Il dio danaro
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Il dio danaro

  1. 294 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il dio danaro

Informazioni su questo libro

Milano, ultima domenica di agosto, la città ancora semideserta. Dopo un violento temporale, il portinaio di un elegante condominio di via della Passione scopre in cortile il cadavere di Andrea Olcese. È fradicio d'acqua, sull'acciottolato una macchia di sangue slavata dalla pioggia recente. Il finanziere deve essere precipitato dalla finestra dello studio del suo lussuoso appartamento al terzo piano, l'unico in tutto il palazzo le cui persiane non siano chiuse. Un suicidio, apparentemente. Ma la finestra da cui si sarebbe gettato Olcese è chiusa. Da chi è stato ucciso, allora? E perché? Olcese era ricchissimo, ma non sembrava avere nemici: vedovo di una moglie bellissima, aveva un figlio, un tipo "strambo", con velleità artistiche, anche lui morto in circostanze non chiare. Conduceva una vita riservata, tranquilla, solo casa e lavoro. Eppure qualche nodo oscuro nella sua esistenza doveva esserci. Per scoprirlo il commissario Ambrosio dovrà addentrarsi nel mondo dell'alta finanza, e imparare a decifrarlo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804642275
eBook ISBN
9788852052422

1

Li avrebbe ricordati quei tuoni

Li avrebbe ricordati quei tuoni, e anche l’oscurità di quella mattina di domenica, il corpo dell’uomo abbandonato nel cortile, tra il muro ricoperto d’edera del palazzo di via della Passione e il tronco dell’oleandro che era cresciuto tra due cespugli di ortensie.
Il cadavere raggomitolato sul fianco destro, fradicio d’acqua, i capelli grigi imbrattati di sangue, gli era sembrato subito quello di un uomo anziano, di statura modesta.
Aveva alzato lo sguardo ai piani del palazzo. Tutte le finestre – salvo una – erano chiuse, comprese le persiane, come se lo stabile fosse disabitato.
Del resto era l’ultima domenica di agosto.
Un braccio del morto aveva assunto, nella caduta, una posizione innaturale, e la mano destra era rimasta chiusa a pugno con la piccola vera d’oro infilata al mignolo.
Vedovo, aveva pensato Ambrosio.
Poco prima gli aveva telefonato in ufficio l’ispettore De Luca, chiamato dal custode dello stabile, pallido come il morto, il vestito grigio scuro, gli occhi inquieti sul cranio della vittima, sulla macchia rosa dilatata dalla pioggia sopra il cemento che delimitava l’aiola con l’oleandro.
«Ha qualcosa per coprirlo?» aveva chiesto all’uomo, magro, i baffetti neri.
«Del... del cellofan?»
«Meglio di niente.»
Si era diretto verso il portone.
«Ti ha detto chi è?»
Accennando al cadavere, Ambrosio aveva parlato sottovoce, e De Luca: «Un inquilino del terzo piano».
«Non era andato in ferie?»
«Sembra di no. Abitava lassù.»
Avevano guardato l’unica finestra con le persiane aperte.
«Da solo?»
«Così mi ha detto il portinaio.»
Che era riapparso con un involto grigiastro tra le mani. Lo aveva steso lentamente sul corpo.
«Come si chiamava?»
Sotto la grondaia stazionavano in silenzio due agenti della Volante.
«Andrea Olcese.» Con l’indice si era sfiorato i baffetti. «Abitava qui prima che venissi io. Da più di vent’anni.»
«Sposato?»
«Vedovo.»
Ambrosio si era imposto di non sorridere.
«Figli?»
«Uno solo. Ma è morto.»
«Quando?»
«Tempo fa.»
«Avrà avuto una domestica.»
Si era grattato l’orecchio da cui fuoriuscivano peli neri.
«Una cuoca, un cameriere e una ragazza somala per i lavori pesanti.»
«Dove sono adesso?»
«La ragazza è andata in Africa in luglio. Tornerà a settembre, tra una settimana.»
«La cuoca?»
«Abita con il marito a Porta Ticinese. Quando è festa rimane a casa. La domenica il dottore mangiava sempre al ristorante.»
«E il cameriere?»
«Se è di riposo non dorme qui. Non è sposato, ma...»
«Ha una donna, immagino.»
Dopo aver dato uno sguardo al cellofan, sospirando aveva risposto: «Abita a Lambrate. È come se fossero marito e moglie. Lei fa la stiratrice. Viene a lavorare anche qui dal dottor Olcese».
«A proposito, ha le chiavi dell’appartamento?»
«Sì.»
Lo aveva detto dopo un attimo di incertezza, aggiungendo: «Il dottore si è sempre fidato di me».
Ambrosio lo aveva guardato, poi rivolgendosi a De Luca: «Hai già chiamato la procura?».
«Tra poco li avremo tra i piedi.»
«Allora disturbiamo anche la scientifica.»
Si erano incamminati insieme al custode verso la guardiola che pareva la cappella di una chiesa, tutta foderata di legno scuro, con in fondo una finestrella a vetri colorati. Sul tavolo un telefono nero come quelli che usavano durante l’ultima guerra.
«Pensa a un delitto, commissario?»
«Può essere anche un suicidio.» E al custode: «Che cosa faceva il dottor Olcese?».
«Lavorava in Borsa.»
«Aveva un ufficio?»
«In via Sant’Antonio, vicino all’università.»
Mentre De Luca telefonava in Fatebenefratelli, un tuono era esploso all’improvviso seguito da scrosci d’acqua, subito dopo il bagliore sinistro di un altro fulmine aveva illuminato i viola i rossi i gialli del mostruoso fiore liberty che decorava la finestrella.
L’ascensore, in una gabbia di ferro battuto, era salito al terzo piano; pareti di legno di rosa, sentore di pino. La porta dell’appartamento, solida, di noce, era senza targhetta.
Il custode teneva in mano tre chiavi tenute insieme da un anello.
«Dia a me» aveva detto Ambrosio.
Era bastato che muovesse appena la chiave nella serratura per aprire la porta.
«Chiusa a scatto» si era rivolto all’uomo.
«Di solito chiudeva a quattro mandate. Il dottor Olcese era attento, molto attento.»
Si erano trovati in un’anticamera ampia, di un giallo pallido. Di fronte alla porta, al centro della parete, un quadro di scuola fiamminga: un paesaggio montuoso con viandanti, sul fondo un cielo solcato da uno stormo di uccelli. Un tappeto cinese dominava il pavimento di marmo bianco. Ambrosio era stato attratto da una colonnina di legno scuro su cui poggiava una statua di bronzo dorato che probabilmente era un Apollo, dio della bellezza.
Le luci del grande lampadario a gocce di cristallo e i lumi alle pareti con gli abat-jour di pergamena avevano rischiarato l’ampio soggiorno con mobili Biedermeier e divani foderati di damasco.
La collezione di scatole d’argento che, sul tavolino di palissandro, circondava un vaso di Boemia pieno di palline colorate, avrebbe suggerito, insieme al profumo lieve di reseda, un benessere autentico, se non fosse stato per il pensiero incombente dell’uomo, giù in cortile, nella pioggia, immobile per sempre.
«Non dobbiamo toccare nulla» aveva ripetuto Ambrosio, e al custode: «Torni sul portone, dovranno arrivare il magistrato e altri colleghi. Noi due li aspetteremo qui».
Mentre il mingherlino stava per uscire: «Più tardi avrò ancora bisogno di lei» aveva aggiunto, fissandolo dopo aver posato le chiavi su una console accanto alla porta. Non aveva risposto, se n’era andato in silenzio.
«Che casa,» De Luca era parso a disagio tra mobili d’epoca e tappeti preziosi «questo qui era ricco sfondato.»
Erano passati nello studio della vittima rischiarato di tanto in tanto dal chiarore dei fulmini perché la finestra che dava sul cortile aveva – era l’unica del palazzo – le persiane spalancate. Accanto alla finestra, la scrivania Impero, come le poltroncine, dietro una libreria piena di libri in gran parte rilegati in pelle, e di fronte un divano e una poltrona cremisi.
Dal soffitto calavano davanti alla finestra due drappi dello stesso amaranto, raccolti da robusti cordoni.
«Sua moglie era bella.»
Ambrosio aveva guardato la cornice d’argento posata sulla scrivania con la fotografia in bianco e nero di una giovane donna bionda, i capelli sulle spalle, un sorriso vago, un filo di perle sul petto, al polso un orologino a forma di serpe.
La finestra era chiusa. Ecco perché, nonostante il temporale, non si era spalancata.
«C’era qualcuno con lui.»
Aveva osservato da vicino la maniglia di ottone, senza toccarla.
«Chissà se fumava...» De Luca gli aveva mostrato con l’indice un posacenere su un ripiano della libreria. Era d’argento a forma di conchiglia. Conteneva una sigaretta Marlboro fumata a metà.
Stavano per andare verso le altre camere dell’appartamento, che occupava l’intero piano, quando, dopo aver bussato, erano entrati alcuni uomini; uno con la valigetta, un altro, i capelli rossi, si era rivolto al commissario: «Ai suoi ordini, capo. Da dove cominciamo?».
«La camera che mi interessa è questa. Dev’essere caduto da qui.»
«Chi è stato a chiudere la finestra?»
«Lui no di certo.»
«Ci giurerei» aveva concluso il rosso togliendosi l’impermeabile, imitato dagli altri che si muovevano nella stanza con una sorta di inconsueta levità. Gli impermeabili, uno sull’altro, erano stati adagiati sopra una poltroncina in un angolo dello studio.
Ambrosio, prima di uscire dalla stanza, si era portato dietro l’agenda in pelle marrone con la sigla della Banca Commerciale impressa al centro e, fatto cenno a De Luca, si era incamminato lungo un corridoio che conduceva in altre camere: quella da pranzo con un tavolo ovale, e sul tavolo due candelabri e un vassoio dov’erano posate mele, pere e melagrane di porcellana, intorno quadri di Morandi con bottiglie grigie, azzurrine e gialle in cornici scelte a suo tempo dallo stesso pittore.
Ambrosio lo aveva immaginato nello studio di via Fondazza a Bologna, il comodino accanto al letto, i pennelli sulla cassetta dei colori, la cella di un frate. Lui c’era stato, tanti anni prima, insieme a Francesca, erano sposati da poco.
«Questi quadri» aveva detto a De Luca «valgono un mucchio di quattrini.»
«Per esempio?»
Non era parso granché interessato.
«Con uno solo ti compri un appartamento.»
«Possibile?»
Erano passati nella camera con due letti ricoperti di seta blu, della stessa tinta dei tappeti cinesi. I letti erano separati da un tavolino rotondo habillé con sopra una l...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il dio danaro
  3. 1. Li avrebbe ricordati quei tuoni
  4. 2. Domenica pomeriggio all’obitorio
  5. 3. L’ombra che aveva oscurato il volto
  6. 4. La domanda era talmente indiscreta
  7. 5. Avevano bussato alla porta
  8. 6. Era affiorato in lui il sospetto
  9. 7. L’idea della sconfitta lo tormentava
  10. 8. La riservatezza è una virtù?
  11. 9. La verità continuava a sfuggirgli
  12. 10. L’angelo della morte era là
  13. Copyright