La mattina dopo, il dott. Amendola si svegliò con la testa pesante e con un ricordo soltanto vago di quanto avesse fatto – o meglio tentato di fare – la sera prima.
Ma si sforzò di alzarsi presto. Il volo AZ 681 per Roma Fiumicino partiva alle 13.35. Prima però voleva andare alla Boca, il quartiere del porto, con le sue casette colorate, dove una volta restavano in quarantena gli emigranti appena sbarcati. E poi alla Boca c’era la Bombonera. Non poteva non vedere lo stadio dell’infuocatissimo derby Boca Juniors-River Plate, il campo dove era nato il mito di Diego Armando Maradona. Era il minimo, visto che non riusciva ad andare a Bahia Blanca (550 chilometri dalla capitale!) per omaggiare la grande statua del Pibe de oro (alta 3 metri!).
La visita al Museo Boquense lo interessò. Era ben organizzato, con molti percorsi multimediali per rivivere i momenti più gloriosi della storia del Boca Juniors. E poi lo spazio dedicato agli “idoli eterni”: Varallo, Cherro, Sarlanga, Gatti58... e finalmente Maradona.
Ma quando il dott. Amendola uscì dalla Bombonera, gli risalì immediata la paura di volare. Così in taxi si prese mezzo Tavor. E un’altra metà all’arrivo in aeroporto.
Il dott. Amendola era nervoso. Ma non era nervoso solo per il viaggio che lo attendeva. In fondo, la sua prima volta, nel tragitto da Roma, era andata meglio del previsto. Se non addirittura bene.
Ad agitarlo davvero erano i pensieri sui troppi eventi inaspettati degli ultimi giorni. Ripensava confusamente a Carmine, a Lucia, a Mirella. Troppe cose nuove, tutte insieme. La sua vita all’improvviso non era più rigidamente sotto controllo. Il pesante guscio in cui il dott. Amendola aveva rinchiuso Ciro cominciava seriamente a incrinarsi. Continuavano ad aprirsi tutta una serie di preoccupanti crepe.
Il dott. Amendola, seduto in attesa dell’imbarco, scaricava il suo nervosismo sulla scatola del Tavor, stropicciandola e passandosela da una mano all’altra...
A un certo punto lo sguardo gli cadde sulla copertina della rivista “Ulisse” dell’Alitalia, poggiata sul tavolino accanto a lui. Il fascicolo era dedicato alla maratona di New York e aveva in copertina la multicolore foto della partenza, con migliaia di corridori stipati sul ponte di Verrazzano.
Nella mente del dott. Amendola tornarono per un attimo le immagini di Ciro che correva sul lungomare di Napoli, negli anni dell’università. Anni di studio, di sport, di speranze. Anche prima di Mirella. Anni di vita vera. Di ottimismo, di grandi aspettative. Anni di Ciro. Senza la cappa del dott. Amendola.
Seduto all’aeroporto di Buenos Aires il dott. Amendola sognava a occhi aperti – lui che non sognava mai – i fantasiosi sviluppi della vita che non fu. Che, forse, sarebbe potuta essere. Che, forse, sarebbe stata.
Tutti questi pensieri lo distolsero dalla nervosa attesa del volo in partenza.
La scatola del Tavor venne lasciata in pace sul tavolino. Il dott. Amendola si mise a leggere le pagine sulla maratona di New York. Per un attimo pensò che se la vita di Ciro e Mirella fosse andata come doveva, forse anche lui sarebbe andato a correre a New York. Con Mirella che lo attendeva al traguardo...
Tutti questi pseudo-sogni venivano alimentati dalla lettura del racconto della gara fatto da un maratoneta. Uno degli oltre 2000 podisti italiani che ogni anno affrontano la gara. Maurizio B. Di Nocera Inferiore. Quasi un paesano!
Scriveva Maurizio:
Il primo problema del maratoneta che va a New York è la scelta dell’albergo. New York non è una maratona a circuito, ma una maratona che attraversa la città. Parte da Staten Island e arriva a Central Park. L’albergo lo prendi accanto alla partenza o a Manhattan? I maratoneti stranieri preferiscono essere più comodi all’arrivo, per riposarsi subito, così scelgono Manhattan. Ma questo comporta un bel problema per la sveglia del giorno della partenza. La maratona parte con un colpo di cannone alle 9.40. Ma la ferrea organizzazione statunitense vuole che tutti i 50.000 atleti siano al punto di partenza già alle 7! Dato che da Manhattan alla partenza ci vuole una buona ora, si tratta di muoversi almeno alle 5.45. Il che significa svegliarsi almeno alle 4.30, visto che il maratoneta vuole prepararsi con calma. Così, quando la maratona parte, tu sei sveglio da almeno 5 ore, con una bella stanchezza già addosso. Senza considerare il fuso orario.
Ma la partenza ti elettrizza. Ti trovi circondato da centinaia di sconosciuti, tutti con la tua stessa passione, tutti che si sono allenati per mesi (con sveglie all’alba e domeniche rubate alla famiglia). Tutti emozionati, tutti pronti al colpo di cannone e alla voce di Liza Minnelli che canta New York New York per accompagnare la partenza.
“È proprio vero” pensava il dott. Amendola, “ogni disciplina, ogni ambiente, ha una sua complessa serie di regole e di riti del tutto sconosciuti a chi ne sta fuori. Ma se io fossi andato alla maratona dove avrei preso l’albergo?”
Il dott. Amendola (o piuttosto, a quel punto, Ciro) era immerso in queste congetture, quando un suono familiare lo strappò dal ponte di Verrazzano per ricondurlo all’amara realtà.
Nella zona imbarchi rimbombava la voce squillante (come sempre) di Carmine De Simone.
Eccolo, Carmine De Simone. A pochi centimetri da Ciro. Dopo tanti anni. Poteva essere l’occasione buona, finalmente, per chiarirsi, per riprendere le fila di un’amicizia interrotta in modo traumatico. Quel volo insieme poteva dar loro l’opportunità di parlare con calma. Forse volando accanto a Carmine al dott. Amendola sarebbe anche un po’ passata la paura di volare. Forse. E poi magari avrebbe potuto sapere bene di Mirella, forse anche di Lucia e dei vecchi amici...
Il dott. Amendola si stava già preparando ad avvicinarsi (pensando a una frase d’esordio delle sue), quando capì che neanche quello sarebbe stato il momento giusto. Il cons. De Simone viaggiava in business class e non era solo. Stava infatti entrando nella sala d’attesa riservata ai passeggeri VIP insieme, stavolta, non alla solita donna bellissima, ma al (potente e venerato) Primo Presidente della Corte di cassazione. Che era andato anche lui a rappresentare l’Italia a Buenos Aires, e che, ovviamente, era suo amico.
Allora il dott. Amendola cedette di schianto. Si prese due pastiglie di Tavor in un sol colpo. E quando fu guidato dalla hostess al suo posto, in fondo alla pancia dell’aereo, praticamente già dormiva.
Arrivarono a Roma alle 7.30 di domenica mattina, 27 maggio 2007.
Il dott. Amendola restò in attesa della sua valigia quasi un’ora. Tante volte aveva letto che i tempi di restituzione dei bagagli a Fiumicino sono lunghi. Ma sperimentare quella lunghezza di persona (una persona peraltro già provata dal volo intercontinentale e ancora intontita dalla dose generosa di Tavor) non era piacevole. Anzi era proprio irritante.
Appena uscito, si andò a comprare “Il Mattino”, per aggiornarsi, soprattutto sulle vicende calcistiche della serie B, che aveva giocato mentre lui dormiva sull’oceano.
“Ué. Una buona notizia!” Quel sabato il Genoa aveva battuto in casa il Pescara, ma il Napoli si era gagliardamente imposto per 3 a 1 sul difficile campo del Verona. La promozione era ancora possibile e i titoli del “Mattino” avevano i prevedibili toni trionfalistici...
Mancavano soltanto due match alla fine del campionato e si faceva sempre più concreta la possibilità che diventasse decisivo lo scontro diretto dell’ultima giornata: contro il Genoa, fuori casa.
Il dott. Amendola, tuttavia, non riusciva a emozionarsi più di tanto per le gesta del Napoli in serie B. Forse ancora di meno adesso che era stato nel museo della Bombonera, a rispolverare i fasti di Diego Armando Maradona...
Tra pensieri calcistici e preoccupazione per il caldo romano che sembrava già esploso (soprattutto se paragonato all’autunno argentino), il dott. Amendola tornò a casa. Era tutto in ordine. Don Gaetano aveva vigilato adeguatamente.
Erano le 10.30 di una domenica mattina di fine maggio.
Secondo le rigide regole della sua routine, il dott. Amendola non poteva che ritirarsi senza indugio nel suo studio per dedicarsi alla classificazione delle leggi. Aveva perso una settimana e il 1889 era ancora lì, da completare. Fermo dalla domenica precedente.
Forse un’altra persona avrebbe preferito uscire un po’. Forse un’altra persona avrebbe dato seguito all’ardito (per quanto vano) tentativo della sera precedente e avrebbe cercato Mirella. Forse...
Ma non il dott. Amendola. Nei secoli fedele ai suoi ritmi.
Si collocò diligentemente alla scrivania, accese il computer e prese a scartabellare tra raccolte e repertori, spigolando tra leggi, regi decreti, errata corrige, richiami, rinvii. Si alzò, soddisfatto, soltanto quando il 1889 fu sistemato e classificato.
Ma, a quel punto, si era fatto buio e la domenica era finita.
Schiere di persone normali sfrecciavano sotto casa del dott. Amendola in auto o in motorino. Tornavano dal mare. Si preparavano alla serata.
Il dott. Amendola si mise a prendere il fresco sul balcone e lasciò andare i pensieri.
Il dott. Amendola pensava. Pensava molto. A volte troppo. Soprattutto in quelle insolite settimane di fine maggio 2007. Pensava alle strane novità che gli stavano capitando. Dogmaticamente inclassificabili. Complicate da gestire. Difficilissime da eludere.
Sul balcone, il dott. Amendola ripercorse tutte le strategie possibili. Senza arrivare ad alcun punto nuovo.
Sfinito da quell’andirivieni di pensieri inconcludenti cominciò a chiedersi se, in fondo, la telefonata di Mirella fosse stata per lui una fortuna oppure una sfortuna.
Il dott. Amendola, pur nella sua scarsa esperienza di vita vera (praticamente risalente quasi all’adolescenza), era consapevole che tutti gli eventi possono essere, al tempo stesso, una fortuna e una sfortuna. Dipende da dove uno li guarda. Hanno due facce, come Giano bifronte.
Da un lato, la telefonata di Mirella e tutto ciò che ne era conseguito in quei 15 giorni di ottovolante, era stata una fortuna per Ciro. Si era risvegliato dall’ibernazione ultratrentennale e poteva tornare a vivere. Forse con Mirella. Come se quei 31 anni, 11 mesi e 14 giorni non fossero mai passati.
Dall’altro, la telefonata era stata un terremoto. Tante novità. Tutte assieme. Troppo per la sua vita da orologio svizzero-napoletano. Troppo per mantenere la concentrazione e i dovuti ritmi nella classificazione delle leggi.
Mentre si inoltrava su terreni per lui così scivolosi, al dott. Amendola venne fame. Forse per gli effetti del fuso orario. Forse per la voglia di pasta, che non mangiava da giorni.
Nella dispensa aveva poco. Ma comunque l’indispensabile per un bello spaghetto aglio e olio c’era.
Mise a rosolare l’aglio. A fuoco lentissimo, per farlo imbiondire senza bruciature.
Tanta sapienza in cucina, tanta imperizia in amore.
Povero dott. Amendola: in amore era rimasto al livello evolutivo di un adolescente.
E da adolescente si mise a programmare minuziosamente il comportamento da tenere con Lucia.
L’appuntamento era già fissato. Per l’indomani, lunedì 28 maggio ore 17 davanti all’ingresso dell’Archivio centrale dello Stato. All’Eur.
Il salone di consultazione chiudeva alle 18.45. Ma il dott. Amendola sapeva che in un’oretta avrebbe trovato quello che cercavano. Del resto, prima di partire si era premurato di far avvertire il dirigente addetto alla conservazione di leggi e decreti, in maniera da far evadere immediatamente la sua richiesta di ma...