Quando accesero le candele profumate alla lavanda, Pam capì che quello decisamente non era posto per lei.
La serata era cominciata male da subito. Martina le aveva aperto la porta, squadrandola da capo a piedi, mentre Valentina faceva capolino alle sue spalle.
«Guarda che non è una festa in maschera» le aveva detto con una risata di scherno.
Pam aveva bofonchiato qualcosa, ma non era riuscita a impedirsi di arrossire. Eppure le sembrava di essersi contenuta nell’abbigliamento: pantaloni di pelle neri infilati in pesanti anfibi borchiati e camicetta con le maniche a sbuffo di organza, stretta in un corpetto con le stecche di un bel rosso vivo. Alle mani portava i suoi adorati mezzi guanti di pizzo. Occhi bistrati e un orecchino nero al naso completavano il look. Niente di estremo, in fondo. Eppure sapeva che i suoi gusti dark non erano particolarmente apprezzati presso il liceo per figli di papà in cui aveva avuto la sfortuna di capitare.
Le cose non erano migliorate quando la festa di Halloween era iniziata. Non solo le era toccato sentire commenti acidi sugli Opeth – “Cos’è questa roba? Il cantante sta per caso vomitando?” – ma si era pure dovuta sorbire una mielosissima musica melodica, seguita da una serie di trite leggende metropolitane, sortite con il pretesto di raccontarsi storie dell’orrore.
Infine era arrivato il classico: la seduta spiritica. Martina aveva tirato fuori le candele “per fare atmosfera”, candele profuma ambiente alla lavanda, appunto. Decisamente in atmosfera.
Pam si chiese chi gliel’avesse fatto fare di partecipare a quella stupida festa. La risposta le balenò in mente prima ancora di aver finito la domanda. Da una parte c’era sua madre, che aveva insistito allo sfinimento: “Può essere l’occasione per fare amicizia!” le aveva detto. Dall’altra… dall’altra, si vergognava ad ammetterlo, ma quando Martina l’aveva invitata, aveva sentito il cuore fare una capriola. In un anno e rotti di scuola non aveva fatto amicizia con nessuno e si sentiva evitata come la peste. Cercava di dirsi che non le interessava, che stava bene anche da sola, ma ogni tanto avvertiva un disperato bisogno di essere come tutti gli altri. Una sera da normale, una volta nella vita, se la meritava. Chissà, magari i suoi compagni erano meno orribili di come le apparivano in classe, a frequentarli fuori.
Ci aveva creduto, povera scema, ci aveva creduto davvero… E invece, come sempre, avevano cominciato a rivolgerle la parola solo per prenderla in giro. Sull’abbigliamento, soprattutto. E lei si era chiusa a riccio. Il solito copione.
“Ma perché mi hanno invitata?” si chiese appoggiando la guancia alla mano. Il foglio con le lettere dell’alfabeto era già pronto sul tavolo, lì davanti a lei, e qualcuno aveva tirato fuori una moneta da due euro. Tutti ci avevano messo un indice sopra.
Era la versione fai-da-te della tavoletta ouija: si evocava uno spirito, gli si facevano delle domande, e quello “muoveva” la moneta, portandola sulle varie lettere dell’alfabeto fino a formare la risposta.
«E tu, Torrisi, non ce lo metti il dito?» disse Massimiliano.
Pam arrossì. Massimiliano era il bello della classe e, in quanto tale, era accoppiato con la bella, Martina per l’appunto. Il cervello di Pam, però, sembrava non aver afferrato fino in fondo le implicazioni della cosa e continuava a fantasticare intorno ai riccioli del ragazzo, ai suoi occhi azzurri e a quella sua espressione sfrontata che le faceva sciogliere qualcosa all’altezza dello stomaco. Mise anche lei il dito sulla moneta, e cominciarono. La prima proposta fu Amy Winehouse, che nessuno conosceva fino a due estati prima, quando era morta ed era improvvisamente diventata il mito di tutti. A Pam, che la seguiva da sempre e si era davvero dispiaciuta per la sua scomparsa, sembrava una mancanza di rispetto quello stupido gioco, ma voleva davvero essere come tutti quella sera. Così non commentò e tenne il dito sulla moneta, esattamente come gli altri. L’idea di Amy Winehouse fu scartata e si passò a qualche altro personaggio famoso, finché Valentina non ebbe la pensata: «Evochiamo Pina! Quella, con tutta la roba che ci ha sequestrato negli anni, starà sicuramente bruciando all’inferno.»
La battuta fu seguita da un coro di risate, ma Pam rimase impassibile. «Pina no, dai…» disse timidamente.
Un silenzio gelido scese nella stanza. Tutti la fissavano.
Pam si strinse nelle spalle. Lei era l’unica della scuola ad aver provato simpatia per Pina, la bidella. Aveva un carattere schivo e ombroso, ed era estremamente severa. Sembrava prendere il suo lavoro più sul serio di molti professori, e riprendeva di frequente gli studenti, spesso sequestrando sigarette e oggetti proibiti. Tutti la odiavano, a eccezione di Pam, cui, manco a dirlo, andava molto a genio. Le piaceva la passione che infondeva nel suo lavoro e che traspariva da ogni sua azione. Era chiaro che riteneva di avere un ruolo nell’educazione di quegli scalmanati. Passava lo straccio senza mai lamentarsi, come se stesse pulendo il pavimento di casa sua, e rispettava l’edificio scolastico come fosse di sua proprietà. Pam a volte le faceva compagnia a ricreazione. Ogni tanto le offriva una fetta di ciambellone, quello fatto da sua madre. Pina arrossiva, provava a rifiutare e infine accettava con un bellissimo sorriso. Non parlavano molto, ma si facevano compagnia in un modo strano, silenzioso e profondo. Poi, a metà dell’anno scolastico precedente, era morta. Infarto. Improvviso e fulminante. Una morte solitaria e passata quasi inosservata. Non per Pam, che ancora adesso, quando entrava a scuola, gettava sempre uno sguardo alla cattedra su cui Pina era solita sedersi, e provava una fitta al cuore.
«Torrisi, come sei noiosa…» fece Martina. «Ah, scusa, tu eri sua amica, o sbaglio?» Tutti annuirono vigorosamente, tra risatine sommesse. Pam contrasse la mascella. «Non ti va di fare due chiacchiere con lei su come si passa lo straccio all’inferno? Continuerà ad asciugarsi, con tutto quel caldo…»
Le risate si fecero piene e fragorose.
Pam arrossì di nuovo e staccò il dito dalla moneta. «Non mi piace più questo gioco» disse piano.
«Torrisi noiosa, Torrisi noiosa!» attaccò il coro.
Martina lo mise a tacere con un gesto delle mani. Era brava a catturare l’attenzione, una dote che Pam le invidiava molto. «Adesso te lo do io un gioco che ti piace» disse sorridendo maliziosa. Si alzò e tornò dopo qualche minuto con un piccolo oggetto stretto tra le mani. Pam capì cos’era solo quando lo posò sul foglio con le lettere, alla luce delle candele.
Si trattava di un piccolo scrigno di pietra, decorato da rozzi fregi floreali. Le incisioni erano state riempite con un materiale colorato, sembrava pasta di vetro azzurra che il tempo aveva reso del tutto opaca. Doveva essere molto antico.
«L’ha comprato mia madre domenica scorsa a Porta Portese. Ce l’aveva una zingara» iniziò Martina. Tutti si fecero più vicini per osservare meglio. «Pare che questa scatola risalga addirittura all’antico Egitto e che sia magica. Nessuno è mai riuscito ad aprirla. Almeno così ha detto quella donna.»
«Figo… chissà cosa ci sarà dentro» commentò Greta.
«Già» disse Martina. Percorse con lo sguardo il piccolo uditorio, poi piantò i gelidi occhi azzurri in quelli di Pam. C’era qualcosa di cattivo, in quegli occhi. «Visto che a quanto pare questo genere di roba non ti fa paura, perché non la apri tu, Torrisi?»
Pam sentì il cuore in gola. Forse era la luce delle candele, o forse il racconto sinistro di Martina, ma aveva un brutto presentimento. C’era qualcosa di sbagliato in quello scrigno.
«Non mi sembra fatta per essere aperta…» mormorò.
Martina scoppiò in una sonora risata, seguita da tutti gli altri. «Cos’è? Non ti piace neppure questo gioco, o sotto sotto sei una stupida fifona?»
«Non è questo… Dico solo che la scatola è molto antica e potrebbe rovinarsi.»
«Fifona» sibilò Martina.
«No, io…»
«Fifona, fifona!» fecero eco gli altri.
Pam guardava alternativamente la scatola e i compagni, indecisa sul da farsi. La razionalità le diceva che si trattava di uno stupidissimo oggetto, roba da tombaroli forse, ma certo nulla di cui aver paura; eppure il suo cuore sembrava pensarla in modo diverso. Quella parola, però, “fifona”, le rimbombava ossessivamente nelle orecchie.
«E va bene!» sbottò alla fine, prendendo la scatola. La sentì innaturalmente fredda al tatto, e l’inquietudine che le aveva trasmesso al primo sguardo si fece angoscia. Era come se una voce dall’inconscio la implorasse di non aprirla.
“Non volevi una serata da ragazza normale? Allora apri questa maledetta scatola e falla finita” si disse.
Prese un bel respiro. La luce, chissà perché, sembrava più fioca. Forse qualche candela si era esaurita.
Appoggiò la mano sul coperchio e fu come se una scossa le attraversasse le dita.
“Suggestione” pensò.
Strinse il bordo e fece forza, cercando di sollevarlo, ma quello non si mosse. La scatola sembrava chiusa da un’eternità, tanto che il coperchio si era saldato al resto.
«Non sei neanche capace di aprirla» la sfidò Martina.
Pam aumentò la pressione, mentre un velo di sudore le imperlava la fronte. Un ultimo sforzo, e la scatola si aprì con uno scatto.
Fu in quell’esatto istante che le luci si spensero e la stanza precipitò nel buio. Dall’oscurità emerse una figura che lasciò Pam senza fiato: due enormi ali nere si spalancarono davanti ai suoi occhi, e un volto emerse dal nulla. Un volto meraviglioso, bellissimo e crudele. Un terrore cieco l’afferrò alla gola, e si sentì perduta, come se qualcosa di irreparabile fosse accaduto e la Morte in persona fosse entrata nella stanza.
Fu allora che udì un grido e avvertì una folata di aria gelida colpirle la guancia destra. Si voltò e vide un baluginare di canini candidi bagnati di sangue.
Strillò scattando in piedi, mentre la scatola cadeva a terra.
Le luci si riaccesero di colpo. Tutti ridevano, tenendosi la pancia per il divertimento. Pam rimase senza parole: alla sua destra, scosso dalle risate, c’era Massimiliano, con indosso un mantello e un paio di finti canini da vampiro in mano. Uno scherzo. Uno stupido scherzo.
«Torrisi, sei uno spasso!» disse Martina non appena riuscì a smettere di ridere.
«È successo qualcosa…» mormorò Pam. «Non dovevamo aprirla…»
Le risate si spensero piano.
«Che stai dicendo?» chiese Martina con un mezzo sorriso.
«Ho visto qualcosa quando ho aperto la scatola… È successo qualcosa!» insistette lei, sull’orlo delle lacrime.
Gli altri scoppiarono di nuovo a ridere.
«Ma piantala! Non vedi che è vuota?» disse Martina. «Mi sa che la userò per metterci gli orecchini.»
Pam guardò il cofanetto, ma continuava ad averne una paura irrazionale.
«Che ti credevi, che era Pina tornata dall’oltretomba?» intervenne Valentina. «Magari le è rimasta sullo stomaco l’ultima fetta di ciambellone che le hai dato e non trova pace.»
Pam arrossì fino alla radice dei capelli, mentre le risate si facevano sempre più fragorose. Senza dire una parola scappò in bagno. Aveva bisogno di stare da sola e calmarsi.
Si chiuse dentro, aprì il rubinetto dell’acqua fredda e si bagnò il viso.
“Ma che cavolo ti prende? Era solo uno scherzo…”
Si guardò allo specchio. I suoi occhi verdi, resi più grandi dal trucco, erano colmi di paura. Aveva visto davvero quelle ali nere, quel volto bellissimo. Scosse la testa, cercando di scacciare il ricordo della visione. Come aveva po...