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VII
Il «Poète maudit» e la «Princesse romantique»
«La voluttà non è che un lungo singhiozzo, Urania.» Alfred de Musset, il Poète maudit, bello come un dio e corrotto come un demonio, le sedeva accanto nell’ampia sala affollata di ospiti. Era un mercoledì sera. Il salon di Cristina si apriva due volte alla settimana: il sabato, musica; il mercoledì conversazione e letture.
«I vostri versi grondano lacrime» osservò lei. Cristina non amava la poesia, tranne quella di Leopardi che ora si stava adoperando per far tradurre per la prima volta in francese. Preferiva la prosa. Per questo, a Genova, l’avevano ribattezzata «la signora Misopoesia». Musset la chiamava Urania, come la musa delle scienze esatte.
«I miei versi sono i singhiozzi del secolo» ribatté il poeta. «Il solo bene che resta al mondo è quello di avere pianto qualche volta.»
Cristina si divertiva a stuzzicarlo. Musset aveva due anni meno di lei e un passato burrascoso di libertino viziato. Da tempo la circuiva con una corte incalzante e lei lo avrebbe tenuto per dieci anni sul filo, in un lungo tira e molla civettuolo e crudele. Questo era d’altronde il suo comportamento con tutti gli ardenti lions che la consideravano una facile preda. «Con mille astuzie» scriverà Musset nelle sue memorie «mi conduceva per mano sulla soglia del suo giardino segreto. Poi mi chiudeva il cancello in faccia.»
Nobile decaduto, scapestrato e squattrinato, sifilitico, oppiomane, semialcolizzato e, come prescriveva la moda, di salute malferma, Alfred de Musset aveva tutte le caratteristiche del «poeta maledetto». Anche lui era emulo di Byron e aveva subito stretto amicizia con il principe di Belgioioso, diventato suo inseparabile compagno di scorrerie notturne. A diciotto anni era già famoso come poeta e come abituale frequentatore di postriboli. Aveva un debole per le prostitute e per le dame emancipate e un po’ virili. Era stato l’amante di Marie d’Agoult, «la Contessa risplendente», futura compagna di Franz Liszt, ma la sua relazione più clamorosa l’aveva avuta con George Sand.
Quella vicenda, conclusasi l’anno prima, l’aveva lasciato scosso e scornato. I due amanti si erano recati a Venezia per consumarvi una sorta di luna di miele. Nell’incanto della laguna, essi ne dovevano avere combinate di tutti i colori, tanto che una notte Musset era stato colto da una crisi gravissima. La Sand, preoccupata, scrisse a un medico per chiedergli aiuto. Questa lettera sconosciuta (segnalata all’autore dal professor Renzo Mantero, appassionato studioso della Dame de Nohant) è interessante perché inquadra bene lo stato mentale di Musset. Ecco cosa scriveva George Sand nel suo approssimativo italiano: «Io prego Vossignoria de venir piuttosto che potrà a visitare il signore francese dell’albergo Reale. Ma voglio dirle prima che io temo per la sua ragione più che per la sua vita. Da poi ch’egli è ammalato ha la testa debolissima e ragiona come un bambino. È però un uomo di carattere forte – e d’una immaginazione possente – egli è poeta molto ammirato in Francia. Ma l’esaltazione del lavoro di spirito, il vino, le feste, le donne, il gioco l’hanno molto affaticato. Una notte è stato come pazzo, vedeva fantasmi intorno a lui. Adesso è sempre inquieto, piange, si lagna d’un male senza nome e dice che è vicino a morire. Prego Vossignoria di fare tutto il possibile. È la persona che amo il meglio del mondo e sono in grande angoscia».
Il medico convocato si chiamava Pietro Pagello. Egli curò il poeta ma, soprattutto, conquistò la scrittrice. George Sand infatti si innamorò follemente di lui. Pochi giorni dopo scrisse a Musset una crudele lettera in cui, fra l’altro, lo rimproverava anche di non essere stato capace di darle «i piaceri dell’amore» che evidentemente le dava Pagello. Poi partì per Parigi con il suo novello latin lover.
Il salotto di Cristina era diventato in breve tempo uno dei più interessanti di Parigi, sia perché «originale nella bellezza, originale nei gusti, la principessa era una figura unica nel mezzo della società parigina» sia perché l’eterogeneità degli ospiti spesso lo trasformava in una sede di happenings.
Abituati ai noiosi salotti aristocratici in cui convenivano sempre le solite persone e che erano chiusi agli artisti di bassa estrazione sociale, gli ospiti di Cristina avevano modo di trascorrere serate elettrizzanti accanto a persone che, forse, per strada avrebbero accuratamente evitato. Nel suo salon infatti erano accolti con identica cordialità nobili, cospiratori, poeti, diplomatici, sacerdoti, storici e militari senza alcuna distinzione secondo la loro ricchezza o il loro rango. Fu Cristina a lanciare Bellini nel bel mondo parigino, ma va a suo merito anche l’aver ricevuto Liszt prima che questi diventasse l’idolo degli appassionati di musica e il poeta tedesco Heinrich Heine quando ancora non era noto.
Frequentavano la casa di Cristina anche uomini di governo e autorevoli diplomatici. La moglie dell’ambasciatore inglese, lady Granville, era una fan della vivace principessa italiana. Scriveva a un’amica: «Ieri sono stata dalla principessa Belgioioso, è snella, distinta, pallida, occhi grandi come piattini, mani sottilissime, modi nobili e aggraziati, estremamente intelligente e de l’esprit comme un démon».
Curiosamente, era un habitué del salon anche l’ambasciatore d’Austria Apponyi, uomo intelligente che sapeva servire il suo governo retrogrado senza perdere la simpatia dei liberali e che aiutò molto Cristina nelle sue vicende giudiziarie. Meno accomodante era invece suo nipote Rudolf che, pur avendo appena ventitré anni, era un fanatico conservatore, tanto che addirittura si meravigliava perché «non si vedono più splendide carrozze per le vie di Parigi: vanno tutti a piedi per il timore di scandalizzare la gente!». Costui, che evidentemente non si perdeva un invito della Belgioioso, altrimenti non si capirebbe dove abbia raccolto i tanti dettagli a lui noti, traccia un quadro scandalizzato di quei ricevimenti e reputa indispensabile il rimpatrio della principessa perché «altrimenti lei diverrebbe troppo indipendente e potrebbe rimanere a Parigi con tutti quei barbouilleurs de papier [«scribacchini»] che versano sentimenti nei loro romanzi da 25 soldi la pagina».
I barbouilleurs disprezzati dal giovane Apponyi erano Victor Hugo «che si rivolge confidenzialmente alla sua ospite chiamandola belle joyeuse»; Honoré de Balzac «che veste in modo assurdo e ignora le convenzioni sociali» e Alfred de Musset «che puzza di sigaro e osa parlare di fronte all’ambasciatrice della sua relazione con George Sand».
Neppure i comportamenti e le sembianze della padrona di casa incontravano l’approvazione di Rudolf Apponyi. «La principessa di Belgioioso» annota intingendo la penna nel veleno «a parte la sua pretesa di essere una seconda Saffo o una seconda Corinna [con questi nomi si indicavano significativamente George Sand e Madame de Staël], trova piacere ad assomigliare a un fantasma: ha un pallore spettrale, porta turbanti e acconciature di stile insolito, abiti così eccessivamente scollati e singolarmente vaporosi, con drappeggi così bizzarri da far immaginare che un pugnale si nasconda tra le loro pieghe. Gli occhi neri le escono dalla testa. Ero talmente stupito da tutte quelle stravaganze che mi circondavano (Musset teneva i piedi sul tavolo, Liszt portava una camicia di velluto nero senza cravatta, Mignet contemplava con indifferenza la scena) che a stento mi riuscì di avviare una conversazione.»
Ma le sorprese per il giovane aristocratico erano appena agli inizi. Dopo una serata musicale nel salon della Belgioioso annotò fremente nel suo diario: «Ieri sera dalla principessa hanno eseguito il Requiem di Mozart. Questa riunione assomigliava a quella che avrà luogo nella valle di Giosafat: ho visto addirittura l’ex segretario di Robespierre!».
Ma non c’era soltanto il fosco Filippo Buonarroti a godersi i virtuosismi di Liszt al pianoforte. Ben altri sovversivi gli toccò di incontrare: l’avvocato Pellegrino Rossi, «colui che scrisse di suo pugno il famigerato proclama di Rimini che Gioacchino Murat aveva rivolto agli italiani invitandoli a impugnare le armi contro l’Austria», l’esule Niccolò Tommaseo, «il dalmata rinnegato», e Piero Maroncelli: «l’ex ergastolano che ha lasciato una gamba nello Spielberg». Insomma, per Rudolf Apponyi era davvero troppo: «Potete immaginare una simile tolleranza? La sola scusa che posso allegare a favore della principessa è di dire che è pazza». Poi concludeva scrivendo di avere finalmente capito come mai nella buona società parigina la principessa italiana veniva chiamata madame Couperet: couperet è il nome francese della lama della ghigliottina, ossia la mannaia.
Trasferitasi dal quartierino di piazza de la Madeleine, «dove si cuoceva le uova da sola» o con il generale La Fayette nell’elegante villino della zona chic del faubourg Saint-Honoré, Cristina aveva provveduto ad arredare la nuova casa con mobili e quadri antichi che aveva fatto arrivare da Milano. Non aveva badato a spese. Desiderosa come al solito di stupire, ma anche di valorizzare l’arte e lo stile italiani, aveva trasformato il suo alloggio in una residenza di tipo rinascimentale che per Parigi rappresentava una novità. Le pareti della sala erano tappezzate di velluto nero disseminato di stelle d’argento, e anche i mobili e i divani erano coperti di stoffe e damaschi di colore scuro. La camera da letto era invece interamente tappezzata di seta bianca, il letto a baldacchino era ornato d’argento opaco e d’argento erano pure i candelabri e la pendola sul caminetto. Per aumentare l’effetto, davanti alla camera stazionava un negro erculeo con un grande turbante che sembrava messo apposta per fare la guardia al tempio di una vergine. In un angolo c’era il narghilè, che Cristina da tempo aveva imparato a fumare.
Scuro il legno, come anche il colore dei drappeggi e delle copertine di cuoio dei molti libri, severe nella penombra le immagini dei preziosi dipinti del Rinascimento, l’insieme non doveva certamente avere un aspetto allegro. Ma questo era ciò che Cristina desiderava, pare, per fare meglio risaltare il suo pallore quasi spettrale che accentuava vestendosi sempre di bianco.
Il pallore andava molto di moda nella società romantica. «La pâleur» scriveva George Sand «divinise la beauté des femmes et ennoblit la jeunesse des hommes...» E la pâleur eccezionale della principessa italiana divenne celebre a Parigi, nonché motivo di tante malignità. Effettivamente, il pallore marmoreo di Cristina era impressionante. Di sera assumeva addirittura una sfumatura azzurrina e si diceva che ciò fosse dovuto all’effetto di droghe. Per l’esattezza della datura stramonium, un veleno che lei pare assumesse in piccole dosi per curarsi contro i suoi mali. Cristina, infatti, soffriva periodicamente di dolori atroci che cercava di lenire con pericolosi calmanti. In seguito farà uso anche di oppio e di morfina.
Fosse per la pâleur, per il suo appartamento inconsueto o per i suoi ricevimenti anticonformisti, Cristina era ormai a Parigi oggetto di grande curiosità. Tutto quello che faceva o diceva veniva riferito e deformato dai supplementi mondani dei giornali. Era insomma diventata una donna à la page, forse la dama più invidiata e chiacchierata di Parigi. Non mancano, di conseguenza, commenti particolarmente maligni dedicati alla sua persona e alla sua residenza. A proposito del suo pallore, in una nota di cronaca mondana si legge che «una sera la principessa entrando in un salotto dove si faceva musica, si arrestò immobile sulla soglia per non disturbare il cantante. Il suo vestito di seta bianco, i suoi gioielli di giada, la sua immobilità e soprattutto il suo pallore di marmo con il quale gli occhi e la chioma di un nero intenso formavano uno strano contrasto, davano l’impressione di un bel fantasma. Qualcuno mormorò: “Com’è bella!”. E un altro ribatté: “Sì. Doveva essere proprio bella quando era viva”».
Assai più velenosa è invece una descrizione fatta dalla contessa Marie d’Agoult, nemica dichiarata di Cristina: «Mai una donna seppe esercitare l’arte dell’effetto quanto la principessa di Belgioioso. Lo cercava, lo trovava in tutto: oggi in un negro e nella teologia; domani in un arabo ch’essa si caricava sulla sua vettura per fare strabiliare i passanti nel Bois de Boulogne; ieri nelle cospirazioni, nell’esilio, nei gusci d’uovo delle frittate ch’ella stessa cucinava quando le piaceva farsi credere rovinata. Pallida, magra, ossuta, con gli occhi fiammeggianti, ella giocava agli effetti di spettro e di fantasma. Volentieri accreditava certe voci che per maggiore effetto le mettevano in mano la coppa avvelenata e il pugnale dei tradimenti italiani alla corte dei Borgia».
Se la notorietà di un personaggio si può valutare dall’importanza dei suoi denigratori, Cristina non ha certo di che lamentarsi. I più celebri scrittori dell’epoca, oltre a sceglierla come modello per i loro romanzi, intinsero la penna per criticare o per esaltare le sue qualità. Théophile Gautier, massimo esponente del romanticismo, dopo che la bellezza di Cristina era stata esaltata da Henri Lehmann in un famoso quadro che venne esposto al Louvre, le dedicò, indicandola come la Marquise romantique, una velenosissima caricatura. «Vi sarà indubbiamente capitato» scrisse Gautier «di incontrare da qualche parte quella famosa intellettuale nota come la Marquise romantique. È bella; lo dicono i pittori. Anzi, non si sbagliano, poiché è bella alla maniera di un quadro antico. Sebbene giovane, sembra coperta da una vernice giallastra e cammina come fosse dentro una cornice. Il suo appartamento è una serie di catafalchi e sembra essere stato arredato da un impresario di pompe funebri. Crocifissi, acquasantiere, bibbie in folio, teschi, pugnali costellano quell’amabile interno. L’evocazione di una catacomba è intesa a mettere in risalto le guance ceree e gli occhi bistrati della signora dell’alloggio: lei non lo abita, vi si aggira... Non crediate, dopo questo inizio funereo, che il vostro amico sia finito in preda di qualche spettro. La marchesa, alla fin fine, è anche una bella donna. Sarebbe semplicemente pallida se invece che di bianco si vestisse di rosso. Ha mani splendide e aristocratiche, un po’ troppo magre, un po’ troppo delicate, sovraccariche di anelli bizzarri e il suo piede non è più grande della sua scarpa, cosa rara in verità! Ella è perfino, in qualche modo, una donna di buona compagnia. Ebbi la sfortuna di affascinarla. Mi arrivò uno sbuffo di letteratura nascosta e guardai l’orlo della veste di lei per vedere se qualche sfumatura azzurra non alterasse il candore delle sue calze. Detesto le donne che fanno il bagno nell’inchiostro blu. Ahimè! Era peggio di una letterata di professione. La marchesa contempla romanzi didattici, poesia sociale, trattati umanitari, e sui suoi tavoli e sedie si vedono tomi solenni con le orecchie alle pagine nei punti più noiosi...»
Per la cronaca, Théophile Gautier non mise mai piede nella casa di Cristina, non fu mai presentato alla principessa e raccolse il materiale per la sua opera dalle confidenze della sua amica Marie d’Agoult.
La causa dell’inimicizia fra la «Contessa risplendente», come veniva definita la d’Agoult, e la Marquise romantique era Franz Liszt. Il celebre pianista ungherese era infatti l’amante di Marie d’Agoult, ma era anche innamorato perso di Cristina. La quale, come Musset e come tanti altri, lo tenne sulla «soglia del suo giardino segreto» senza mai concedergli nulla di più di un rapporto affettuoso ed effervescente.
Liszt era il classico artista geniale e dissennato. Ungherese, nato nel 1811 e quindi di tre anni più giovane di Cristina, aveva raggiunto a Parigi un successo strepitoso. Ora guadagnava somme favolose che spendeva con grande facilità. Finché aveva denaro non lavorava e solo quando il suo fido segretario Belloni lo avvertiva che la cassa era vuota, partiva in tournée (tutti i teatri d’Europa se lo contendevano) per poi tornare a Parigi e ricominciare daccapo. Le donne lo adoravano e lui non si faceva certo pregare. Per amor suo, la contessa d’Agoult aveva abbandonato il marito e i figli. Ora vivevano maritalmente; avranno anche due figlie, una delle quali, Cosima, sposerà Richard Wagner. George Sand era amica di Liszt e forse era stata sua amante. Con Marie d’Agoult, Liszt era spesso ospite della scrittrice nella casa di quest’ultima a Nohant. Inutile dire che su questo singolare rapporto a tre si favoleggiava. Essi vivevano spesso insieme anche a Parigi, dove alloggiavano all’Hotel de France. Il loro comportamento era un’aperta sfida alle convenzioni sociali anche se, nella capitale francese, queste ultime erano alquanto allentate. Intorno a Liszt e alle due dame si era formato un circolo di amici che frequentavano anche il salotto della Belgioioso, ma non risulta che Cristina e George Sand si frequentassero. Anzi, benché avessero molti amici in comune (Liszt, Musset, Heine, Poerio, Tommaseo e tanti altri) pare che le due donne neppure si conoscessero. Il che è alquanto strano, visto che entrambe scrivevano e parlavano bene l’una dell’altra. Eppure, dagli archivi della principessa non emerge alcuna prova della loro presunta amicizia, tanto che si ricava l’impressione che le testimonianze in merito siano state opportunamente cancellate.
D’altra parte Cristina che, malgrado il suo manifesto anticonformismo fu sempre ossessionata dalla rispettabilità, sapeva che le dame che frequentavano l’Hotel de France difficilmente salvavano la loro reputazione dalle illazioni che era facile trarne. Aldobrandino Malvezzi, autorevole biografo di Cristina ma sempre attento a sfumare gli argomenti più delicati, si limita a osservare che la Belgioioso, anche se non ...