In diverse preghiere e devozioni si invocano gli angeli per chiedere la loro intercessione. Qual è il senso di queste iniziative spirituali e con quale atteggiamento di fondo la Chiesa e il popolo cristiano si sono rivolti, nel corso dei secoli, agli esseri celesti?
È opportuno innanzitutto chiarire che le orazioni rivolte dai cattolici agli angeli non fanno parte del culto cosiddetto di «latrìa» che è riservato unicamente alla divinità, ma rientrano nel culto di «dulìa», relativo alle richieste di intercessione a quanti si trovano in cielo affinché le riportino a Dio. Talvolta però nella storia della devozione si è verificato un culto esasperato verso gli angeli, che ha indotto le autorità vaticane a interventi ufficiali. Per esempio, nel 1992, la Congregazione per la dottrina della fede ha emanato un decreto che vietava, ai membri dell’organizzazione cattolica Opus angelorum, di consacrare i fedeli ad angeli dai nomi non citati nella Sacra Scrittura, cosa che l’associazione ha immediatamente smesso di fare.
Già ai tempi di san Paolo vi erano, nella comunità cristiana di Colossi, alcuni eretici che consideravano gli angeli come veri e propri mediatori fra Dio e gli uomini, mettendo così in penombra l’opera redentrice di Gesù. Appena l’apostolo venne a conoscenza di tali eresie, scrisse una lettera ai Colossesi dove affermava decisamente la superiorità di Cristo sugli angeli, in quanto Gesù è il figlio unigenito del Padre, a differenza degli angeli, che sono stati creati da Lui e per Lui. È in questo contesto storico che si comprende il vero significato di questa frase della lettera di san Paolo: «Nessuno che si compiace vanamente del culto degli angeli e corre dietro alle proprie immaginazioni, gonfio di orgoglio nella sua mente carnale, vi impedisca di conseguire il premio: costui non si stringe al capo, dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legamenti e cresce secondo il volere di Dio» (Col 2,18-19).
Nel II secolo, Ireneo scrisse nel trattato Adversus haereses: «La Chiesa non fa alcunché né con invocazioni angeliche né con incanti né con alcuna prava curiosità, ma dirige in maniera pura e manifesta le sue orazioni al Signore che ha fatto ogni cosa». In questo testo, sant’Ireneo intendeva combattere la «teurgìa», cioè la magia bianca che gli gnostici utilizzavano, insieme con le invocazioni angeliche, per ottenere prodigi. Un altro apologeta, san Giustino, affermava che i cristiani «pregano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, insieme alle armate degli angeli».
Fino a quando durò il pericolo dell’idolatria pagana, i padri della Chiesa furono, molto prudenti nel permettere il culto agli angeli. Infatti la diffusa mentalità magica dell’epoca faceva correre facilmente il rischio di confondere gli angeli, che sono esseri intermedi fra Dio e il genere umano, con piccoli dei di un nuovo pantheon cristiano. Inoltre a causa dello gnosticismo, che moltiplicava gli esseri spirituali e vedeva ovunque emanazioni della divinità, i padri tollerarono, più che incentivare, il culto degli angeli, nell’obiettivo di evitare deviazioni e fraintendimenti dottrinali.
Dopo l’editto di Costantino, del 313, e con il diminuire dell’influenza del paganesimo sulle masse, la posizione ufficiale della Chiesa nei riguardi della venerazione degli angeli divenne rigida. Nel IV secolo, Eusebio di Cesarea, nella sua Demonstratio evangelica, così scriveva: «Fra gli spiriti celesti, parecchi, grazie a una salutare economia, sono inviati agli uomini; noi abbiamo appreso a conoscerli e a venerarli in ragione della loro dignità e secondo il loro rango, pur riservando a Dio solo l’omaggio della nostra adorazione».
Una svolta si ebbe intorno al 650 con i Longobardi, che sostennero soprattutto il culto in onore di san Michele, dando ulteriore sviluppo al suo santuario nel Gargano. Addirittura sulle loro monete apparivano da una parte il busto del sovrano e dall’altra l’immagine dell’arcangelo. E poi, nel 787, il concilio ecumenico Nicea II finalmente raccomandò esplicitamente ai fedeli di venerare le immagini degli angeli.
Questa esplicitazione dei padri conciliari fu molto importante, anche se non conosciamo molto delle devozioni di quel periodo. Un nuovo impulso in favore degli angeli si ebbe nel XII secolo, al tempo in cui san Bernardo esortava alla loro venerazione affermando: «Quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti! Riverenza per la presenza, devozione per la benevolenza, fiducia per la custodia. Sono presenti, dunque, e sono presenti a te, non solo con te, ma anche per te. Sono presenti per proteggerti, sono presenti per giovarti». Anche san Bonaventura considerava il cammino di maturazione della vita spirituale come un itinerario di incontro con gli angeli, indirizzato all’unione con la Trinità divina.
È poi curioso notare che, al tempo della Riforma protestante, a riguardo degli spiriti celesti i riformatori tennero in considerazione alcuni aspetti dell’angelologia tradizionale cattolica. Lutero, pur respingendo il culto degli angeli (in sintonia con il rifiuto del culto dei santi), ebbe a dire in una delle sue famose conversazioni a tavola: «Dopo la morte riposeremo soltanto in Dio, così come in questa vita dormiremo dolcemente sotto la protezione di Dio e degli angeli, senza temere il pericolo». E Calvino, nel libro Le istituzioni cristiane, scrisse che «la fede negli angeli è sommamente necessaria, per rifiutare molti errori».
Un rilancio della devozione verso gli angeli si ebbe nel XVII secolo con la scuola francese di spiritualità del cardinale de Berulle, di san Giovanni Battista de La Salle e del venerabile Olier. Da allora la devozione agli angeli, in particolare a san Michele, è divenuta una delle più familiari al popolo cristiano, tanto che il concilio Vaticano II, nella costituzione Lumen gentium, parlando della venerazione della Chiesa per i martiri cristiani afferma che essa «li ha con particolare affetto venerati insieme con la beata vergine Maria e i santi angeli e ha pienamente implorato l’aiuto della loro intercessione». Il Catechismo della Chiesa cattolica, al numero 335, parla con chiarezza del culto angelico: «Nella liturgia, la Chiesa si unisce agli angeli per adorare il Dio tre volte santo: invoca la loro assistenza e celebra la memoria di alcuni angeli in particolare (san Michele, san Gabriele, san Raffaele, gli angeli custodi)». II senso della venerazione dei cattolici per gli angeli è espresso nel prefazio della Messa in onore degli angeli, dove il celebrante dice: «Noi proclamiamo la tua gloria, che risplende negli angeli e negli arcangeli. Onorando questi tuoi messaggeri, esaltiamo la tua bontà infinita. Negli spiriti beati tu ci riveli quanto sei grande e amabile, al di sopra di ogni creatura, per Cristo nostro Signore. Per mezzo di lui tutti gli angeli proclamano la tua gloria».
Sono numerose le orazioni direttamente indirizzate agli angeli, ma uno stretto legame vi è soprattutto con la preghiera mariana dell’Ave Maria e le connesse devozioni dell’Angelus e del Rosario. Di fatto il saluto di Gabriele è innanzitutto un omaggio e una preghiera alla Madre di Dio, ma anche il richiamo alla più gloriosa missione che sia stata affidata a un angelo.
Effettivamente gli angeli sono molto coinvolti in tutta la dinamica dell’incarnazione di Gesù. Già in precedenza un angelo aveva annunciato a Zaccaria la nascita di Giovanni il Battista, precursore del Messia. Un angelo apparirà poi a Giuseppe per acquietarne gli scrupoli sul fatto che la sua fidanzata Maria era incinta. Da un capo all’altro della vita di Cristo, nella notte della sua nascita come all’alba della risurrezione o nel giorno dell’ascensione, gli angeli saranno presenti. E ogni giorno l’Angelus ci richiama questo ministero permanente degli spiriti celesti nella realizzazione dell’opera della salvezza.
L’uso di salutare la Vergine ogni sera, al suono delle campane di compieta (ora in cui si riteneva fosse avvenuto l’annuncio dell’angelo), cominciò a diffondersi verso la metà del Duecento. Nel santuario francese di Le Puy-en-Velay, a partire dal 1449, si stabilì di recitare l’Angelus tre volte al giorno (mattino, mezzogiorno e sera), una consuetudine che presto si diffuse in tutta la cristianità. Sul finire del Quattrocento, papa Alessandro VI dispose che venissero suonati i tre tocchi giornalieri di campana in coincidenza con l’Angelus, in ricordo dell’incarnazione di Cristo. Il testo dell’Angelus Domini fu inserito nel Breviario romano del 1568 ed ebbe nel 1724 la formulazione ufficiale da papa Benedetto XIII, il quale vi associò l’indulgenza plenaria mensile per chi l’avesse recitata in ginocchio al rintocco delle campane, mentre nel 1884 papa Leone XIII stabilì il testo nella forma attuale. Il Manuale delle indulgenze concede l’indulgenza parziale ai fedeli che recitano l’Angelus.
Si comincia con le tre strofe alternate: «1. L’angelo del Signore portò l’annunzio a Maria. Ed ella concepì per opera dello Spirito Santo. Ave Maria... 2. Io sono la serva del Signore. Si compia in me la tua parola. Ave Maria... 3. E il Verbo si è fatto uomo. E venne ad abitare in mezzo a noi. Ave Maria...». Quindi c’è l’invocazione: «Prega per noi, santa Madre di Dio. Rendici degni delle promesse di Cristo». E si conclude con la preghiera: «Infondi nel nostro spirito la tua grazia, o Padre. Tu che all’annunzio dell’angelo ci hai rivelato l’incarnazione del tuo Figlio, per la sua passione e la sua croce guidaci alla gloria della risurrezione. Per Cristo nostro Signore. Amen. Gloria al Padre...».
Intorno al 1600 venne definitivamente precisato il testo della preghiera all’angelo custode, condensato di una quartina con la quale iniziava il lungo poema di un monaco inglese della fine dell’XI secolo: «Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me, che ti fui affidato dalla pietà celeste. Amen». Quale devozione si può suggerire a chi volesse quotidianamente invocarlo?
Una bella devozione è la Coroncina all’angelo custode, composta di sette strofe da pronunciare in sequenza, al termine di ciascuna delle quali si recitano un Padre nostro un’Ave Maria e un Gloria al Padre: «1. Santo angelo, mio potente custode, per quell’odio sommo che nutri verso il peccato, perché offesa di Dio che ami con amore puro e perfetto, ottienimi un vero e continuo dolore dei miei peccati e un odio sommo per qualunque colpa, cosicché io non offenda mai più Dio, sino all’ultimo istante della mia vita. 2. Spirito nobile, mio angelo custode, per quella felicità immensa che provi nel vedere sempre Dio svelatamente, impetrami la grazia di camminare sempre alla presenza di Dio, in modo che io viva da perfetto cristiano sino all’ultimo respiro della mia vita. 3. Esecutore esatto dei voleri di Dio e mio custode, per quel vigilante e amoroso impegno con cui adempi alla mia custodia che ti è stata affidata da Dio, ottienimi la grazia di essere sempre impegnato a conoscere e a realizzare ciò che Dio vuole da me, sino all’ultimo istante della mia vita. 4. Difensore zelante, mio angelo custode, per il compito che Dio ti ha affidato di custodirmi in tutti i miei cammini, come una madre custodisce fra le sue braccia il tenero figlio, allontana da me tutte le occasioni di peccato e liberami da tutte quelle situazioni che possono offendere Dio. Fammi camminare facilmente per la via dei divini comandamenti, sino all’ultimo momento della mia vita. 5. Condottiero fedele, mio angelo custode, per l’incarico che Dio ti ha dato di condurmi per la via del cielo, ottienimi la grazia di seguire fedelmente e costantemente i tuoi insegnamenti sul male che devo evitare e sul bene che devo praticare, e non smettere mai di stimolarmi alla virtù, sino all’ultimo respiro della mia vita. 6. Mio amato amico, angelo custode, per il tuo grande amore verso di me, amando tu Dio infinitamente, e vedendo che Dio tanto mi ha amato e continua ad amarmi, ottienimi la consolazione nelle mie afflizioni e la grazia di pregare sempre e bene, al fine di ottenere le divine misericordie, sino all’ultimo istante della mia vita. 7. Intercessore efficace, santo mio angelo custode, per quello zelo che Dio ti ha comunicato per la salvezza eterna della mia anima, impetrami la grazia di infondere con ardore e con prudenza nel prossimo il desiderio di salute spirituale, al fine di meritare così la beatitudine eterna».
Il 13 ottobre 1884 papa Leone XIII, mentre stava terminando la celebrazione eucaristica, ebbe una terrificante visione nella quale sentì la voce di Satana minacciare la distruzione de...