricordi o dei piccoli oggetti legati al passato vissuto insieme. È qualcosa di impalpabile e legato al presente. Licia comincia a intuire questa realtà quando una coppia si presenta al cancello della sua casa di montagna. Inaspettatamente, anziché domandare di lei, i due chiedono di poter vedere il luogo dove giace Pupina. Possibile che una storia così comune come quella raccontata in Cuore di gatta - si chiede Licia - abbia smosso a tal punto il cuore delle persone? Passa qualche giorno e arriva la risposta: Licia comincia a ricevere centinaia di mail che raccontano storie molto simili alla sua. Inoltre nelle sue giornate fanno capolino una grande quantità di incontri imprevisti, discussioni significative, riflessioni profonde che, alla fine, le fanno scoprire il prezioso "testamento" lasciatole proprio dalla sua amata Pupina e il senso ultimo dell'esistenza degli animali domestici nella vita delle persone.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804590941
eBook ISBN
9788852012334

1
Inizio o fine

Un altro foglio strappato e gettato nel cestino. È tardi, quasi l’una di notte. Purtroppo mi ritrovo sempre a scrivere a notte inoltrata. È un vizio o una necessità, ancora non l’ho capito... Sta di fatto che finisce sempre così. Di giorno mille cose da fare, rai, lavoro, la mia famiglia e soprattutto Liala, mia figlia, mi assorbono completamente. Eppure il tempo lo devo trovare. Molti amici aspettano il prossimo libro, vogliono conoscere il seguito della storia. Ma di che storia sto parlando?
È assurdo forse, ma sembra essere così. La storia c’è da qualche parte, ma non essendo io una scrittrice, non riesco a tirarla fuori. Allora diamoci da fare per trovare almeno l’inizio... Da dove devo partire?
Nei libri importanti, quelli che vendono milioni di copie, si dice che l’inizio sia addirittura metà dell’opera. Deve essere intrigante, misterioso, provocatorio, inquietante... Comunque un inizio forte che ti dia immediatamente la voglia di divorare le pagine seguenti.
In realtà invece mi rendo conto che quest’inizio non c’è... Anzi, istintivamente mi verrebbe voglia di cominciare dalla fine. Ma è mai possibile leggere un libro dal finale?
Sono arrivata alla conclusione di una vita e da lì voglio ripartire. Voglio o devo? Chissà. Certo una ripartenza è doverosa, se non altro per ciò che ho sempre detto che gli animali riescono a insegnarci.
Va bene allora. Ecco l’ennesimo foglio stropicciato finire nel cestino. Eh sì, perché scrivo ancora su bloc-notes e poi, se sono convinta, mi trasferisco al computer. Posso cominciare da qui, da tutti gli inizi sbagliati, perché questa storia, che piaccia o meno, deve iniziare dalla fine del mio rapporto con Pupina.
Dopo la scomparsa di Pupina, la gattina con la quale avevo condiviso quattordici anni di vita, mi ritrovo ancora in vacanza nella mia casa di montagna, in quella terra dagli alberi che accarezzano il cielo e da quel cielo dove le nuvole sembrano correre più velocemente che in qualunque altro luogo.
Nella casa ai piedi di tali montagne, la mia famiglia ha stretto un patto con questi alberi: noi non li toccheremo mai, ma loro devono proteggere la nostra intimità e il nostro desiderio di fuggire da tutto ciò che è routine e corse sfrenate, doveri d’ogni tipo ed eventi mondani.
Gli alberi hanno preso la nostra promessa così seriamente che abbracciano le mura talmente forte da entrare quasi in camera da letto. In particolare un ciliegio selvatico è riuscito a conquistare quasi tutto il patio dove un tempo si mangiava e i suoi rami più indiscreti sono saliti in terrazza.
Ogni tanto vorremmo far finta di non ricordare questa promessa... In fondo sono alberi, non possono dirlo a nessuno, ma poi torniamo sui nostri passi, appagati dalla loro prepotente bellezza e dal rispetto nei confronti della parola data a noi stessi.
Proprio sotto uno di questi re della montagna dorme per sempre la mia Pupina. Ricordo come fosse ieri il giorno del nostro addio. E come ieri ancora mi commuovo provando le stesse emozioni. Io avevo scelto il punto e Alessandro e Gianni, il mio padrino, avevano iniziato a scavare quella buca che sarebbe stata per sempre la culla di quel corpo ormai separato dalla propria anima. Per rimanere in qualche modo unita a lei, l’ultimo saluto glielo avevo dato avvolgendola in un mio maglione, con l’idea che il tepore di quella morbida lana la potesse proteggere per sempre dal gelo della morte.
Poi, la promessa di non dimenticarla mai.
Alessandro era accanto a me, Gianni per delicatezza si era allontanato. Liala, poco più in là, giocava tranquilla in giardino, noncurante di ciò che era successo. Non avevo voluto che assistesse alla scena. Lei doveva continuare a vivere serena nel suo mondo fatto di giochi e di favole, un mondo nel quale la morte non deve avere alcuno spazio.
Per ritrovare sempre il punto dove giaceva Pupina, avevo scelto anche una piccola pianta che in primavera si riempie di fiori e l’avevo innestata quasi direttamente sul suo corpo, affinché un domani lei diventasse un tutt’uno con quei boccioli che sono un continuo inno alla rinascita...
Oggi come allora continuiamo ad andare in Val di Non a Sarnonico, dove le nostre giornate trascorrono serene fra una passeggiata in montagna, un gioco con nostra figlia, un incontro fra amici e un salto a Palazzo Morenberg, dove ogni estate Alessandro organizza delle mostre con le sue pittosculture.
Quante coincidenze nella nostra vita… Anche il legame fra Alessandro e questa terra è particolare. Lui napoletano, con un’arte pregna di sangue campano, proprio in questo paese al confine con l’Austria ha trovato importanti estimatori.
Ogni tanto, come grandi esploratori, ci concediamo qualche gita più lunga e scendiamo a valle, sul lago di Garda o in visita alla splendida Merano, ma ogni volta che rientriamo a casa sia io sia Alessandro sentiamo che è lì che stiamo bene.
Strano comportamento per una persona come me che ha fatto del viaggio attorno al mondo la sua professione, ma alla fine forse è proprio questo il segreto di un vero relax: fuggire da tutto ciò che si fa sempre nella vita...
È stato proprio durante una di queste nostre piccole fughe che ho ricevuto una visita davvero inattesa. Dal momento della morte di Pupina, un anno era volato via impercettibilmente.
Ogni tanto capita che qualcuno, sapendo che ho una casa in quella zona, venga a suonare il campanello, magari per farmi un saluto, chiedere una foto o una dedica per il proprio figlio, o semplicemente per avere conferma che io sia lì: cose che capitano. Ma quella mattina il campanello aveva un suono diverso.
Alessandro e io eravamo fuori e mia madre era al parco giochi con Liala. Gianni era solo in casa e stava mettendo a dimora delle nuove piante. Un po’ scocciato, un po’ incuriosito, ha percorso i cinquanta metri del giardino in salita per arrivare alle due persone che erano al cancello. Si è intrattenuto con loro per alcuni istanti, poi li ha fatti entrare in giardino e li ha accompagnati sotto una pianta. Non hanno chiesto di me e non volevano disturbare, si accontentavano di passare qualche minuto in giardino. Gianni, senza alcun problema, li ha accompagnati, li ha lasciati soli e poi, al momento dei saluti, li ha ricondotti al cancello.
Non sono più tornati e non ne conosco nemmeno i nomi, so solo che al nostro rientro a casa Gianni ci ha raccontato che questa coppia era composta da due musicisti della Scala di Milano. Avevano letto il mio libro Cuore di gatta e ne erano rimasti molto colpiti. Pupina, attraverso le pagine del libro, era arrivata al loro cuore e li aveva più volte commossi. Al punto che, in vacanza in quella terra, volevano vedere anche solo per un attimo dove era stata sepolta. Volevano sapere semplicemente se davvero Pupina era lì, protetta da un abete così alto e forte da sembrare un antico cavaliere a guardia della sua eterna pace. Pupina per loro aveva un valore particolare.
Il corpo della mia gatta non c’era più, ma i sentimenti a cui aveva dato vita stavano piano piano tornando a me sotto diverse spoglie.
Quando Gianni mi ha riferito l’episodio, ne sono rimasta fortemente colpita. Vorrei solo, un giorno, incontrare queste persone per chiedere loro perché e in che cosa la storia d’amore fra me e Pupina è riuscita a conquistarli.
Saprei forse qualcosa di più della forza di un’emozione, un’emozione che dal giorno della scomparsa della mia gatta ha iniziato a presentarsi in maniera sempre più forte attraverso sensazioni che sembravano volermi dire qualcosa, senza però trovare il modo di rivelarsi chiaramente.

2
Angelo o diavolo?

Sapete cosa penso? Che in fondo, la cosa più difficile sia proprio riconoscere certe sensazioni e dare loro una forma o un significato. Insomma, un po’ come quando si dice: “Non so perché, ma ho l’impressione che stia per accadere qualcosa...”, oppure: “Ho la convinzione di aver già vissuto questo momento, o ancora di aver già incontrato questa o quella persona...”.
Ci è sempre stato detto che ci sono cose che capitano a ognuno di noi, che fanno parte di quel tutto che non ci è concesso conoscere pienamente, ma solo intuire. La cosa migliore è conviverci, fantasticarci su senza porsi troppi problemi. Nella mia vita infatti ho sempre fatto così, però poi ho anche cercato, senza dirlo a nessuno, di farmi un po’ guidare dalle sensazioni, e senza scendere in dettagli che magari potrebbero crearmi qualche imbarazzo, devo dire che alla fine raramente mi sono sbagliata...
Anche con Pupina è successo così. Ora però lei non c’era più, e la sua assenza fisica era una realtà dalla quale non potevo prescindere.
In fondo, mi dicevo, se vogliamo essere realistici tutto si dimentica. Tutto passa e si allontana, e presto questo sarebbe accaduto anche a me...
È l’istinto di sopravvivenza che ci permette di continuare nel percorso della nostra vita sperando in altre storie, in altre amicizie, in altri incontri o in altri amori. Con i gatti però, pensandoci bene, nella storia c’erano state molte eccezioni. Era un caso o un preciso messaggio?
Una sera d’estate Alessandro e io eravamo a cena con Francesco Petretti, un mio amico biologo. Come spesso capita, dopo aver parlato un po’ di lavoro, di viaggi e di figli, finimmo a parlare di animali, e io ripensai ai nostri gatti che per certi versi avevano dei comportamenti simili a quelli di molti umani, inclusa la sottoscritta.
Proprio Francesco mi ricordava il valore del gatto nella storia e mi faceva notare che per certi popoli era considerato un animale sacro.
«Capisci, Licia, gli Egizi già quattromila anni fa consideravano sacri i gatti. Inizialmente per opportunismo – perché erano preziosi alleati contro topi e serpenti – poi però vennero loro attribuite proprietà magiche, come la capacità di portare amore e prosperità. Addirittura, da un certo momento in poi, cominciarono a credere che il gatto fosse la reincarnazione della dea Bastet, una dea molto amata, protettrice della nascita, dei bambini e delle donne, ma anche una dea forte e sempre vigile, che di notte si trasformava in un gatto, in grado di proteggere l’uomo dai suoi peggiori nemici grazie alla sua straordinaria vista.»
«Adesso che mi ci fai riflettere...» gli risposi io «potrebbe anche essere vero: lo sguardo di un gatto ha davvero qualcosa di magico. Non so spiegarlo, ma quando uno di loro ti fissa, sembra voler andare oltre ciò che vede. Spesso ho pensato che Pupina volesse trovare un contatto diretto con la mia anima. Non ti è mai capitato?»
«Certo che sì, come credo sia capitato a tutti coloro che hanno a che fare coi gatti! Solo che magari uno non ci fa molta attenzione o semplicemente lo ritiene normale... Ne sono cambiate di cose dal tempo degli Egizi! Se pensi che a quei tempi l’uccisione di un gatto veniva punita con la pena capitale, e che alla loro morte venivano mummificati e sepolti nei templi...»
«Già, e qualcosa di simile mi pare che accadesse anche in Oriente, vero?» intervenne allora Alessandro, che fino a quel momento aveva seguito in silenzio la nostra conversazione.
«Sì, dici bene, Alessandro. Anche qui il gatto era ritenuto di buon auspicio. Quasi sempre veniva raffigurato con la zampa alzata a ricordo di una famosa leggenda» rispose Francesco.
«Non dirmela!» lo interruppi io. «Aspetta, l’ho sentita anch’io! Me la raccontò un mio collaboratore nel corso di un viaggio in Giappone. Un gatto durante una terribile tempesta riuscì a salvare la vita ad alcuni samurai conducendoli al riparo in un santuario. E menomale che il gatto è considerato un animale egoista!»
«Forse egoista ma prezioso... Pensa che per esempio era talmente amato dagli antichi romani – lo consideravano utile e di compagnia – che se lo portavano al seguito delle legioni. È così che è nato il gatto europeo. Lo sapevi che l’imperatore Augusto, ormai vicino alla morte, descriveva la sua gatta come se parlasse di una donna? Insomma fu sempre amato nei tempi antichi. Poi, improvvisamente, fra il 1200 e il 1600 ci fu un violento cambio di rotta.»
«Perché?» lo incalzò Alessandro.
«Il gatto, animale dalle molte facce e dal carattere mai capito fino in fondo, ma soprattutto simbolo pagano, venne condannato dal cristianesimo. L’antico legame con l’immagine femminile fu poi un prezioso pretesto per dare sfogo alla superstizione: si sparse la credenza che le streghe si reincarnavano nei gatti neri. Il culmine della superstizione si toccò in Belgio, con la festa dei gatti di Ypres: per secoli i felini vennero scaraventati giù dalla torre gotica del palazzo comunale...»
«Che ignoranza!» aggiunsi io. «Qualche tempo fa ho visto un documentario proprio su questi argomenti. Ho scoperto che il 24 giugno, la notte di San Giovanni e anche delle streghe, nelle piazze venivano bruciati vivi centinaia di gatti insieme a povere donne accusate di stregoneria.»
«Certo... però gli uomini l’hanno pagata cara, ’sta superstizione. La strage di gatti diede via libera alla proliferazione dei topi e in breve scoppiarono terribili epidemie...» continuò Francesco.
A questo punto intervenne nuovamente Alessandro: «Mentre vi ascoltavo stavo pensando che anche nell’arte, come nella storia, il gatto, più di ogni altra specie, viene raffigurato sotto le vesti più strane. Goya, ad esempio, lo rappresenta spesso, ma sempre con un’immagine negativa. Invece per altri, che so, in Rembrandt, il gatto è visto come figura rassicurante in contrapposizione al male. C’è un bellissimo quadro di Renoir, Bambina col gatto, in cui si celebra il legame affettuoso e intenso tra le due figure. Gauguin invece, nel suo Eiaha Ohipa (Tahitiane nella stanza), mette al centro della scena un bel gatto bianco addormentato, simbolo stesso di grande serenità. Senza dimenticare Leonardo. Lui diceva che ogni più piccolo felino era di per sé un capolavoro... e chi può dargli torto?»
«Già, sta di fatto che il gatto continua a far parlare di sé in un modo o nell’altro. Un po’ di tempo fa ho letto su una rivista medica americana una storia pazzesca che certamente avrete sentito anche voi...» riprese Francesco.
«Quale?»
«A Providence negli Stati Uniti c’è un gatto, Oscar, che vive dentro un ospedale. A sei mesi ha iniziato a seguire i medici durante il giro quotidiano nei reparti. Le infermiere notarono che si soffermava spesso vicino ai malati più gravi e a volte rimaneva accanto a loro inaspettatamente per qualche ora. Quando ciò succedeva, entro breve il ricoverato cessava di vivere...»
«Sì, l’ho letto anch’io, e ne hanno parlato pure i telegiornali. Dicevano che all’inizio si pensava fosse un caso, poi, alla venticinquesima “premonizione”, i medici hanno dovuto accettare che Oscar evidentemente fosse in grado di sentire il sopraggiungere della morte. Incredibile, vero?»
«A volte queste storie mettono inquietudine» aggiunse Alessandro.
«Mi viene in mente un mio viaggio in Nepal, a Pashupatinath» continuai io, «una località sacra agli induisti. Mentre assistevo al funerale di un uomo che bruciava su una pira, notai poco distante una mucca con un nastro al collo. Si trattava di un uomo molto povero, forse un senzafamiglia. In quel particolare momento, l’animale apparve ai miei occhi sotto un aspetto completamente nuovo. Era l’unica compagnia di quell’anima sola e disorientata, e la sua serenità rendeva naturale quel momento drammatico. Forse anche Oscar appariva così a molti parenti che piangevano i propri cari: un aiuto per arrivare in cielo.»
«Conoscete Dick Shawn?» concluse il mio amico. «È un grande uomo di spettacolo, morto sulla scena nel 1987. Una volta disse: “Se fosse possibile dotare i gatti di ali, essi non si accontenterebbero di essere uccelli, sarebbero angeli”.»
Presi dalla nostra conversazione non ci eravamo accorti che si era fatto molto tardi... È sempre così quando si sta bene tra amici, ci si dimentica che il giorno seguente diventa poi faticoso alzarsi per andare al lavoro... Salutammo dunque Francesco e, dopo aver sistemato la cucina alla bell’e meglio, ci abbandonammo a un piacevole sonno ristoratore.

3
In cerca di Pupina

Passavano i giorni, ma la mancanza di Pupina si faceva sentire. Soprattutto nei momenti di difficoltà mi ritrovavo a cercarla, magari anche solo per un istante, il tempo di ricordare che lei non c’era più. Com’era possibile che la sua assenza rimanesse così presente?
Paradossalmente era proprio così: la sua assenza si percepiva in mille situazioni. Lei non c’era più e lei era sempre lì a ricordarmelo.
Forse era giunto il momento, pensavo ogni tanto, di accogliere in casa un altro gatto. Poi però mi convincevo che non doveva essere una mia decisione ma una scelta del destino. Pupina, da lassù, presto mi avrebbe messo sulla strada giusta per aiutare un animale in difficoltà, magari un gatto che avesse qualcosa di lei...
Proprio così, perché Pupina per me è sempre stata una sorta di angelo. Ma non l’angelo in cui molti di noi crediamo, non quello della nostra religione, con le ali, bensì quell’angelo che spesso è rappresentato dal migliore amico, da nostra madre o da nostro padre, da quell’essere che al momento del bisogno c’è, sempre pronto ad allungarti una mano.
Il mio angelo non era spettacolare, non aveva ali, né emanava luce. Non camminava nemmeno eretto. Al contrario si muoveva a quattro zampe e perdeva il pelo sui letti e sul divano. Eppure tutti l’amavamo. Anche nostra figlia Liala aveva instaurato con lei un rapporto speciale.
Quando Pupina ci ha lasciato, Liala aveva meno di un anno.
Che cosa si capisce a quell’età? Poco, dicono i più. E, soprattutto, le persone o gli esseri che ci circondano si dimenticano in fretta. Stranamente con Pupina non è successo così. Sarà che le pareti della nostra casa hanno tante foto della nostra amata, ma certo è che Liala ha sempre avuto ben chiaro chi fosse quella gatt...

Indice dei contenuti

  1. Indice
  2. Per chi...
  3. Prefazione
  4. 1 Inizio o fine
  5. 2 Angelo o diavolo?
  6. 3 In cerca di Pupina
  7. 4 Il mio paradiso
  8. 5 Il destino di Spok
  9. 6 Una catena d’amore
  10. 7 La forza di un’idea
  11. 8 Sentimenti condivisi
  12. 9 La sorpresa di Liala
  13. 10 L’altro Arcobaleno
  14. 11 La casa di Pupina
  15. 12 Il valore di animali e animali e...
  16. 13 La fine di un’avventura
  17. 14 Una festa improvvisata
  18. 15 Una vera storia d’amore
  19. 16 Inviati dal “paradiso”
  20. 17 Un’adozione difficile
  21. 18 La lezione di Pupina
  22. 19 Il saluto di un amico
  23. 20 «Non ti preoccupare mamma»