Il principe e il povero
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Il principe e il povero

  1. 288 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il principe e il povero

Informazioni su questo libro

Nati nello stesso giorno, ma in ambienti assai diversi, il principe Edoardo, futuro re d'Inghilterra, e il povero Tom Canty si assomigliano come due gocce d'acqua. Un giorno i due, per gioco, si scambiano i ruoli, dando inizio a una serie di mirabolanti vicende. Un divertente romanzo storico dell'autore di Tom Sawyer.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804486084
eBook ISBN
9788852010965

1
La nascita del principe e del povero

 
Nell’antica città di Londra, in un certo giorno d’autunno nel secondo quarto del secolo sedicesimo, nacque un figlio maschio e indesiderato a una famiglia povera a nome Canty. Quello stesso giorno, un altro bambino inglese nacque, desiderato, a una famiglia ricca a nome Tudor. Anche l’intera Inghilterra lo desiderava. L’Inghilterra aveva per così lungo tempo anelato a lui, e sperato in lui, e pregato Dio per lui, che ora, essendo egli venuto per davvero, il popolo quasi impazzì di gioia. Persone, che si conoscevano appena, si abbracciarono e si baciarono e piansero. Tutti si concessero una vacanza, nobili e plebei, ricchi e poveri, banchettarono e danzarono e cantarono, e divennero molto espansivi; e in questo modo continuarono, per giorni e notti, tutti insieme.
Durante il giorno Londra era uno spettacolo a vedersi, con allegre bandiere sventolanti da ogni balcone e sui tetti delle case, e cortei fastosi lungo le strade.
Durante la notte, la città era ugualmente uno spettacolo, con i grandi falò a ogni angolo di strada e le turbe dei festeggianti intente a fare baldoria intorno a essi. Non si parlava d’altro, in tutta l’Inghilterra, che del bambino appena venuto al mondo, Edoardo Tudor, Principe di Galles, che, lambito da sete e rasi, dormiva ignaro di tutto questo trambusto, senza sapere, inoltre, di essere curato e sorvegliato da grandi signori e dame altolocate: e infischiandosene, per giunta. Ma non si parlava affatto dell’altro bambino, Tom Canty, avvolto nei suoi poveri stracci, se non nella famiglia povera che egli era appena venuto ad affliggere con la sua presenza.

2
La fanciullezza di Tom

Saltiamo un certo numero di anni.
Londra era una città antica di quindici secoli, e una grande città per quei tempi. Contava centomila abitanti, taluni ritengono il doppio. Le vie erano molto strette, e tortuose, e sudicie, specie nella parte ove abitava Tom Canty, una zona che non distava molto dal Ponte di Londra. Le case, fatte di legno, avevano il primo piano sporgente rispetto al pianterreno e il secondo che mostrava i gomiti più in là del primo. Insomma, quanto più arrivavano in alto, tanto più si allargavano. Consistevano in una struttura di robuste travi intersecate, con materiale solido nel mezzo, rivestito di intonaco. Le travi venivano verniciate di rosso, di blu o di nero, a seconda dei gusti del proprietario, e questo faceva assumere alle abitazioni un aspetto assai pittoresco. Le finestre erano piccole, chiuse da minuscoli vetri a forma di diamante, e si aprivano verso l’esterno su cardini simili a quelli delle porte.
La casa ove abitava il padre di Tom era situata in fondo a un lurido e angusto slargo, nel Vicolo Pudding, chiamato “Cortile dei Rifiuti”. Si trattava di una casa piccola, in rovina e traballante, ma era gremita di famiglie miseramente povere. La tribù di Canty occupava una stanza al secondo piano. Madre e padre riposavano in una sorta di giaciglio nell’angolo; ma Tom, sua nonna e le due sorelle, Bet e Nan, non erano confinati in un letto: disponevano dell’intero pavimento e potevano dormire dove volevano. Esistevano nella stanza i resti di una o due coperte e alcuni fagotti contenenti vecchia e sudicia paglia, ma non li si poteva a buon diritto chiamare letti, poiché non erano disposti in bell’ordine; venivano spostati a calci, così da formare un solo mucchio, ogni mattina, e poi, la sera, ognuno sceglieva a caso dalla catasta il suo.
Bet e Nan avevano quindici anni ed erano gemelle. Si trattava di ragazze di buon cuore, sporche, vestite di stracci e profondamente ignoranti. La madre somigliava a loro due. Ma il padre e la nonna erano diabolici. Si ubriacavano ogni volta che potevano; poi si azzuffavano tra loro, o con chiunque venissero a trovarsi tra i piedi; imprecavano e bestemmiavano continuamente, anche quando non avevano bevuto. John Canty rubava e sua madre mendicava. Erano riusciti a fare delle ragazze e del bambino degli accattoni, ma non a insegnar loro a rubare. Tra l’orribile canaglia che abitava nella casa, ma non facente parte di essa, si trovava un anziano e buon prete, che il re aveva privato di un tetto e di un focolare, conferendogli una pensione di pochi soldi; egli soleva appartarsi con Bet, Nan e Tom, e insegnare loro, di nascosto, la rettitudine. Padre Andrew aveva inoltre insegnato a Tom a leggere e scrivere nonché un po’ di latino, e si sarebbe regolato nello stesso modo con le ragazze, ma esse temevano gli scherni delle amiche, che non avrebbero sopportato in loro talenti così bizzarri.
L’intero Cortile dei Rifiuti era un alveare simile all’alloggio di Canty. Ubriachezza, risse e urli vi regnavano ogni sera e ogni notte, sin quasi all’alba. Le teste rotte costituivano la norma, come la fame, in quel luogo. Ma Tom non si sentiva infelice. Viveva miseramente, però non se ne rendeva conto. La sua esistenza era identica a quella di tutti gli altri ragazzi nel Cortile dei Rifiuti; per conseguenza lui supponeva che questo fosse il modo giusto e piacevole di vivere. Quando, la sera, tornava a casa a mani vuote, sapeva che suo padre avrebbe imprecato con lui per poi picchiarlo, anzitutto, dopodiché l’orribile nonna si sarebbe affrettata a fare altrettanto e di più. Quindi, durante la notte, la mamma, sebbene affamata, si sarebbe avvicinata di nascosto con qualche misero avanzo o qualche crosta di pane messi da parte per il figlioletto, a costo di soffrire la fame ella stessa; sebbene spesso venisse colta sul fatto mentre commetteva questa sorta di tradimento, e picchiata per punizione dal marito.
No, Tom tirava avanti abbastanza bene, specie in estate. Mendicava appena quanto bastava per sopravvivere, in quanto le leggi contro l’accattonaggio erano severe, e le pene gravi; pertanto il bambino trascorreva gran parte del tempo ascoltando le incantevoli antiche storie e leggende del buon Padre Andrew, a proposito di giganti e fate, nani e genietti, castelli incantati e splendidi re e principi.
La mente di lui finì con il colmarsi di queste cose meravigliose; e molte volte, la notte, Tom – mentre giaceva al buio sulla poca e scomoda paglia, stanco, affamato e dolorante per essere stato percosso – sguinzagliava l’immaginazione e dimenticava ben presto lo sconforto e le sofferenze raffigurandosi in modo delizioso la vita incantevole di qualche principe coccolato in un palazzo regale. Dopo un po’ di tempo, un desiderio finì con l’ossessionarlo giorno e notte: voleva vedere un vero principe, con i propri occhi. A volte ne parlava con alcuni compagni del Cortile dei Rifiuti, ma loro lo schernivano e lo deridevano tanto crudelmente che, in ultimo, Tom preferì tenere il sogno per sé.
Leggeva spesso i vecchi libri del prete, e se li faceva spiegare e commentare. A poco a poco, sogni e letture causavano in lui certi cambiamenti. Le persone che sognava erano così belle da indurlo a deplorare i propri stracci e la propria sporcizia, e a desiderare di essere pulito e meglio vestito. Continuava ugualmente a giocare nel fango e a divertirsi; ma, invece di sguazzare qua e là nel Tamigi soltanto per lo spasso, cominciò a trovare nella cosa un’attrattiva in più, in quanto gli consentiva di lavarsi e ripulirsi.
Tom riusciva sempre a trovare qualcosa di nuovo in corso intorno all’Albero di Maggio, a Cheapside, o alle fiere; e, di quando in quando, lui e gli altri abitanti di Londra, avevano modo di assistere a una parata militare allorché qualche celebre sfortunato veniva condotto prigioniero nella Torre, per via di terra o in battello.
In una giornata estiva, vide la povera Anna Askew e tre uomini bruciati vivi sul rogo a Smithfield e udì un ex vescovo tener loro una predica che non lo interessò. Sì, in complesso la vita di Tom era abbastanza variata e piacevole.
Alla lunga, le letture e i sogni di Tom concernenti l’esistenza dei principi esercitarono su di lui un effetto così forte che egli cominciò a comportarsi come un principe, inconsapevolmente. La sua maniera di esprimersi e i suoi modi divennero curiosamente cerimoniosi e cortigianeschi, causando grande ammirazione e divertimento negli amici intimi. L’ascendente di Tom su quei ragazzi finì comunque con il crescere di giorno in giorno, e, in ultimo, essi cominciarono a guardarlo con una sorta di stupito timore reverenziale, quasi egli fosse un essere superiore. Sembrava così istruito! E sapeva fare e dire cose tanto meravigliose! Le frasi di Tom e le prodezze di Tom vennero riferite dai ragazzi ai genitori e anche questi ultimi cominciarono a parlare di Tom Canty e a considerarlo una creatura estremamente dotata e straordinaria. Persone adulte prospettavano a Tom le loro perplessità affinché egli le risolvesse e rimanevano spesso stupite dall’ingegnosità e dalla saggezza dei suoi giudizi. In effetti, il ragazzo era diventato un eroe per tutti coloro che lo conoscevano, tranne i suoi familiari: soltanto questi ultimi non vedevano niente di straordinario in lui.
Privatamente, dopo qualche tempo, Tom organizzò una corte reale! Lui era il principe; i suoi intimi amici recitavano la parte di guardie, ciambellani, scudieri, gentiluomini e dame di compagnia, nonché della stessa famiglia del sovrano. Ogni giorno il falso principe veniva accolto con un complesso cerimoniale che Tom aveva preso in prestito dalle sue letture romantiche; ogni giorno, gli affari importanti del finto regno venivano discussi dal Consiglio reale; e ogni giorno l’immaginaria Sua Altezza emanava decreti concernenti gli inesistenti eserciti, la fantasticata marina e i sognati appartenenti alla famiglia del sovrano.
Dopodiché Tom andava in giro vestito di stracci, mendicava qualche soldino, mangiava una misera crosta di pane, subiva i soliti scapaccioni e rimbrotti, per poi coricarsi sulla sudicia manciata di paglia e ricominciare con le vuote grandezze nei sogni.
Ma il desiderio di vedere, sia pure una sola volta, un vero principe in carne e ossa continuava a crescere in lui, un giorno dopo l’altro, una settimana dopo l’altra, finché, in ultimo, assorbì ogni sua altra aspirazione e divenne l’unica passione della sua vita.
Un giorno di gennaio, durante il solito giro per mendicare, Tom arrancò scoraggiato avanti e indietro nella zona di Mincing Lane e di Little East Cheap, per ore e ore, a piedi nudi e gelato, contemplando le vetrine di una trattoria e anelando ai favolosi pasticci di maiale e ad altri fantastici manicaretti lì esposti; per lui, infatti, si trattava di leccornie adatte agli angeli; lo sembravano, cioè, a giudicare dal profumo, poiché non era mai stato così fortunato da averne e gustarne una. Stava venendo giù una pioggerella gelida; la luce era melmosa; una giornata malinconica. Quella sera, Tom tornò a casa talmente bagnato, e sfinito, e affamato che persino a suo padre e a sua nonna riuscì impossibile notare lo stato pietoso in cui si trovava senza commuoversi... a modo loro; infatti, lo scapaccionarono subito e lo mandarono a letto. Per molto tempo, la sofferenza, la fame, e le imprecazioni e le risse che continuavano nella catapecchia lo tennero desto; ma infine i pensieri di lui fuggirono verso remote e romantiche contrade ed egli si addormentò in compagnia di principini ingioiellati e coperti d’oro che abitavano in vasti palazzi e disponevano di servi, i quali si prosternavano dinanzi a essi, o si precipitavano a eseguire i loro ordini. E poi, come sempre, sognò di essere un principino egli stesso.
Per tutta la notte lo sfarzo della sua condizione regale splendette su di lui: egli si aggirò tra grandi signori e dame, in una vampata di luce, aspirando profumi, ascoltando musica meravigliosa e rispondendo ai rispettosi inchini della folla splendente che si apriva al suo passaggio, ora con un sorriso, ora con un cenno del capo principesco.
E quando si destò, al mattino, e contemplò lo squallore intorno a sé, il sogno ebbe l’effetto consueto: era riuscito a intensificare di mille volte il sordido aspetto di tutto ciò che lo circondava. Vennero allora l’amarezza, e lo strazio, e le lacrime.

3
L’incontro di Tom con il principe

Tom si alzò affamato, e affamato uscì di casa, ma con i pensieri ancora assorti negli splendori illusori dei sogni di quella notte. Vagabondò qua e là per la città, senza quasi accorgersi di dove stava andando né di quel che accadeva intorno a lui. La gente lo urtava e qualcuno lo apostrofò in tono aspro, ma tutto veniva ignorato dal ragazzo calato nelle sue riflessioni. A un certo momento, egli venne a trovarsi a Temple Bar, il punto più lontano da casa che avesse mai raggiunto in quella direzione. Si fermò e rientrò in sé per un momento, poi si abbandonò di nuovo alle fantasticherie e proseguì fuori delle mura di Londra. Lo Strand aveva smesso allora di essere un viottolo di campagna e si considerava una strada, ma si trattava soltanto di una forzatura; infatti, sebbene lungo uno dei suoi lati esistesse una fila di case discretamente compatta, sull’altro sorgevano soltanto pochi e sparsi grandi edifici, e questi ultimi erano palazzi di ricchi nobili, con vasti e splendidi giardini che arrivavano fino al fiume: giardini ormai fittamente occupati da tetre distese di mattoni e pietre.
Tom scoprì, di lì a non molto, Charing Village, e si riposò accanto alla bellissima croce erettavi da un re in lutto dei tempi andati; poi proseguì pigramente lungo una tranquilla e bella strada, accanto al palazzo maestoso del grande cardinale, nella direzione di un palazzo di gran lunga più formidabile e maestoso più avanti: Westminster. Tom contemplò con lieto stupore l’immensa mole in muratura, le estese ali, i minacciosi bastioni e le torrette, l’enorme ingresso in pietra, con il cancello dalle sbarre dorate e il magnifico schieramento di colossali leoni scolpiti nel granito, e tutti gli altri segni e simboli della regalità inglese. Il desiderio dell’anima sua stava forse per essere appagato, finalmente? Quello era davvero il palazzo di un re. Non poteva sperare di vedere un principe, adesso, un principe in carne e ossa, se il cielo lo avesse voluto?
A ciascun lato del cancello dalle sbarre dorate, si trovava una statua vivente, vale a dire un armigero impettito e maestoso e immobile, rinchiuso da capo a piedi in una luccicante corazza d’acciaio. A rispettosa distanza, v’erano molti villici e molti abitanti della città, in attesa di una qualche possibilità di intravedere personaggi regali. Splendide carrozze, con splendide persone all’interno e splendidi servi all’esterno, arrivavano o partivano, infatti, passando per numerosi altri varchi aperti nella cinta regale.
Il povero, piccolo Tom, con i suoi stracci, si avvicinò e stava passando adagio e timidamente davanti alle sentinelle, con il cuore in tumulto e una crescente speranza quando, tutto a un tratto, scorse attraverso le sbarre dorate uno spettacolo che per poco non lo fece gridare di gioia. Là dentro si trovava un avvenente ragazzo, abbronzato dagli sport gagliardi e dal moto all’aria aperta, le cui vesti erano tutte di splendide sete e rasi, scintillanti di pietre preziose; portava al fianco una piccola spada e un pugnale costellati di gemme, calzava eleganti stivali dai tacchi rossi e aveva sul capo uno spavaldo berretto cremisi al quale si incurvavano piume fermate da una grossa gemma splendente. Accanto a lui rimanevano in piedi vari sfarzosi gentiluomini: i suoi servi, certamente. Oh! Si trattava di un principe... di un principe, un principe vivo, un vero principe senza ombra di dubbio, e la preghiera che scaturiva dal cuore del povero ragazzo era stata esaudita, finalmente!
Il respiro di Tom divenne rapido e corto per l’eccitazione ed egli spalancò gli occhi, colmi di stupore e di felicità. Nella sua mente tutto cedette il posto, all’istante, a un unico desiderio: avvicinarsi al principe per potergli rivolgere un lungo e divorante sguardo. Prima ancora di essersi reso conto di quel che faceva, egli venne a trovarsi con la faccia contro le sbarre del cancello. Un attimo dopo, uno dei soldati lo strappò via rudemente e lo scaraventò, piroettante, tra la folla dei villici a bocca aperta e degli oziosi di Londra.
Il soldato disse: «Comportati a modo, piccolo accattone!».
La folla schernì e rise, ma il giovane principe balzò verso il cancello con il viso acceso e gli occhi balenanti di indignazione e gridò: «Come osi maltrattare in quel modo un povero ragazzo? Come osi maltrattare anche il più umile tra i sudditi del Re mio padre? Apri il cancello e fallo entrare!».
Avreste dovuto vedere, allora, la volubile folla scappellarsi! Avreste dovuto udirla applaudire e gridare: «Lunga vita al Principe di Galles!».
I soldati presentarono le armi, vale a dire le alabarde, aprirono il cancello e di nuovo fecero il presentat’arm, mentre il piccolo Principe della Miseria passava, con gli stracci al vento, e andava a stringere la mano del Principe della Sconfinata Abbondanza.
Edoardo Tudor disse: «Hai un’aria stanca e affamata: sei stato maltrattato. Vieni con me».
Una mezza dozzina di gentiluomini del seguito balzò avanti per fare... non so cosa; per intromettersi, senza dubbio. Ma vennero invitati a tenersi in disparte con un gesto molto regale, e si fermarono di colpo ove si trovavano, simili a tante statue. Edoardo condusse Tom in un fastosissimo salone del palazzo che disse essere il suo studio. Per ordine suo venne servito un pasto quale Tom non aveva mai conosciuto prima, tranne che nei libri. Il principe, con principesca delicatezza e sensibilità, congedò i servi affinché l’umile ospite non dovesse essere imbarazzato dalla loro critica presenza; poi sedette lì accanto e pose domande mentre Tom mangiava.
«Qual è il tuo nome, ragazzo?»
«Tom Canty, se a te non spiace, Signore.»
«È un nome strano. Dove abiti?»
«In città, se a te non spiace, Signore. Nel Cortile dei Rifiuti. Vicolo Pudding.»
«Il Cortile dei Rifiuti! Questo è davvero un altro strano nome. Hai i genitori?»
«I genitori li ho, Signore, e ho anche una nonna che non mi è per nulla cara – Dio mi perdoni se commetto un peccato dicendolo – e ho inoltre due sorelle gemelle, Nan e Bet.»
«Allora devo dedurre che tua nonna non è buona con te.»
«Non lo è nemmeno con nessun altro, se non dispiace a Tua Signoria. Ha un cuore malvagio e commette perfidie in ognuno dei suoi giorni.»
«Ti maltratta?»
«Vi sono momenti in cui tiene le mani a posto, quando dorme o ha bevuto troppo; ma, non appena rientra in sé e riesce a pensare di nuovo con chiarezza, si rifà pestandomi ben bene.»
Un’espressione furente apparve negli occhi del piccolo principe, che gridò: «Cosa? Percosse?».
«Oh, sicuro, sì, se non ti dispiace, Signore.»
«Percosse! E tu così debole e piccino! Ascoltami bene, prima che la notte scenda la faremo portare nella Torre. Il Re mio padre...»
«In verità, tu dimentichi, Signore, la sua umile condizione. La Torre è soltanto per i grandi.»
«Vero, infatti. Non ci avevo pensato. Rifletterò sul suo castigo. Tuo padre è buono con te?»
«Non più di nonna Canty, Signore.»
«I padri sono tutti uguali, forse. Il mio non ha l’indole di una pupattola. Colpisce con mano pesante, ma risparmia me; non sempre mi risparmia con la lingua, tuttavia, a dire il vero. E come ti tratta tua madre?»
«È buona, Signore, e non mi causa sofferenze né dolori di sorta. E Nan e Bet le somigliano in questo.»
«Quanti anni hanno?»
«Quindici, se non ti dispiace, Signore.»
«La dama Elisabetta, mia sorella, ne ha quattordici, e la dama Jane Grey, mia cugina, ha la stessa età che ho io, ed è inoltre bella e gentile; ma mia sorella la dama Mary, con la sua aria lugubre e... Senti, tu: le tue sorelle proibiscono forse alle loro cameriere di sorridere, affinché il peccato non distrugga l’anima loro?»
«Le mie sorelle? Oh, credi tu, mio Signore, che abbiano cameriere?»
Il piccolo principe contemplò per un momento, con aria grave, il piccolo povero, poi disse: «E, di grazia, perché no? Chi le aiuta a spogliarsi, la sera? Chi le veste quando si alzano?»
«Nessuno, Signore. Vorresti forse che si togliessero la veste e dormissero senza... come bestie?»
«La veste! Ne hanno una soltanto?»
«Ah, e bravo Signoria, che cosa potrebbe...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Premessa
  3. 1 La nascita del principe e del povero
  4. 2 La fanciullezza di Tom
  5. 3 L’incontro di Tom con il principe
  6. 4 Incominciano i guai del principe
  7. 5 Tom divenuto patrizio
  8. 6 Tom riceve istruzioni
  9. 7 Il primo banchetto regale di Tom
  10. 8 La questione del Sigillo
  11. 9 Il corteo sul fiume
  12. 10 Il principe in trappola
  13. 11 Nel Palazzo Municipale
  14. 12 Il principe e il suo liberatore
  15. 13 La scomparsa del principe
  16. 14 “Le Roi est mort. Vive le Roi!”
  17. 15 Tom Re
  18. 16 Il pranzo di gala
  19. 17 Fufù primo
  20. 18 Il principe con i vagabondi
  21. 19 Il principe con i contadini
  22. 20 Il principe e l’eremita
  23. 21 Hendon giunge in soccorso
  24. 22 Vittima del tradimento
  25. 23 Il principe prigioniero
  26. 24 La fuga
  27. 25 Hendon Hall
  28. 26 Disconosciuto
  29. 27 In prigione
  30. 28 Il sacrificio
  31. 29 A Londra
  32. 30 I progressi di Tom
  33. 31 Il corteo del riconoscimento
  34. 32 Il Giorno dell’Incoronazione
  35. 33 Edoardo Re
  36. 34 Giustizia e ricompensa